Lo stato di natura per Hobbes, Spinoza e Locke

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

Lo stato di natura per Hobbes, Spinoza e Locke
La riflessione sullo stato civile da parte di Hobbes, Spinoza e Locke riposa sulla concezione di uno stato di natura preesistente a quello civile, definito diversamente per alcuni aspetti dai tre filosofi. Hobbes ritiene lo stato di natura un perpetuo stato di guerra, poiché gli uomini detenendo un diritto naturale illimitato su tutte le cose, agiscono egoisticamente al fine di fare valere il loro diritto (“Il diritto di natura è la libertà che ogni uomo ha di usare il suo potere come egli vuole, per la preservazione della propria natura…”). Per questo Hobbes ritiene necessario il passaggio dallo stato di natura allo stato civile attraverso il pactum unionis e il pactum subordinationis (quest’ultimo in realtà non si verifica dal momento che nella concezione Hobbesiana il sovrano possiede un potere illimitato dato dall’alienazione dei diritti naturali di tutti i cittadini). La concezione Spinoziana dello stato di natura è simile a quella Hobbesiana. Egli introduce però l’elemento della potenza umana, che fa coincidere con il diritto di natura di Hobbes. Perciò ogni uomo agisce all’interno dello stato di natura in base alla sua potenza. Quest’ultima non è altro che la potenza della natura che si esprime negli individui (“Il diritto di natura si estende fin la dove si estende la sua potenza…”).Questo porta ad una concezione dello stato di natura entro cui gli individui agiscono per soddisfare le proprie volontà eventualmente abusando della loro libertà, il che non può garantire sicurezza per gli individui stessi. Occorre perciò il passaggio ad uno stato civile, che si traduce nel patto sociale (“quanto sia più utile per gli uomini vivere secondo le leggi e i sicuri dettami della nostra ragione, che, come abbiamo detto, mirano soltanto a ciò che per gli uomini è veramente utile, nessuno può mai dubitare. (E nessuno vi è, inoltre, che non desideri di vivere per quanto può con sicurezza e senza timore; ciò che, tuttavia, non è possibile, finché è lecito a ciascuno di fare ciò che gli piace, finché non si riconosce alla ragione maggior diritto che all’odio e all’ira; …). La posizione di Locke invece, si differenzia da Hobbes e Spinoza su due punti decisivi. In primis gli individui non sono detentori di un generico diritto su tutto, ma bensì di tre diritti naturali specifici: diritto alla vita, libertà e proprietà. E in secondo luogo lo stato di natura non si configura come una condizione di disordine giuridico, ma bensì come uno stato governato dalla legge naturale che si basa sulla ragione (“lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che condiziona tutti: questa legge è rappresentata dalla ragione, che insegna, a chi è disposto a prestarle ascolto, che, essendo tutti eguali e liberi, nessuno dovrebbe attentare alla vita, alla salute, alla libertà e agli averi altrui…”). Nonostante questo però, Locke arriva a conciliarsi con Hobbes e Spinoza sulla necessità dello stato civile. Infatti, nello stato di natura, venendo meno la figura della sovranità, non vi è la certezza che la legge di natura sia rispettata da tutti gli individui. Il passaggio dallo stato di natura a quello civile avviene attraverso il patto d’unione e il patto di soggezione. (“…ammetto di buon grado che il governo civile costituisca il rimedio adatto alle deficienze dello stato di natura…”).

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