Il nulla e la poesia

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Testo

Periodico d’opinione Marta Bresciani

L’eredità leopardiana: la lotta contro il nulla

Nell’elaborazione delle opere di Leopardi, la filosofia costituisce uno dei presupposti fondamentali. Le opere poetiche si avvalgono, sin dalla loro prima realizzazione, del filtro filosofico attraverso il quale il poeta scruta la realtà e la interpreta alla luce delle sue riflessioni; la sua straordinarietà si osserva sin da queste prime battute, per esempio quando egli afferma, in un passo dello Zibaldone, che “non c’è nulla di più materiale della ragione”, inserendosi nel dibattito filosofico contemporaneo con una posizione innovativa e piuttosto controcorrente rispetto alle comuni credenze.
Nonostante le prime produzioni dell’autore non siano riconducibili ad una elaborazione filosofica matura, fin dal periodo delle Canzoni civili il poeta è consapevole dell’aridità della società in cui si trova a vivere, lentamente destinata al declino con l’uomo stesso, se non fosse soccorso dalle illusioni che rendono meno faticoso il suo sopravvivere sulla Terra. Successiva è, quindi, l’elaborazione dell’importantissima teoria del piacere, secondo la quale il desiderio dell’uomo è infinito, perciò destinato a non essere mai soddisfatto, ma questa è “un’infinità materiale”, ovvero un desiderio di felicità immanente e di piacere, che creando nell’uomo solo frustrazioni, cerca modalità di appagamento illusorie: si ribadisce il ruolo dell’immaginazione e dell’illusione che da sole si ergono per difendere l’uomo dagli attacchi della civiltà corrotta dall’arido vero, ovvero dal nulla. In A Silvia, componimento più maturo, notiamo, così, l’acquisizione del pessimismo da parte del poeta che, disilluso dalla realtà, ha ormai perso ogni speranza riguardo al futuro e filosoficamente tenta di sottrarsi a quello stesso nulla che lo ha creato; si rende conto che la Natura ha creato l’uomo desideroso di un piacere che non potrà mai raggiungere, “questa materia è la dimensione del divenire eterno degli essenti, il nulla degli essenti”, come afferma Severino nel suo saggio Il nulla e la poesia, è una materia creativa da cui nascono gli uomini il cui destino è quello di abbandonarsi al nulla che li circonda, sopraffatti ed impotenti.
Non è così negli Idealisti tedeschi dell’800, per i quali, in disaccordo con Leopardi, non c’è una scissione tra Spirito creatore e l’uomo stesso, ma lo Spirito si manifesta nel reale, nella Natura, come affermava Schelling, o nello stesso individuo come ipotizzato da Fiche: il finito è dunque, per loro, una manifestazione dell’infinito creatore in molteplici forme e non, come per Leopardi, la realtà vuota. Il Nulla da cui nascono gli uomini è dunque costruttivo, parte della Natura e manifestazione della stessa; essa, come ci ricorda Leopardi in una famosa immagine nella Palinodia al marchese Gino Capponi, è crudele e, nonostante sia l’unica entità in grado di frapporsi al nulla che avanza incessantemente, si diverte a distruggere e creare senza sosta e senza motivo,come un bambino che gioca, spinta solo dalla volontà di agire.
Alla luce di queste riflessioni, la poesia leopardiana assume uno speciale significato che pochi intellettuali sapranno dare alle loro opere: essa si configura, infatti, come un estremo tentativo di sottrarsi al nulla, una resistenza eroica contro l’aridità del mondo, da parte di un uomo che rivendica il diritto alla felicità dell’intera umanità. La protesta contro un universo che non è più in grado di soddisfare l’umanità che lo abita, si esprime attraverso l’utilizzo di bellissime immagini vaghe e indefinite, come i suoni uditi in lontananza dal poeta nell’Infinito, e attraverso il ricordo di avvenimenti passati, come troviamo in A Silvia. In componimenti come quest’ultimo emerge un tratto distintivo della poetica leopardiana: la poesia come veicolo attraverso cui, per immagini, viene trasmesso un messaggio più ampio, di significato universale. Tutto ciò accade anche, per esempio in Lucrezio che, nel De rerum natura descrive la poesia, attraverso una famosissima analogia, come “il dolce miele delle Muse” , con il quale aspergere la “dottrina troppo ostica”, in modo che tutti possano essere raggiunti dal suo messaggio. Il bambino malato descritto da Lucrezio nell’atto di bere l’amara medicina, sarebbe l’uomo a cui risulta meno gravoso imparare, se lo fa inconsciamente, attraverso la lettura poetica, come avviene anche nelle opere di Leopardi.
La poesia, nonostante preveda una grande riflessione filosofica, in un periodo della vita del poeta viene meno per lasciare posto alla pura elaborazione prosaica delle Operette Morali, degne sostitute negli anni in cui la delusione colpisce l’autore. Egli diviene, quindi, capace del più radicale materialismo, come testimoniato dalla teoria del piacere, e comprende quanto la ragione, la tecnica, abbia inibito nell’uomo la possibilità di dare vita ai fantasmi della fantasia, anche attraverso la poesia, che lo confortava precedentemente. Queste sono le conclusioni che trae nel periodo della cosiddetta “conversione filosofica” e che possiamo evidenziare in testi come il Cantico del gallo silvestre, dove il poeta, da un punto di vista estraneo all’universo, ovvero il gallo, associa alla notte la creazione illusoria, nella più caratteristica tradizione romantica, e al giorno che finisce il destino comune di tutti gli uomini, ovvero la morte inesorabile.
Il ritorno alla poesia che Leopardi realizzerà negli anni successivi, non è però da evidenziare come una ritrattazione delle sue convinzioni, ma anzi sempre più coinvolto nel suo pessimismo, il poeta sviluppa un progetto di solidarietà per tutti gli uomini uniti dal destino e dalla natura comune; questo progressismo, come è stato definito da Timpanaro nel saggio Pessimismo e progressismo nel pensiero leopardiano costituisce l’estrema rivendicazione della felicità da parte di un uomo che non ha perso del tutto la speranza, e diffonde il suo messaggio attraverso la poesia. Quest’ultimo Leopardi può essere identificato nella stessa Ginestra, opera del periodo evidenziato, ovvero un fiore che si erge solitario nei deserti, così come il poeta affronta da solo l’avanzare incessante del nulla nel cosmo.
Indubbiamente gli influssi del pensiero leopardiano sulla cultura moderna sono numerosi, soprattutto per quanto riguarda le ideologie positiviste: in antitesi con il pensiero illuminista settecentesco, e in contrasto con il nostro secolo, dove il progresso scientifico è rapidissimo e la civiltà si appropria rapidamente di ogni scoperta e ne richiede continuamente di nuove, Leopardi afferma, quindi, che è necessario non sapere, perché la verità è l’unico male di questo mondo, da cui non esiste alcuna via di scampo.

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