Kant:la Critica del Giudizio

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Testo

LA CRITICA DEL GIUDIZIO (1790)
LA POSIZIONE DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO NEI CONFRONTI DELLE DUE PRECEDENTI
La Critica della ragion pura si è occupata delle condizioni della conoscenza scientifica, che di altro non si può occupare se non del mondo dei fenomeni, dominato dalla causalità e dalla necessità.
Dunque la conoscenza si può solo limitare ad una dimensione che può essere spazializzata e temporalizzata e regolata dalle categorie, schemi dell’intelletto. Quindi le idee di Dio, dell’anima e del mondo, le tre componenti che secondo Wolff fondavano la metafisica, spingendosi al di là della sfera sensibile, non possono essere conosciute scientificamente.
La Critica della ragion pratica, invece, ha esaminato le condizioni di una morale universale, concludendo che delle tre idee, divenute postulati (precondizioni per l’esistenza di una morale), sia innegabile l’esistenza.
Della dimensione morale è invece fondamento regolatore la libertà, che si esplica a livello pratico.
Tra due livelli trattati, quello teoretico e quello pratico, intercorre dunque una profonda spaccatura: la ragione pura, infatti può solo conoscere i fenomeni, mentre quella pratica può prendere coscienza degli oggetti come sono in sé, ma non conoscerli.
Nella Critica del Giudizio Kant si propone di tentare una mediazione tra i due mondi, tra dimensione conoscitiva scientifica, fondata sull’intelletto, e quella morale, fondata sulla ragione pratica.
Tale mediazione presuppone una facoltà intermedia, quella del giudizio, strettamente collegato al sentimento puro.

‘GIUDIZIO DETERMINANTE’ E ‘GIUDIZIO RIFLETTENTE’
IL GIUDIZIO DETERMINANTE: questo tipo di giudizio era già stato affrontato da Kant nella Critica della ragion pura; esso infatti nasce dalla sussunzione del particolare, dato dai fenomeni, nell’universale, rappresentato dalle categorie. Attraverso questo procedimento si arriva alla conoscenza e per questo, tale giudizio è detto determinante, in quanto determina teoreticamente l’oggetto.
IL GIUDIZIO RIFLETTENTE: questo tipo di giudizio si ha nel momento in cui sia dato solo il particolare, il fenomeno, mentre invece sia necessario trovare l’universale. Esso si chiama riflettente in quanto per trovare questo universale è necessario ‘riflettere’, cioè comparare i vari fenomeni e cogliere rispetto a loro stessi e al soggetto (che compara) una certa armonia.
Per trovare tale armonia è però anche necessario presupporre un principio- guida, che consiste nell’idea di finalità della natura.
Il concetto di fine non è un concetto teoretico (infatti era stato escluso dalla Critica della ragion pura), ma fa parte piuttosto di un bisogno strutturale del soggetto, di un sentimento (il sentire la finalità della natura).
Il giudizio riflettente si divide a sua volta in altri due giudizi: quello estetico e quello teleologico.
IL GIUDIZIO ESTETICO
Il giudizio estetico nasce dal rapporto dall’oggetto e il soggetto e dal sentimento di piacere che quest’ultimo prova una volta messo a contatto coll’oggetto. Nascendo da un sentimento, quello di piacere, di gusto, il giudizio estetico non ha nulla di teoretico, perché non legato alla sfera conoscitiva.
Il ‘bello’, nel giudizio estetico, deve avere quattro caratteristiche:
• Il bello è ciò che piace senza interesse, dunque non legato ai sensi né all’utile economico.
• Il bello è universale, perché vale per tutti gli uomini, distinguendosi dai gusti individuali.
• Il bello è ciò che esprime un’impressione di ordine e di finalità, sia che si tratti della natura che di un’opera d’arte.
• Il bello s’impone a tutti gli uomini necessariamente.

IL CONCETTO DI SUBLIME
Il sublime distingue a questo punto il concetto di bello da quello di sublime. Il bello è limitato, mentre il sublime è illimitato. Il bello produce un sentimento positivo, mentre invece il sublime ne produce spesso uno contrastato tra positivo e negativo. Dunque dal sublime l’uomo è contemporaneamente attratto e respinto.
Il sublime si distingue in due specie:
• Matematico: si prova di fronte all’infinitamente grande (oceano, cielo).
• Dinamico: si prova di fronte all’infinitamente potente (terremoti, vulcani).
Di fronte al sublime l’uomo si sente piccolo e schiacciato, pur riconoscendo di essere ad esso superiore, in quanto è dotato di una facoltà superiore, la ragione, che il sublime, di carattere fisico, non possiede.

IL GIUDIZIO TELEOLOGICO
Per definire il giudizio riflettente teleologico Kant considera la finalità della natura: infatti non è possibile non considerare la natura come finalisticamente organizzata, in quanto in ogni uomo c’è l’irrefrenabile tendenza a considerarla tale.
Certo non è possibile per l’uomo conoscere il sostrato noumenico della natura, ma è altresì vero che non è possibile spiegare alcuni organismi della natura (come l’uomo) secondo leggi puramente meccaniche. Essi esigono dunque una causalità diversa, quella finalistica.
Conclusione della Critica del Giudizio è l’idea secondo cui l’uomo sia non solo uno dei fini della natura, ma addirittura lo scopo ultimo della natura sulla terra: un uomo rispetto a cui “tutte le altre cose naturali costituiscono un sistema di fini”.

CONCLUSIONI SULLA TERZA CRITICA
Risulta dunque chiaro come in questa prospettiva Kant anticipi una sensibilità che sarà sviluppata negli anni successivi dalla nuova cultura romantica: non è un caso, infatti, che per autori come Goethe, Schiller e altri poeti romantici Kant sia stato soprattutto l’autore della Terza Critica, il filosofo secondo cui il destino dell’uomo sia quello di essere votato all’infinito.
Infatti Kant più volte ribadirà come la ragione pratica abbia un primato sulla ragione pura, proiettando se stesso al di là dell’Illuminismo, verso il Romanticismo (“due cose riempiono l’animo di ammirazione e di reverenza…: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”).
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