Biografia d dante

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Testo

La famiglia e gli anni della formazione
Dante (il nome è abbreviativo di Durante) nacque a Firenze tra il maggio e il giugno 1265, da famiglia di piccola nobiltà guelfa. La madre di Dante, Bella, scomparve prima del 1275; il padre si risposò ed ebbe altri due figli. Anche Alighiero tuttavia morì presto, quando Date aveva poco più di diciotto anni. Nel 1277 era stato stipulato un contratto di matrimonio tra Dante e Gemma di Matteo Donati. Le nozze si celebreranno effettivamente nel 1285 dove nasceranno due figli maschi, Jacopo e Pietro e una figlia, Atonia; questa successivamente entrò in convento, con il nome di suor Beatrice.
Abbiamo scarse notizie sulla formazione culturale del giovane Dante. Avrà frequentato una delle scuole private della città e più tardi studiato le discipline del trivio e del quadrivio, si accostò alle letterature classiche e romanze, entrò in contatto con i protagonisti della ricca vita intellettuale fiorentina: frequentò i rimatori e i nuovi stilnovisti, soprattutto Guido Cavalcanti, il suo primo amico. Gli venne rivelata grazie a Brunetto Lantini la cultura filosofica e morale che permise a Dante di capire e conoscere la coscienza del valore civile della cultura.
Beatrice e il “traviamento”
L’episodio più rilevante della giovinezza di Dante fu l’incontro con Beatrice, andata in sposa a Simone de’ Bardi e morta giovanissima nel 1290; stando alla vita nuova, il primo incontro sarebbe avvenuto nel 1274. di certo Beatrice non era soltanto un semplice fantasma poetico, ma una donna realmente vissuta; ma nell’amore totalmente idealizzato per lei, Dante esprimeva l’aspirazione -lirica e morale insieme -a una sfera suprema di bellezza, giustizia e verità. La precoce morte di Beatrice gettò Dante nello sconforto; dopo la composizione della Vita nuova, risalente al 1294, egli conobbe un periodo di “traviamento” morale, che diventerà lo stimolo iniziale della Commedia e di un’affannosa ricerca di salvezza. Il traviamento fu morale, per le nuove esperienze amorose (per la Violetta, per la Pargoletta per la Pietra, per una donna gentile); fu poetico, per l’abbandono del poetare dolce della Vita nuova e la sperimentazione di temi comici e di modi allegorici e morali, con il che Dante maturava il distacco dell’amico Cavalcanti; e fu traviamento intellettuale, per i nuovi interessi speculativi che lo portarono a frequentare, tra il 1291 e il 1295, le scuole de li religiosi e le disputazioni de li filosofanti. Dante approfondì i temi della filosofia scolastica e le proposte di rinnovamento spirituale della Chiesa; e pose le basi per superare le tentazioni averroistiche ed epicuree cos’ diffuse al tempo e fatte proprie da Cavalcanti.
La partecipazione alla vita politica di Firenze
Dante non potè partecipare alla vita politica fiorentina fino al 1295; essendo nobile gli Ordinamenti di giustizia lo escludevano dalle cariche pubbliche; ma i “temperamenti” della legge gli permisero d’iscriversi all’arte dei medici e speziali e quindi di aggirare la proibizione.
Dante s’inserì rapidamente nella difficile vita politica comunale, dilaniata dalle lotte tra Bianchi e Neri, le fazioni interne al partito guelfo. Con moderazione Dante si schierò con i Bianchi che inglobavano molti popolani ex ghibellini.
Dante fu eletto nel Consiglio speciale del popolo, fu membro del Consiglio dei Cento e divenne uno dei sei priori nel bimestre tra il 15giugno e il 15agosto 1300. Era il culmine e insieme l’inizio della fine della sua carriera politica. Durante il bimestre la tensione fra Bianchi (il popolo) e Neri (i grandi) sfociò nella sanguinosa zuffa di Calendimaggio; con l’imparzialità, Dante sottoscrisse la decisione di esiliare otto capi dell’una e dell’altra fazione, per riportare la pace in città.
L’ambasceria a Roma e la condanna
Dante si oppose esplicitamente alla richiesta papale d’inviare truppe fiorentine per un’azione contro gli Aldobrandeschi in Maremma. Contro l’immediato pericolo che sovrastava le libertà fiorentine, ingenuamente si decise d0inviare al papa un’ambasceria di cui faceva parte lo stesso Dante, già così compromesso agli occhi del pontefice. Bonifacio chiese agli ambasciatori obbedienza assoluta, ne rinviò due a Firenze e trattenne proprio Dante a Roma. L’accordo tra il papa e il principe angioino intanto era perfezionato: il 1° novembre 1301 Carlo di Valois entrava a Firenze con il compito di mediatore e pacificatore, in realtà per favorire la causa dei Neri, in cambio di una sottomissione di Firenze alla politica della curia romana.
Carlo destituì il governo bianco e richiamò i Neri in esilio. Dante non era presente; né in città il 27 gennaio 1302, allorché venne condannato, con altri fiorentini, al confino per due anni e a una multa, sotto accusa di baratteria (corruzione), di turbativa dell’ordine pubblico e di ostilità verso il papa. L’imputato non si presentò al pagamento dell’ammenda entro i tre giorni previsti dalla legge: i suoi beni vennero perciò sequestrati e poche settimane più tardi fu condannato a morte in contumacia insieme ad altri.
I primi anni dell’esilio
Iniziava così per Dante la lunga e amara avventura dell’esilio. Partecipò alla lega tra i Bianchi e i ghibellini capeggiata da Scarpetta Ordelaffi, signore di Forlì; ma la doppia campagna mugellana non sortì risultato. Dante si trasferì dal maggio 1303 al marzo 1304 a Verona, ospite di Bartolomeo della Scala. Qui scrisse il de vulgari eloquentia, poi però tornò in Toscana alla notizia che, scomparso Bonifacio VIII, il più mite Benedetto XI aveva nominato come paciaro il cardinale Niccolò da Prato, con il compito di mettere pace a Firenze e di permettere il rientro dei Bianchi esuli.
La sua condanna era stata estesa ai figli. Dante nono poteva sperare che in un provvedimento di grazia; forse i due trattati del de vulgari eloquentia e del Convivio furono ideati anche con lo scopo di riguardarsi la stima del concittadini dimostrando loro la propria dottrina. L’amnistia però non giunse mai e a Dante non restò che cercare ospitalità presso le varie corti ghibelline dell’Italia settentrionale e centrale. Lo troviamo a Treviso, presso Gherardo da Camino elabora l’ambizioso progetto enciclopedico del Convivio, prima di lasciarlo a mezzo per buttarsi nell’epica impresa della Commedia. È documentata una permanenza a Padova e a Lucca, dove sostò tra la fine del 1307 e gli inizi del 1309, Dante scrisse il grosso dell’Inferno e forse cominciò la stesura del Purgatorio.
Speranze deluse in Arrigo VII
Si è favoleggiato di un periodo trascorso a Parigi e di un rapido ritorno in Italia nell’autunno-inverno del 1310, quando il nuovo imperatore Arrigo (Enrico) VII di Lussemburgo, eletto nel 1308, decise di rompere gli indugi e di scendere in Italia, alla testa di un modesto esercito, per cingere in Roma la corona imperiale. Il papa Clemente V inizialmente lo sostenne e anche numerosi principi e signori italiani, sia guelfi e ghibellini, lo salutarono favorevolmente.
Dante riponeva in Arrigo VII non solo l’umanissima speranza di un rovesciamento della propria personale posizione ma vedeva in lui anche il nobile strumento di una più vasta strategia: Arrigo avrebbe potuto pacificare la penisola e restituire chiarezza alla distinzione dei due poteri.
Dante si fece incontro all’imperatore e gli offrì i propri servigi. Dante sostiene pubblicamente il tentativo di Arrigo VII con una serie di epistole latine in cui via via profetizza l’avvento del nuovo Mosè, annuncia la vendetta del cielo su Firenze che lo respinge.
Il suo nome è ancora tra gli esclusi dall’amnistia concessa da Firenze a molti fuorusciti guelfi allo scopo di rafforzare le difese; e il successivo riavvicinamento di Guido di Battifolle a Firenze lo obbligò a lasciare Poppi e a cercare con i figli Jacopo e Pietro altre dimore. Probabilmente già nel 1312 trova stabile refugio e ostello a Verona, alla corte dell’ospitale Cangrande della Scala. Qui segue il tardivo assedio posto da Arrigo a Firenze e apprende la ferale notizia della morte improvvisa dell’imperatore a Buonconvento presso Siena, morte che affossava le già tenui speranze di rivincita.
Gli ultimi anni tra Verona e Ravenna
A Verona Dante conclude il Purgatorio, sottopone a revisione l’Inferno e lo divulga sul finire del 1314; la seconda cantica viene pubblicata nell’autunno del 1315. sono anni d’intenso lavoro poetico, intervallato dalla stesura del trattato politico De monarchia e dalle tre ultime epistole: una ai cardinali italiani, affinché a Clemente V subentri un papa italiano; la seconda lettera, del 1315, è indirizzata a un non nominato amico fiorentino, per rifiutare le condizioni imposte dall’amnistia di quel anno, che subordinava il rientro degli esuli al pagamento di una multa e al pubblico riconoscimento delle proprie colpe: un’offerta che giudicava disonorevole. Fu così ribadita la sua condanna a morte: qualora lui o i suoi figli fossero caduti in mano della signoria fiorentina, sarebbero stati decapitati. Non conosciamo il motivo dello spostamento, con i figli, da Verona a Ravenna, avvenuto a metà circa del 1318; forse Dante desiderava semplicemente un ambiente più tranquillo per portare a termine il poema. Certo a Ravenna fu calorosamente accolto dal signore locale, Guido Novello da Polenta, cultore di poesia, e fu per la prima volta attorniato da ammiratori e da allievi, tra cui il figlio Jacopo, autore del primo commento dell’Inferno. Di ritorno da Venezia, a seguito di una difficile missione diplomatica compiuta per conto di Guido Novello, fu colpito da febbri malariche e morì il 14 settembre 1321 a Ravenna, a 56 anni di età.

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