De tranquillitate animi II, 6-15

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Testo

DALLA MUTEVOLEZZA DEI DESIDERI E DALL’INSAZIABILITA’ NASCONO LA SCONTENTEZZA, IL TEDIO E L’ODIO DI SE’. INVANO L’UOMO CERCA DI SFUGGIRE A SE STESSO CAMBIANDO L’UOMO

De tranquillitate animi II, 6-15

Di Seneca

Tutti si trovano nella medesima condizione, sia coloro che sono vessati dall’insaziabilità e dal tedio e dal continuo mutare propositi, ai quali sempre piace di più ciò che hanno lasciato, sia coloro che intorpidiscono nell’inerzia e sbadigliano. Aggiungi coloro che non diversamente da coloro che hanno il sonno difficile si rigirano e si mettono ora in una posizione ora in un’altra, finché non trovano quiete per la stanchezza. Dopo aver cambiato ripetutamente la condizione della loro vita rimangono alla fine in quello in cui non l’odio del cambiamento continuo ma la vecchiaia pigra nei confronti del rinnovamento li ha colti. Aggiungi anche quelli che sono poco instabili non per colpa della loro fermezza di carattere, ma della loro inerzia, e vivono non come vogliono, ma come hanno cominciato (casualmente). Innumerevoli poi sono i caratteri sintomatici del vizio ma uno solo è l’effetto, l’essere scontento di se stesso. Questo nasce dalla mancanza di equilibrio dell’animo e dai desideri repressi o non condotti ad effetto, quando o non osano fare quanto desiderano, o non lo conseguono e sono tutti protesi nella speranza; sono sempre instabili e mutevoli, cosa che necessariamente accade a chi vive con l’animo sempre sospeso. Tendono all’oggetto dei propri desideri per ogni via e insegnano a se stessi cose disonorevoli e ardue e si costringono a farle, e quando la fatica non è ricompensata, li tormenta il pensiero che vana sia stata la vergogna, non si dolgono di aver voluto cose deplorevoli ma di averle voluto invano.
Allora li invade sia il pentimento dell’azione intrapresa sia il timore di cominciare e si insinua quella agitazione dell’animo che non trova via d’uscita, perché ne’ possono comandare ai propri desideri ne’ assecondarli, e ( si insinua) l’incertezza di una vita che non riesce a trovare una via di svolgimento. Queste cose sono le più gravi quando per odio dell’insuccesso della loro azione si rifugiarono nell’ozio, nella vita apportata che non può sopportare un animo inclinato agli affari pubblici e desideroso di agire e inquieto per natura, che naturalmente trova in se stesso poche risorse per potersi consolare; pertanto venuti meno i diletti, che le occupazioni di per se stesso offrono a chi è impegnato negli affari pubblici, l’animo non sopporta la cosa, la solitudine, le pareti, a malincuore si vede abbandonato a se stesso.
Di qui deriva il tedio ben noto e la scontentezza di sé e l’agitazione dell’animo che in nessun luogo trova quiete e anche la penosa sopportazione del proprio triste ozio; soprattutto quando ci si vergogna di confessare i motivi e la vergogna spinga più nell’intimo i tuoi tormenti, le passioni rinchiuse in stretto spazio non trovando via d’uscita si soffocano da se stesse.
Di qui derivano la melanconia e la prostrazione e mille ondeggiamenti della mente instabile, che le speranze concepite tengono sospesa, quelle deluse rendono triste.
Di qui deriva quello stato d’animo di chi detesta il proprio ozio e che lamentano di non aver nulla da fare e di qui deriva l’invidia ostilissima ai successi altrui. Infatti la sterile inattività alimenta il livore ed essi desiderano distruggere tutti gli altri, poiché non poterono fare avanzare sé, poi da questo odio per i successi altrui e dal disperare di poterne conseguire di propri l’animo sdegnato verso la fortuna sia che si lamenta dei tempi sia che si apparta negli angoli sia che cova il suo tormento, mentre si annoia di quello e prova rammarico di sé. Per natura infatti l’animo umano è attivo e pronto al momento. All’animo ogni occasione di eccitarsi e distrarsi è gradita, più gradita alle nature peggiori, che volentieri si logorano nelle occupazioni. Come alcune ferite (piaghe) desiderano ardentemente il contatto delle mani che recheranno maggiore danno e godono del tatto, e alla turpe scabbia dei corpi piace qualunque cosa che infiamma, non diversamente direi per queste menti, in cui i desideri proruppero come maligne piaghe, il travaglio e il tormento recano piacere. Ci sono infatti certe cose che provocano diletto anche ai nostri corpi un certo dolore, come rigirarsi e cambiare lato anche se non è ancora stanco e volgersi continuamente ora in una posizione ora in un’altra. Come quell’Achille Omerico è ora prono, ora supino, che si atteggia in varie pose, cosa che è propria del malato, non sopportare nulla a lungo e cercare rimedio dei cambiamenti.
Quindi si intraprendono viaggi per ogni dove e si percorrono spiagge deserte e ora per mare per terra si mette alla prova l’incostanza che è sempre scontenta delle cose presenti:>. Già vengono a noia i luoghi raffinati: >. Tuttavia si cerca qualcosa di ameno tra le terre deserte, in cui occhi avidi di godimento possono rifarsi dal lungo squallore di luoghi selvaggi:>. Troppo a lungo le orecchie sono state piene di applausi e fragore, piace ormai anche godere del sangue umano: . Si intraprende un viaggio dopo l’altro e si cambia uno spettacolo dopo l’altro. Come dice Lucrezio
-In questo modo ciascuno sfugge a se stesso-
Ma a che giova se non riesce a sfuggire? Egli stesso si segue e si opprime, insopportabile compagno. Dunque dobbiamo sapere che non è colpa dei luoghi se soffriamo, ma nostra; siamo inetti a sopportare ogni cosa, non siamo pazienti della fatica, ne’ del piacere ne’ noi stessi ne’ alcuna cosa (un po’) a lungo. Questo ha spinto alcuni alla morte, perché col mutare spesso propositi ricadevano nelle stesse cose e non lasciavano spazio alla novità. Comincia a essere motivo di noia per quelli la vita e il mondo stesso, e subentra nell’animo quell’aspetto delle lusinghe che distruggono:>

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