KIERKEEGARD

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia
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Data:29.05.2006
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Testo

VITA
L’ideologia di Kierkegaard è un’antitesi polemica ai temi dell’idealismo romantico: la difesa della singolarità dell’uomo contro l’universalità dello spirito, dell’esistenza contro la ragione, delle alternative inconciliabili contro la sintesi della dialettica, della libertà come possibilità e non come necessità, della stessa categoria di possibilità. Propone quindi un’alternativa radicalmente diversa che rimase però inoperante nella filosofia ottocentesca e solo alla fine del secolo acquisterà importanza.
Søren Kierkegaard è nato a Copenhagen, in Danimarca, il 5 maggio 1813. Viene educato dal padre con un clima religioso molto serio e si iscrisse alla facoltà di teologia di Copenhagen dove c’era un’influenza hegeliana. Si laurea nel 1840 con la dissertazione “Sul concetto dell’ironia con particolare riguardo a Socrate”. Non intraprese la carriera di pastore ma nel 1841 andò a Berlino per assistere alle lezioni di Schelling di filosofia positiva fondata sulla distinzione tra realtà e ragione. Kierkegaard ne fu presto deluso e tornò definitivamente a Copenhagen. Si fidanzò con Regina Olsen ma mandò a monte il fidanzamento e un giornale umoristico “Il corsaro” lo attaccò e lui ne rimase crucciato. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla polemica contro l’ambiente teologico della sua città. Morì l’11 novembre 1855.
Gli episodi spiacevoli della sua vita gli causarono una sofferenza profonda che ritroviamo anche nelle opere. Nel “Diario” parla di un “grande terremoto” che lo ha costretto a cambiare atteggiamento di fronte al mondo ma non se ne conosce la causa; si parla anche di una “scheggia nelle carni” che probabilmente gli impedì sia il matrimonio con la Olsen sia di intraprendere la carriera di pastore. Kierkegaard afferma di porsi in un rapporto poetico con il suo pensiero, cioè in un rapporto distaccato accentuato dal fatto che firma le sue opere con degli pseudonimi diversi per impedire un riferimento alla sua persona.
Le sue opere principali sono: “Enter – Eller” tradotto come Aut Aut di cui fa parte il “Diario di un seduttore”, “Timore e Tremore”, “La ripresa”, “Briciole filosofiche”, “Il concetto dell’angoscia”, “Prefazione”, “Stadi nel cammino della vita”, “Postilla conclusiva non scientifica”, “Il punto di vista sulla mia attività di scrittore”, “La malattia mortale”, “L’esercizio del cristianesimo” e i “Discorsi religiosi”.
L’ESISTENZA COME POSSIBILITÀ E FEDE
Kierkegaard cerca di ricondurre la comprensione dell’esistenza umana alla categoria di possibilità mettendone in luce il carattere negativo e paralizzante. Già Kant riconosceva a fondamento di ogni potere umano una possibilità reale o trascendentale risaltando l’aspetto positivo; mentre Kierkegaard mette in luce l’aspetto negativo di ogni possibilità perché è possibilità-che-sì ma anche possibilità-che-non. Implica cioè la minaccia del nulla e questa minaccia caratterizzerà tutta la vita di questo filosofo che verrà attraversata da un’oscurità problematica. Nelle pagine finali dell’opera “Concetto d’angoscia” descrive la figura del discepolo dell’angoscia, di chi sente in sé le possibilità annientatrici e terribili che ogni alternativa dell’esistenza prospetta. Kierkegaard rimane paralizzato di fronte ad ogni alternativa. Si sente di essere una cavia d’esperimento per l’esistenza, “Ciò che io sono è un nulla, conserva la sua esistenza al punto zero, tra il qualcosa e il nulla come un semplice forse. Il punto zero è l’indecisione permanente e l’equilibrio instabile tra le alternative opposte. Forse può essere questa la scheggia: l’impossibilità di ridurre la vita ad un compito preciso, di scegliere tra le alternative. Questa impossibilità riconosce che il compito dell’uomo è nell’instabilità e nell’indecisione, il centro del suo io e nel non avere un centro.
Altra caratteristica del suo pensiero è di chiarire le possibilità fondamentali che costituiscono le alternative dell’esistenza tra le quali l’uomo deve scegliere mentre Kierkegaard non poteva scegliere. Si definiva per questo un contemplativo e moltiplica la sua personalità attraverso gli pseudonimi che accentuano il distacco tra se stesso e le forme di vita.
Terza caratteristica è il tema della fede in quanto egli vede nel Cristianesimo un’ancora di salvezza, l’unico vero modo per sottrarre l’uomo all’angoscia e alla disperazione.
LA VERITÀ DEL “SINGOLO” E IL RIFIUTO DELL’HEGELISMO E DEL PANTEISMO IDEALISTICO
Per Kierkegaard la filosofia hegeliana è un’antitesi illusoria sull’esistenza. Le alternative possibili non si lasciano riunire in un unico processo dialettico perché in questo l’opposizione delle alternative è solo apparente, la vera ed unica realtà è l’unità della Ragione con se stessa. Ma l’uomo singolo è assorbito dalla Ragione e di fronte ad essa c’è l’istanza del singolo, dell’esistente come tale. “La verità è tale solo quando lo è per me”, cioè la verità non è l’oggetto del pensiero ma il processo attraverso il quale l’uomo se ne appropria. Alla riflessione oggettiva di Hegel, Kierkegaard oppone la riflessione soggettiva nella quale il singolo uomo è direttamente coinvolto e quindi non è oggettiva ma appassionata. Hegel ha fatto dell’uomo un genere animale in quanto solo negli animali il genere è superiore al singolo, ma per Kierkegaard l’uomo ha la caratteristica che il singolo supera il genere. Questo è l’insegnamento fondamentale del Cristianesimo che utilizza per combattere la filosofia hegeliana e come aspetto essenziale usa il concetto di singolo. Voleva far scrivere sulla sua lapide “Quel singolo”. Ha combattuto anche contro il panteismo idealistico, cioè contro l’identificazione tra uomo e Dio affermando l’infinità differenza qualitativa tra finito e infinito.
GLI STADI DELL’ESISTENZA
Vita estetica
Il primo libro di Kierkegaard è Aut – Aut, una raccolta di scritti pseudonimi che presentano l’alternativa ai due stadi della vita: la vita estetica e la vita morale o etica. Non sono due stadi di uno stesso sviluppo ma tra di loro c’è l’abisso. Ognuno ha una forma distinta e si presenta all’uomo come un’alternativa che esclude l’altra.
Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell’attimo. L’esteta vive poeticamente, cioè vive insieme d’immaginazione e di riflessione. E’ dotato di un senso finissimo per trovare solo cose interessanti e si foggia così di un mondo luminoso dal quale manca tutto ciò che è banale e insignificante, vive in uno stato di ebbrezza intellettuale continua ed esclude la ripetizione perché preclude l’interessante. Questa vita è rappresentata in Giovanni, “Diario di un seduttore”, che trova godimento non nella ricerca del piacere ma nella limitazione e nell’intensità dell’appagamento. Ma la vita estetica rivela insufficienza e noia perché chiunque vive esteticamente è disperato, la disperazione è l’ultimo sbocco della concezione estetica della vita, l’ansia di una vita diversa, un’altra alternativa e per raggiungerla bisogna attaccarsi alla disperazione.
Vita etica
La vita etica nasce con la scelta che l’esteta si pone quando arriva alla disperazione. Implica stabilità e continuità, è la riaffermazione di sé, del dovere e della fedeltà: il dominio della libertà per la quale l’uomo si forma. L’elemento estetico mostra che l’uomo è immediatamente ciò che è, mentre l’elemento etico mostra che l’uomo diviene ciò che diviene. L’uomo singolo si sottopone ad una forma, si adegua all’universale e rinuncia alla sua eccezionalità. La vita etica è incarnata dal marito, infatti il matrimonio è l’espressione tipica della vita etica, un compito che può essere proprio di tutti. Mentre nella concezione estetica dell’amore una coppia di persone eccezionali può essere felice per la loro eccezionalità, nella concezione etica del matrimonio può essere felice ogni coppia di sposi. La persona etica vive del suo lavoro e lavora con piacere perché lo mette in relazione con altre persone e adempiendo al suo compito adempie a tutti i suoi desideri. La caratteristica della vita etica è la scelta che l’uomo fa di se stesso. Una scelta assoluta perché non è la scelta di una determinazione finita ma della libertà. L’individuo scopre in sé una ricchezza infinita e una storia che include i suoi rapporti con gli altri. Per la sua scelta non può rinunciare a nulla, nemmeno agli aspetti dolorosi e nel riconoscerli si pente. Il pentimento è la scelta assoluta, riconoscimento della propria colpevolezza, anche di ciò che si è ereditato, e il pentimento è il suo amore perché lo sceglie e lo porta a raggiungere la vita religiosa.
Vita religiosa
Tra la vita etica e quella religiosa non c’è continuità anzi, c’è un abisso. Quest opposizione si trova nell’opera “Timore e tremore” che raffigura la vita religiosa nella figura di Abramo. Aveva vissuto fino a 70 anni nella legge morale quando Dio gli ordinò di uccidere il figlio Isacco e infrangere questa legge. Qui il comando non viene da un’esigenza morale ma dal divino che è in contrasto con la legge morale. L’affermazione del principio religioso sospende l’azione morale e la loro opposizione è radicale. La scelta tra i due principi non può essere facilitata: l’uomo, se ha fede, opterà per il principio religioso. Ma la fede non è un principio generale, è un rapporto privato tra uomo e Dio. E’ il dominio della solitudine e il carattere incerto e rischioso della vita religiosa. Ma come può l’uomo essere certo di essere l’eccezione giustificata? L’unico segno indiretto è la forza angosciosa con cui si pone la domanda. L’angoscia dell’incertezza è la sua unica assicurazione. La fede è proprio questa certezza angosciosa. La fede è paradosso e scandalo e Cristo è il segno di questo paradosso in quanto soffre e muore come un uomo ma parla e agisce come Dio. L’uomo si trova di fronte ad un bivio: credere o non credere. E’ lui che deve scegliere ma ogni iniziativa è esclusa perché Dio è tutto e da lui deriva anche la fede. La vita religiosa è tra le maglie di questa contraddizione inesplicabile, la stessa dell’esistenza umana. Quindi il Cristianesimo rivela la sostanza dell’esistenza. Paradosso, scandalo, contraddizione, necessità, impossibilità di decidere, dubbio, angoscia, sono le caratteristich
e dell’esistenza.
STADIO
CARATTERISTICHE
SIMBOLI
estetico
(immediatezza)
Novità
avventura
non – scelta
dispersione
noia
disperazione
Don Giovanni
etico
(scelta della scelta)
Scelta
fedeltà
ripresa
normalità
continuità
pentimento
Il marito
religioso
(rapporto assoluto
con l’Assoluto)
Fede
solitudine
paradosso
scandalo
Abramo
L’ANGOSCIA
Nelle sue due opere il “Concetto dell’angoscia” e “La malattia mortale” si occupa dell’esistenza come possibilità e descrive la situazione di radicale incertezza in cui l’uomo si trova per la natura problematica del suo modo di essere. Nella prima opera descrive il rapporto dell’uomo col mondo, mentre nell’altra il rapporto dell’uomo con se stesso.
L’angoscia è la condizione generata dal possibile nell’uomo ed è strettamente connessa con il peccato, anche quello originale. L’innocenza di Abramo è in realtà ignoranza che contiene però un elemento, non è che un niente ma questo niente genera l’angoscia. L’angoscia non si riferisce a nulla, è il puro sentimento della possibilità. Nell’ignoranza di ciò che può Adamo possiede il suo potere nella forma della pura possibilità e l’esperienza vissuta è l’angoscia. Non è né necessità né libertà astratta ma libertà finita, limitata, che si identifica col sentimento della possibilità. Questa connessione dell’angoscia col possibile si rivela nel possibile con l’avvenire. Per la libertà il possibile corrisponde all’avvenire, per il tempo l’avvenire è il possibile. Il passato angoscia solo quando si sente come futuro, come possibilità di ripetizione. Una colpa passata genera angoscia perché non è veramente passata altrimenti genera pentimento, non angoscia. Quest ultima è quindi legata a ciò che non è ma può essere. Manca o diminuisce negli stadi che degradano verso la bestialità, nell’aspiritualità, ma anche qui l’angoscia è pronta.
Le pagine conclusive del “Concetto di angoscia” esprimono autobiograficamente la natura dell’angoscia come sentimento del possibile. La parola più terribile pronunciata da Cristo non è quella presa in esame da Lutero (mio Dio, perché mi hai abbandonato?) ma quella che rivolse a Giuda (ciò che tu fai, affrettalo). La prima parola esprime sofferenza per ciò che accadeva in quel momento, la seconda l’angoscia per ciò che poteva accadere. In questa si rivela l’umanità del Cristo perché umanità significa angoscia. La povertà spirituale sottrae l’uomo all’angoscia ma lo trasforma schiavo di tutte le circostanze. Kierkegaard collega l’angoscia col principio dell’infinità e dell’onnipotenza del possibile: ogni possibilità favorevole è annientata dall’infinità delle possibilità sfavorevoli.

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