Il poema eroico secondo Tasso: i discorsi dell'arte poetica.

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Testo

a) Il poema eroico secondo Tasso: i discorsi dell’arte poetica.
Negli anni in cui in cui scrive la Gerusalemme Liberata , Tasso comincia a meditare e ad elaborare attente riflessioni sul poema epico ma in generale proprio sul fare poesia nelle lettre “poetiche” che scrive.
A Padova Tasso prende parte alle lezioni sulla «Poetica» di Aristotele tenute da Siconio e, venendone particolarmente influenzato, elabora i Discorsi dell’arte poetica (1561-1562) e, solo dopo la rivisitazione e la pubblicazione della Liberata, riprende i Discorsi rimaneggiandoli e ampliandoli e li pubblicò nel 1594 come Discorsi del poema eroico. In realtà, a parte la maggior ampiezza, le tesi di fondo restano immutate.
Lo studio della Poetica aristotelica permette a Tasso l’elaborazione di una vera e propria “scienza” dell’arte letteraria, ponendosi l’obbiettivo di conciliare la retorica della tradizione precedente con la poetica aristotelica.
Tasso, dunque, nei Discorsi si preoccupa di delineare l’immagine di un poema «eroico» che da un lato si conformi alla precettistica del tempo (insieme di regole fissate da Bembo) e dall’altro lato si discosti dal modello del poema di Ariosto.
Tasso afferma che, mentre la storiografia tratta del VERO, quindi di ciò che è realmente accaduto, la poesia deve trattare del VERISIMILE, ovvero di ciòche sarebbe potuto avvenire ma senza essere realmente accaduto.
Il poema che si accingerà a scrivere per poter dunque rispondere al principio della verosimiglianza deve collocare il suo argomento né troppo lontano né troppo vicino nel tempo così da lasciare al suo autore un margine di finzione e al contempo deve avere un fondamento storico così da dare importanza a ciò che viene narrato, ma senza trattare una fonte troppo remota che risulterebbe completamente estranea al lettore.
Accanto a questi precetti, le teorie del tempo assegnavano alla poesia compiti morali e pedagogici. Tasso, nonostante applichi al suo poema questi due compiti, riconosce che la poesia non può prescindere dal diletto. Un diletto però finalizzato al giovamento, poiché egli riteneva che la bellezza poetica doveva rendere gradevole al lettore la dura materia morale e religiosa.
Il diletto, inoltre, doveva essere rafforzato dal MERAVIGLIOSO, ma non il meraviglioso fantasmagorico di cui è permeato il poema ariostesco, piuttosto un “meraviglioso ristiano”, fatto di interventi soprannaturali operati da Dio, di angeli, ma anche dalle potenze infernali , che agli occhi del lettore appaiono verisimili poiché facenti parte della verità di fede.
Per quanto riguarda poi la struttura compositiva dell’opera, Tasso respinge nuovamente il modello ariostesco, caratterizzato dalla molteplicità delle azioni che si intrecciano tra loro, che comprometterebbero il principio dell’Unità dell’opera a cui Tasso si ripropone di non rinunciare, anche se consapevole che è proprio la varietà ad essere legata indissolubilmente al diletto.
Per risolvere questa antitesi, Tasso perviene ad una soluzione:il poema deve essere vario dal punto di vista delle realtà in esso presenti ma, deve mantenere in ogni caso una struttura rigorosamente unitaria.
Nei Discorsi Tasso fissa, dunque, i punti su cui si dovrebbe basare la struttura del poema: -a misura del reale, -alto,sublime,eroico,tragico..ma soprattutto deve essere presente -la vittoria del Bene sul Male.
Tuttavia nel momento di composizione dell’opera, Tasso non riuscì a risolvere tale conflitto, lasciando la Gerusalemme Liberata il poema dello scontro perenne e cosmico, dominato da antitesi: cristiani vs. pagani; ragione vs. istinto; dovere vs. piacere, fede vs. amore; regole vs. libertà; religione vs. poesia; uomo vs. donna…ma soprattutto IO vs. IO. Il conflitto è in realtà dentro lo stesso Tasso, è l’antitesi di Tasso(io) contro se stesso.

c) Dalla corte-festa alla corte prigione: l’avventura esistenziale di Tasso nel tempo della Controriforma.
Ariosto e Tasso: due modi completamente diversi di concepire la corte di Ferrara. Il primo come corte-festa, il secondo come corte-prigione.
Innanzitutto Ariosto, che opera tutta la vita nell’ambiente della corte, rappresenta la tipica figura dell’intellettuale cortigiano del Rinascimento, ma al tempo stesso nei confronti di tale ambiente è mosso da sentimenti di malcelato rifiuto e sottile polemica.
Il rapporto col mondo cortigiano è quindi percorso da una segreta ambivalenza, che ha importanti riflessi sui temi toccati dalla sua opera, l’Orlando Furioso.
L’entrata al servizio del cardinale Ippolito porta Ariosto ad essere impegnato in incarichi di varia tipologia, che andavano dalle missioni politiche e diplomatiche a piccole incombenze pratiche.
Per l’indole di Ariosto, restio a vestire i panni del cortigiano asservito, il rapporto con il potere politico diventa ben presto conflittuale: il senso di disagio con cui sono vissute le incombenze commissionategli, aleggia tra le pagine delle Satire nelle quali più volte ritorna una garbata protesta per gli incarichi che lo tengono lontano dagli studi.
Nella figura di Ariosto si riscontrano già le tensioni in cui si dibatte il poeta cortigiano, diviso fra sincera volontà di sostegno alla causa del proprio principe e desiderio di incondizionata libertà di azione e di pensiero.
Per queste ragioni Ariosto conservava un bisogno di autonomia dalla corte, ed era convinto che la sua autentica realizzazione umana dovesse avvenire al di fuori di essa, nella sfera del privato, della vita familiare.
In risposta alla sedentarietà di Ariosto, Tasso è stato invece un poeta ramingo, amletico,saturnino. Dall’armonia ariostesca si passa direttamente alla contraddizione tassiana.
Tasso, dal canto suo, incarna esemplarmente la figura del poeta cortigiano del Cinquecento. La sua vita si svolge interamente nell’ambito della corte, e ad essa è legata materialmente e intellettualmente: da un lato il poeta dipende totalmente dal favore dei principi per la sua esistenza materiale; dall’altro egli ritiene che solo nella corte possa essere consacrata la fama del grande poeta, e che solo in essa si trovi un pubblico capace di intendere ed apprezzare la sua poesia.
Di contro, Tasso diviene testimone di una stagione storica incerta e travagliata caratterizzata essenzialmente dalla crisi della società in cui vigeva la realtà ambigua delle corti, il conflitto tra turchi e cristiani e soprattutto la riforma protestante contro l’unità spirituale europea.
Tasso sia nella sua vita che nelle sue opere riversa due opposte tensioni: la ricerca di un’unità e il permanere di una multifomità interiore, paragonabile ad un mondo caotico e difforme.
Nella realtà rinascimentale Tasso si sente un vero e proprio straniero e vive una vita in perenne esilio, distaccato dal mondo cortigiano ma al contempo molto legato ad esso. Il precoce sradicamento dagli affetti familiari e un lungo peregrinare, portano Tasso nella città di Ferrara alla corte Estense (1565).
Qui Tasso vi giunge colmo di aspettative e desideroso di approdare ad una propria realizzazione letteraria. Ma la realtà è ben diversa da quella da lui immaginata.
La Corte è il sognato luogo dello splendore e della magnificenza mondani e la sede 'alta' d'ogni magnanima virtù e d'ogni terrena grandezza. Ma dietro la cortina d'illusione e dietro le apparenze del fasto, Ferrara mostrava sia i segni dei vizi che infestavano ogni corte, sia, in particolare, i segni d'una cautela mista ad ipocrisia, proprie di una città in sospetto d'eresia calvinista, nel bel mezzo dell'offensiva spagnola e controriformista. Da cui circospezione, dissimulazione, delazioni e ricatti e una vena di sensualità che, non erompendo schietta, s'intorbida dietro la maschera dell'adesione alla religione-etichetta.
Ed è nell’ambiente chiuso e ostile della corte che le tensioni di Tasso cominciano a farsi strada con estrema violenza.
Disperato nella ricerca del riconoscimento sociale e della gloria, in Tasso cresce sempre di più il desiderio di trovare nelle Istituzioni quel consenso e approvazione che non ha mai ottenuto nella vita.
L'ACCADEMIA è la norma, la regola, la certezza di adeguare l'opera (la Gerusalemme Liberata) ad un tono e ad un clima di grandezza e di decoro ufficialmente sanzionati. Per uno spirito irrequieto come quello di Tasso, l'Accademia è la certezza della perfezione e la garanzia del consenso.
Come nell'opera, così nella coscienza, Tasso cerca certezze e va volontariamente di fronte all'autorità dell'Inquisitore, perché il suo tormento, il suo dubbio, siano sciolti, anche qui, da una sentenza, da un 'tribunale', dalla 'legge'. Eppure, questo bisogno di 'regole' e di 'autorità' esterne è il segno della mancanza di equilibrio e certezze interne. Quelle verità 'indiscutibili', imposte da fuori, ma che pure trovano in lui risonanza non superficiale, non coincidono poi con i moti più intimi della sua sensualità o del suo estro poetico o delle sue angosce: da cui la lacerazione tra certezze volute (e non possedute) e destino di intima e invincibile irrequietudine sentimentale e morale. Di qui la follia e la reclusione a Sant’Anna.
L’obiettivo di Tasso è dunque quello di trovare un luogo (ideale) degno della sua poesia e del suo messaggio. Inizialmente questo luogo fu la corte, ma dopo una generale decadenza dell’ambiente cortigiano, non fu più così. Tutto questo a causa della chiusura più rigida della restaurazione cattolica in quegli anni.
Siamo infatti in un periodo molto difficile della storia, quello della fine del Cinquecento, in cui l’Italia è teatro di radicali trasformazioni dovute all’imperversare della Riforma prestante, destinata a dividere l’Europa e a modificarne radicalmente l’assetto politico.
Tale riforma ha inizio con la protesta del monaco Martin Lutero che, con la sua azione, si proponeva di combattere la corruzione del clero e ben presto colpì gli stessi princìpi e dogmi della fede.
Ma le ragioni della Riforma non sono solo religiose. Ad essa si accompagnano motivi di carattere politico e sociale, che esprimono anche l’esigenza di sottrarsi all’egemonia dei poteri assolutistici del tempo con le loro strutture economiche e di governo.
Per trovare una soluzione e appianare i contrasti, la Chiesa convocò il Concilio di Trento che però non ottenne i risultati sperati. Sfumata a poco a poco la possibilità di raggiungere un accordo, la Chiesa ribadì rigorosamente le sue posizioni: essa è la sola depositaria in materia di fede e l’autorità del papa resta indiscutibile. La divisione era oramai insanabile e lo scontro si fece man mano più violento, giungendo ad una dichiarazione di guerra contro gli eretici.
Dopo essersi alleata con l’impero, la Chiesa operò un rafforzamento dei suoi poteri e una riorganizzazione delle sue istituzioni, dando inizio, subito dopo il Concilio tridentino, alla cosiddetta età della Riforma Cattolica, o della Controriforma.
Essa fu l’età in cui la Chiesa romana assunse un atteggiamento difensivo e proteso al dissidio di opinioni e decise di mettere in campo strumenti per il sorvegliamento dei movimenti religiosi e intellettuali come l’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti (profani).
Con la Controriforma la Chiesa divenne una forza intellettuale, politica, economica e sociale, rappresentando sia una forza d’urto che di attrazione nella società; inoltre intraprese una fase repressiva e di battaglia al fine di recuperare la propria identità e autonomia che le permise di non essere più subordinata alla cultura laica, ma anzi che quest’ultima fosse d’aiuto a quella ecclesiastica.
E in un clima di grande tensione e conflitto che il rapporto degli intellettuali col potere politico-religioso diventa un vero problema.
Ariosto, che vive alla corte degli estensi all’inizio del Cinquecento, conserva, come già detto in precedenza, un margine di indipendenza nei confronti del potere, riuscendo a salvaguardare, sia pure con difficoltà, una sua gelosa autonomia.
Un legame analogo verrà invece vissuto da Tasso ma in maniera più drammatica e conflittuale, con ripercussioni profonde sul piano della coscienza e della stessa attività letteraria.
Tasso, infatti, afflitto dall’ambiente circostante, da se stesso e non riuscendo a trovare una pace interiore, “cede” alla follia. Una follia che lo porta a una smania incontenibile all’interno della corte e che riversa contro il Duca che ne ordina la reclusione a Sant’Anna.
È proprio questa reclusione che fa sì che i romantici prendano molto a cuore Tasso.
Tasso è il poeta condannato dalla società che lo rifiuta e la storia ne fa di lui un paradigma insostituibile. Inoltre l’ospedale in cui Tasso trascorse ben sette anni della sua vita, diventa il luogo simbolico per eccellenza: la stanza di un sacrificio senza riscatto.

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