platone

Materie:Altro
Categoria:Filosofia

Voto:

2 (2)
Download:430
Data:12.12.2005
Numero di pagine:89
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
platone_47.zip (Dimensione: 213.42 Kb)
trucheck.it_platone.doc     438 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

LA VITA
Platone nacque ad Atene , l'attuale capitale greca , da nobile famiglia tra il 428 e il 427 a.c. , poco dopo lo scoppio della guerra tra Atene e Sparta . Il padre Aristone discendeva da Codro , mitico re di Atene , e la madre Perictione da una famiglia anticamente imparentata con Solone . Dal loro matrimonio nacquero , oltre a Platone , Adimanto e Glaucone ( che compaiono come interlocutori di Socrate nella " Repubblica " , il libro più ampio di Platone ) e Potone , futura madre di Speusippo , il quale succederà a Platone nella direzione della scuola da lui fondata , l' Accademia . Platone ricevette l'educazione tradizionale , incentrata sulla ginnastica e sulla musica , e forse compose in età giovanile poesie e tragedie , che avrebbe in seguito bruciato . Verso i vent'anni incontrò Socrate , seguendone l'insegnamento sino alla morte di questi nel 399 . Nel 404 , con la vittoria di Sparta , fu instaurato ad Atene un governo oligarchico filospartano , capeggiato da quelli che in seguito sarebbero stati chiamati i Trenta Tiranni . Di questo governo era membro influente Crizia , zio materno di Platone , che lo invitò a prendere parte attiva al governo . Ma ben presto Platone rimase deluso dal loro dominio dispotico e violento , che fu abbattuto nel 403 . Delusione e sfiducia , tuttavia , gli procurò anche la democrazia restaurata , che nel 399 mandò a morte Socrate . Forse per timore di ripercussioni , con altri amici e discepoli di Socrate , si rifugiò a Megara presso Euclide , anch'egli allievo di Socrate . Secondo la tradizione egli avrebbe compiuto in seguito vari viaggi , recandosi a Cirene , dove avrebbe conosciuto il matematico Teodoro , a Creta e in Egitto , cominciando a comporre i suoi primi dialoghi . Nel 388 si recò a Siracusa , governata dal tiranno Dionisio il Vecchio , fermandosi durante il viaggio anche in Italia meridionale , in particolare a Taranto dove conobbe il pitagorico Archita . Imbarcatosi in seguito su una trireme spartana per tornare ad Atene , sarebbe stato condotto , su istigazione di Dionisio , con il quale era entrato in contrasto , a Egina , allora in guerra con Atene . Qui venduto come schiavo sarebbe stato riscattato da Anniceri di Cirene . Tornato ad Atene nel 387 , Platone acquistò il giardino dedicato all'eroe Academo e vi fondò l' Accademia , una scuola di filosofia caratterizzata da una vita in comune tra maestro e discepoli . Sul piano giuridico essa era un'associazione religiosa , dedita al culto di Apollo e delle Muse . Poco tempo prima , forse nel 392 , Isocrate aveva fondato in Atene una scuola per l'insegnamento della retorica , intesa come la migliore preparazione alla vita politica . Tra le due scuole la rivalità sarebbe stata continua . Presso l' Accademia soggiornarono anche studiosi illustri , come il matematico e astronomo Eucnosso di Cnido ed il medico Filistione di Locri . Per circa 20 anni Platone non si mosse da Atene , ma nel 367 , morto Dionisio il Vecchio e successogli Dionisio il Giovane , fu invitato dallo zio di quest'ultimo , Dione , a tornare a Siracusa , ove avrebbe potuto insegnare la filosofia al giovane tiranno . Ma appena giunto , Platone trovò grave tensione nei rapporti tra Dionisio e Dione , il quale fu ben presto esiliato . Nel 365 , scoppiata una guerra in Sicilia , Platone ne approfittò per tornare ad Atene . Nonostante questa delusione , nel 361 , persuaso dalle promesse di Dionisio di richiamare Dione dall'esilio , si recò nuovamente in Sicilia . Ma qui si rese ben presto conto dell'illusorietà delle promesse di Dionisio e dell'impossibilità di fare del tiranno un filosofo . Gli fu impedito di allontanarsi da Siracusa , sinchè egli riuscì ad avvertire Archita , il quale col pretesto di un'ambasceria inviò una nave per imbarcarlo . Nel 360 Platone potè così rientrare ad Atene . Nel 353 Dione , dopo essersi impadronito di Siracusa e aver cacciato Dionisio , fu assassinato da un gruppo di congiurati , a capo dei quali era l'ateniese Callippo . Nel 348 / 347 a.c. Platone morì ad Atene , mentre Filippo di Macedonia era già entrato in conflitto con la città . Una curiosità finale : si è a lungo discusso sul suo soprannome (platone , infatti, non è il suo vero nome): si è concordi sul fatto che derivi dall'aggettivo greco "platùs" (ampio).Vi è chi sostiene che l'aggettivo vada attribuito alla larghezza e alla fluità del suo stile , chi è invece del parere che sia dovuto alla sua fronte particolarmente ampia e chi sostiene che fosse un soprannome datogli dal suo insegnante di ginnastica a causa dell'ampiezza delle sue spalle.
IL CONFLITTO ORALITA'-SCRITTURA
Pur essendo un autore di circa 2400 anni fa ,egli affronta problemi che possiamo accomunare a quelli dei giorni nostri:la sua è un' epoca di passaggio tra oralità e scrittura e lui è il primo ad affrontare questo problema.Di Platone possediamo praticamente tutte le opere(probabilmente molte gli sono attribuite pur non essendo effettivamente sue),ma paradossalmente egli stesso ci dice che la vera filosofia è solo orale.All'inizio del 1800 un teologo luterano di nome Schleirmacher effettuò un gran lavoro sulle opere di Platone ignorando però totalmente quanto abbiamo appena detto:egli esaminò infatti la filosofia platonica con il mezzo del "sola scriptura"(solo mediante la scrittura:era un celebre motto di Lutero):non si curò assolutamente del fatto che per Platone la filosofia fosse solo orale,rifiutando tra l'altro di servirsi di scritti non realmente platonici.Il teologo luterano ebbe però il merito di introdurre un altro metodo per esaminare la filosofia platonica:si trattava del sistema ermeneutico (la parola deriva da Hermes,messaggero ed interpretatore divino;in Italiano la parola ha assunto il significato di "tecnica dell'interpretazione"):era (ed è) infatti difficile definire la filosofia platonica,in quanto non ci troviamo di fronte ad un sistema,ma ad un insieme:il "corpus" platonico,come quello dell'Antico e del Nuovo Testamento,è costituito da una molteplicità di libri;la tecnica dell'ermeneutica consiste nel riuscire a contestualizzare un testo,al fine di comprenderlo,servendosi delle nozioni generali,in questo caso,della filosofia platonica:è come quando leggiamo un articolo di giornale;in realtà non partiamo proprio da zero e tramite la lettura dell'articolo ampliamo le nostre conoscenze.Platone fu discepolo del celebre Socrate e visse in prima persona l'ingiusta condanna del maestro (della quale si fa portavoce nell' Apologia ):nasce proprio da questa esperienza la filosofia platonica.Egli rimane profondamente deluso dalla politica:prima vi era stato il governo filo-spartano dei Trenta Tiranni,di cui era membro niente meno che il suo stesso zio Crizia:Platone rimase deluso dal loro dominio dispotico e violento.Delusione e sfiducia gli procurò anche la democrazia restaurata,che nel 399 mandò a morte Socrate (in parte si trattava proprio di una condanna politica: Socrate era infatti un aristocratico e pur avendolo accusato di empietà e di corrompere i giovani,il vero motivo della condanna era di origine politica : i suoi "seguaci" ,mentre attendeva in carcere il giorno dell'esecuzione,prepararono un piano per farlo evadere,ma lui si rifiutò di compiere tale azione perchè era del parere che fosse un grande errore violare la legge : egli aveva infatti gran rispetto per la legge , che a suo avviso poteva essere criticata ma non infranta;quindi di fronte ad una legge legge ingiusta non bisogna reagire infrangendola,bensì battersi per farla modificare in meglio : e Socrate si accusa proprio di non essere riuscito a fare questo).Se non avesse vissuto tale esperienza probabilmente si sarebbe dedicato ad attività di tutt'altro genere;egli infatti era aristocratico sia per origini sia per orientamento politico ed è proprio alla vita politica che egli si sarebbe dato se non avesse vissuto la condanna politica del suo maestro.La politica,tuttavia,è una componente che sarà sempre in qualche modo presente nelle sue opere.Perchè Platone amasse tanto l'oralità e il dialogo è facile intuirlo:il dialogo presenta parecchi vantaggi tra i quali la possibilità di interloquire e di modulare il discorso in base a chi ci si rivolge:un libro,invece,non consente un dibattito e può finire nelle mani di persone che potrebbero fraintenderlo;Platone stesso dice che c'è un aspetto che accomuna scrittura e pittura:le immagini dipinte si presentano quasi come se fossero vive,ma se si chiede loro qualcosa,chiaramente,tacciono;lo stesso vale anche per i discorsi scritti:si può quasi avere l'impressione che parlino,ma se si chiede loro di spiegare qualcuno dei concetti che hanno espresso,essi non rispondono.Tuttavia,come abbiamo detto,egli stesso ha scritto molto(sotto il suo nome ci sono giunti 35 dialoghi e 13 lettere,la cui stesura viene generalmente suddivisa in 3 periodi della sua lunga vita:la giovinezza,la maturità e la vecchiaia).Che funzione aveva dunque la srittura per Platone?Egli,pur prediligendo apertamente l'oralità,sente il bisogno di scrivere(probabilmente anche dettato dal periodo di transizione in cui viveva)e la scrittura svolge per Platone principalmente due ruoli:uno propagandistico,vale a dire cercare di invogliare alla filosofia,l'altro rammemorativo,cioè far ricordare la filosofia a chi già l'ha vissuta(ad esempio le persone anziane).Si può quindi dire che anche la scrittura avesse una sua utilità,pur non essendo un "filosofare"pieno:in una sua opera Platone la definisce "un gioco serio",vale a dire un passatempo piu' intelligente di molti altri.Egli argomenta in favore dell'oralità in un mito di ambientazione egizia,simbolo per i Greci di una grande civiltà:il protagonista è Teuth,divinità della scrittura e della saggezza.Egli è un inventore dalle grandi abilità e presenta le sue scoperte al faraone che le promuove sempre con entusiasmo;quando però Teuth propone l'invenzione della scrittura,spiegando che serve a ricordare,il faraone non approva,sostenendo che,al contrario,sortirebbe l'effetto opposto:mettendo le cose per iscritto,infatti,non è più necessario ricordarle.Proprio nel ricordare consisteva la sapienza:le posizioni del faraone possono un pò identificarsi con quelle di Platone.E' un'evidente difesa dell'oralità mediante un mito platonico,inventato di sana pianta,cosa che per altro Platone faceva spessissimo.Può sembrare strano che un filosofo,che per definizione è chi cerca di dare spiegazioni razionali e scientifiche,si serva del mito,che non è nient'altro che una spiegazione fondata sulla tradizione e sulla religione la verità è che per Platone il mito è una cosa al di fuori del comune,che ha ben poco a che fare con la tradizione.Egli sapeva bene che l'argomentazione razionale era migliore,ma sapeva altrettanto bene che un mito,una favola o una metafora possono sortire ottimi effetti:stimolano la fantasia,divertono e restano meglio impressi.Platone se ne serve dunque come arma impropria dell'intelletto.Inoltre è convinto che si possa dimostrare l'immortalità dell'anima,ma non razionalmente:si serve cosi' di miti esplicativi,detti escatologici:non a caso si parla di "fede razionale"di Platone.Egli sfrutta inoltre i miti per descrivere particolari livelli della realtà:aveva in mente come una scala che vedeva il suo fulcro intorno all'essere,che corrispondeva al pieno livello di conoscenza(è pienamente conoscibile solo una cosa che è,che esiste pienamente):più ci si allontana dall'essere(sia più in alto,sia più in basso) e più la conoscenza diventa inferiore.Una cosa non pienamente conoscibile non è pienamente razionale ed il modo migliore per parlarne è il mito. .
IL MITO DELLA BIGA ALATA
Un mito molto interessante è quello raccontato nel "Fedro",una dei dialoghi più conosciuti:Platone tratta qui un argomento non pienamente raggiungibile con la ragione,anche se il nucleo è alquanto razionale:racconta dell'esistenza dell'anima e dell'incarnazione.Per Platone l'anima è una biga trainata da cavalli alati:essa è composta da tre elementi:un auriga e due cavalli.Nell'esistenza prenatale le anime degli uomini stavano con quelle degli dei nel cielo,con la possibilità di raggiungere un livello superiore,l'iperuranio,una realtà al di là del mondo fisico che si riconnette alla celeberrima teoria delle idee,che esamineremo in seguito,secondo la quale vi erano due livelli di realtà:il nostro mondo e le idee.L'auriga impersonificava l'elemento razionale,mentre i cavalli quelli irrazionali:ciò significa che la nostra anima è per Platone costituita da elementi razionali ed irrazionali.Dei due cavalli,uno,di colore bianco,è un destriero da corsa ubbidiente e con spirito competitivo,l'altro,nero,è tozzo,recalcitrante ed incapace:compito dell'auriga è riuscire a dominarli grazie alla sua abilità e alla collaborazione del bianco.Il nero si ribella all'auriga (la ragione)e rappresenta le passioni più infime e basse,legate al corpo.Il bianco rappresenta le passioni spirituali,più elevate e sublimi.Significa che non tutti gli aspetti irrazionali sono negativi e che è comunque impossibile eliminarli:si possono solo controllare con la "metriopazia",la regolazione delle passioni.E' una metafora efficace perchè è vero che guida l'auriga,ma senza i cavalli la biga non si muove:significa che le passioni sono fondamentali per la vita.Sta anche a significare che soltanto alla parte razionale,in quanto dotata di sapere,spetta il governo dell'anima.Anche le anime degli dei hanno i cavalli,ma solo bianchi.Lo scopo è arrivare all'altopiano dell'iperuranio:gli dei non incontrano particolari difficoltà,mentre le bighe delle anime umane hanno seri problemi perchè si creano ingorghi ed i cavalli neri tendono a volare nella direzione opposta,verso il basso.Accade spesso che le ali dei cavalli si spezzino e la biga precipiti sulla terra:questa è l'incarnazione.Una volta arrivato sulla terra,l'uomo non si ricorda più dell'altra dimensione,e vive con nostalgia:la vita dell'uomo non è nient'altro che un tentativo di tornare a quella situazione primordiale e le vie da percorrere per raggiungerla sono due,vale a dire la filosofia,che ci consente di vedere le ombre di quel mondo splendido,di cui quello terreno è solo un'imitazione,e la bellezza,una via più semplice,che fa nascere l'amore;se ha la meglio il cavallo bianco guidato dall'auriga l'amore assumerà connotazioni sublimi,se vincerà quello nero sarà un amore puramente fisico.La bellezza è una delle tante idee e filtra facilmente nel mondo sensibile perchè è coglibile per tutti grazie ad un senso,la vista.Secondo Platone per gli occhi degli innamorati intercorre un fluido che scorre fino al punto dove le ali dei cavalli s'erano spezzate cosi' che si ricreano e si può tornare alla dimensione primordiale:il liquido che viene a contatto con l'ala spezzata le dà nuovo vigore facendola rispuntare;proprio quando essa sta ricrescendo,esattamente come i primi denti che spuntano,fa soffrire.Quando si è vicini alla persona amata,contemplandola scorre nuovo flusso che fa passare il dolore dell'anima alimentandola.Quando si è lontani dalla persona amata,invece,non arrivando più il flusso,le ali si inaridiscono e si seccano,accentuando il dolore e la sofferenza.Quindi l'innamorato farà di tutto per vedere il più spesso possibile la persona amata e solo in sua presenza starà bene.Il concetto di amore platonico che abbiamo oggi deriva dal medioevo e non è completamente corretto in quanto i Medioevali credevano che per un innalzamento spirituale non ci dovesse essere amore fisico;per Platone c'è una scala gerarchica dell'amore:nei gradini più bassi si trova l'amore fisico,ma per arrivare in cima ad una scala bisogna percorrere tutti i gradini.Per Platone l'anima ed il corpo hanno caratteristiche opposte:l'una è spirituale e legata all'Iperuranio,alla dimensione delle idee,mentre l'altro è puramente materiale,affine al mondo sensibile e terreno,e soprattutto è mortale.Mentre il corpo spinge l'uomo a cercare piaceri sensibili e di livello basso,l'anima lo induce a cercare piaceri sublimi e spirituali.Va senz'altro notato come Platone riprenda la teoria dei Pitagorici(e degli Orfici)secondo la quale il corpo è la prigione dell'anima(si giocava sulla parola greca "soma"che indica il corpo e "sema",che indica invece la prigione).Il contrasto anima-corpo lo si affronta anche da un punto di vista gnosologico:il corpo talvolta ci aiuta a conoscere,talvolta ci ostacola:se si disegna un triangolo rettangolo e ci si ragiona,da un lato può essere un aiuto per passare all'astrazione e passare all'idea di triangolo,che è ben diversa dal triangolo disegnato che è solo un'imitazione mal riuscita,dall'altro può essere un ostacolo se ci si limita a ragionare su quel singolo triangolo senza passare al livello di astrazione.La principale differenza tra l'amore di oggi e quello dei tempi di Platone è che al giorno d'oggi abbiamo in mente un amore "bilanciato",biunivoco,dove i due amanti si amano reciprocamente;ai tempi di Platone era univoco,uno amava e l'altro si faceva amare:nel mondo greco o l'uomo amava la donna o l'uomo amava l'uomo:l'omosessualità era diffusissima.Talvolta ci poteva essere un amore biunivoco,che Platone spiegava ricorrendo sempre alla teoria del flusso che intercorre tra gli occhi:secondo lui poteva venirsi a creare una situazione di "specchio":in realtà l'amato vede negli occhi di chi lo ama se stesso perchè vede riflessa la propria bellezza;è una concezione mitica che rievoca i celeberrimi versi di Dante:"amor,ch'a nullo amato amar perdona...":è come se chi è amato si innamorasse del sentimento stesso.
L' AMORE
La principale differenza tra l'amore di oggi e quello dei tempi di Platone è che al giorno d'oggi abbiamo in mente un amore "bilanciato",biunivoco,dove i due amanti si amano reciprocamente;ai tempi di Platone era univoco,uno amava e l'altro si faceva amare:nel mondo greco o l'uomo amava la donna o l'uomo amava l'uomo:l'omosessualità era diffusissima.Talvolta ci poteva essere un amore biunivoco,che Platone spiegava ricorrendo sempre alla teoria del flusso che intercorre tra gli occhi:secondo lui poteva venirsi a creare una situazione di "specchio":in realtà l'amato vede negli occhi di chi lo ama se stesso perchè vede riflessa la propria bellezza;è una concezione mitica che rievoca i celeberrimi versi di Dante:"amor,ch'a nullo amato amar perdona...":è come se chi è amato si innamorasse del sentimento stesso.Platone ci parla dell'amore(in Greco "eros",che designa l'amore passionale ed irrazionale,diverso da "agapè",l'amore puro)nel "FEDRO":in realtà gli argomenti trattati sono due: 1)l'eros 2)la retorica .Quella di Platone,oltre ad essere un'epoca di passaggio tra oralità e scrittura,è anche un'epoca in cui emerge un importante quesito:come si fanno ad educare i cittadini?Vi era chi rispondeva che l'unica via era la filosofia(tra questi Platone stesso),e chi,come Isocrate,sosteneva che per tale funzione ci fosse la retorica.Platone,dunque,vuole argomentare in difesa della filosofia:le vicende si svolgono nella campagna circostante Atene,in una calda giornata estiva.Protagonista è Socrate ,che si potrebbe dire sempre presente nei dialoghi di Platone sebbene man mano che l'autore matura tenda a sfumare;Socrate in campagna si imbatte in Fedro,un suo discepolo che ama i bei discorsi a tal punto da trascriverli tutti.I due si siedono al riparo dal sole sotto un platano e Fedro mostra a Socrate un'orazione di Lisia,uno dei più grandi oratori greci,che si è appena trascritto:è un'orazione riguardante l'amore a carattere "sofistico",si cercano cioè di dimostrare cose paradossali ed assurde:Lisia (va senz'altro notato come Platone ben riproduca lo stile lisiano)cerca di dimostrare come sia meglio concedersi a chi non ama:Lisia parte dal presupposto che l'amore sia una "follia" e che concedersi a chi ama è una stoltezza:si avrebbe un amore troppo "appiccicaticcio" che se mai si rompesse farebbe soffrire terribilmente l'innamorato-amante;poi dopo che è passato l'ardore iniziale si torna in sè e ci si rimprovera di esseresi comportati così da "rimbambiti" e si finisce per soffrire di continuo.Con una persona non amata è chiaro che ci si comporterebbe in tutt'altro modo:più che altro si penserebbe ad essere felici noi rispetto all'amato non amato . Socrate a sua volta imposta due discorsi:nel primo conferma la tesi lisiana,mentre nel secondo sostiene che il suo "demone"(una specie di coscienza personale-angelo custode che si fa sentire solo quando Socrate sta commettendo un errore) lo sta ammonendo,facendogli capire che sta clamorosamente sbagliando.Anche per Socrate l'amore è una follia,però,a differenza di Lisia,per lui è positiva:vi sono infatti follie dannose e negative,ma anche positive e benigne.Poi Socrate formula un nuovo discorso per farsi perdonare per quel che ha detto dal dio dell'amore ("Eros").E' difficile comprendere quale sia il tema centrale(l'amore?La retorica?);fatto sta che sono due argomenti strettamente connessi tra loro in quanto l'amore(l'eros)è una metafora per indicare la filosofia:questa stretta parentela Platone la esamina meglio nel "SIMPOSIO"(dal Greco sun+pino=bere insieme),il suo capolavoro : Socrate si sta dirigendo verso la casa del tragediografo Agatone quando incontra un amico;allora invita anche l'amico e quando sono ormai arrivati , Socrate comincia a riflettere intensamente.Durante i simposi (all'epoca non c'era la TV e le serate si trascorrevano cosi')veniva nominato un simposiarca il cui compito era quello di dare un ordine alla discussione facendo passare la parola da un invitato all'altro e selezionare l'argomento da trattare.Si sceglie di parlare dell'amore:c'è chi dice che Eros è la divinità più giovane e più bella,chi dice che è la più vecchia in quanto forza generatrice di tutto,chi sostiene che sia una forza cosmica che domina la natura,chi suggerisce che sia un tentativo da parte di tutti gli enti finiti di eternarsi procreando,c'è chi è del parere che sia la divinità più valorosa in quanto riesce a dominare perfino la guerra,facendo riferimento all'episodio mitico secondo il quale Ares,il dio della guerra,sarebbe innamorato di Afrodite.Aristofane,celeberrimo commediografo,narra una storia semiseria:si tratta di un mito secondo il quale gli uomini un tempo erano tondi, sferici e doppi:questi esseri si sentivano forti e perfetti e peccarono di tracotanza;gli dei per punirli li tagliarono a metà e per ricucirli fecero loro un nodo(l'ombelico)sulla schiena;poi lo posizionarono sulla pancia perchè si ricordassero di quanto era successo ogni volta che guardavano in basso:questi esseri sentivano il bisogno di ritrovare l'altra metà e la cercavano disperatamente.Quando la trovavano si attaccavano e non si staccavano più neanche per mangiare e cosi' morivano di fame;cosi' gli dei crearono l'atto sessuale che consentiva di trovare un appagamento da questa unione.Questo mito originale ci spiega due cose: a ) in ogni epoca i rapporti sessuali sono sempre stati etero e omo. b )il tentativo di ritornare ad una situazione primordiale.Notare che nel mondo greco la forma sferica è sempre vista come unità originaria perfetta( cosi' era già in altri grandi filosofi quali Empedocle,Parmenide...).Se si leggono accuratamente tutti i discorsi ci si accorge che ognuno di essi contiene una parte di verità:il discorso finale di Socrate non sarà nient'altro che una sintesi in cui li unisce praticamente tutti.Egli racconta di essersi una volta incontrato con una sacerdotessa(Diotima)che gli ha rivelato tutti i misteri dell'eros:viene a proposito citato un mito riguardante i festeggiamenti divini per la nascita di Afrodite:tra le varie divinità ci sono anche Poros(astuzia,furbizia)e Penia(povertà).Essi,ormai ubriachi per l'eccessivo bere,si uniscono e viene cosi'concepito Eros,che ha quindi le caratteristiche dei suoi genitori:è ignorante,povero e brutto a causa di Penia,ma sa cavarsela sempre grazie a Poros.Non è bello,ma sa andare a caccia della bellezza;egli sente l'amore ed è soggetto della ricerca della bellezza e dell'amore,svolge le mansioni dell'amante e non dell'amato.Chiaramente se ricerca la bellezza significa che non la possiede:così il filosofo è privo e bisognoso del sapere (penia=povertà),ma ha anche le capacità di cercarsi e di procurarsi ciò di cui è privo (poros=astuzia,espediente);dato che Eros è privo di bellezza e le cose buone sono belle,manca anche di bontà;ciò che non è bello o buono,non è necessariamente brutto e cattivo;per Platone vi è un livello intermedio;tra il sapere e l'essere ignoranti la via di mezzo consiste nell'avere buone opinioni,senza però darne ragione;la posizione intermedia comunque non è un male perchè è uno stimolo per arrivare al top:chi si trova nella posizione più bassa sa di non potersi elevare e neanche ci prova,chi si trova in quella più alta non si deve impegnare perchè è già nella posizione ottimale:chi si impegna e lavora è chi si trova in una zona intermedia (i filosofi,che non sanno ma si sforzano di avvicinarsi al sapere).Tutti gli dei,gli aveva detto Diotima,sono belli e buoni e di conseguenza Eros non rientra nella categoria.Anche da questo punto di vista Eros riveste una posizione intermedia:non è un dio,ma neanche un mortale:è un qualcosa che nasce e muore di continuo;è una metafora con cui si vuole dimostrare che non si può mai possedere totalmente l'amore; l' amore è metafora della filosofia perchè l'uomo non possiede il sapere,ma si sforza per ottenerlo;può riuscire ad avvicinarvisi,ma non si tratta comunque di una conquista definitiva:il pieno sapere è irraggiungibile.Dunque Eros è una semi-divinità intermedia.Nella struttura sociale dell'epoca l'omosessualità era tipica dei filospartani e di coloro che avevano un'impostazione culturale arcaica:è questo il caso di Socrate e Platone.Il rapporto veniva vissuto "pedagogicamente",vale a dire che era un rapporto di tipo maestro-allievo.A differenza dell'amore eterosessuale,di livello più basso in quanto volto al piacere fisico e alla procreazione materiale,quello omosessuale era di più alto livello in quanto volto alla procreazione spirituale:vengono fecondate le anime per procreare nuove idee.Propriamente in Socrate non si parlava di amore,ma vanno tenute in considerazione le affermazioni a riguardo della maieutica(Socrate diceva di fare lo stesso lavoro della madre che era un'ostetrica:lei faceva partorire le donne,lui le idee): Socrate aveva quindi già in mente anime gravide da far partorire;Platone invece sostiene che ci sia una vera e propria fecondazione delle anime,che chiaramente non devono essere sterili.Ben si intuisce che la ricerca dell'amore combacia con quella della filosofia.Alla fine del Simposio irrompe improvvisamente il famoso Alcibiade,totalmente ubriaco,che racconta pubblicamente di aver fatto delle "avances" a Socrate ,che però non ha accettato:lui,bello,giovane,aitante con un vecchio decrepito che non ci sta:il che sta a significare che la bellezza esteriore conta meno di quella interiore,ed è anche un modo per ribadire il concetto della scala gerarchica dell'amore. Socrate non ci viene presentato come un asceta:egli è totalmente immerso nella sua realtà,ma non si lascia catturare:ai festini lui partecipa tranquillamente,pur non identificandovisi;dagli altri si distingue perchè mantiene sempre la sua capacità di giudizio(nel Simposio è l'unico a non addormentarsi).
LA SECONDA NAVIGAZIONE
In ogni grande autore ci sono passi che contengono i cardini del suo pensiero . Così avviene anche in Platone , malgrado i limiti da lui imposti alla scrittura . In particolare si pone in primo piano un passo del Fedone , in cui Platone descrive quella che , con un'immagine emblematica , ha chiamato la sua " seconda navigazione " che lo ha portato alla scoperta della vera causa delle cose . La seconda navigazione é una metafora desunta dal linguaggio marinaresco e indica quella navigazione che si intraprende quando cadono i venti e la nave rimane ferma : in tale circostanza si deve por mano ai remi , e in tal modo , con la forza delle braccia , si esce dalla situazione prodotta dall'incombere della bonaccia . La " prima navigazione " fatta con le vele al vento corrisponde al tragitto compiuto da Platone sulla scia dei naturalisti e con il loro metodo , che lo ha lasciato in posizione di stallo . La " seconda navigazione " , assai più faticosa ed impegnativa , é quella condotta con il nuovo metodo dei ragionamenti che portano al trascendimento della sfera del sensibile e alla conquista del soprasensibile . Questo passo é per molti " una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale " , in quanto ne segna una svolta decisiva , perchè costituisce " la prima dimostrazione razionale dell'esistenza di un essere oltre quello sensibile , ossia di una realtà soprasensibile e trascendente " . I problemi più importanti della filosofia ( ci dice Platone ) risultano strettamente legati al problema della generazione , della corruzione e dell'essere delle cose , e in particolare al problema di fondo del perchè esse nascono , perchè si corrompono , e perchè sono . Ebbene Platone dice , per bocca di Socrate , di essere partito da giovane proprio da questi problemi di fondo e di aver cercato di risolverli sulla scia delle indagini condotte dai filosofi naturalisti . Ma , rimanendo nell'ambito dell'indagine della natura propria di questi filosofi , le risposte a questi problemi risultavano di carattere puramente fisico-naturalistico . La vita deriverebbe dai processi del caldo e del freddo . Il pensiero deriverebbe dal sangue , o dall'aria , o dal fuoco o dal cervello come organo fisico . E in modo analogo si spiegherebbero tutte le altre cose . Ma in realtà questi tipi di spiegazione risultano essere inconsistenti e contradditori e creano difficoltà dalle quali non si può uscire ( portano nella posizione di stallo della bonaccia ) . Fra i filosofi naturalisti , uno poteva sembrare , di primo acchito , in grado di far uscire dalle difficoltà , ossia Anassagora , con la sua dottrina dell' Intelligenza , che dovrebbe essre la vera causa delle cose . Ma a questa affermazione , di per sè eccellente , Anassagora non seppe dare adeguato fondamento . Il metodo di ricerca di carattere naturalistico che egli seguiva , non poteva permetterlo . In effetti , affermare che l'Intelligenza é la causa che ordina e fa essere tutte le cose , significa dire che essa dispone tutte le cose nella migliore maniera possibile . Ma questo implica che l'Intelligenza e il Bene siano connessi in modo strutturale e che la prima si possa ben comprendere solamente in relazione con il secondo . In particolare Anassagora sostenendo la tesi dell'Intelligenza come causa delle cose , avrebbe dovuto spiegare il criterio del meglio in funzione del quale essa opera , con tutto ciò che da questo consegue . Insomma , avrebbe dovuto spiegare come tutti i fenomeni siano strutturati in funzione del meglio , e quindi presupponendo una precisa conoscenza del meglio e del peggio , ossia del Bene e del Male . Ma Anassagora non ha saputo far questo , e non ha collegato l'Intelligenza con il meglio , ossia con il Bene e ha continuato ad assegnare agli elementi fisici un ruolo di causa determinante . Mentre gli elementi fisici sono solo " una causa ausiliare , non la vera causa " . E per far ben capire questo suo pensiero , Platone mette in bocca a Socrate un esempio esplicativo divenuto assai noto . Se vogliamo spiegare la vera causa per cui Socrate é venuto in carcere e vi é rimasto , noi non possiamo riferirci a cause fisiche , come ad esempio i suoi organi di locomozione , le sue ossa , i suoi nervi e così via . Dobbiamo invece ricorrere alla scelta da lui fatta con l'Intelligenza del giusto e del meglio . E' evidente che , se non avesse gli organi fisici del suo corpo , Socrate non potrebbe fare le cose che vuole fare ; ma egli non agisce a causa di questi organi , ma solo mediante questi organi , in funzione di una causa superiore . La vera causa , ossia la causa reale , é appunto l' Intelligenza di Socrate , che opera in funzione del meglio . Dunque per legare e tenere insieme le cose , occorre guadagnare quel meglio , ossia quel Bene in funzione del quale opera l'Intelligenza , il quale sta al di là del fisico e del sensibile ; occorre quindi guadagnare il piano dell'essere intellegibile , o , come si dirà con un termine posteriore , l'essere metafisico . Bisognerà insomma superare il metodo fondato sulle sensazioni e guadagnare il metodo fondato sui " logoi " , e mediante esso cercare di cogliere la verità delle cose . E la verità delle cose sta appunto nelle realtà intellegibili , che Platone ha chiamato Idee , pure forme , eterni modelli delle cose , rispetto alle quali le cose sensibili sono un mezzo o strumento di realizzazione , non quindi l'essenza delle cose , ma ciò mediante cui l'essenza si realizza nella sfera del sensibile . Platone fa esempi molto chiari . Se vogliamo spiegare le cose belle , noi non possiamo fare riferimento agli elementi fisici da cui sono costituite , come ad esempio il materiale di cui sono fatte , il colore , la figura fisica e simili ; dobbiamo invece ricorrere all'idea del bello , ossia la bellezza in sè .
LA DOTTRINA DELLE IDEE
Che cos'è la dottrina delle idee , alla quale Platone giunge con la Seconda navigazione ?La parola "idea",innanzitutto,deriva dalla radice greca "id-"che è a sua volta riconducibile al verbo "orao",vedere:è quindi qualcosa che si può vedere ma non con gli occhi,bensi' con l'intelletto;la percezione degli oggetti sensibili risveglia il ricordo delle idee dell'iperuranio,le quali permettono di misurare l'inferiorità e la deficienza degli oggetti sensibili rispetto ad esse.Cosi' qualunque oggetto sensibile possa essere detto bello, non coincide mai con l'idea della bellezza nella sua perfezione ed immutabilità.L'idea di bellezza,per esempio, è il modello ed il criterio in base al quale possiamo denominare belli determinati oggetti:infatti è perchè già possediamo l'idea di bellezza che possiamo designare belli questi altri oggetti.Nei primi dialoghi Platone aveva presentato l'indagine di Socrate proiettata alla ricerca di definizioni,ossia di risposte corrette alla domanda :"Che cos'è x ?"(dove x sta per bello,giusto...).Per Platone la risposta a questa domanda consiste nel rintracciare l'idea in questione(per esempio l'idea di bellezza,di giustizia...).L'idea è dunque un "universale":ciò significa che i molteplici oggetti sensibili,dei quali l'idea si predica,dicendoli per esempio belli o giusti,sono casi o esempi particolari rispetto all'idea:una bella persona o una bella pentola sono casi particolari di bellezza,non sono la bellezza.Mentre gli oggetti sensibili sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento,soltanto delle idee si può propriamente dire che sono stabilmente se stesse;proprio questa differenza di livelli ontologici,ossia di consistenza di essere,qualifica le idee come modelli rispetto agli oggetti sensibili corrispondenti.L'attività di un artigiano,per esempio di un costruttore di letti,è descrivibile da parte di Platone come un insieme di operazioni che mirano a foggiare un determinato materiale (in questo caso il legno) secondo il modello dell' idea del letto,alla quale egli si riferisce costantemente con il suo pensiero.L'idea è quindi dotata di esistenza autonoma,nè dipende per la sua esistenza dal fatto di poter essere pensata;essa è ciò di cui gli oggetti sensibili partecipano.La partecipazione all'idea,per esempio,di bellezza rende un determinato oggetto sensibile bello.Si usa solitamente dire che le idee abbiano una quadruple valenza:1)Ontologica (dal participio del verbo essere greco):due cavalli,per esempio,si assomigliano perchè compartecipano all'idea.L'idea rende conto di ciò che una cosa è.Le cose sono infatti quel che sono perchè imitano le idee.2)Gnosologica (dal verbo greco "gignosco",conoscere):noi conosciamo le cose perchè facciamo riferimento all'idea di uguaglianza:nella realtà empirica l'uguaglianza non esiste;essa esiste in un'altra dimensione.Due uomini si assomigliano perchè partecipano entrambe all'idea di uomo.3)Assiologica (da "axiologia",la scienza che studia i valori):l'idea è il modello (in Greco "paradigma") imitando il quale ogni cosa tende al bene,che è lo scopo di ogni cosa:per un cavallo il bene sarà correre veloce.Ovviamente le imitazioni non potranno mai essere uguali al modello;questo avviene per diversi motivi:uno che merita di essere ricordato è che le idee nell'iperuranio non avevano nè forma,nè colore,nè dimensioni...quindi se disegnamo un triangolo bianco è già diverso dal modello che non aveva alcun colore e che paradossalmente li aveva tutti.Platone sostiene quindi la causa finale:secondo lui la causa il motivo per cui avviene una cosa è il suo fine stesso;la causa finale di una casa è farvi abitare della gente:ci sono però anche delle "concause"(che noi definiremmo "la condizione senza la quale..."),in questo caso i mattoni,il cemento...la vera causa finale però è l'idea stessa,sul modello della quale la casa viene costruita:il fine della casa infatti è essere fatta sul modello dell'idea di casa,cioè nel migliore dei modi:il meglio di ogni categoria corrisponde infatti alla sua idea. 4) Unificazione della molteplicità : gli uomini sono tanti ma l'idea di uomo è una sola .
ANAMNESI
Un quesito che ha sempre crucciato l'uomo è quello di come si fa a sapere,a conoscere.I sofisti sostenevano ch e non si può imparare perchè o già una cosa la si conosce o non la si conosce:nel secondo caso è impossibile trovare una cosa che non si sa cosa sia,come sia fatta. Socrate stesso aveva detto che non si poteva insegnare,ma solo imparare tramite la maieutica,la tecnica con la quale faceva partorire le anime.Questo tema Platone lo affronta soprattutto nel "Menone".Ancora una volta Platone assume una posizione intermedia,servendosi in parte delle affermazioni dei sofisti:se è vero quel che dicono i sofisti e uno dei loro più grandi esponenti,Gorgia,(cioè che non si può imparare e quindi neanche insegnare),si può ricordare:una cosa che ci siamo dimenticati e ci torna in mente,non possiamo dire di conoscerla ma neanche di non conoscerla.Dunque per Platone il processo attraverso il quale si impara e si conosce è puramente di reminescenza(in Greco anamnesis).L'unico modo di considerare il sapere come "ricordare"è quello di fare una ipotesi piuttosto strana(ragionare per ipotesi significa vedere quale è la condizione che bisogna ammettere perchè si verifichi un determinato fatto):l'unica ipotesi per Platone valida è quella della preesistenza dell'anima.Nel Menone il corpo viene visto proprio come prigione dell'anima.Anche nel "Fedone",dialogo ambientato nel periodo dopo la condanna e prima della sua morte,Socrate parla con due Pitagorici a riguardo della preesistenza dell'anima:egli li porta a capire la questione servendosi di esempi:tira in ballo la scienza dell'uomo e quella della lira,che sono evidentemente diverse tra loro; Socrate afferma che agli innamorati,nel momento in cui vedono una lira o un vestito che il loro amato è solito usare,succede quanto segue:riconoscono la lira e nel pensiero colgono l'idea del ragazzo a cui appartiene la lira:la reminescenza consiste proprio in questo,riuscire a ricordarsi cose tramite vari "agganci",aspetti che stimolano il ricordo.Nel "Menone" Socrate parla con uno schiavo privo di cultura e gli pone una serie di domande mirate e legate al teorema di Pitagora;chiaramente lo schiavo non lo conosce,ma Socrate ponendogli solo domande specifiche lo porta alla soluzione:è un tipico caso di maieutica.L'unica spiegazione possibile è che lo schiavo si ricordi di un qualcosa che già conosceva,ma aveva dimenticato:dato che non l'ha conosciuto nell'attuale vita significa che l'ha conosciuto in un'altra dimensione(l'altopiano dell'iperuranio).Tale dimenticanza è legata al momento dell'incarnazione:nella sua vita terrena l'uomo può avere momenti in cui ricorda.L'apprendimento è quindi interpretato come il recupero di conoscenze acquisite dall'anima prima di incarnarsi in un corpo,ma dimenticate al momento della nascita e rimaste latenti in essa.Si definisce giustamente Platone "INNATISTA",perchè sostiene che quando nasciamo sono già presenti in noi alcuni elementi di conoscenza.Lo schiavo il teorema ce l'aveva già nella sua mente,si trattava solo di ricordarglielo.Quali sono dunque le vie per ricordare?Un modo,come nel Menone ,è avere qualcuno che ci aiuti(Socrate),un altro(più impegnativo)è usare bene la propria esperienza(come nel caso di Pitagora ,che per primo si ricordò con la sua esperienza del teorema che gli viene attribuito:in realtà lui non l'ha inventato,se l'è solo ricordato per primo).Oltre a sostenere la preesistenza dell'anima,Platone era anche convinto della sua immortalità e della sua eternità:l'anima è viva per definizione e un corpo è vivo o morto a seconda che abbia o meno un'anima;l'anima,quindi,dà e toglie la vita.E' un qualcosa che partecipa all'idea di vita e che di conseguenza non può partecipare a quella di morte,come il numero 3 partecipa all'idea di dispari e non può partecipare a quella di pari.Per Platone ciò che può corrompere l'anima è l'ingiustizia;essa però non può distruggerla:se l'ingiustizia,che è il suo male peggiore,non è in grado di annientarla,è chiaro che neanche i mali minori ce la faranno.L'anima,essendo increata,è anche eterna ed immutabile.

GLI ENTI MATEMATICI
Una tradizione tardo - antica ci tramanda che all' ingresso dell' Accademia platonica c' era scritto : " Non entri chi non é geometra " . Se questo sia un' invenzione letteraria o se corrisponda alla verità , noi non lo sappiamo . E' comunque certo che il motto rispecchia perfettamente il pensiero platonico ; anzi , lo rispecchia talmente bene che , appunto per questo , mancando testimonianze antiche , si sospetta che sia una bella e ingegnosa finzione letteraria . Plutarco ci tramanda , inoltre , il detto di Platone secondo cui " dio sempre geometrizza " , che rispecchia perfettamente l' attività creatrice del Demiurgo , che cala i modelli intellegibili nella materia sensibile mediante le figure geometriche e i numeri , e corrisponde bene all' epigrafe che sarebbe stata scritta sul portone dell' Accademia . In effetti , la matematica ha in Platone un' enorme importanza , ed é la via d' accesso alla dialettica , in quanto il numero gioca un ruolo essenziale anche nel mondo ideale . Al vertice della scala gerarchica del mondo ideale per Platone stanno proprio i Numeri ideali , che vanno ben distinti dai numeri matematici . I Numeri ideali sono le essenze stesse dei numeri ( il numero ideale tre é l' essenza del tre , e così di seguito ) . In quanto tali , essi sono sottoponibili ad operazioni aritmetiche . Il loro status metafisico é ben differente da quello aritmetico , appunto perchè non rappresentano semplicemente numeri , ma l' essenza stessa dei numeri . In effetti , non avrebbe senso sommare l' essenza del due all' essenza del tre e così via . I Numeri ideali , quindi , costituiscono i supremi modelli dei numeri matematici . Inoltre , per Platone i Numeri Ideali sono i primi derivati dai Principi primi , per il motivo che essi rappresentano , in forma originaria e quindi paradigmatica , quella struttura sintetica dell' unità nella molteplicità , che caratterizza anche tutti gli altri piani del reale a tutti gli altri livelli . Inoltre , Platone stabilisce una stretta connessione fra le successive idee e i numeri , ma non opera una identificazione ontologica totale . Sarebbe errato ritenere che Platone identificasse ciascuna idea con un numero specifico . In particolare , per essere capita , questa dottrina non scritta che ha forti influssi sugli ultimi dialoghi , va connessa con la concezione che i Greci avevano del numero . Per il Greco il numero era pensato , più che come intero , come un rapporto ben articolato di grandezze e di frazioni di grandezze , di " logoi " e " analoghiai " , ossia come relazioni e rapporti . Per il Greco , dunque , tradurre i " logoi " e le relazioni in numeri era cosa ovvia . Dunque ciascuna idea risulta collocabile in una precisa posizione del mondo intellegibile , a seconda della sua maggiore o minore universalità e a seconda della forma più o meno complessa dei rapporti che essa intrattiene con le altre idee ( che stanno al di sopra o al di sotto di essa ) . Questa trama di rapporti , che , per le ragioni cui sopra abbiamo accennato , può essere numericamente espressa . Tale dottrina ( che ha stupito molti interpreti ) porta sul piano metafisico , esprimendola al più alto livello speculativo , una concezione dell' arte dei Greci quale si manifestava soprattutto nell' architettura e nella scultura , L' occhio plastico del Greco non vedeva nella Forma e nella Figura qualcosa di ultimativo . Al di là di esse vedeva , appunto , il numero e il rapporto numerico . In particolare , il " canone " , che regolava l' architettura e la scultura esprimeva una " regola di perfezione " essenziale , che gli Elleni indicavano in una proporzione perfetta traducibile appunto in numeri in maniera esatta . Dunque , la forma o idea visibile realizzabile nelle arti plastiche per i Greci era riducibile al principio della proporzione numerica e al numero . Si trasporti questa concezione sul piano metafisico raggiunto da Platone , e si traggano le debite conclusioni . Le idee che esprimono le Forme intellegibili ( le essenze ) delle cose , non sono la ragione ultimativa , ma suppongono un alcunchè di ulteriore , che consiste , appunto , nei Numeri e nei rapporti numerici , e quindi , in senso ultimativo , i Principi supremi da cui derivano i numeri medesimi e gli stessi rapporti numerici . I Numeri Ideali , come già accennato , sono ben diversi dai numeri matematici . La tradizione indiretta ci informa che gli enti matematici per Platone sono " intermedi " fra il mondo intellegibile e quello sensibile , ossia stanno ontologicamente a mezzo fra il primo e il secondo , con alcuni caratteri che li connettono invece ai caratteri del secondo . Aristotele ci riferisce : " Platone afferma che , accanto ai sensibili e alle Forme ( idee ) , esistono enti matematici intermedi fra gli uni e le altre , i quali differiscono dai sensibili , perchè immobili ed eterni , e differiscono dalle Forme , perchè ve ne sono molti simili , mentre ciascuna Forma é solamente una e individua " . Platone ha introdotto questi " enti matematici intermedi " per i seguenti motivi : i numeri su cui opera l' aritmetica , come anche le grandezze su cui opera la geometria , non sono realtà sensibili , ma intellegibili . Però , tali realtà intellegibili non possono essere Numeri Ideali nè Figure geometriche ideali perchè le operazioni aritmetiche implicano l' esistenza di molti numeri uguali ( pensiamo ad esempio ad un' equazione dove , per dire , il numero 6 può comparire diverse volte ) e le dimostrazioni e le operazioni geometriche implicano molte figure uguali e molte figure che sono una variazione della medesima essenza ( pensiamo a molti triangoli uguali e molte figure che sono variazioni della medesima essenza , ossia triangoli di vario tipo : equilatero , isoscele ... ) . Invece , ciascuno dei Numeri Ideali ( così come ciascuna forma ideale ) é unico , e inoltre i Numeri Ideali non sono operabili . Se si tiene presente questo , risultano chiare le conclusione platoniche sull' esistenza di enti matematici aventi caratteri " intermedi " fra il mondo intellegibile e il mondo sensibile . In quanto sono immobili ed eterni , gli enti matematici condividono i caratteri delle realtà intellegibili , e cioè delle idee ; invece , in quanto ve ne sono molti della medesima specie , sono analoghi ai sensibili . Il fondamento teoretico di questa dottrina sta nella convinzione radicatissima in Platone , di genesi eleatica , della perfetta corrispondenza fra il conoscere e l' essere , per cui ad un livello di conoscenza di un determinato tipo deve necessariamente far riscontro un corrispettivo livello di essere . Di conseguenza , alla conoscenza matematica , che é di livello superiopre alla conoscenza sensibile , ma inferiore alla conoscenza filosofica , deve corrispondere un tipo di realtà che ha le corrispettive connotazioni ontologiche . Questa dottrina non scritta ( e solo allusa nei dialoghi ) é essenziale per comprendere l' impianto ontologico e gnoseologico della Repubblica , e quindi costituisce un tassello assai importante del sistema platonico . Inoltre , spiega assai bene l' importanza pedagogica che Platone attribuiva alle matematiche , che nell' Accademia dovevano preparare i futuri dialettici e politici nello Stato ideale . Si noti che , in questa complessa prospettiva teoretica , Platone non fa dipendere la sua metafisica e la sua dialettica dalla matematica e dai suoi metodi , ma , al contrario , " fa dipendere la matematica dai principi metafisici in modo strutturale " . Appunto in quanto deriva dai principi metafisici con tutto ciò che da questo consegue , la matematica ne può presentare un' immagine , che aiuta a risalire al modello originario e quindi a preparare la mente alla dialettica che di essi tratta . Per questo motivo , la scritta che la tradizione dice stata apposta all' ingresso dell' Accademia " Non entri chi non é geometra " é davvero emblematica .
IL MITO DELLA CAVERNA
.Platone dice poi di voler descrivere la nostra situazione di uomini,di come siamo e di come il nostro destino può cambiare.Si serve qui del celeberrimo mito della caverna,forse il più famoso mito platonico,dove emerge tutta la sua filosofia:
Descrive una caverna profonda stretta ed in pendenza,simile ad un vicolo cieco.Sul fondo ci sono gli uomini,che sono nati e hanno sempre vissuto lì;essi sono seduti ed incatenati,rivolti verso la parete della caverna:non possono liberarsi nè uscire nè vedere quel che succede all'esterno.Fuori dalla caverna vi è un mondo normalissimo:piante,alberi,laghi,il sole,le stelle...Però prima di tutto questo,proprio all'entrata della caverna,c'è un muro dietro il quale ci sono persone che portano oggetti sulla testa:da dietro il muro spuntano solo gli oggetti che trasportano e non le persone:è un pò come il teatro dei burattini,come afferma Platone stesso.Poi c'è un gran fuoco,che fornisce un'illuminazione differente rispetto a quella del sole.Questa è l'immagine di cui si serve Platone per descrivere la nostra situazione e per comprendere occorre osservare una proporzione di tipo A : B = B : C La caverna sta al mondo esterno (i fiori,gli alberi...) così come nella realtà il mondo esterno sta al mondo delle idee:nell'immagine il mondo esterno rappresenta però quello ideale tant'è che le cose riflesse nel lago rappresentano i numeri e non le immagini empiriche riflesse.Si vuole illustrare la differenza di vita nel mondo sensibile rispetto a quella nel mondo intellegibile.Noi siamo come questi uomini nella caverna,costretti a fissare lo sguardo sul fondo,che svolge la funzioni di schermo:su di esso si proiettano le immagini degli oggetti portati dietro il muro.La luce del fuoco,meno potente di quella solare,illumina e proietta questo mondo semi-vero.Gli uomini della caverna scambieranno le ombre proiettate sul fondo per verità,così come le voci degli uomini dietro il muro:in realtà è solo l'eco delle voci reali.Gli uomini della caverna avranno un sapere basato su immagini e passeranno il tempo a misurarsi a chi è più bravo nel cogliere le ombre riflesse,nell'indovinare quale sarà la sequenza:è l'unica forma di sapere a loro disposizione ed il più bravo sarà colui il quale riuscirà a riconoscere tutte le ombre.Supponiamo che uno degli uomini incatenati riesca a liberarsi:subito si volterebbe e comincerebbe a vedere fuori gli oggetti portati da dietro il muro non più riflessi sul fondo della caverna.Poi comincerà ad uscire ma sarà piuttosto riluttante perchè infastidito dalla luce alla quale era desueto:quando finalmente uscirà si sentirà completamente smarrito e disorientato.Comincerà a guardare indirettamente la luce solare:ad esempio la osserverà riflessa su uno specchio d'acqua.Man mano che la vista si abitua guarda gli oggetti veri:gli alberi,i fiori...In un secondo tempo le stelle e poi riuscirà perfino a vedere il sole.Chiaramente vi sono chiare allusioni a varie dottrine platoniche:evidente risulta l'allusione ai 5 livelli di conoscenza;le immagini proiettate sul fondo della caverna sono l'eikasia la capacità di cogliere le realtà empiriche riflesse,grazie al fuoco che rende visibili questi oggetti "artificiali".Gli oggetti artificiali che portano dietro il muro sono la pistis,il mondo sensibile vero e proprio.Curioso è che l'atto di voltarsi da parte degli uomini nella caverna venga espresso con la parola "convertirsi":è l'atto fondamentale per il cambiamento della propria prospettiva esistenziale.Le cose dietro il muro riflesse nello specchio d'acqua rappresentano la dianoia,gli enti matematici;gli alberi ed i fiori sono invece le idee vere e proprie,la noesis.Il sole,invece,è il bene in sè.Le stelle sono le idee più elevate (i numeri ideali...).L'uomo che è fuggito dalla caverna e ha visto tutto si trova in una situazione piuttosto ambigua:da un lato vorrebbe rimanere all'aperto,dall'altro sente il bisogno di far uscire anche i suoi amici incatenati;alla fine decide di calarsi nella caverna e quando arriva in fondo non vede più niente,è come se accecato.Sostiene di essere tornato per condurli in un'altra realtà,ma essi lo deridono perchè non riesce più neppure a vedere le ombre riflesse sul fondo.Lui però continua a parlar loro del mondo esterno ma i suoi "amici" lo deridono e si arrabbiano e lo picchiano perfino.In realtà Platone vuole qui descrivere la storia di Socrate,un uomo che ha visto realtà superiori e ha cercato di farle conoscere agli altri che non hanno però accettato.Per quel che riguarda il fatto che l'uomo tornato nella caverna non riesca più a cogliere le realtà sensibili,possiamo portare ad esempio la vicenda del filosofo Talete,che guardando le stelle cadeva nei pozzi e veniva deriso per il fatto che voleva vedere le stelle lui che non vedeva neppure cosa c'era per terra.La liberazione dalle catene avviene (come la reminescenza) o per caso o grazie all'intervento di qualcuno.Comunque il mito rievoca pure il compito dei governanti,che una volta raggiunto il sapere devono per forza tornare nel mondo sensibile per governare.La fuoriuscita dalla caverna può anche essere metafora del lungo percorso educativo dei filosofi-re.Si può quindi definire correttamente il mito della caverna come una sorta di riassunto della filosofia platonica.
L' IMMORTALITA' DELL' ANIMA
Platone parte dalla definizione dell' uomo data da Socrate , e la porta alle estreme conseguenze , a tutti i livelli . La definizione che Socrate ha dato dell' uomo é stata rivoluzionaria : l' uomo é la sua anima ; il corpo é come lo strumento di cui essa si avvale . Prima di Socrate l' anima aveva differenti significati . In Omero é la larva inconsapevole che resta dell' uomo che va agli inferi . Negli Orfici é un dèmone , che per un' originaria colpa commessa cade in un corpo , da cui , sia attraverso le trasmigrazioni , sia mediante le purificazioni , tornerà a liberarsi . Ma essa non coincide con la razionalità dell' uomo . Nei Presocratici é stata in vario modo connessa col principio , ma in modo ancora generico . Con Socrate l' anima diventa ciò per cui l' uomo conosce e determina la sua vita morale . E da Socrate in poi é questo il senso che la parola anima ha assunto . Ma Socrate ha lasciato ancora aperto un problema : quello dell' immortalità . Dal punto di vista della credenza , egli propendeva nettamente per l' immortalità dell' anima ; ma , dal punto di vista teoretico , non aveva ancora guadagnato quei fondamenti metafisici , in base ai quali questa credenza poteva venir dimostrata razionalmente . E' appunto questo il problema che Platone si é assunto , con tutte le conseguenze che ne derivano . L' opera in cui per la prima volta questo problema viene posto in modo radicale é " Il Gorgia " . E proprio sull' impostazione che Platone dà al problema in questo dialogo bisogna concentrarsi per ben comprenderlo . Socrate il giusto é stato ucciso , e l' ingiusto sembra invece trionfare . Il virtuoso e il giusto sono in balìa dell' ingiusto e ne soffrono i soprusi . I viziosi e gli ingiusti sembrano invece felici e soddisfatti delle loro prepotenze . Il politico giusto soccombe , mentre quello senza scrupoli si impone . Dovrebbe trionfare il bene , e invece sembra che trionfi il male . Da che parte sta allora il vero ? Callicle , uno dei protagonisti del " Gorgia " , che dà voce alle tendenze estremistiche che erano maturate in quei tempi con gli epigoni dei sofisti , non esita a proclamare , con sfrontata impudenza , che la verità é dalla parte del più forte , cioè di colui che sa farsi beffa di tutto e di tutti , sa godersi ogni piacere , sa soddisfare tutte le sue passioni e sa saziare qualsiasi suo desiderio . La giustizia é una invenzione , a suo avviso , dei deboli , la virtù é una sciocchezza e la temperanza una assurdità . Chi si astiene dai piaceri e si modera é uno stolto , perchè la vita che costui vive , in realtà , é uguale alla morte . Proprio in risposta a questa concezione estrema Platone recupera le verità orfico - pitagoriche , le fonda sulle basi della sua metafisica , spingendo molto oltre Socrate , anche se sulla scia da lui tracciata . Callicle e tutti coloro di cui Callicle é simbolo dicono che la vita del virtuoso , che mortifica gli istinti , é vita senza senso , e quindi morte . Ma che cosa é la vita e che cosa la morte ? Non potrebbe aver ragione chi dice : " Chi può sapere se vivere non sia morire e morire non sia vivere ? " . E' chiaro allora che per Platone diventa risolutiva proprio la risposta a quel problema che Socrate aveva volutamente lasciato insoluto , ossia il problema dell' immortalità e delle sorti escatologiche dell' anima . Infatti , se l' anima fosse mortale e se , con la morte del corpo , anche lo spirito dell' uomo si dissolvesse , allora la dottrina di Socrate , da sola , non basterebbe a confutare quella di Callicle . Per conseguenza , la dottrina dell' immortalità emerge in primo piano e conferisce una nuova dimensione all' etica e alla politica . Vivere per il corpo , come fanno molti uomini , significa vivere per ciò che é destinato a morire ; vivere , invece , per l' anima significa vivere per ciò che é destinato ad essere sempre . L' uomo giusto che in questa vita viene ucciso , perde il corpo , ossia ciò che é mortale , ma salva l' anima , che é , invece , immortale . E' evidente dunque che le prove dell' immortalità dell' anima rivestono una grandissima importanza nel pensiero di Platone , perchè devono portare questa problematica dal piano della semplice credenza a un piano filosofico di dimostrazione razionale coerente e consistente . Platone si concentra su questo problema nel " Fedone " . Delle tre e molto complesse e articolate prove dell' immortalità , qui ricordiamo il nocciolo della seconda , particolarmente significativo . L' anima umana é capace di conoscere cose " immutabili ed eterne " . Ma la condizione necessaria e indispensabile per cui essa possa conoscere queste cose , é che essa abbia una natura loro affine , altrimenti queste rimarrebbero al di fuori delle sue capacità . Ebbene , come quelle cose sono immutabili ed eterne , così anche l' anima deve essere ontologicamente immutabile ed immortale . E' questa una prova che porta alle estreme conseguenze il principio , già ben radicato nel pensiero greco , che solo il simile conosce il proprio simile , ma riguadagnato sul piano metafisico , sulla base della scoperta del mondo intellegibile delle idee . Un' altra prova dell' immortalità dell' anima é che essa , per dirla proprio alla Platone , partecipa più di ogni altra cosa all' idea di vita e , di conseguenza , come potrebbe partecipare anche a quella di morte ? Ulteriori prove Platone le fornisce nella " Repubblica " e nel " Fedro " . Nella " Repubblica " mostra che i mali del corpo distruggono il corpo , quelli dell' anima , anche portati alle estreme conseguenze , non la distruggono ; il che significa appunto che é incorruttibile . Nel " Fedro " , infine , la prova viene concentrata intorno al concetto di automovimento . Ma la questione decisiva per risolvere in modo razionale il problema posto nel " Gorgia " , é quella strettamente connessa all' immortalità , ossia il problema della sorte dell' anima dopo la morte dell' uomo . La soluzione di questo problema Platone l' ha affidata ai grandi miti del " Gorgia " , del " Fedone " e della " Repubblica " . Il nucleo concettuale che permane identico nelle complesse variazioni e differenziazioni immaginifiche che vengono presentate in questi miti é il seguente . I buoni riceveranno un premio per le loro virtù . Quelli che vissero una vita media , e quindi commettendo colpe sanabili , sconteranno una pena che li purificherà dall' ingiustizia commessa , mediante la sofferenza , perchè dall' ingiustizia , afferma Platone " non ci si può liberare in modo diverso " . Quelli che commisero ingiustizie insanabili saranno condannati nell' Ade a soffrire i patimenti più grandi . Fra le molte affermazioni che Platone fa sulle sorti delle anime nell' al di là , ne ricordiamo due del " Gorgia " , particolarmente rilevanti . Il supremo giudizio viene fatto sull' anima spoglia del corpo e di tutto ciò che sulla terra é legato alla dimensione del corporeo . E nell' anima di colui che viene giudicato " resta tutto ben visibile quando si sia spogliata del corpo e le sue caratteristiche costituzionali e le affezioni che l' uomo le ha procurato , mediante il modo di comportarsi in ciascuna circostanza " . Inoltre , Platone afferma che Zeus costituì come giudici nell' al di là tre suoi figli . In questa affermazione fa veramente impressione l' analogia con l' affermazione evangelica " Il Padre non giudica nessuno , ma affida il giudizio al figlio " . Questa concezione dell' al di là si intreccia con la dottrina orfico-pitagorica della metempsicosi , che può portare le anime vissute in modo malvagio a reincarnarsi in corpi di animali , con cicli complessi , che nel " Fedro " vengono presentati come concludentisi , in ogni caso , con un ritorno alle origini divine dopo 10000 anni , e 3000 per i filosofi che hanno saputo vivere la loro vita per tre volte consecutive in dimensione dell' amore filosofico . Ma lasciando questo quadro dell' immaginario che Platone stesso ci ha detto di intendere non già vero nei particolari , ma solo nel " suo significato di fondo " , traiamo le conclusioni su questo punto . Il pensiero essenziale dell' etica così come nella politica di Platone sta in questo . Ciascuno deve cercare di fare ordine nel disordine delle passioni del proprio animo , così come deve cercare di portare ordine nel disordine che si trova nella società e nello Stato . Fare questo significa " portare unità nella molteplicità e mediare le varie scissioni con la giusta misura in tutti i sensi " . Questo Platone ci dice in varie maniere sia nella " Repubblica " , sia anche nelle " Leggi " . E fare questo significa operare come il Demiurgo quando ha prodotto il mondo , trasformando l' originario caos nel cosmo , legando i molti con l' uno e l' uno coi molti . La " imitazione di dio " , che Platone a più riprese indica come fine supremo dell' etica così come della politica , consiste appunto nell' agire come ha agito dio , producendo il mondo , il quale altro non é che cosmo e ordine .
LA LINEA DELLA CONOSCIBILITA'
La dimensione conoscitiva è legata ancora una volta alla gerarchia ontologica;Platone per esprimere meglio questa idea si serve di un'efficace immagine , la celebre immagine della "linea":
Come abbiamo già detto la conoscenza stabile è quella basata sull'episteme,quella mutevole ed opinabile sulla doxa.Ancora una volta riscontriamo una chiara influenza pitagorica:i Pitagoriciinfatti individuarono il numero come principio della realtà e crearono una "piramide" di principi che partiva dalla coppia finiti-infinito e da lì si generavano tutte le altre coppie.Per il momento diciamo che i livelli platonici sono 4 (anche se quelli fondamentali restano 2).L'eikasia ha a che fare con la radice eik- di somiglianza,apparenza:è opportuno tradurla con "immaginazione",ma va depurata da tutti i significati che le attribuiamo noi;è la capacità di cogliere le immagini;si tratta di verità addirittura inferiori a quelle del mondo sensibile e possiamo in parte identificarle con le opere d'arte,ma anche con i riflessi delle cose,come gli specchi o le superfici di laghi o fiumi:Platone aveva in mente tutte le riproduzioni del mondo sensibile;ma molti studiosi hanno anche sostenuto che nella capacità di immaginazione si possa vedere anche un primitivo atteggiamento conoscitivo:si tratta della pura e semplice sensazione;quando prendiamo in mano un quaderno abbiamo dapprima una pura e semplice percezione sensuale:notiamo la forma,il colore...Conoscere realmente un quaderno significa mettere insieme le sensazioni e sfruttarle;forse per capire meglio basterebbe chiudere gli occhi e stringere un libro:lo si percepirebbe con il tasto e si potrebbe immaginare cosa si vedrebbe ad occhi aperti;verso la fine del '600 si cominciarono ad effettuare i primi interventi di cataratta e si fecero vedere per la prima volta persone che non avevano mai visto:quando costoro riferirono le loro impressioni si scoprirono cose interessanti;per esempio non riuscirono ad identificare con la vista ciò che per anni avevano toccato;chiaramente è molto differente da ciò che intendeva Platone,ma ci permette comunque di capire che l'oggetto della conoscenza (sebbene la conoscenza empirica sia inferiore a quella intellegibile)è il risultato di operazioni complesse:si associano esperienze visive con esperienze tattili;tuttavia non siamo per niente sicuri che Platone ci sia davvero arrivato.La pistis,che possiamo tradurre con "credenza"è il soggetto conoscitivo degli oggetti sensibili.Della episteme abbiamo già parlato:i suoi oggetti sono intellegibili,ma non necessariamente idee;o meglio,ci sono sì le idee,ma anche gli enti matematici che possiamo suddividere in a)geometria,b)musica,vista come rapporti matematici,c)stereometria,che è la geometria dei corpi solidi,d)astronomia,vista come scienza del movimento dei solidi:erano le arti del "quadrivio",diremmo oggi le materie scientifiche che già all'epoca si contrapponevano a quelle umanistiche.Dunque la dianoia corrisponde alla matematica in generale,la noesis alle idee;Platone era molto interessato di matematica (anche qui possiamo riscontrare un'influenza pitagorica) e proprio sull'entrata dell'Accademia (i cui resti si possono vedere qui sotto)
c'era scritto "Non entri chi non conosce la matematica":essa per Platone aveva una valenza propedeutica e di ginnastica mentale.Per un verso assomiglia alla filosofia perchè ha oggetti stabili,permanenti e non sensibili (uso sì disegni,ma per dimostrare su idee)per un altro presenta grandi limiti:si pensa sì ad idee,ma si lavora pur sempre su cose sensibili:occorre sempre l'appoggio del piano sensibile;la filosofia invece è un percorso mentale tutto interno alle idee.La matematica ha poi bisogno di ipotesi:si parte da postulati e da definizioni:cose che vengono accettate senza venir dimostrate;la filosofia ha invece un carattere critico:non si accetta mai nessuna cosa per data e si tende a mettere sempre in discussione fino ad arrivare alla conoscenza.Bisogna infatti risalire tutte le ipotesi fino ad arrivare ad una ipotesi indiscutibile da cui derivano tutte le altre.Va poi ricordato che gli oggetti matematici sono su un piano intermedio:hanno caratteristiche di idee (l'immutabilità) ma anche di enti empirici (la molteplicità):molteplicità e immutabilità sono proprio 2 dei principali aspetti che differenziano il mondo sensibile da quello intellegibile;il numero 3,ad esempio,è immutabile ma in un'espressione matematica lo si può scrivere più volte.Dianoia e noesis hanno entrambe la radice di "nous",intelletto:la noesis è la versione pura e senza aggiunte e si può tradurre con "intellezione";dianoia è più complessa perchè compare la radice "dià",attraverso-mediante,che implica il passaggio da qualcosa a qualcos'altro e si può tradurre con "ragionamento discorsivo":in un'espressione ci sono diversi passaggi e si passa di continuo da mondo empirico a mondo intellegibile.La noesis è l'intellezione,la contemplazione delle idee.La diversa lunghezza dei segmenti nel disegno di prima suggerisce una chiara gerarchizzazione:un segmento più è lungo e più è conoscibile,vale a dire che contiene un maggior tasso di essere.Il punto di arrivo della conoscenza è il bene in sè,l'idea di bene , che viene trattata nel paragrafo seguente .
LE SENSAZIONI
Platone nelle opere composte in maturità affronta , tra i tanti , anche il problema delle sensazioni , che peraltro aveva già affrontato nei dialoghi giovanili , sebbene in maniera più superficiale . Nelle opere composte nella maturità invece non si limita a criticare la relatività delle sensazioni , che é il limite dell' indagine socratica , ma cerca di determinare la causa di quella relatività . Così dal pensiero comune , cui ancora appartiene la prima indagine , egli sale con la successiva al pensiero scientifico . Infatti la sensazione , egli afferma nel Teeteto contro la tesi empiristica propugnata da Protagora , non compendia in sè tutta la vita conoscitiva , é insufficiente a farci intendere il reale nella sua interezza . Per la sua relatività , la sensazione non dà alcuna conoscenza : é verità la sensazione dell' uomo , e perchè non quella del porco o del cinocefalo ? E se dell' uomo , del sano o dell' ammalato , dell' acuto o dell' ottuso , del bambino o dell' adulto ? E così via . Ognuno in base alle condizioni in cui si trova può vantar pretese d' aver in suo possesso la verità ; nessun giudice può dar torto all' uno piuttosto che all' altro , anzi non può nemmeno esservi un giudice , essendo tutte le pretese di egual forza e legittimità e nessuna potendo sovrastare alle altre . La sensazione , poi , é generata ; come tale , essa non ha in sè il proprio essere , ma rimanda a ciò da cui é generata . E , in fin dei conti , la sensazione é individuale e irrelata : l' occhio vede , l' orecchio sente , ma nè la sensazione dell' occhio ha relazione con quella dell' orecchio , nè viceversa ; ciascuna colpisce un aspetto singolo dell' oggetto . Ora , come mai avviene che l' uomo sente come acuta o grave una stessa cosa che vede come bianca o nera ? Il senso , come tale , non decide , perchè non ci dà il rapporto delle due sensazioni . E similmente , nel campo di un solo senso , chi ci dice che una sensazione é identica o diversa da un' altra uguale o disuguale , più gradevole o meno gradevole ? Tutti questi rapporti , e gli altri infiniti che vi si possono aggiungere , non hanno un organo sensibile appropriato ; esistono tra le sensazioni e non nella sensazione . Per tutte queste ragioni c'é nella sensazione , conclude Platone , un' esigenza che la trascende . La stessa conoscenza sensoriale , cioè , per essere valida , postula un più alto integramento : postula un' istanza soprasensibile che sia principio di coordinazione dei dati sensoriali e di determinazione dei rapporti tra dato e dato : é l' istanza propria dell' anima . La quale trae così dal proprio fondo quelle relazioni mentali ( i concetti ) in cui si compendia l' essenza delle cose : cioè quel che nelle cose v'é di immutabile e di eterno non si ricava dai sensi o dalle opinioni , ma ne é il presupposto , mediante cui la mente valuta il senso e l' opinione . Il procedimento platonico é , per così dire , invertito rispetto a quello socratico : non si ricava induttivamente l' universale dall' esame dei casi particolari , ma i dati particolari rinviano deduttivamente all' universale , a quelle relazioni puramente mentali che han sede nell' anima . E come l' analisi della vita teoretica ( conoscitiva ) dello spirito ha posto , secondo le conclusioni di Platone , in presenza di elementi non sensibili , bensì mentali , che trascendono il senso , così anche l' analisi della vita pratica porta agli stessi risultati .
IL BENE IN SE'
Il punto di arrivo della conoscenza è il bene in sè,l'idea di bene,cui Platone allude qua e là nei suoi dialoghi,sempre velatamente,chiamandola "misura","uno","bellezza"...Si tratta del più alto livello di argomentazione platonica:ce ne parla però in maniera molto indiretta e sfumata e doveva rientrare nelle dottrine non scritte;Platone stesso ci dice che lui non ne parlerà usando una strana metafora,che si può definire "bancaria":dice che parlerà "del figlio e non del padre",termini che in greco significano anche "interesse" e "capitale":quindi si può intendere "vi parlerò dell'interesse e non del capitale".Si serve poi di un'efficace metafora "solare":il bene sta al mondo delle idee come il sole sta a quello sensibile.Con bene in sè,idea di bene si intende un bene assoluto e non relativo ad altre cose come le idee (l'idea di forza,ad esempio,è un bene relativo perchè può essere un bene come un male:dipende dall'uso e dalle circostanze).Il bene in sè è la conoscenza suprema e sublime a cui sono chiamati i filosofi-re,che devono seguire il lungo percorso di studi:esso è il top del percorso educativo:quando si ottiene la conoscenza del bene in sè si è chiamati a governare la città;ciò che porta ad orientare ogni cosa verso il bene,a renderla buona è proprio la conoscenza del bene in sè.Per molti aspetti esso coincide con l'idea del bello:la bellezza è il modo in cui si esterna il bene interno:è una concezione ampiamente diffusa in tutto il mondo greco.Secondo Platone il sole è la "ratio essendi" (la ragione di essere)e la "ratio cognoscendi" (la ragione di conoscere)nel mondo sensibile:è infatti grazie al sole che riusciamo a vedere il mondo sensibile;in sua assenza vediamo molto male ed è grazie a lui che conosciamo la realtà sensibile.Il sole consente poi la vita:dove non c'è il sole non c'è vita.Il bene riveste le stesse funzioni del sole,però nel mondo intellegibile delle idee,che in un certo senso sono anch'esse "ratio cognoscendi" e "ratio essendi":l'idea fa sì che un cavallo sia tale e che lo si riconosca.Come detto,l'idea ha anche valenza assiologica (i cavalli mirano ad imitare l'idea di cavallo) ed è bene aggiungere di "unità della molteplicità":i cavalli sono tantissimi,ma l'idea di cavallo è unica e la si può definire "stampo" dei cavalli.Il bene in sè,oltre a quelle del sole,svolge le funzioni anche delle idee:risulta quindi inesatto definirlo idea:è una idea delle idee,una super-idea che si trova ad un livello superiore delle idee e che riveste funzioni analoghe a quelle delle idee sul mondo sensibile,ma sulle idee a stesse.Le idee sono unità della molteplicità,ma tuttavia sono tante:quindi si può fare lo stesso discorso che facevamo per le funzioni delle idee sul mondo sensibile;esse dovranno avere qualcosa in comune tra di loro.Esse rappresentano il bene per ciascuna categoria,il punto cui devono mirare i componenti di ogni "classe":le idee tendono ad essere il bene per la loro categoria:l'idea di uomo è il punto cui tutti miriamo:le idee fanno quindi riferimento al bene in sè,che è quindi un principio supremo,una super-idea.Esso svolge le stesse funzioni che le idee svolgono nel mondo sensibile,ma sulle idee stesse:ce le renderà conoscibili (conosco un'idea perchè è il bene della sua categoria),le farà esistere ( esistono nella misura in cui sono il bene della loro categoria,partecipano al bene).L'idea del bene sarà anche l'unità della molteplicità delle idee,che sono innumerevoli,pur essendo il solo modello per ogni categoria.Abbiamo detto che a volte,al posto di bene in sè,troviamo "uno","misura"...Abbiamo anche già parlato di quella volta che Platone tenne la conferenza sul bene parlando di matematica:dunque l'"uno" ben si riallaccia.Ma che cos'era il bene in sè?Per Platone esso è unità,armonia,ordine,misura,unità...In altri dialoghi parla del bene in sè,del vertice della realtà,come coppia di principi,o meglio come principio bipolare:al vertice della realtà ci sarebbero dunque l'"uno" e la "diade indefinita".L'"uno" è l'unità,la diade fa riferimento al 2,quasi all'idea di 2:Platone col 2 vuole chiaramente indicare la negazione dell'unità,suggerendo il principio della molteplicità o almeno un primo passo verso di essa.Con il bene in sè (in greco "katà auton")sta pian piano rivelandoci l'esistenza di un 5° livello,principio supremo della realtà.La dottrina delle idee serve a spiegare perchè,in fin dei conti,le cose sono buone,o meglio le idee sono buone:il mondo sensibile cerca di imitare la bontà delle idee,ma con scarsi risultati.Abbiamo fin'ora detto che le imitazioni risultano imperfette:è un'ipotesi molto vaga.E' il momento di spoiegare perchè le cose non sono perfettamente buone:bisogna o ammettere un altro principio o ammettere la bipolarità del principio:accanto all'"uno" (il bene vero e proprio)c'è la diade,la molteplicità concettuale che crea disordine.Cerchiamo di ritracciare lo schema già trattato in precedenza,però più corretto:
E' una gerarchia ontologica:più si sale e più cresce il tasso di essere perchè si ha esistenza sempre più forte:l'idea di cavallo non muore,il cavallo sì.Il punto di partenza,puramente teorico,addirittura sotto il livello delle immagini-imitazioni,è il non essere,poi troviamo l'essere pieno delle idee;il bene in sè,però,per Platone è per "dignità e per potenza" superiore all'essere:se le idee sono l'essere ciò che le motiva (il bene in sè) non può essere essere.Di fronte a questa affermazione di Socrate (ricordiamoci che a parlare è lui,con parole platoniche)l'interlocutore del dialogo esclama con stupore "Oddio!".In realtà esclama "per Apollo".Un interprete ha avanzato un'ipotesi:dato che è un pezzo di dialogo particolarmente allusivo egli ha ritenuto che sotto l'espressione "Apollo" (la divinità del sole,già qui ci può essere un collegamento alla proporzione precedente)si possa leggere "a" (alfa privativa) e "pollos",che significherebbe non molteplice.Effettuando questa affermazione non ci dice tanto ciò che il principio supremo è,quanto piuttosto ciò che non è (molteplice).Il bene risulta quindi coglibile con qualcosa che sta oltre alla conoscenza:se i livelli della conoscenza corrispondono all'essere e il non essere non è conoscibile,man mano che cresce il tasso di essere cresce il tasso di conoscibilità:ma il bene in sè è sopra,al di là dell'essere e quindi ha una conoscibilità totalmente fuori dal normale.Platone stesso ci dice che è una conoscenza extra-razionale.Schematizziamola in un grafico:
la conoscenza non è nient'altro che un tentativo del soggetto di arrivare all'oggetto o dell'oggetto di arrivare al soggetto:limitiamoci a dire che è un tentativo di unione tra soggetto ed oggetto.Se si sale dalla parte del soggetto,di pari passo si sale da quella dell'oggetto:crescono di pari passo.Paradossalmente,però,l'identificazione tra soggetto e oggetto implica l'inconoscibilità:per conoscere ci deve essere un soggetto che compie l'azione ed un oggetto che viene conosciuto:se vengono a mancare,manca di conseguenza anche la conoscibilità.Il bene in sè si trova esattamente nel punto di incontro tra soggetto ed oggetto:Platone afferma che la conoscenza del bene in sè sia un'esperienza mistica dove però è indispensabile la ragione;la si potrebbe tranquillamente definire una mistica di superamento della ragione.

IL MITO DI ER
Pur avendo già dimostrato che l'anima è eterna in modo razionale,Platone si serve poi di un mito,il celebre mito di Er ,un guerriero della Panfilia morto in battaglia.Il suo corpo viene raccolto e portato sul rogo (era un'usanza greca):proprio prima che gli diano fuoco si risveglia e racconta ciò che ha visto nell'aldilà,affermando che gli dei gli han concesso di ritornare sulla terra per raccontare agli altri uomini ciò che ha visto.Dice di aver visto 4 passaggi attraverso i quali le anime salgono nella dimensione ultraterrena,da un passaggio le buone,dall'altro le malvagie,e tramite i quali ritornano sulla terra.Infatti,dice,le anime buone finivano in una sorta di Paradiso dove godevano,le cattive in una sorta di Purgatorio (l'Inferno era un fatto raro,destinato solo ai più malvagi).I giusti ricevono premi per 1000 anni,i malvagi soffrono.Dopo questi 1000 anni le anime buone e quelle cattive si devono reincarnare.Esse si recano al cospetto delle 3 Moire che devono stabilire il loro destino.Le anime vengono radunate da una specie di araldo che distribuisce a caso dei numeri,seguendo una prassi che può ricordarci quella dei supermercati;infatti prende i numeri e li getta per aria ed ogni anima prende quello che le è caduto più vicino (questo sottolinea come nella nostra vita ci sia comunque una componente di casualità).Il numero serve per dare un ordine alle anime che devono scegliere in chi reincarnarsi;chiaramente chi ha il numero 1 è avvantaggiato perchè ha una scelta maggiore,ma deve comunque saper scegliere bene.Dunque c'è sì una componente di casualità,ma in fin dei conti la nostra vita ce la scegliamo noi:è vero che per chi nasce,per esempio,in una famiglia agiata è più facile essere onesti rispetto a chi nasce in una famiglia povera,oppure chi nasce in una famiglia onesta è avvantaggiato rispetto a chi nasce in una famiglia disonesta,ma tuttavia la nostra vita ce la scegliamo noi.Ma quelli che hanno numeri sfavorevoli non sono necessariamente svantaggiati perchè scelgono dopo:in primo luogo le possibilità di scelta che gli restano sono sempre tantissime,in secondo luogo chi è primo non sempre effettua buone scelte; Er racconta che nel suo caso chi scelse per primo scelse la tirannide che gli aveva fatto una buona impressione (infatti lassù si vedono le cose sotto forma di oggetti:forse la tirannide aveva dei bei colori,chi lo sa?).Costui,non appena si era accorto di ciò che comportava l'essere tiranno,non voleva più esserlo,ma era troppo tardi:le Moire gli danno l'incarico di tiranno e lo lanciano sulla terra,dopo averlo immerso nel fiume Lete perchè dimentichi (Er chiaramente non è stato immerso).Er dice che per ultima era arrivata l'anima di Ulisse e che,stanca della passata vita "movimentata",scelse la vita di un comune cittadino.Platone fa notare che di solito chi veniva dal Paradiso tendeva ad effettuare scelte sbagliate,mentre chi veniva dal Purgatorio e aveva sofferto sceglieva bene.Infatti chi aveva vissuto per 1000 anni di beatitudine si era scordato di che cosa fosse la sofferenza.Quindi chi ha sofferto sceglie bene e sceglie una buona vita che lo porterà al Paradiso,mentre chi ha goduto sceglie male e dopo che ri-morirà finirà in Purgatorio.Pare quindi un circolo vizioso,ma in realtà Platone dice che il motivo per cui si sceglie una vita buona o una cattiva può derivare da doti naturali:ci sono infatti persone portate a comportarsi bene per inclinazione naturale:vi è anche chi ha conoscenze basate sulla doxa (l'opinione) e che può cogliere alte realtà,ma solo casualmente,senza riuscire a fornire motivazioni:costoro,che conducono una vita buona per caso,non radicata nella coscienza,si smontano facilmente nel Paradiso quando godono e finiranno per scegliere male.Chi ha invece raggiunto il bene in sè,la super-idea del bene,non cadrà mai nel male.
LA DISQUISIZIONE LINGUISTICA
Platone nel "Cratilo" effettua un'ampia discussione sulla problematica della lingua.Al tempo dei sofisti vi erano state interessanti considerazioni a riguardo , legate al binomio "nomos"-"fusis" (convenzione-natura);questo della lingua è un problema tipicamente antropologico e di materia sofistica.Alcuni sofisti erano del parere che si attribuiscano i nomi in maniera spontanea,secondo natura ("katà fusin"),come se la natura stessa ci suggerisse la nomenclatura di cui servirsi nei suoi confronti.Altri la pensavano in modo opposto:gli uomini attribuiscono i nomi in maniera assolutamente artificiale,secondo convenzione ("katà vomon").Questa diatriba è in corso ancora al giorno nostro;Platone,dal canto suo,sostenne che attribuiamo i nomi un pò "katà fusin" e un pò "katà nomon".Nella tradizione ebraico-cristiana vi è il mito della torre di Babele;la lingua di Adamo (l'ebraico) sarebbe stata naturale ed i nomi corrispondevano esattamente all'essenza delle cose e proprio con i nomi si poteva cogliere l'essenza delle cose.Nella torre di Babele i linguaggi successivi sarebbero stati convenzionali e non vi era più piena corrispondenza tra i nomi e le cose.Platone è dunque del parere che la soluzione sia intermedia e noi moderni concordiamo con lui:vi è una mescolanza dei fenomeni.Esiste sì una derivazione naturale dei nomi:sono le cose stesse che suggeriscono i nomi da usare,ma le lingue parlate sono molteplici:una componente di arbitrareità ci deve per forza essere.Quindi le cose tendono a suggerire il nome con cui chiamarle ma dopo di che l'uomo ci lavora sopra correggendo il tutto con la ragione:ancora oggi,comunque,ci sono parole onomatopeiche,che suggeriscono l'essenza del soggetto cui sono riferite ("zanzara","cornacchia"...).Si tratta di una teoria intermedia che mette insieme il lavoro razionale a quello naturale.Ma cosa c'entra tutto questo nell'ambito del "Cratilo" e della discussione del vero-falso ? Più di quello che potrebbe sembrare : per Platone entrambe le possibilità per denominare le cose negano la possibilità dell'errore : le parole corrispondono esattamente alle cose;o sono totalmente artificiali o totalmente naturali:si arriva alla stessa conclusione.Se mi attengo alla teoria "katà fusin" un libro mi suggerisce la parola con cui chiamarlo ed è solo quella:non c'è possibilità di errore.Se mi attengo al "katà nomon" i nomi sono totalmente artificiali e quindi vanno bene tutti :lo posso chiamare libro,ma anche tavolo,scarpa...sarà in ogni caso corretto e anche qui non c'è possibilità di sbagliare:infatti in assenza di un arbitrio generale tutti i nomi risultano corretti.Il far corrispondere al meglio (con un misto di lavoro naturale e artificiale) il nome all'essenza delle cose consente di affermare che l'errore esiste e che la retorica (quella vera è ) è la filosofia.Platone sposta poi il problema dalle cose alle idee:così come si possono dare nomi alle cose che si conoscono,si possono dare nomi alle idee che si conoscono:c'è una dimensione conoscitiva e vi è uno sforzo di attribuire nomi che esprimano l'essenza di ciò a cui si riferiscono.
IL PARRICIDIO DI PARMENIDE
Nel Sofista Platone immagina un dibattito tra materialisti ( i seguaci di Democrito ) e idealisti ( in un certo senso tra le compagini degli idealisti possiamo annoverare il Platone di tempi addietro , quando aveva appena scoperto il mondo intellegibile delle idee ) , chiamati "gli amici delle idee" . Gli uni sostengono l'esistenza solo delle cose materiali ( ma se così fosse , come si farebbe a dire , per esempio , che una cosa è giusta ? Infatti se una cosa è giusta è perchè partecipa all'idea di giustizia : quindi le idee , enti immateriali , esistono ) , gli altri sostengono anche l'esistenza delle cose non materiali e di conseguenza delle idee in quanto subiscono un'azione : vengono pensate e conosciute.Così,però,entra in crisi la concezione delle idee come un qualcosa di immobile : esse esistono nella misura in cui subiscono un'azione e di conseguenza è ovvio che ciò comporti il movimento.Le idee si muovono perchè subiscono l'azione dell'essere conosciute. Dopo di che , Platone passa ad esaminare 5 idee di fondamentale importanza : l'essere , la quiete , il movimento , l'identico , il diverso .Platone fa subito notare come queste 5 idee siano in rapporto complesso tra di loro ed è come se fossero vive perchè hanno rapporti complessi le une con le altre.Si arriva a dire che il mondo delle idee sia un mondo vivo , dotato di intelligenza (sennò come farebbero le idee ad avere rapporti complessi ? );queste 5 idee sono tra l'altro molto importanti per esemplificare che il mondo delle idee non è affatto statico.Dapprima si considerano l'essere , la quiete ed il movimento:derivano tutte e tre dalla discussione precedente (l'essere e le 2 ipotesi , quella dei materialisti,secondo i quali l'essere è in continua evoluzione e non è mai lo stesso , e quella degli idealisti ,secondo cui è un essere immobile )e si comincia una complessa e articolata indagine per analizzare i vari rapporti che intercorrono tra queste idee : ogni idea , infatti , partecipa di altre idee,senza però identificarvisi : è chiaro che solo l'idea di essere è l'idea di essere , ma tutte le altre idee ne partecipano : infatti tutte le idee esistono , sono.Solo l'idea della quiete è l'idea della quieta,ma molte altre ne partecipano(lo stesso vale per quella di movimento).Si passa poi all'idea di identico e di diverso:ogni idea è identica a se stessa e diversa dalle altre , pur non identificandosi nell'idea di identico e di diverso.L'idea stessa dell'essere partecipa all'idea di non essere perchè l'essere è se stesso ma non è nessun' altra idea.da qui nasce il famoso parricidio di Parmenide : anche il non essere è ,esiste ; si evidenzia quindi la distinzione di essere con valore copulativo (quel libro è bello) da essere con valore esistenziale (l'uomo è):dire "una cosa non è" non vuol dire negare la sua esistenza , ma dire che è diversamente : la penna non è il libro.Nasce quindi la possibilità dell'errore , che prima pareva negata : sbagliare significa dire le cose diversamente da come sono.Vi è quindi il nuovo valore della parola "dialettica":le idee si richiamano le une alle altre e tra loro intercorrono comlessi rapporto:sono vive e "pensanti" , in quanto si rapportano tra di loro secondo una logica.Secondo Platone le idee sono come le lettere dell'alfabeto che si possono legare e formare un numero quasi infinito di parole ,attenendosi però alle precise regole del discorso;così le idee si possono legare con altre idee (ma non con tutte) secondo determinate leggi e non a caso (come le parole unite a caso non hanno senso , così anche le idee).
L'AUTOCRITICA DELLE IDEE
Secondo alcuni studiosi nella fase della vecchiaia è come se Platone effettuasse un'autocritica della dottrina delle idee:essa,infatti,risolve alcuni problemi per crearne altri;non si è totalmente certi che sia realmente un'autocritica e c'è chi sostiene semplicemente che Platone si faccia portatore di discussioni che si tenevano nell'Accademia ,un luogo aperto dal punto di vista intellettuale:forse vi fu chi non approvò la teoria delle idee e la contestò.Vi sono anche indizi che ci inducono a pensare che sia così:il "Parmenide" rientra in questi dialoghi e vede al centro la figura di Parmenide perchè si affronta il problema del rapporto tra l'uno ed i molti,molto caro a Parmenide appunto,e quello del rapporto idee-superidea del bene;i temi centrali sono quelli dei tempi di Parmenide (il dialogo è ambientato in quel periodo):è come se Platone riprendesse ciò che era stato lasciato in sospeso anni addietro.Protagonisti del dialogo sono Socrate , Parmenide e Zenone , discepolo di Parmenide ;questo dialogo può per diversi aspetti essere accostato al "Sofista",dove il protagonista è "lo straniero di Elea",la città di Parmenide e di Zenone .Il vero tema centrale del "Parmenide" è quello riguardante le idee e le cose,a cui Platone aveva finora solo accennato senza mai sbilanciarsi troppo : che cosa intendesse per "compartecipazione",per esempio,non l'aveva ancora detto : arriva a dire che le idee sono ciò in virtù di cui le cose empiriche possiedono certe caratteristiche . Nel Parmenide sono attestate l'una accanto all'altra e con pari legittimità una versione concreta e materiale e una versione astratta e metaforica della compartecipazione : nella sua versione concreta , la partecipazione delle cose empiriche ad un'idea implica che l'idea sia effettivamente presente nelle cose partecipanti : ad esempio , tutte le cose empiriche molteplici si rivelano molteplici in quanto l'idea della molteplicità è presente in esse . Nella sua versione astratta e metaforica , invece , la partecipazione consiste nella somiglianza delle cose empiriche ad un'idea . Affronta questo problema partendo proprio dall'uno ed i molti.Tuttavia , se Platone si distacca dal maestro Socrate , egli è e gli resta fedele ; è e resta fedele cioè all'ideale , che questi incarna , della filosofia come continua ricerca.Pure nel "Sofista" c'è il problema uno-molti,ma non è riferito al rapporto tra idee e cose,bensì tra idee e basta:è una questione tutta interna alle idee.Va subito rilevato che nel "Parmenide" ed in generale in tutti questi dialoghi della vecchiaia vi è un'attenuazione dell'aspetto dinamico,forse dovuto all'età:la fantasia giovanile tende a venir meno,così come la figura di Socrate tende a sfumare; mentre il "Simposio" è un esempio della letteratura greca,il "Parmenide" non lo è : testimonia la volontà di addentrarsi in discussioni tecniche e di conseguenza lo stile si fa più arido.Anche la figura di Socrate tende a diventare marginale ed a sparire:ciò significa che i temi di Platone sono davvero estranei e distanti da Socrate e non se la sente di metterglieli in bocca;è evidente che quando si parla di virtù e di giustizia ci si può riallacciare a Socrate ,ma i problemi metafisici e ontologici non erano materie che rientravano negli interessi del maestro di Platone.Nel "Parmenide" la figura di Socrate è addirittura quella di un ragazzino:volendo introdurre Parmenide per questioni cronologiche è costretto a mettere in gioco un Socrate giovane ed un Parmenide vecchio ( Zenone è un uomo maturo);fatto sta che Platone deve comunque aver forzato leggermente la cronologia per immaginare l'incontro. Parmenide nel dialogo è sempre accompagnato dagli aggettivi "venerando" (sia perchè è anziano sia perchè Platone lo ritiene il fondatore della filosofia astratta) e "terribile" (ragionava in modo così logico e razionale da mettere in crisi).In tutti i dialoghi che abbiamo esaminato Socrate è sempre stato il protagonista indiscusso in cui Platone si identificava;ma nel "Parmenide" in chi dei tre si identifica ? Da un certo punto di vista si identifica in Parmenide ,da un altro in Socrate ;compare come Socrate nella forma giovanile,come Parmenide in quella senile.Il nucleo del dialogo ruota intorno a Socrate che fa delle affermazioni e a Parmenide che le corregge,dicendogli che da grande capirà.Vi è una interpretazione ingenua e giovanile delle idee ed una più senile e completa: Parmenide non è che dica cose opposte,si limita a correggere ed a rendere più complesse e complete le affermazioni di Socrate .E' Platone anziano che si confronta con Platone giovane,ma può anche essere Platone che si confronta con chi nell' Accademia contestava la dottrina delle idee.Come detto il "Parmenide" affronta due tematiche:l'uno-molti,che viene discusso a livello astratto,e idee-cose.Cosa significa in concreto che molte cose partecipano a un'idea sola ? Platone avanza diverse ipotesi e le respinge un pò tutte:per esempio ipotizza che il rapporto di partecipazione sia di presenza:un'unica idea sarebbe quindi presente in più cose,ma sarebbe molteplice e non più unità del molteplice:infatti ce ne sarebbero tantissime.Vi è poi la famosa argomentazione del "terzo uomo",nella quale si evidenzia la difficoltà nel rapporto idee-cose: Parmenide ,dopo che Socrate ha esposto la dottrina delle idee, afferma che l'idea è quindi ciò che unifica molte cose,che il ragionamento è che tante cose insieme presentano una cosa in comune:gli uomini hanno una cosa in comune:l'idea di uomo.Ma l'idea di uomo,che rappresenta l'unità,dovrà per forza avere qualcosa in comune con gli uomini:gli uomini sensibili si assomigliano perchè imitano l'idea di uomo;ma un rapporto di somiglianza non c'è solo tra gli uomini sensibili,ma anche con l'idea di uomo:se ci sono gli uomini e l'idea di uomo e sono tra loro simili,ci deve essere per forza essere qualcosa di comune all'idea di uomo e agli uomini che li rende simili,che li accomuna:ci deve essere un terzo uomo;questa argomentazione può andare avanti all'infinito perchè ci dovrà sempre essere qualcosa in comune.Vi è chiaramente una contraddizione nella dottrina delle idee,che era servita per semplificare la realtà ma che la complica ammettendo la molteplicità:gli enti invece di ridursi si moltiplicano all'infinito.Vi è poi una terza argomentazione: Parmenide chiede a Socrate di che cosa ammette che ci siano le idee e lui risponde citando le cose astratte quali la giustizia,la bellezza,gli enti matematici...Dice di non essere certo che esistano idee degli oggetti sensibili veri e propri:l'idea di albero,di cavallo,di cane...Platone era ricorso a queste idee:per spiegare l'attività di un artigiano aveva perfino ammesso che le idee potessero essere create dall'uomo:Platone si era occupato del problema delle tecniche e aveva ammesso che ci fossero delle tecniche di produzione e delle tecniche di uso;chi costruisce le briglie per i cavalli mette in atto la tecnica di produzione ,il cavaliere che cavalca quella di uso.Il cavaliere deve sapere come le briglie devono essere usate,come funzionano,come devono essere:dà le indicazioni all'artigiano che le fa come vuole il cavaliere.Chi applica la tecnica di uso crea un'idea che l'artigiano deve imitare:egli guarda ad un'idea creata da chi mette in pratica la tecnica d'uso.Platone sembra ipotizzare la produzione delle idee:l'idea di tavolo,per esempio,è una sorta di idea che gli uomini si fanno.Chiaramente in una ipotetica scala gerarchica chi usa è più in alto di chi produce. Socrate dice che certamente non esistono le idee delle cose spregevoli ed insignificanti:ad esempio,il fango ed il capello che corrispettivo possono avere nel mondo delle idee,dice Socrate .Ma Parmenide gli dice di pensarci bene e forse un giorno capirà. Socrate stava evidentemente pensando alla valenza assiologica:l'idea è il punto cui le cose sensibili devono mirare,è il meglio verso cui tendere.Come si può tendere all'idea di fango ? Però Parmenide ,ontologo per eccellenza,dice che se l'idea deve essere l'essenza di ogni cosa ,anche il fango dovrà avere una sua idea. Parmenide fa qui notare che nel concetto di idea la valenza ontologica contrasta con quella assiologica,cosa che peraltro Platone sapeva benissimo : proprio per questo possiamo leggere il dibattito Parmenide - Socrate come uno scontro tra il Platone ontologico e quello assiologico . In effetti se pensiamo al piano assiologico pare impossibile che esistano idee di cose spregevoli : se però consideriamo quello ontologico , così come un cavallo esiste nella misura in cui compartecipa all'idea di cavallo , anche il fango o la sporcizia esistono nella misura in cui imitano l'idea di fango e di sporcizia . Parmenide poi mette definitivamente a tacere Socrate con un'ultima obiezione : comunque venga concepita , l'ipotesi della compartecipazione pare in contrasto con l'assunto della separazione delle idee; in effetti se le idee rimangono davvero separate dal mondo sensibile , esse saranno in relazione tra loro soltanto ma non con il mondo sensibile degli uomini , come d'altronde anche le cose empiriche si porranno le une in rapporto alle altre senza alcun genere di contatto con le idee . Pertanto se vi è questa separazione nettissima che Platone (qui Socrate ) aveva sempre predicato tra mondo sensibile e mondo intellegibile , nessuna partecipazione tra idee e mondo sensibile sarà ammessa e così neppure nessuna conoscenza delle idee per noi uomini sarà possibile . Questa difficoltà è indicata da Parmenide come "la più grande di tutte" ("megiston dè tòde") : le idee devono per forza rimanere in sè e per sè , radicalmente separate dal mondo sensibile , perchè la separazione ne preserva l'assoluta superiorità ontologica , stabilendo un'incolmabile discontinuità rispetto alle cose empiriche .Va notato che Platone,in ogni suo dialogo,prende spunto un pò da tutti gli altri filosofi e Parmenide non fa eccezione : l'idea platonica è unità e stabilità proprio come l'essere parmenideo.L'istanza etica di Socrate vuole idee solo positive e guarda alla assiologia , mentre Parmenide è interessato all'essere,al piano ontologico:d'altronde è risaputo che Socrate fosse un antropologo,una persona che si interessava ai valori.Platone si rende conto che è Parmenide ad avere ragione e non Socrate .Nel dialogo Parmenide discute sul rapporto tra l'uno ed i molti:è una discussione a tal punto tecnica e complessa che si è arrivati a pensare che si tratti di una parodia,una presa in giro da parte di Platone di alcune scuole.Nel "Parmenide" comincia a trasparire una nuova accezione della parola "dialettica",tipica di Socrate e di Platone : originariamente designava il dialogo socratico , poi è passata a designare la tecnica argomentativa di Platone ed è anche divenuta sinonimo di "filosofia";nel "Parmenide" il significato si sposta da un certo modo di affrontare la conoscenza al rapporto tra le idee:non esiste solo un dialogo-scontro tra gli uomini (quello che dava vita alla fiamma) che aumenta la conoscenza , ma anche tra le idee : lo "scontro" si sposta dal soggetto della conoscenza all'oggetto.Il concetto dell'uno ed i molti si richiamano a vicenda:non si può conoscere pienamente il concetto di uno se non si conosce il concetto di molti e viceversa.Un modo per sintetizzare la filosofia di Parmenide può essere l'affermazione "l'uno è" ,la negazione della molteplicità ;Platone dice che quando si predica il concetta di uno lo si moltiplica:se non si predicasse affatto sarebbe davvero uno ,ma se ne parlo non è già più uno,è già due:gli si aggiunge il concetto di essere."L'uno è l'essere" :affermo il molteplice perchè lo predico : nego e affermo nello stesso tempo.Le idee non sono una accanto all'altra,ma se le accosto dialogano e si scontrano.Questo è il nuovo significato di dialettica,che non designa più solo un metodo di indagine:diventa anche la struttura della realtà
IL MITO DI ATLANTIDE
Quello della città di Atlantide é uno dei più celebri miti platonici ; esso si trova all'interno del " Crizia " ; tratta di due grandi città che entrarono in conflitto tra loro : Atene , l'attuale capitale della Grecia , e Atlantide , città che per via di cataclismi si inabissò e sparì dalla faccia della Terra e diede il nome al Mar Atlantico . L'Atene descritta da Crizia é un' Atene fuori dal tempo , quasi mitologica . Gli dei patroni di Atene , spiega Crizia , erano Efesto , il fabbro degli dei , e Atena , la dea della sapienza , che diede il nome alla città . Gli dei pur abitando sulle vette del monte Olimpo , si spartivano le terre tra di loro con un sorteggio effettuato da Giustizia ( la greca Dike ) . Nelle terre che venivano loro assegnate svolgevano sugli uomini le stesse mansioni che i pastori svolgono sulle greggi . Fatto sta che ad Atena e ad Efesto , forse perchè erano fratelli , forse perchè nutrivano interessi affini ( il sapere , l'arte ) toccò la stessa terra . In Atene vi erano diverse classi di cittadini , ciascuna delle quali svolgeva determinate funzioni . Vi erano i guerrieri , i produttori , i governatori . La proprietà privata non esisteva : sembra quasi che Platone si ricolleghi a quanto dice nella Repubblica .Crizia si sofferma sull'assetto urbanistico della città di Atene , ed in particolare sul suo splendido acropoli , diverso da quello dei suoi tempi , per poi passare alla descrizione di Atlantide . Quest'isola con il sorteggio toccò a Poseidone , il dio del mare . Era un'isola molto ricca : basti pensare che dal mare fino al centro dell'isola era tutta una pianura fertilissima . Vi era poi nel mezzo un monte non altissimo , sulle cui vette abitava un uomo , di nome Euenore , con la moglie Leucippe , dalla quale aveva avuto una figlia , Clito , che però rimase orfana proprio quando era in età da marito . Poseidone , preso da compassione , giacque con lei . Quindi scavò tutt'intorno all'altura sulla quale dimorava Clito formando come dei cerchi concentrici , alternativamente di terra e di mare , ora più larghi , ora più stretti . Così il monte risultava inaccessibile agli uomini e Clito poteva vivere tranquilla . Si era venuta a creare una vera e propria isola irraggiungibile ( dal momento che allora non c'erano le navi e la tecnica della navigazione era sconosciuta ) . Poseidone rese prosperosissima quella terra facendovi zampillare fonti e facendovi crescere frutti di ogni qualità . Poi allevò 5 coppie di gemelli e suddivise l'isola di Atlantide in 10 parti , ciascuna delle quali venne affidata ad uno dei 10 figli . Il vero capo era però il più anziano dei fratelli , a cui Poseidone mise il nome dell'isola e lo chiamò " Atlante " . Il secondo lo chiamò Gadiro . La progenie di Atlante fu numerosa e gloriosa ed i successivi sovrani accumularono tantissime ricchezze ; l'isola di Atlantide era del tutto autosufficiente , ma tuttavia non rinunciava alle importazioni . Abbondava di metalli ed in particolare di oricalco , che era il secondo metallo più prezioso dopo l'oro . Poi costruirono dei ponti che mettevano in contatto l'isola con l'isolotto costruito da Poseidone , che era divenuto sede dei sovrani . I dieci sovrani gareggiavano tra di loro in magnificienza e sontuosità . Come ogni città degna di rispetto c'era anche l'acropoli , al centro del quale era situato il tempio sacro a Poseidone e a Clito , recintato da un muro in oro . L'isola abbondava pure di fonti , sia fredde sia calde , pronte all'uso : gli abitanti vi disposero attorno edifici , giardini e vi riempirono grandi e magnifiche vasche . L'acqua defluiva poi verso il bosco sacro a Poseidone , che faceva crescere piante rigogliose ed una natura lussurreggiante . Nelle cerchia più esterne della città c'era il grande ippodromo , attorniato da edifici destinati all'alloggiamento del contingente dei lancieri . Crizia parla poi del porto , un vero e proprio via vai di imbarcazioni e di genti che venivano da ogni parte per commerciare . Numerosi erano i canali di irrigazione che sorgevano nella pianura che andava dal mare fino al centro dell'isola e che la rendevano fertilissima . L'isola di Atlantide aveva anche un suo esercito , formato dalle genti di tutta l'isola . Dei diec re ciascuno disponeva a suo piacimento delle genti su cui regnava ; tra i vari sovrani c'era un patto di alleanza regolato dallo statuto di Poseidone . Proprio nel tempio di Poseidone , sull'acropoli , si radunavano i 10 sovrani ogni 5 - 6 mesi per prendere decisioni di interesse comune e per processare coloro che si erano mal comportati . I processi venivano svolti dopo la celebrazione di un rito in cui fondamentale era la presenza del toro . Tra le varie leggi senz'altro la più importante era quella che proibiva assolutamente ai sovrani di farsi guerra tra di loro : vi doveva essere massima armonia e concordia e dovevano essere alleati e combattere insieme contro il nemico comune . Sembrava un vero e proprio paradiso terrestre , ma improvvisamente vi fu una degenerazione . Il che non piacque a Zeus , il padre degli dei , che volle punire l'isola .
IL DEMIURGO
Dunque il mondo fisico deriva da un padre (il mondo delle idee) e da una madre (la materia , che è la condizione per l'esistenza del mondo fisico stesso ma che mantiene comunque una componente di indeterminazione) : ma cos'è che fa da madiatore tra il mondo delle idee e la materia ? Cos'è che fa sì che le idee si calino nel mondo sensibile ? Platone mette a questo punto in gioco la figura del Demiurgo (dal Greco "demos" ,popolo, + "ergon" , opera, = artigiano).Il Demiurgo è un divino artigiano : è colui che contemplando le idee plasma la materia sul modello delle idee stesse.Platone introduce quindi una divinità a tutti gli effetti (fino ad adesso non ne avevamo mai realmente incontrata una).Il concetto che l'artigiano guardi ad un modello è tipicamente platonico (e aristotelico ): mentre gli artigiani umani guardano ad un modello che hanno nella loro testa , il Demiurgo guarda ad un qualcosa che è fuori da lui:dato che le idee sono il bene per la loro categoria , anche il mondo sensibile dev'essere per forza buono , sebbene indeterminato.Che rapporto intercorre tra le idee , la materia ed il Demiurgo ? Tutti e tre sono coeterni , sono sempre esistiti.A differenza della divinità cristiana , che crea il mondo, quella platonica si limita a plasmarlo e non è onnipotente : ha infatti due limiti : la materia , che gli impedisce di costruire un mondo perfetto , e le idee , che sono il modello a cui deve per forza attenersi.Il Demiurgo guarda sì al meglio , ma il suo comportamento è dato da qualcosa da lui esterno ed indipendente.Nel Medioevo vi fu un grande dibattito teologico : le cose sono sante perchè piacciono alla divinità o piacciono alla divinità perchè sono sante ? In altre parole : la divinità è colei che riconosce le cose buone e le sceglie , o è colei che fa le cose buone ? Per Platone le cose sono buone intrinsecamente e non perchè c'è chi decide che lo siano : il bene in sè è il criterio per giudicare tutte le cose che possono essere buone;è buono ciò che partecipa alla super-idea di bene , come è bello ciò che partecipa all'idea di bellezza.Le idee sono il modello per gli uomini e per la divinità.Chiaramente la divinità vale di più rispetto all'uomo : essa riconosce facilmente il bene , mentre gli uomini hanno delle difficoltà e non sempre ci riescono.Vi fu chi arrivò a dire che ciò che è giusto è giusto perchè l'ha deciso la divinità.Chiaramente se Platone avesse avuto modo di prendere parte al dibattito teologico medioevale , avrebbe affermato che le cose buone piacciono alla divinità perchè sono buone e non avrebbe potuto accettare l'idea che le cose sono buone perchè piacciono alla divinità. E' corretto affermare che la divinità per Platone è il Demiurgo solo entro certi limiti : se la divinità per definizione è il principio supremo , allora la divinità platonica dovrebbe essere il bene in sè.Se la divinità è principio della realtà , è evidente che non deve dipendere da nulla : ma il Demiurgo dipende dalla super-idea del bene e dalle altre idee che è costretto ad imitare : ne consegue che non è indipendente ma è al contrario limitato.Il bene in sè ,invece,abbiamo visto che è illimitato ed è lui stesso il principio (bipolare) della realtà.Il concetto di divinità nella tradizione ebraico-cristiana attinge un pò dal Demiurgo e un pò dalla super-idea del bene.Non a caso nel Medioevo il "Timeo" (che è appunto il dialogo dove compare il Demiurgo) ,a differenza degli altri dialoghi platonici, continuò ad essere letto e non cadde in disuso.Questo perchè il "Timeo" è l'opera platonica più vicina al Cristianesimo : c'è l'idea della plasmazione , piuttosto vicina a quella della creazione : inoltre la divinità in un certo momento crea il mondo (la divinità di Aristotele invece fa ben poco).Va poi ricordato che il Demiurgo è un dio-persona come quello dei Cristiani.Dietro a questo amore cristiano per il "Timeo" , probabilmente c'è un fraintendimento : le interpretazioni del "Timeo" sono due e i Cristiani scelsero probabilmente quella sbagliata.Se si legge il "Timeo" alla lettere si incontra questo "plasmatore" divino : sembra che il mondo prima non ci sia e che ci sia solo la materia : si ha l'impressione che ci sia un tempo prima e un tempo dopo . Ma Platone credeva in ciò che diceva ? Se si legge accuratamente il "Timeo" ci si accorge che Platone ad un certo punto si pone un quesito : che cos'è il tempo ? Il Demiurgo tra le varie cose plasma anche gli astri , il cui movimento regolare si identifica con il tempo.Il tempo viene definito "immagine mobile dell'eternità": come il mondo sensibile è imitazione di quello intellegibile (il primo mutevole , il secondo eterno) , così il tempo è imitazione dell'eternità.Non a caso il tempo viene identificato con il movimento circolare : se si vuole rappresentare l'eternità con qualcosa di movimentato , senz'altro ciò che meglio la rappresenta è il cerchio , il movimento circolare in cui si compie un giro per poi tornare al punto di partenza:infatti il tempo è caratterizzato dal non essere eternità ma tornare sempre su se stesso.La cosa più simile a ciò che non si muove mai è quella che torna sempre su stessa , così come la cosa più simile che l'uomo possa fare per eternarsi è il riprodursi ciclicamente.Dunque il tempo è la plasmazione dell'eternità ideale da parte del Demiurgo.La conseguenza è che non c'è un tempo prima del mondo perchè è solo con la nascita del mondo sensibile che il Demiurgo ha calato nella realtà sensibile l'imitazione di eternità.Questa è una visione ben diversa da quella cristiana nella quale la divinità in un certo momento decise di creare il mondo.Va poi ricordato che Platone stesso all'inizio del "Timeo" dice che si tratta di un mito : di conseguenza i Cristiani hanno preso per vero qualcosa che Platone stesso dice non essere vero , ma solo un'immagine che rappresenta la relazione tra mondo intellegibile e materia.Quindi Platone non credeva assolutamente nella figura del Demiurgo ed il suo vero dio resta il bene in sè.Oltre ad esprimere la relazione tra idee e materia , il mito del Demiurgo esprime anche il finalismo : Kant direbbe "è come se" il mondo fosse stato elaborato da un artigiano.Il mondo sensibile è da sempre e per sempre un' immagine temporale del mondo delle idee.Il Demiurgo dunque comincia a plasmare nella materia (che Platone chiama anche "spazio")e arriva a generare tutta la realtà . Platone dice che la prima cosa che si crea nello spazio sono 4 solidi geometrici fondamentali : si tratta dei 4 solidi regolari (costituiti da facce uguali tra di loro).Platone è convinto che si possano ottenere tutti e 4 partendo da un triangolo rettangolo isoscele:ricombinandolo si possono ottenere vari tipi di figure ( se ne creerebbero 5 , ma Platone una la scarta).Essi sono il cubo , l'ottaedro , il tetraedro , l'icosaedro (quello che scarta è il dodecaedro). Questi 4 solidi stanno a rappresentare i 4 elementi fondamentali di Empedocle (terra , acqua , aria , fuoco , che verranno poi anche ripresi da Aristotele ) : ognuno dei 4 elementi di Platone è costituito da parti minime (non ulteriormente divisibili)e ciascuno è caratterizzato da una forma : per Platone la terra è il cubo , che suggerisce l'idea di regolarità , materialità , stabilità e compattezza.Il fuoco , per esempio, è invece rappresentato dal tetraedro perchè , dal momento che brucia , deve essere particolarmente spigoloso (il tetraedro è il più spigoloso) e la forma stessa della fiamma è simile a quella del tetraedro.Platone ancora una volta prende spunto dalla filosofia dei suoi precedenti mescolando in questo caso Empedocle a Democrito (che tra le varie cose riteneva che a stimolare i nostri sensi fossero le determinate forme degli atomi)e ai Pitagorici (Timeo è pitagorico e le forme degli elementi sono geometriche).Tra l'altro ci possiamo anche riallacciare alla gerarchia dei livelli della realtà : abbiamo detto (con l'aiuto del grafico) che i numeri erano a metà strada tra mondo sensibile e mondo intellegibile ; qui vengono utilizzati come collegamento tra mondo ideale e materiale.Il Demiurgo plasma quindi l' Universo ed il Sistema (non è molto chiara la struttura astronomica che attribuisce al Sistema : pare che Platone abbia superato la teoria geocentrica ; non ammette il movimento di rivoluzione , ma sembra ammettere quello di rotazione:è la Terra che gira). Platone introduce poi il concetto di "anima del mondo" : il mondo delle idee abbiamo detto che è movimentato , intelligente, vitale: il mondo sensibile , nella misura in cui il Demiurgo lo plasma , non può che essere simile a quello intellegibile : ha un' anima sua .L'Universo è un grande essere vivente permeato interamente da un' anima.Tutto quindi è vitale , sebbene in diverse misure .
LA DIADE
Tutto il "Timeo" è incentrato sulla necessità di spiegare il mondo fisico e la sua compartecipazione alle idee:le idee sono perfette , le cose no:da un lato si predica il bene (le cose tendono alla perfezione ideale)dall'altro il male (non riescono ad imitare perfettamente): si crea così una sorta di ambiguità;si può accettare la frase non platonica "viviamo nel migliore dei mondi possibili" in quanto il nostro mondo si avvicina più che può a quello intellegibile.Finora per quel che riguarda l'imperfezione del mondo sensibile ce l'eravamo cavata dicendo che un'imitazione , per definizione , non è mai perfetta:ma perchè il mondo non sarà mai perfetto ? Qual è l'ostacolo ? Platone era del parere che il nostro fosse un mondo buono,ma tuttavia era consapevole della sua imperfezione.Alla domanda che ci siamo appena posti Platone rispose così : per lui ciò che impedisce al mondo sensibile di essere perfetto è la materia;perchè il mondo empirico si realizzi e si plasmi occorre che si realizzi in qualcosa privo di forma : è come un metallo che deve essere lavorato : se avesse già una sua forma immutabile non lo si potrebbe lavorare.Quindi la caratteristica della materia è non avere caratteristiche.Platone dice che il ragionamento che ci porta a conoscere la materia è "bastardo",impuro , scorretto perchè se ad esempio guardiamo un cavallo , in realtà conosciamo l'idea : la materia la conosco come ciò che non è idea:si arriva alla conclusione in modo negativo perchè il ragionamento coglie solo una caratteristica : la materia non ha forma.Non potrebbe essere "ricettacolo delle forme" se avesse una forma definita (è come la cera sulla quale si deve attaccare un sigillo:deve essere molle e senza forma per poter così prendere quella del sigillo).Se affermiamo che la materia per ricevere le forme non deve avere forme cogliamo simultaneamente un aspetto positivo e uno negativo : è di fondamentale importanza ma soffrirà sempre di una deficienza.Consente alla materia di avere forme,ma le riceverà sempre imperfettamente perchè è priva di forme , disordinata : le si darà una forma , ma manterrà sempre una componente priva di forma:è proprio questa componente a rendere il mondo sensibile imperfetto.Quindi la materia è contemporaneamente un aiuto perchè fa calare le idee nel mondo sensibile ed un ostacolo perchè , per inclinazione naturale , mantiene una componente di disordine.Tra gli "agrafa dogma" (le dottrine non scritte) di Platone troviamo la diade indefinita , alla quale abbiamo già accennato.Platone è all'ultima fase della sua riflessione e risulta particolarmente influenzato dai pitagorici ;al vertice della realtà si trova il principio bipolare,in cui vi sono due poli come in un magnete:e come un magnete esiste solo quando ci sono un polo negativo e uno positivo che risultano essere indivisibili.L'uno è il vertice unitario , il due quello molteplice , diade indeterminata del piccolo e del grande.Platone ha spiegato che in fondo il mondo è uno , di parvenza molteplice:non è una dispersione di cose.Ma perchè , pur essendo uno , pare essere molteplice ? Come mai l'uno si moltiplica ? Vi sono due risposte : a) c'è di mezzo la materia , che genera scompiglio ed indeterminatezza , b) c'è la diade , che genera indeterminazione : se si ha della materia alla quale dare una forma , la forma stessa determina che essa sia nei suoi limiti , nè più grande nè più piccola di ciò che è : piccolo e grande sono una coppia di concetti simmetrici e polari , entrambe indeterminati (c'è sempre qualcosa di più grande e qualcosa di più piccolo) : ricorda molto il gioco del limite e dell'illimitato dei pitagorici.La parziale differenza è che più che essere due principi , sono un principio solo bipolare , altrimenti se il mondo si moltiplicasse significherebbe che i due principi (uno-diade) devono essere impliciti nella realtà.Nel principio che genera il mondo (l'uno) ci deve anche essere la diade : l'uno non rimane uno (come invece era per Parmenide) , ma presentando aspetti molteplici scende di livello : parte dal bene in sè,passa alle idee e poi si cala al mondo sensibile.se vogliamo,la materia rappresenta il male in quanto è elemento di disordine della realtà.Pare quindi che il male stesso sia parte del principio ; in verità c'è il principio da cui si origina il male , ma il male di per sè all'inizio non c'è : la diade indeterminata sta a significare che l'uno (il bene in sè) non rimane unitario , ma si cala nelle idee (che sono tante) prima e nel mondo sensibile poi.E' come se la potenziale negatività della materia si manifestasse gradualmente : quando è nell'uno non la si vede neppure , è ben inserita e quasi identificabile con lo stesso uno.Nel mondo delle idee , invece , non si è ancora manifestata come male, ma solo come molteplicità (le idee sono tante , ma ordinate ).Nel mondo sensibile le cose sono molteplici (e si sono moltiplicate in modo indefinito : mentre l'idea di cavallo è una , i cavalli sono tantissimi , un numero quasi infinito)e disordinate:la componente di imperfezione è presente in tutti i livelli , ma man mano che si scende è come se si "inspessisse" sempre di più.Comunque tutto questo discorso rimane avvolto da un' alone di mistero un pò perchè non sta scritto da nessuna parte , un pò perchè non è pienamente coglibile con la ragione.
LA DONNA
Nel quinto libro della Repubblica , Platone affronta la questione della diversità dei sessi e assume posizioni piuttosto aperte , soprattutto se teniamo in considerazione dei tempi in cui é vissuto , tempi in cui l' attività manuale , per esempio la coltivazione dei campi , era predominante : Platone sta tratteggiando il suo stato ideale , visto come grande famiglia , caratterizzato dall' abolizione della proprietà privata . Socrate , il protagonista del dialogo di cui Platone si serve per esprimere le sue idee , arriva a dire che perfino le donne e i figli devono essere in comune ; quest' affermazione , chiaramente , suscita scalpore presso i suoi interlocutori , i quali lo travolgono di domande : Socrate si trova decisamente in difficoltà e prende come esempio per spiegare ciò che intende il mondo dei cani , ipotizzando che le femmine debbano svolgere le stesse mansioni dei maschi : andare a caccia e fare tutto ciò che fanno i maschi . Se ogni attività deve essere comune , é ovvio che dovranno avere la stessa educazione , lo stesso allevamento impartito ai maschi : l' unica differenza sarà che i maschi saranno più vigorosi , dice , Socrate , che comunque é chiaramente consapevole della divergenza della natura dei due sessi ; evidentemente nature diverse dovrebbero svolgere funzioni diverse , secondo la logica più tradizionali , ma Socrate é convinto di poter dimostrare che le cose non stiano necessariamente in questi termini : le persone calve e quelle chiomate hanno la stessa natura ? Qualora abbiano natura opposta , allora se i calvi fanno i calzolai , a rigore i chiomati non possono fare i calzolai : ma é assurdo . Il problema consiste nel chiedersi in quale senso usiamo i termini " diverso " e " identico " quando li poniamo in connessione con il termine " natura " : i calvi é vero che sono diversi dai chiomati , ma forse ne consegue che ai primi spettano compiti totalmente diversi da quelli che spettano ai secondi ? Naturalmente tutti i membri del genere umano hanno delle differenze , Platone lo sa bene , ma esistono differenze rilevanti a tal punto da determinare una radicale disuguaglianza e distinzione di funzioni e attività ? Non va poi dimenticato che in età moderna una di queste differenze rilevanti sarà ravvisata nel colore della pelle come motivo per giustificare l' esistenza della schiavitù . Platone invece usa il concetto di " differenza naturale " solo in connessione all' attitudine a svolgere determinate funzioni : in questo senso si può correttamente dire che un medico é diverso da un falegname , ma non che il sesso maschile é diverso da quello femminile . Rispetto alla determinazione delle funzioni da svolgere all' interno di una città giusta quale quella che Platone si propone di tratteggiare perde dunque totalmente rilevanza il diverso ruolo svolto da maschio e femmina nel processo riprodutivo :infatti in che cosa differiscono gli uomini dalle donne ? Secondo Socrate e Platone nel fatto che le donne partoriscano , mentre gli uomini fecondano : ma allora , per quel che riguarda funzioni quale la difesa della città , per esempio , entrambi i sessi possono attendere alle stesse occupazioni . Tuttavia , Socrate fa notare come in tutti i campi l' uomo risulti superiore alla donna , nonostante ci siano anche donne superiori a certi uomini . Così per quel che riguarda l' amministrazione statale " non c'é occupazione che sia propria di una donna in quanto donna nè di un uomo in quanto uomo ; ma le attitudini naturali sono similmente disseminate nei due sessi , e natura vuole che tutte le occupazioni siano accessibili alla donna e tutte all' uomo , ma che in tutte la donna sia più debole dell' uomo " , dice Socrate . Così come per gli uomini , ci saranno donne più portate per la ginnastica , altre più portate per la musica , altre più portate per la difesa dello stato e così via ; una donna portata per la difesa dello stato , difenderà lo stato meglio di un uomo non portato per la difesa dello stato , e viceversa : ma nel caso di un uomo e una donna entrambi portati per la difesa dello stato , allora l' uomo risulterà superiore . Già i Pitagorici avevano ammesso nella loro scuola le donne , dimostrando grande apertura mentale , e anche Epicuro consentirà alle donne l' accesso al " Giardino " ; ben diversa é invece la concezione delle donne di Aristotele : la natura non fa nulla invano e con tutta la materia a disposizione crea il maggior numero possibile di cose : tuttavia ci possono essere scarti , come le unghie o i capelli , che la natura crea per sovrabbondanza di materia : così é anche per la donna , che viene creata dalla natura come " scarto " , tuttavia si tratta di uno scarto che serve all' uomo per perpetrare la specie .
LA VITA MISTA
Platone discute ancora una volta (come già nel "Gorgia" o nel "Fedone" ) se bene e piacere siano identificabili : a differenza degli altri dialoghi in cui aveva affrontato questo problema , nel "Filebo" Platone assume posizioni più moderate : anche qui nega l'identificazione , ma arriva tuttavia ad individuare diversi tipi di piacere , non necessariamente negativi : non tutti i piaceri sono per forza accompagnati dal dolore . Ci sono anche piaceri intellettuali (ad esempio la musica o quelle conoscenze che danno un senso di piacere)che non sono così strettamente legati al dolore: sono piaceri a dimensione positiva.In poche parole quando ci sono sono un piacere , quando non ci sono sono un dolore.Secondo Platone bisogna privilegiare e coltivare solo certi piaceri.Una vita buona non può essere priva di piaceri (così avevamo anche detto a riguardo dell'anima : le passioni sono fondamentali).Platone delinea così la "vita mista" , basandosi sull'idea che la bontà consista in un equilibrio dato dalla mescolanza di elementi diversi che si mescolano secondo misura : da notare che misura , 1 , numero etc. sono sinonimi per definire il bene in sè.La vita buona , per Platone , è mescolanza di intelligenza e piacere : questa mescolanza non è casuale , ma ponderata : bisogna vedere attentamente in che misura mescolare intelligenza e piacere.Per Platone l'intelligenza è superiore al piacere e tenderà sempre a prevalere per il semplice fatto che se si deve stabilire in che misura mescolare piacere ed intelligenza , è l'intelligenza stessa che ci indica la misura in cui mescolare .
L'ARTE
Platone contrappone la filosofia ad altri metodi di educazione,primo tra tutti quello della retorica capeggiato da Isocrate ;per Platone la vera retorica è quella che si fonda sulla piena conoscenza della verità e delle persone cui ci si rivolge,non come la intendevano tutti i suoi contemporanei:per Isocrate e tutti gli altri essa consisteva invece nel formulare discorsi eleganti ma privi di verità.Platone critica anche la poesia:Socrate stesso diceva che essa non è un vero sapere,ma una forma di conoscenza infusa dalla divinità:il poeta infatti quando componeva era divinamente ispirato,la divinità si serviva di lui per comunicare (basti pensare ad Omero ,che parlava ammaestrato dalla Musa).Platone era appassionato di etimologia e si divertiva a dare interpretazioni sull'origine e la derivazione delle parole,che per lo più erano errate;una di queste,però,era corretta:Platone fece derivare la parola "mantica" dal termine greco "mania",follia.Infatti quando si davano responsi si era come se fuori di sè: a parlare era la divinità.Non significa comunque che la poesia non valga nulla (Platone stesso può essere considerato poeta). Va senz'altro a proposito citato lo " Ione " , un dialogo platonico considerato " minore " , dove ben emerge come fondamento della poesia non sia la scienza , bensì l'ispirazione . Protagonisti sono Socrate e Ione , un rapsodo . Ione si dichiara espertissimo di Omero e di tutte le sue opere , e ne dà prova recitando a memoria i pezzi più svariati . Ione ne sa davvero molto su Omero , ma Socrate gli dimostra che il suo sapere non si basa su conoscenza e scienza : è un'ispirazione divina . Platone nella "Repubblica" fa considerazioni più articolate e complesse rispetto a quelle di Socrate ,attaccando l'arte su due piani differenti:1)morale e più banale rispetto all'altro:Platone,come già Senofane ,sostiene che l'arte ci presenta gli dei o gli eroi con caratteristiche fortemente negative e che assumono atteggiamenti meschini e di basso valore morale (basti pensare all'ira di Achille );lo stesso vale anche per la musica,di cui Platone era esperto (si racconta che ormai in fin di vita,sentendo una fanciulla che suonava il flauto,le ultime parole che pronunciò prima di morire furono di rimprovero perchè ella aveva stonato):a quell'epoca vi erano diversi stili ben canonizzati e definiti,ognuno dei quali stimolava determinati sentimenti,positivi e negativi.Secondo Platone la musica che stimola sentimenti negativi va assolutamente censurata;al giorno d'oggi abbiamo criteri di giudizio differenti:un brano musicale o ci piace o non ci piace,indistintamente dal suo valore morale:per noi bello e brutto sono su un livello totalmente differente da buono e cattivo.Prendiamo per esempio i Carmina Burana di Orf,di orientamento filo-nazista:si possono apprezzare pur non essendo filo-nazisti.Presso di noi vige l'autonomia dell'arte,che Platone non ha riconosciuto:bello-brutto è diverso da buono-cattivo e da vero-falso:in un libro di storia ricerco la verità,in un romanzo la bellezza...Platone era senz'altro molto attratto dalla questione del bello,che per lui aveva a che fare con la natura e non con l'arte:parla infatti di begli uomini,belle piante,belle azioni...Il suo giudizio è puramente morale:se un'opera è cattiva sul piano morale,anche se bella va censurata,il che rientra bene nella concezione di stato totalitario platonico.Bisogna comunque dire che era un concetto molto diffuso presso i Greci,che lo riassumevano nella "calogazia":non c'era differenza tra bello e buono.Abbiamo anche tirato in ballo la coppia vero-falso,di valenza gnosologica;abbiamo già detto a riguardo delle idee che il piano ontologico e quello gnosologico corrispondono:vero e falso si identifica con essere e non essere;di conseguenza il falso va censurato.2)metafisico e di più alto livello:in un primo momento Platone afferma dunque che le opere d'arte pericolose vanno allontanate;successivamente,non soddisfatto di quanto detto,sostiene che vadano censurate tutte dalla prima all'ultima.Quando un artista raffigura un corpo,secondo Platone,imita un corpo esistente in natura;ma abbiamo detto che per Platone le cose sono imitazioni delle idee.Le opere d'arte sono quindi a suo avviso imitazioni di imitazioni:se già le cose sensibili sono inferiori alle idee,figuriamoci le opere d'arte:sono un gradino più distanti e contengono un tasso di verità addirittura inferiore a quello delle cose:le opere d'arte impediscono all'uomo ancora di più rispetto alle cose sensibili di conoscere le idee e vanno dunque bandite.L'arte diventa quindi negativa a prescindere dal fatto che stimoli buoni o cattivi sentimenti:il piano morale non conta più.Sono affermazioni piuttosto strane,soprattutto se consideriamo che Platone stesso era un artista e dedicò dialoghi al bello naturale,come il "Fedro" o il "Simposio" .Chiaramente aveva ben presente le capacità persuasive dell'arte.Tuttavia in epoche successive si sono usate queste stesse affermazioni platoniche per giustificare l'arte:essa non imita la realtà empirica,ma le idee stesse ed è strano che Platone non se ne sia accorto in quanto aveva tutti gli strumenti:i ritratti stessi (presso i Greci ancora di più i busti) sono idealizzati;l'artista sfrutta il volto di chi deve ritrarre per poi passare all'idea vera e propria (è lo stesso del triangolo disegnato che serve per ragionare sull'idea di triangolo).Probabilmente per noi è più facile capirlo perchè possediamo la macchina fotografica;è facile per tutti capire la differenza tra un ritratto e una foto.Da notare,poi,che dalla scoperta della macchina fotografica in poi i pittori hanno cominciato a fare ritratti sempre più astratti e meno realistici.Gorgia aveva dato grande importanza all'arte sganciandola dal piano ontologico:secondo lui dal momento che la verità non esiste,ci si può creare un mondo proprio,dato che non c'è un vero mondo:non si hanno vincoli imitativi;per Gorgia l'artista è tanto più bravo tanto più riesce ad ingannare.Gli artisti secondo Platone,invece, con le loro "copie" precludono agli uomini la possibilità di conoscere.Altro motivo della condanna da parte di Platone è che l'arte corrompe i giovani perchè rappresenta l'uomo in preda alle passioni;vengono indotti a considerare normale una vita in balia delle passioni,dell'odio,dell'invidia...l'arte stessa sviluppa le passioni.Lo stesso Omero (che veniva anche definito "la bibbia dei Greci" dal momento che nelle sue opere si trovava un pò di tutto:verità religiose,tecniche militari...)ha rappresentato i più grandi eroi in preda a passioni.Platone nella sua condanna risparmia solo la musica e le poesie patriottiche che elevano l'uomo al grande dovere di sacrificio per la patria,ispirandosi al modello spartano,dove la musica patriottica aveva avuto importanza sul piano educativo.Tuttavia in altri dialoghi dà un giudizio positivo rivalutandola completamente (egli stesso era un grande poeta). IL MITO DI GIGE
Nell' ambito della lussurreggiante mitologia alla quale Platone si appella , trova spazio anche il mito di Gige , presente nel secondo libro della Repubblica . A narrare questo mito é l' aristocratico Glaucone , uno dei tanti interlocutori di Socrate ; proprio Socrate aveva spiegato che l' uomo sceglie sempre di fare il bene e se fa il male é solo per via di un errore " intellettuale " , ossia compie il male convinto di fare il bene ; la giustizia infatti dà un senso di felicità e di benessere a chi la compie , secondo Socrate . Ma Glaucone é di ben altro parere e con il mito di Gige vuole proprio dimostrare l' opposto di quanto intendeva Socrate : si é giusti solo per timore di essere scoperti , spiega Glaucone ; non solo , ma chi é ingiusto conduce una vita molto più felice rispetto al giusto . Gige era un pastore alle dipendenze del re di Lidia e per via di un nubifragio e una scossa tellurica la terra si squarciò producendo una voragina dove lui pascolava l' armento . A quella vista , pieno di stupore , Gige discese nella voragine e tra le tante meraviglie si imbattè in un cavallo bronzeo , cavo e provvisto di aperture . Vi si affacciò e vide giacervi dentro un cadavere di proporzioni sovrumane , senza nulla addosso , se non un anello d' oro alla mano . Gige glielo sfilò e se ne tornò in superficie . Quando , come di consueto , si fece la riunione dei pastori si presentò anche lui , con l' anello al dito . Mentre se ne stava nel crocchio dei pastori per caso voltò il castone verso di sè e con quell' atto divenne invisibile a tutti quelli che gli stavano accanto , che parlavano come se lui non ci fosse più . Gige rimase a bocca aperta e quando rigirò il castone tornò nuovamente visibile . Dopodichè fece nuove prove per sondare le effettive capacità dell' anello : non c'era dubbio : ogni volta che girava il castone verso di sè spariva , quando lo girava verso l' esterno ricompariva . Che cosa fece Gige a questo punto ? Si fece passare per messo del re , ne sedusse la moglie e con il suo aiuto ammazzò il re in persona , divenendo lui stesso il detentore del potere . Concludendo , quale é il significato di questo mito ? Supponiamo che ci siano due di questi anelli portentosi e che uno finisca in mano ad un giusto e l' altro ad un ingiusto : in questo caso il giusto e l' ingiusto si comporterebbero allo stesso modo : nessuno sarebbe infatti così stolto da non toccare la roba d' altri con l' ausilio dell' anello , e tanto il giusto quanto l' ingiusto ruberebbero , ucciderebbero e si unirebbero con le donne altrui . Ma perchè ? Perchè in fondo nessuno in cuor suo considera un bene la giustizia , ma anzi ciascuno , dove crede di poterlo fare , commette ingiustizia . Tutti quanti preferiamo l' ingiustizia alla giustizia , spiega Glaucone , e il mito di Gige ne é l' esempio lampante ; se c'é gente che non commette ingiustizia non lo fa perchè ama la giustizia , ma perchè ha paura di essere scoperto ! Non solo , ma se avendo a disposizione l' anello di Gige uno non toccase la roba altrui e perseguisse la giustizia passerebbe per idiota presso tutti quanti venissero a saperlo . Socrate , tuttavia , replicherà servendosi della maieutica e della suprema idea del Bene ; tracciando poi la vita dell' uomo giusto e di quello ingiusto , pare evidente che é l' uomo giusto a vivere serenamente , appagato dalla giustizia stessa e dal fatto di avere l' animo in pace , mentre invece l' ingiusto prova un senso interiore che lo tormenta e non lo lascia vivere in pace , quasi come se sentisse la mancanza di giustizia .
IL MITO DEI MORTI
Alla fine del Gorgia , Platone narra un grande mito escatologico : il mito del giudizio dei morti . Una volta ricevuto in eredità il dominio , Zeus , Plutone e Posidone se lo spartirono : a Posidone il regno del mare , a Zeus quello del cielo e a Plutone quello degli inferi . Vigeva all' epoca presso gli dei una legge : non appena morto , l' uomo giusto andava a vivere nelle Isole dei Beati , in un' oasi di felicità e pace , mentre quello ingiusto nel " carcere dell' espiazione " , il Tartaro . A quei tempi però i giudici erano vivi e giudicavano gli uomini ancora vivi , nel giorno stesso in cui dovevano morire : proprio per questo le sentenze erano mal date . Quindi Plutone e i custodi delle Isole dei Beati andarono dal sommo Zeus per protestare che nei loro regni , quello dei dannati e quello dei beati , continuavano ad arrivare persone che non meritavano di finire lì . Zeus allora capì che il motivo degli errori consisteva in questo : dal momento che gli uomini venivano giudicati quand' erano ancora vivi , i giudici finivano per lasciarsi influenzare dall' aspetto fisico e assegnavano il soggiorno nelle Isole Beate a persone ingiuste ma dal bell' aspetto , mentre invece spedivano negli inferi persone di brutt' aspetto , ma giuste ; oppure premiavano gente ricca ( lasciandosi anche influenzare da testimoni ) , ma ingiusta e punivano gente povera , ma giusta . I giudici stessi non potevano giudicare in modo corretto in quanto rivestiti anche loro di corpi . Zeus si propose quindi di far cessare tutto ciò ; decise che occorreva innanzitutto togliere agli uomini la possibilità di prevedere la propria morte ( visto che all' epoca la prevedevano ) e assegnò quest' incarico a Prometeo ; poi decretò che fossero giudicati privi di corpi , ossia da morti , e che gli stessi giudici giudicassero da morti , senza i corpi , per poter così guardare direttamente all' anima e per non farsi poi influenzare dai testimoni o dai parenti dei defunti . Poi Zeus elesse due giudici che svolgessero queste mansioni : due asiatici , Minosse e Radamante , e uno europeo , Eaco . Una volta morti gli uomini , o meglio , le loro anime , si sarebbero trovate su un prato pronte ad essere giudicate e dopo il giudizio sarebbero partite o per le Isole Beate , nel caso fossero stati giusti in vita , o per il Tartaro , nel caso avessero condotta una vita ingiusta . A Radamante sarebbe spettato giudicare gli uomini asiatici a Eaco quelli europei , mentre invece Minosse sarebbe stato " arbitro supremo " , pronto ad intervenire qualora gli altri due si fossero trovati in difficoltà . Che significato ha questo mito escatologico ? Innanzitutto chiarisce come la morte non sia altro che lo scioglimento dell' anima dal corpo . Poi spiega come sia il corpo sia l' anima , anche dopo la morte , conservino le caratteristiche avute in vita : se uno aveva i capelli lunghi in vita , li avrà così anche il suo cadavere , e così via . Lo stesso vale per l' anima : mantiene le sue caratteristiche costituzionali e le affezioni che l' uomo le ha procurato , mediante il suo modo di comportarsi . Il mito poi aiuta a comprendere come il giudizio degli " arbitri " non guardi in faccia a nessuno : uno può anche essere stato re , ma se si é comportato male finirà lo stesso nel Tartaro . Tuttavia , spiega Platone , non tutto il male viene per nuocere : l' essere punite per le anime é vantaggioso perchè soffrire é l' unico modo per purificare l' anima e per liberarsi dall' ingiustizia . Platone , poi , ne approfitta per dire che il Tartaro é pieno zeppo di anime di tiranni , di re e di potenti , ossia di coloro che per via del potere a disposizione commettono le colpe più gravi . Tuttavia ci sono stati , secondo Platone , anche politici onesti , come per esempio Aristide . Alle Isole dei Beati ci vanno soprattutto i filosofi , ma non tutti , solo quelli che in vita hanno ottemperato a ciò che competeva loro senza disperdersi in vane faccende di vita . Il messaggio conclusivo che Platone vuole trasmettere é che " se qualcuno commette qualche ingiustizia , lo si deve punire e proprio questo é il bene che viene secondo , dopo l' essere giusto , ossia il diventare giusto e scontare la pena subendo il castigo "
PLATONE
PASSI SCELTI DALLE OPERE DI PLATONE
La natura di Amore
La visione delle cose belle porta alla bellezza
L'aporia del nulla
Critica a Protagora
Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta
Dio non è causa del mondo
La contemplazione della Verità
L'aritmetica
Il mito della caverna
Reminescenza e immortalità dell'anima
Conoscere è ricordare
Sulla bellezza
Il mito nelle Leggi
Il mito é soltanto un rivestimento fantastico
L'inganno delle sensazioni corporee
Il non essere come "diverso"
La natura di Amore
Poiché, dunque, è figlio di Poro e di Penìa, ad Amore è toccata la sorte seguente. In primo luogo è sempre povero e ben lontano dall’essere delicato e bello, come credono i più, anzi è duro e lercio e scalzo e senza tetto, abituato a coricarsi in terra e senza coperte, dormendo all’aperto sulle porte e per le strade e, avendo la natura di sua madre, è sempre di casa col bisogno. Per parte di padre, invece, è insidiatore dei belli e dei buoni, coraggioso, audace e teso, cacciatore terribile, sempre a tramare stratagemmi, avido di intelligenza e ingegnoso, dedito a filosofare per tutta la vita, terribile stregone, fattucchiere e sofista. E per natura non è né immortale né mortale, ma ora fiorisce e vive nello stesso giorno, quando gli va in porto, ora invece muore e poi rinasce nuovamente in virtù della natura del padre. E infatti l’oggetto dell’amore è ciò che è realmente bello, grazioso, perfetto e invidiabilmente beato, mentre l’amante ha un altro aspetto, quale quello che ho esposto.
(Platone, Simposio, 203b-204a)
La visione delle cose belle porta alla bellezza
E come un soffio di vento o un’eco, rimbalzando da superfici levigate e solide, viene rinviata al punto di emissione, così il flusso della bellezza, arrivando nuovamente al bell’amato attraverso gli occhi, che sono la via naturale per arrivare all’anima, come vi è giunto e l’ha eccitata al volo, irrora i condotti delle ali, stimola il formarsi delle ali e colma d’amore l’anima, a sua volta, dell’amato.
(Platone, Fedro, 255c-d)
L'aporia del nulla
Straniero - [...]Dimmi: dobbiamo avere il coraggio, mi pare, di pronunciare l'espressione "l'assoluto non essere"?
Teeteto - Come no?
Straniero - Se uno degli ascoltatori, non a scopo di contesa né per scherzare, ma seriamente dovesse rispondere, dopo aver riflettuto, a che cosa deve essere riferito questo nome, il "non essere", in riferimento a che cosa e per quale oggetto noi crediamo che egli ne farebbe uso e che cosa indicherebbe a chi lo interroga?[...]Ma questo almeno è chiaro, che il "non essere" non deve essere riferito a qualcuno degli enti. [...] Ma noi diciamo che, se s'intende parlare correttamente, non bisogna definirlo né come unità né come molteplicità e neppure assolutamente chiamarlo con il "lo", perché anche con questa espressione lo si designerebbe con una specie di unità.
(Platone, Sofista)
Critica a Protagora
Socrate: -[...] nessuna cosa è per se stessa una sola; tu non puoi, correttamente, dar nome a una cosa né a una sua qualità; se tu, per esempio, chiami alcuna cosa grande, ecco che essa potrà apparire anche piccola; se la chiami pesante, potrà apparire anche leggera; e così via per tutto il resto, perché niente è uno, né sostanza, né qualità. Dal mutar luogo, dal muoversi, dal mescolarsi delle cose fra loro, tutto diviene ciò che noi, adoprando una espressione non corretta, diciamo che è; perché niente mai è, ma sempre diviene. Su questo punto tutti i filosofi, uno dopo l’altro, a eccezione di Parmenide, si deve ammettere che sono d’accordo, [...]; e anche sono d’accordo i migliori poeti dell’uno e dell’altro genere di poesia, Epicarmo della commedia, della tragedia Omero; il quale, dicendo "Padre fu Oceano a’ numi e madre Teti", intese dire che tutte le cose hanno origine dal flusso e dal movimento. O non credi che egli intese dire così?
Teeteto: - Sì, lo credo.
(Platone, Teeteto, 151 d-152 )
Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta
Io sono persuaso di non aver fatto mai, volontariamente, ingiuria a nessuno; soltanto, non riesco a persuaderne voi: troppo poco tempo abbiamo potuto conversare insieme. [...] Ecco la cosa più difficile di tutte a persuaderne alcuni di voi. Perché se io vi dico che questo significa disobbedire al dio, e che perciò non è possibile io viva quieto, voi non mi credete e dite che io parlo per ironia; se poi vi dico che proprio questo è per l’uomo il bene maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli altri argomenti sui quali m’avete udito disputare e far ricerche su me stesso e su gli altri, e che una vita che non faccia di cotali ricerche non è degna d’esser vissuta: s’io vi dico questo, mi credete anche meno. Eppure la cosa è così com’io vi dico, o cittadini; ma persuadervene non è facile. E d’altra parte io non mi sono assuefatto a giudicare me stesso meritevole di nessun male.
(Platone, Apologia, 37 a-38 c)
Dio non è causa del mondo
Ne dobbiamo dunque concludere - affermai - che poiché dio è buono, egli non è la causa di tutto, come volgarmente si dice: egli è causa di una minima parte delle cose umane, non della maggioranza ché i nostri beni sono quasi un nulla di fronte ai nostri mali: egli è soltanto la causa dei beni; ma dei mali altrove che in dio va ricercato il principio.
(Platone, Repubblica, XVIII, 379b-d)
La contemplazione della Verità
Poiché dunque il pensiero di un dio si nutre di intelletto e di scienza pura, anche quello di ogni anima che abbia a cuore di accogliere quanto le si addice, quando col tempo abbia scorto l'essere, ne gioisce e, contemplando la verità, se ne nutre e si trova in buona condizione, finché la rotazione circolare non riconduca allo stesso punto. Durante l'evoluzione esso vede la giustizia in sé, vede la saggezza, vede la scienza, non quella alla quale è connesso il divenire, né quella che è diversa perché è nei diversi oggetti che noi ora chiamiamo enti, ma quella che è realmente scienza nell'oggetto che è realmente essere. E dopo aver contemplato allo stesso modo le altre entità reali ed essersene saziata, si immerge nuovamente nell'interno del cielo e torna a casa. E una volta arrivata, l'auriga, arrestati i cavalli davanti alla mangiatoia, li foraggia di ambrosia e dopo questa li abbevera di nettare.
(Platone, Fedro, 247 c-e)
L'aritmetica
Ecco, dunque come la scienza dell'unità è fra quelle scienze che guidano e volgono l'anima alla contemplazione dell’Essere [...] Ma se così è per l'unità - seguitai - lo stesso dobbiamo ripetere per ogni altro numero? [...] Ma in questo senso il calcolo e l'aritmetica vertono ad ogni modo sul numero. Il calcolo e l'aritmetica sono dunque scienze che volgono al vero. [...] Ma allora, a quanto sembra, sono fra quelle discipline che ricercavamo, ché necessario ne è lo studio all'uomo di guerra per le sue manovre tattiche, e al filosofo per cogliere quello che è l'Essere in sé uscendo fuori dal mondo del divenire, se no lo studio della matematica non gli servirebbe a nulla.
(Platone, Repubblica)
Il mito della caverna
Si immaginino degli uomini chiusi fin da bambini in una grande dimora sotterranea, incatenati in modo tale da permettere loro di guardare solo davanti a sé. Dietro di loro brilla, alta e lontana, la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada con un muretto. Su questa strada delle persone trasportano utensili, statue e ogni altro genere di oggetti; alcuni dei trasportatori parlano, altri no. Chi sta nella caverna, non avendo nessun termine di confronto e non potendo voltarsi, crederà che le ombre degli oggetti proiettate sulla parete di fondo siano la realtà (ta onta); e che gli echi delle voci dei trasportatori siano le voci delle ombre. [514a ss] Per un prigioniero, lo scioglimento e la guarigione dai vincoli e dalla aphronesis (mancanza di discernimento) sarebbe una esperienza dolorosa e ottenebrante. Il suo sguardo, abituato alle ombre, rimarrebbe abbagliato: se gli si chiedesse - con la tipica domanda socratica - di dire che cosa sono gli oggetti trasportati, non saprebbe rispondere, e continuerebbe a ritenere più chiare e più vere le loro ombre proiettate sulla parete. Per lui sarebbe difficile capire che sta guardando cose che godono di una realtà o verità maggiore (mallon onta) rispetto alle loro proiezioni. Il dolore aumenterebbe se fosse costretto a guardare direttamente la luce del fuoco. E se fosse trascinato fuori dalla grotta, per l'aspra e ripida salita, e dovesse affrontare la luce del sole, la sua sofferenza e riluttanza si accrescerebbe ancora. Il suo processo di acclimatazione al mondo esterno dovrebbe essere graduale: prima dovrebbe imparare a discernere le ombre, le immagini delle cose riflesse nell'acqua, e poi direttamente gli oggetti. Il cielo e i corpi celesti dovrebbe cominciare a guardarli di notte, e solo in seguito anche di giorno. Una volta ambientatosi, potrebbe cominciare a ragionare sul mondo esterno, sulla sua struttura, e sul luogo che ha in esso il sole. Solo allora il prigioniero liberato, ricordandosi dei suoi compagni di prigionia e della loro conoscenza, potrebbe ritenersi felice per il cambiamento. Ma se ritornassero nella caverna, i suoi occhi, abituati alla luce, sarebbero quasi ciechi. I compagni lo deriderebbero, direbbero che si è rovinato la vista, e penserebbero che non vale la pena di uscire dalla caverna. E se qualcuno cercasse di scioglierli e di farli salire in superficie, arriverebbero ad ammazzarlo. Uccidere chi viene dall'esterno è facile, perché, essendo quest'uomo abituato alla gran luce dell'esterno, sarebbe costretto a contendere nei tribunali o altrove sulle ombre del giusto, con persone che la dikaiosyne (la giustizia come virtù personale) non l'hanno veduta mai.
(Platone, Repubblica VII)
Reminescenza e immortalità dell'anima
SOCRATE - Capisco ciò che vuoi dire, Menone. vedi come ci riduci a quel ragionamento eristico, secondo il quale ad un uomo non è possibile cercare né ciò che sa né ciò che non sa? Non cerca ciò che sa, perché lo sa e non ha affatto bisogno di cercarlo, né cerca ciò che non sa; perché non sa neppure cosa cercare. [...] Poiché tutta la natura è congenere e l'anima ha appreso tutto, nulla impedisce che chi si ricordi di una sola cosa - che è poi quello che si chiama apprendimento -, trovi da sé tutto il resto se è coraggioso e instancabile nella ricerca, perché il ricercare e l'apprendere, nella loro interezza, non sono che reminiscenza. Non bisogna, dunque, prestar fede a quel ragionamento eristico: esso ci renderebbe pigri ed ascoltarlo è un piacere che fiacchi; mentre questo rende alacri alla ricerca.
(Platone, Menone, 80d5-81c)
Conoscere è ricordare
L’anima, dunque, poiché immortale e più volte rinata, avendo veduto il mondo di qua e quello dell’Ade, in una parola tutte quante le cose, non c’è nulla che non abbia appreso. Non v’è, dunque, da stupirsi se può fare riemergere alla mente ciò che prima conosceva della virtù e di tutto il resto. Poiché, d’altra parte, la natura tutta è imparentata con se stessa e l’anima ha tutto appreso, nulla impedisce che l’anima, ricordando (ricordo che gli uomini chiamano apprendimento) una sola cosa, trovi da sé tutte le altre, quando uno sia coraggioso e infaticabile nella ricerca. Sì, cercare ed apprendere sono, nel loro complesso, reminiscenza [anamnesi]! Non dobbiamo dunque affidarci al ragionamento eristico: ci renderebbe pigri ed esso suona dolce solo alle orecchie della gente senza vigore; il nostro, invece, rende operosi e tutti dediti alla ricerca; convinto d’essere nel vero, desidero cercare con te cosa sia virtù.
(Platone, Menone, 79e-82b)
Sulla bellezza
L'anima se ne sta smarrita per la stranezza della sua condizione e, non sapendo che fare, smania e fuor di se non trova sonno di notte né riposo di giorno, ma corre, anela là dove spera di poter rimirare colui che possiede la bellezza. E appena l'ha riguardato, invasa dall'onda del desiderio amoroso, le si sciolgono i canali ostruiti: essa prende respiro, si riposa delle trafitture e degli affanni, e di nuovo gode, per il momento almeno, questo soavissimo piacere. [...] Perché, oltre a venerare colui che possiede la bellezza, ha scoperto in lui l'unico medico dei suoi dolorosi affanni. Questo patimento dell'anima, mio bell'amico a cui sto parlando, è ciò che gli uomini chiamano amore.
(Platone, Fedro)
Il mito nelle Leggi
Non c’è dubbio, non si può fare a meno d’avere scarsa simpatia, per non dire odio, per quelli che furono ieri e sono ancor oggi la causa dei nostri discorsi; quelli che han perso la fede nei racconti che, fin da bambini, addirittura ancora lattanti, hanno inteso narrare dalle loro madri. Erano racconti detti quasi in forma di incantesimo, un po’ per gioco e un po’ seriamente, e che i bambini avevano modo di ascoltare anche nelle preghiere rituali, associandoli a particolari immagini. Si tratta di impressioni che i giovani coglievano ed ascoltavano con grande dolcezza, allorché avvenivano nel contesto di un gesto rituale, quando magari erano proprio i genitori ad essere assorti, con la massima devozione, nel dialogo con gli dei – naturalmente, con gli dei che esistono davvero! – attraverso preghiere e suppliche rivolte a nome proprio e a nome loro.
(Platone, Leggi, 887d-e)
Il mito é soltanto un rivestimento fantastico
FEDRO – Ma dimmi, per Zeus, tu, o Socrate, credi ancora che questo mito sia vero?
SOCRATE – Ma se io non ci credessi, così come non ci credono i sapienti, non sarei lo strano uomo che sono. E in questo modo, facendo il sapiente, potrei sostenere che un colpo di vento di Bòrea gettò Orizia giù dalle rupi lì vicino, mentre stava giocando con Farmacèa, e che, dal momento che era morta in tal modo, si sparse la voce del suo rapimento da parte di Bòrea. [...] Per quanto mi riguarda, o Fedro, considero queste interpretazioni ingegnose, però proprie di un uomo molto esperto e impegnato, ma non troppo fortunato: se non altro, per il motivo che, dopo questo, diventa per lui necessario raddrizzare la forma degli Ippocentauri, poi quella della Chimera, e gli piove addosso tutta una folla di tali Gòrgoni e Pègasi e di altri esseri straordinari e le stranezze di certe nature portentose.
(Platone, Fedro, 229b-230a)
L'inganno delle sensazioni corporee
"[...] cose, come per esempio la grandezza, la sanità, la forza e, in una parola, della sostanza di tutte le cose, di ciò che ciascuna è. La verità di esse si contempla forse mediante il corpo o avviene che chi di noi si accinge più degli altri e con più accuratezza a pensare ciascun oggetto della sua indagine in sé, costui si avvicina il più possibile alla conoscenza dell'oggetto? E potrà farlo nel modo più puro chi si dirigerà verso ciascun oggetto, il più possibile, con il solo pensiero, senza intromettere nel pensiero la vista e senza trascinarsi dietro con il ragionamento alcun altro senso, ma utilizzando solo il puro pensiero di per se stesso, andrà a caccia di ciascuno degli enti in sé nella sua purezza, dopo essersi liberato il più possibile da occhi, orecchie e, a parlar propriamente, da tutto il corpo, perché turba l'anima e non le consente di acquistare verità e intelligenza, quando comunica con essa. Non è forse costui, Simmia, se mai altri, che coglierà l'essere? È straordinariamente vero, disse Simmia, ciò che dici, Socrate"
(Platone, Fedone)
Il non essere come "diverso"
Dunque, evidentemente, nella contrapposizione di una parte del diverso a una parte di "ciò che è", posti questi due termini in contrapposizione fra loro, non è, se è lecito dirlo, quella parte, meno essere di "ciò che è", in quanto tale, poiché non ha il valore di opposto di questo, ma solo di diverso da esso. [...]
Teeteto: - È chiaro che "ciò che non è", ciò che noi cercavamo studiando il sofista, non è altro che questo.
Lo straniero: - Come hai detto, ciò non è inferiore, quanto all'essere, a nessuna altra cosa. E non occorre dire ormai coraggiosamente che "ciò che non è" è saldamente ed ha una sua propria natura, come vedemmo che il grande è grande, e che il bello è bello, e ciò che non è grande non-grande, e ciò che non è bello non-bello? Anche "ciò che non è", per la stessa ragione, vedemmo essere, ed è non essendo, ed è un genere da annoverare fra i molti altri che sono. Oppure, Teeteto, v'è ancora qualche perplessità in ciò?
(Platone, Sofista 257c 258c)

Esempio