Il tema dell'esilio in Dante

Materie:Tema
Categoria:Italiano

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Testo

Tratta il tema dell’esilio fortemente presente in Dante
Guelfi e ghibellini erano due fazioni politiche nate in Germania nel XII secolo e vitali, particolarmente in Italia, per tutto il XIV secolo. Ai guelfi appartenevano coloro che, nella lotta al potere tra papato e impero,sostenevano la supremazia del Papa, ai ghibellini, invece, coloro che appoggiavano il primato politico dell’imperatore. Verso la metà del XIII secolo in molte città italiane esisteva una fazione guelfa e una ghibellina e , spesso, quando una delle due guadagnava la supremazia ,cacciava di conseguenza i principali esponenti avversari e li costringeva a vivere in esilio.
Firenze, città toscana sede di grandi spinte culturali e religiose e motore di cambiamenti anche a livello politico locale e ultra regionale, ha sempre avuto una supremazia della parte guelfa. All’epoca di Dante il partito guelfo era a sua volta diviso in due fazioni, i bianchi e i neri, così quando, nel 1295 Dante cominciò la sua carriera politica, aderì ai guelfi bianchi in modo moderato perché era in contrasto con la politica dei neri ,più estremisti, che appoggiavano l’espansionismo di papa Bonifacio VIII. Dante infatti era un convinto sostenitore dell’autonomia della città di Firenze, che avrebbe dovuto essere legata al Papa e alla Chiesa di Roma per fede ,ma libera da ingerenze e da scelte del Papa che potessero inserirsi in modo pesante nella vita politica della città e del suo governo. Dante ,divenuto uno dei sei priori della sua città nel 1300 , fu promotore di molte leggi che cercavano di ostacolare il pontefice, per questo motivo Bonifacio VIII lo prese di mira e, infatti nel 1301, i neri si impadronirono di Firenze con l’appoggio papale. Bonifacio VII inviò così Carlo di Valois , fratello del re di Francia, con l’intenzione nascosta di eliminare i guelfi bianchi dalla scena politica, Dante viene coperto di accuse infamanti, subisce il saccheggio della casa, viene accusato dal Potestà di ribellione al papa e di baratteria, cioè di indebita appropriazione di denaro pubblico. Il potestà chiamò pubblicamente il poeta perché si potesse discolpare e chiedere ,quindi, una assoluzione pubblica, Dante però non si presentò e fu quindi condannato a due anni di confino e al pagamento di una multa in danaro che decise di non assolvere. Per questo motivo fu condannato a morte e non poté più rientrare a Firenze. Iniziò così un periodo molto intenso e molto sofferto che portò il poeta a vivere con consapevolezza e estrema profondità il suo momento storico e il suo momento personale.
Per un certo periodo Dante restò coinvolto nelle vicende politico-militari degli esuli che tentavano di rientrare a Firenze, in seguito però decise di fare “parte per se stesso”e proseguì così il suo esilio nel Veneto e poi in Lunigiana. Nel 1310 sperò di poter rientrare in patria con la spedizione dell’imperatore Arrigo VII ma, purtroppo, nel 1313 l’imperatore morì senza aver conquistato Firenze e Dante dovette abbandonare definitivamente ogni speranza di rientrare in città. In seguito a Firenze fu emanato un condono della pena per tutti gli esuli che avessero pagato una multa e riconosciuto le proprie colpe. Poiché il poeta si sentiva completamente innocente, non accettò di sottoporsi a una simile umiliazione e scelse di restare in esilio, infatti avrebbe desiderato ardentemente tornare nella sua amata e tormentata città, ma con dignità piena e con riconquistato e meritato rispetto. Trascorse quindi questi anni viaggiando per l’Italia centrale e settentrionale, nell’ultima parte della sua vita visse a Verona e infine a Ravenna, dove morì a causa di febbri malariche, nella stima del signore della città il 14 settembre 1321.
L'esilio era ,nel 1300 e nelle epoche successive, un'economica soluzione per disfarsi degli avversari politici e per mettere fuori pericolo gli organi di governo da eventuali ritorsioni politiche e militari. Per Dante l’esilio rappresentò,come già accennato, un lungo momento di sofferenza e di dolore, di ripensamento,di meditazione,di studio e approfondimento che portarono il poeta ad un lavoro intenso e ad uno stimolo costante per una produzione letteraria e poetica assolutamente unica, originale,di estrema qualità artistica. Lontano da Firenze, Dante osservò la realtà della sua città e della sua epoca in modo più nitido: la corruzione, l’egoismo, l’odio che governavano la vita politica, civile e morale dei suoi contemporanei. La denuncia e il tentativo di indirizzare l’uomo verso la retta via furono per lui l’ispirazione di una nuova poesia che prende forma nella Divina Commedia.

La Divina Commedia, infatti, è un poema allegorico-didattico che inizia proprio dall’ esilio di Dante,rappresentato da un grande momento di crisi e ripensamento della sua vita, esilio che diventa pellegrinaggio, viaggio reale e immaginario,metafora di un percorso di consapevolezza spirituale che porta ogni credente verso la dimensione della Salvezza. Il grande viaggio parte dallo smarrimento e dal buio totale, prima nell’oscurità dell’Inferno dove il poeta , che si riconosce peccatore e bisognoso di redenzione, incontra per volere Divino e guidato dal grande Virgilio, molti altri peccatori,uomini e donne del passato ma anche del suo presente,disposti in una architettura immaginifica ,terribile ma molto efficace, poi in Purgatorio, dove il poeta condivide la sua pena con quella degli altri, e infine in Paradiso dove sale alla visione celeste accompagnato da Beatrice,donna amata e simbolo di massima chiarezza ,verso l’incontro con le sfere celesti ,con i Santi e con la Vergine che apre l’immagine all’ Inimmaginabile luce di Dio. Esilio per Dante vuol dire anche missione di redenzione e di salvezza , cercare il modo per portare la pace tra gli uomini che si arrovellano sulla terra in assenza di una visione elevata del significato della vita, guardare alla propria vita con distacco per comprenderne,con possibile serenità, il vero senso, quello alto voluto da Dio.

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