La teoria evoluzionistica e Darwin

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Testo

La teoria evoluzionistica nasce, per il tramite di Darwin nel 1859, con la pubblicazione del volume “Sulla origine della specie”, e nel 1871 con “La discendenza dell’uomo”, col preciso proposito di contraddire la genesi: l’uomo, in base all’evoluzionismo, deriverebbe dalla scimmia; la scimmia e gli animali tutti deriverebbero da alcune forme primitive, quindi non ci sarebbe creazione, ma una natura che si farebbe da sè per il tramite della mutazione e della selezione. Di conseguenza la natura e l’uomo non avrebbero bisogno di Dio.
Oggi dopo oltre cento anni, riesaminando il racconto biblico della creazione si trova che in fondo la teoria evoluzionistica non ne è poi troppo lontana. Se ben si considera, la Bibbia ci dà una visione storica della creazione, la visione di un Dio che si fa storia: anche la teoria evoluzionistica è infondo una teoria storica della vita.
La Genesi parla di un mondo che comincia col fiat lux, oggi la scienza parla del big-bang, dell’esplosione iniziale.
Poi la Bibbia parla della creazione della Terra, delle piante, degli animali e dell’uomo e possiamo immaginare che si sia trattato di un processo che in sostanza concorri con quanto ci dice la scienza.
Bisogna infatti imparare a leggere la Bibbia: essa non dice affatto che tutti gli animali sono stati creati contemporaneamente, dice semplicemente che sono stati creati gli animali.
Se poi c’è voluto un giorno o migliaia di anni, il discorso non cambia. In un certo senso quindi l’evoluzionismo, che era nato per negare Dio, finisce per essere una versione laica della Bibbia.
Che poi l’uomo derivi dalla scimmia l’ha detto Darwin, però ben presto si è cominciato a capire che le cose non stavano così.
Si è detto allora che uomo e scimmia sarebbero cugini ed infatti si somigliano: cioè deriverebbero da un progenitore comune.
I primati si differenziano dagli insettivori 70 milioni di anni fa. La ramificazione ominidi-proscimmie si situa fra i 40 ed i 50 milioni di anni fa.
Con il ramapithecus siamo in Africa ed eccoci ben impiantati ai piedi dell’albero sulle zampe posteriori.
Ciò risale a 12 milioni di anni fa.
Tra i 12 milioni ed i 5 milioni di anni fa vi è un buco.
Bisognerà tuttavia attendere i 2 milioni di anni fa per vedere apparire i primi strumenti.
Il ramo umano si è staccato dal tronco delle scimmie 40 milioni di anni fa (E. Genet-Varcin) o solo 5 milioni di anni fa (Sarich e Wilson)? (Cfr. Gabriele Camps: La preistoria Bonpian, 1985).
I fossili di uomini (o di ominidi, molto vicini all’uomo, bipedi a stazione eretta) risalgano a 5 o più milioni di anni fa.
I fossili di scimmia, o meglio di scimmioni, cioè scimpanzè, gorilla e orango, sono recentissimi, appena alcune centinaia di migliaia di anni. E’ ovvio allora che una specie più recente non può aver dato luogo ad una specie più antica.
Di conseguenza l’uomo non deriva dalla scimmia ed è eventualmente più probabile che sia avvenuto il contrario: cioè che a un certo punto da una coppia umana sia nata una scimmia (Cfr. Giuseppe Sormonti: Dopo Darwin, Milano Rusconi 1980).
Morfologicamente lo scheletro e gli organi dell’uomo sono già formati nelle prime scimmie cento milioni di anni addietro; ma la loro capacità cranica è così irrisoria (300 cm3) che gli scienziati oggi non le riconoscono più come progenitrici dell’uomo.
Il titolo di progenitori viene dato ad alcune specie scomparse chiamate ominidi: sono i pitecantropi o uomo-scimmia i cui crani vanno da una capacità cranica di 450-750 cm3 (australopitechus e l’uomo erectus, la cui capacità cranica va sugli 850 cm3).
Seguono altri ominidi con una capacità cranica di 1000 cm3 (ad es. l’uomo di Giava). Quindi appare l’uomo di Neanderthal (80 mila anni addietro con una capacità cranica di 1500 cm3).
L’uomo con lo scheletro e la stazione perfettamente eretta come oggi, e con la capacità cranica di oggi appare fra i 40 ed i 20 mila anni addietro. Tale uomo è stato designato con l’appellativo di “homo sapiens sapiens”. Da allora non è cambiato più e l’evoluzione finisce.
In quale uomo brillò per primo l’intelligenza?
Quale dei progenitori può dirsi nostro padre?
L’uomo di Neanderthal o l’homo sapiens?
Il problema non ha importanza. Sulla terra doveva svolgersi tutta la civiltà e la storia umana.
A tal fine fu calcolato tutto minuziosamente, anche l’età.
L’uomo vive 80-90 anni, una delle scimmie più evolute, lo scimpanzè, vive 27 anni. Se l’uomo Avesse avuto la vita delle scimpanzè, non avrebbe avuto il tempo di maturare, e l’umanità sarebbe oggi all’età della pietra.
Le Compte du Nouy, nell’evoluzione trova queste tre caratteristiche estremamente importanti:
L’evoluzione sistematicamente ascendente: Cioè essa nel suo moto origina tipi sempre più perfetti e complessi, fino all’uomo che è l’essere vivente più perfetto; in questa ricerca di perfezione l’evoluzione procede sempre secondo una direzione, e non conosce ritorni.
L’evoluzione è discontinua, cioè a salti, piccoli o grandi che si vogliono ritenere: la transizione lenta, è seducente, ma fisicamente, chimicamente, meccanicamente inconcepibile, specie in assenza di una meta finale da raggiungere.
Sono nuove informazioni che vengono date dal DNA per le quali nessuna spiegazione è possibile all’infuori di una nuova creazione.
L’evoluzione è limitata: Cioè in alcuni tipi si è raggiunta una stabilità come se essi avessero avuto un potenziale evolutivo limitato esaurito il quale, non si evolvono più.
Fu precisamente lo studio scientifico dell’evoluzione che di Le Compte du Nouy, in partenza ateo, ne fece un credente.
Egli scopre nell’evoluzione un finalismo; ma il suo finalismo non è di dettaglio: nel dettaglio anzi ci può essere disordine, disarmonia e mostruosità; il suo finalismo e di distanza; e, come egli stesso lo definisce, un “telefinalismo”.
“La nostra spiegazione si basa, egli dice, su di un telefinalismo, vale a dire sull’ammissione di un Creatore onnipotente...” (Cfr. Le compte du Nouy: L’avvenire dello spirito, Bompiani).
Le Compte du Nouy, pur essendo evoluzionista, non accetta di Darwin la teoria dell’evoluzione assoluta, cioè di tutti i viventi derivanti da una prima cellula iniziale, perchè vede la mancanza di fossili animali che facciano da anelli di congiunzione fra le specie principali dei viventi.
Egli per questo immagina l’evoluzione come un albero di abete con rami paralleli sovrapposti, senza essere innestati in un fusto.
L’assenza del fusto o sia degli anelli di congiunzione è quello che postula i successivi interventi di Dio.
Dice il Tresmontant: “In linguaggio biochimico questo significa: l’informazione genetica è aumentata in quantità e qualità col passare del tempo. Questo si misura. I messaggi genetici dei protozoi monocellulari sono più piccoli, più corti dei messaggi genetici dell’elefante, del leone, dell’uomo. Col passare del tempo i messaggi genetici aumentano.
All’inizio della storia della vita, bastava avere telegrammi capaci di guidare la costruzione di microorganismi monocellulari.
Ma nel corso della storia naturale della specie, sono stati inventati nuovi organi e sistemi biologici, per esempio il sistema nervoso e molti altri. Per costruire un nuovo sistema biologico, sono indispensabili nuovi geni, cioè dei piani di costruzione nuovi, inediti.
Man mano che gli organismi venivano più complessi, nuovi geni sempre più numerosi apparivano nei messaggi genetici, vale a dire, frammenti o capitali nuovi che erano inediti” (Cfr. Tresmontant: Cristianesimo, Filosofia, Scienza, Iaca Book 1983; Tresmontant: L’intelligenza di fronte a Dio, Iaca Book 1981).

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