Carme 101 di Catullo

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Latina

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Testo

DISTICO ELEGIACO [terzo gruppo del liber “epigrammi”…48 carmi…tutti distici elegiaci, ovvero esametro più pentametro, il pentametro è introdotto da catullo]
Il carme 101 è uno dei più importanti e ricchi di pathos del liber catulliano, dal tono solenne e molto intenso. Si tratta del compianto per la morte del fratello avvenuta qualche anno prima, che il poeta rievoca ricordando la visita alla sua tomba in occasione del viaggio in Bitinia al seguito del pretore Caio Memmio nel 57 a.c (la Bitinia era provincia romana dal 74 a.c.). Il tono è affettuoso da una parte, e ricorda il fratello con dolcezza e rimpianto come già altre volte nel liber, dall’altra invece si fa sobrio e solenne, a sottolineare l’amara consapevolezza della morte e la stanca rassegnazione che rinnova il dolore. Il carme si ricollega alla tradizione letteraria dell’epigramma funebre, sia nella forma, per quanto riguarda il colloquio diretto con il morto, che nel contenuto, ovvero la descrizione del rito funebre, di cui si ha un’ ampia descrizione in un testo di Meleagro (Antologia Palatina, libro VII). In realtà con Catullo si assiste ad un superamento della tecnica epigrammatica, in quanto riesce a comporre un carme che va al di là delle convenzioni esprimendo, come tipico della poesia neoterica, sentimenti personali e sinceri con un’intensità sconosciuta alla scarna semplicità della poesia ellenistica. I temi fondamentali del carme sono innanzitutto quello familiare, ed è particolare in quanto Catullo non parla molto nel Liber del rapporto con i parenti, se non in qualche carme (LXV, LXVIII) dove rievoca il rapporto con il fratello, ricordandone l’importanza “e a me più caro della mia vita” e il forte sentimento di affetto che li univa. Nonostante a lui siano dedicati tre carmi, non si hanno molte notizie sul suo conto, solo che fu sepolto lontano “nella maledetta Troade” e che era giovane. Degli altri familiari o amici Catullo non parla molto, ma si sa attraverso fonti indirette che non aveva rapporti facili, anzi, verso alcuni personaggi come ad esempio gli amici del padre, o Cesare e Cicerone, mostra una certa ostilità, tanto da presentare nel Liber attacchi e spunti polemici nei loro confronti. Nonostante ciò per il poeta, appartenente alla corrente poetica dei neoteroi, l’amicizia è valore di fondamentale importanza e non deve essere subordinato alla politica. Altri temi sono quelli del rito funebre, del pianto, della morte del fratello, del colloquio con le ceneri e della rassegnazione nei confronti del destino, temi che verranno ripresi da anche da Foscolo nel sonetto del 1802 “In morte del fratello Giovanni” e che vengono sviluppati principalmente attraverso alcuni vocaboli appartenenti al lessico rituale (come in questo caso inferias, munus, more parentum, etc). Il poeta è quindi davanti al tumulo per colloquiare con ilo fratello che non risponderà: c’è rassegnazione nelle sue parole, rassegnazione che culminerà con un “ave” “in perpetuum”, un addio per sempre. Nell’incipit, lo stesso che verrà poi utilizzato da Foscolo e probabilmente anche da Virgilio nell’Eneide (“quas ego te terras et quanta per aequora vectum accipio”) viene ripreso un modello epico: l’Odissea di Omero. Catullo afferma di essere giunto per porgere al fratello “has miseras inferias”, queste tristi offerte dopo aver viaggiato per molte terre e molti mari. L’aggettivo “miser” è molto usato dal poeta (cfr. “Miser Catulle, desinas ineptire..” VIII), mentre “inferias” è termine tipico del linguaggio rituale ed erano propriamente le offerte rituali (olio, miele, acqua, latte) che venivano versate sulla tomba. L’importanza della parola è suggerita anche dalla sua posizione metrica: viene infatti ripetuta due volte e si trova sempre alla fine di un pentametro. Catullo dunque si reca alla tomba per donare il “munere mortis”, l’ultimo omaggio della morte, e per parlare invano alla “mutam cinerem”, la cenere muta. Fondamentale il termine “munere”, sempre convenzionale nel rito funebre. Il “munus” è un’offerta dovuta ai morti per sciogliere il legame affettivo e si collega ad “inferias”. Nei versi si riscontra un altro tema importante, quello del parlare invano con le ceneri, che ricorda il “parla di me col tuo cenere muto” del sonetto foscoliano. Si presenta poi il motivo della fortuna, che “indigne”, immeritatamente per la morte precoce e “adempte”, crudelmente “abstulit”, ha strappato via il fratello al poeta. L’evento è vissuto da quest’ultimo in prima persona, dalle sue parole infatti traspare grande sofferenza e rabbia di fronte ad un destino ingiusto. Il pathos viene accentuato dal raddoppiamento di te, l’aggiunta di ipsum come rafforzativo, l’accosamento con “mihi” e il discorso diretto con il morto come interlocutore. E’ nei versi seguenti che invece è possibile capire la rassegnazione: il poeta infatti accetta che le cose stiano in questo modo, e per questo chiede al fratello di accogliere secondo l’antica usanza degli avi queste offerte funebri come tristi doni grondanti di molto pianto fraterno. Compaiono qui “more parentum”, “tristi munere” e “inferias”, che richiamano ancora la poesia dell’epigramma ellenistico e i riti funebri. In Catullo non vi è l’illusione di aldilà o di un reale colloquio con il mondo dei defunti, è consapevole del perpetuo distacco e di non poter stabilire un vero discorso con il fratello, davanti all’eternità della morte. Per questo, conclude il carme congedandosi “in perpetuum”, per sempre attraverso le tipiche forme colloquiali “ave” e “vale”. Il tono è sobrio e richiama il linguaggio delle epigrafi sepolcrali. E’ possibile fare un confronto con il sonetto di Ugo Foscolo, che in occasione della morte del fratello, decide di riprendere il testo catulliano. In entrambe le opere è presente il tema della morte del fratello e della tomba, però vi sono alcune differenze. Il poeta ottocentesco, a differenza di Catullo che aveva affrontato il viaggio in Bitinia, non può recarsi a rendere omaggio alle ceneri perché esiliato. Foscolo è ossessionato dal pensiero di non poter tornare in patria, infatti nel sonetto oltre al dispiacere per il fratello morto, si può notare anche il rammarico per l’esilio, per la lontananza dai parenti, le tempestose cure che travagliano il suo spirito, il presentimento di morte fra le genti straniere, la speranza di poter tornare in “porto” (cfr. Dante e Petrarca) e il vagheggiamento della sepoltura nella quiete della patria. In più, compare anche la figura materna, che parla invano alle ceneri mute del figlio morto, e al suo ricordo, il desiderio del poeta di abbracciare i suoi familiari, che si traduce metaforicamente con il gesto di protendere le braccia (cfr. Enea e Anchise). Abilmente il poeta chiude il sonetto con lo stesso tema con cui era iniziato, la morte, creando così una struttura circolare. Tornando al carme 101, per quanto riguarda il testo, la struttura del periodo è molto complessa e elaborata: sono presenti infatti molte subordinate e strutture ampie, come ad esempio si può notare già nei primi versi. Per quanto riguarda il lessico, questo è perlopiù convenzionale, si tratta infatti di espressioni tipiche del linguaggio religioso e del compianto funebre, che rientrano nella tradizione dell’epicedio: parole come “postremo munere mortis”, “more parentum”, “miseras inferias”, “mutam […] cinerem”. L’aspetto retorico è molto curato, varie sono infatti le figure retoriche: anastrofe (multas per gentes + advenio … inferias), poliptoto (multas… multa), allitterazione (“munere mortis”), omoteleuto [che significa terminazione uguale] (“mutam nequiquam”) metonimia (“multas per gentes”) ipallage (“miseras inferias”) metafora (“postremo munere mortis” e “mutam cinerem”), personificazione della fortuna e metonimia (“fletu fraterno”)

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