Il positivismo

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

Scienza e arte positivista ed il reale sociale:
analisi del 19 secolo dal punto di vista borghese
l’enunciazione di Comte, a metà del diciannovesimo secolo, di un modello filosofico conformato alla esaltazione della scienza quale unico percettore e regolatore finale di ogni manifestazione naturale, riassume in se l’aspetto precipuo della rivoluzione-evoluzione borghese, ovvero dell’affermazione finale al potere di questa classe sociale. L’approdo al terzo stadio finale, il “livello scientifico” cui tende la realtà ed in cui i fenomeni particolari sono classificati in leggi generali, sottintende il pragmatico punto di vista della classe media, improntato alla praticità, alla logica di mercato, alla manipolazione affaristica e politica, scevra ormai da pulsioni e superstizioni religiose, nonostante che il decoro, primo archetipo di pubblicità sociale imponga l’osservanza e la dichiarazione alla conformità religiosa, (quindi si denota il sostanziale abbandono del primo stadio dello sviluppo intellettuale, quello teologico), e lontana anni luce dagli arzigogolamenti metafisici che ancora connotano il pensiero (vacuo) dell’ormai decadente (e decrepita) enclave aristocratica (abbandono del secondo stadio).
La scienza, quindi, regola la vita, e non solo dal punto di vista strettamente fisiologico, chimico o astronomico, bensì, per chi vuole ed è in grado di percepire, si insinua nell’architettura stessa del pensiero e della morale, ne ordina strettamente la struttura, illuminandone, o forse meglio, eliminandone le “zone buie” (il decadentismo è appena agli albori e Freud è di la da venire) esponendone la mente all’assimilazione integrale della realtà. Con questo nuovo “modus operandi” acquisito, la cosciente adesione ai principi positivisti della strenua ricerca e rappresentazione del reale, e l’entusiasmo tipico del ricercatore che si pone ad esplorare un campo di studi sinora sconosciuto, o meglio, scientemente ignorato dai suoi predecessori, gli scrittori più sensibili e dotati dell’epoca quali Zola, i fratelli Goncourt, Flaubert ed altri ancora, sondano la realtà e scrivono della realtà, ma non solo della bella realtà borghese, infarcita di lusso, di salotti à la page, di fanciulle in amore, bensì della brutale realtà popolare, della misera realtà proletaria, della sofferente realtà dei soprusi, della squallida realtà della prostituzione,della disperata realtà annegata nell’alcool. E così i realisti scandalizzano con la realtà, ed a volte subiscono anche ritorsioni a causa della realtà (Zola ed il caso Dreyfuss) rivolgendosi a chi spesso non vuol vedere la realtà, o meglio riesce a vederla ed accettarla solo in uno spazio bidimensionale quale il libro stampato.
Sì, perché è questo il più grande paradosso del positivismo borghese: da una parte gli esponenti migliori della borghesia hanno il coraggio di denunciare le miserrime condizioni della classe proletaria, arrivando anche (Zola) ad aderire infine al socialismo, visto come unica via salvifica per le masse, dall’altra parte altri esponenti (forse i peggiori?) della stessa classe, pur messi di fronte alle loro dirette, od indirette, responsabilità circa lo stato di degrado in cui versa la classe loro sottoposta mantengono la medesima condotta sociale, per di più acquistano e decretano il successo commerciale di tali romanzi sperimentali (appellativo ben meritato tanto il metodo scientifico era così ben applicato nella disamina della società e nella stesura di quei tomi), quasi che lo schermo di carta e inchiostro che li divide dalla tridimensionalità dolente che vi è al di la di esso, basti a farli sentire alieni a quel mondo, null’altro che opachi fruitori di un buon prodotto editoriale.
Certo la critica va rivolta più che altro all’alta borghesia, che in maniera diretta, dallo sfruttamento del lavoro salariato, traeva le basi della sua floridezza, ma una punta di dolo la si può assegnare anche alle restanti componenti di questa casta vincente, che per formazione e, a volte, per omertosa convenienza e speranza di innalzamento sociale, chiudeva anch’essa gli occhi di fronte al disagio operaio.
Il transito del modello culturale naturalista in Italia, portò oltretutto alla perdita dell’istanza di denuncia sociale tipico degli scrittori d’oltralpe.
Denominatisi realisti, i nostri scrittori si dedicarono alla descrizione delle realtà regionali italiane, privilegiando racconti e novelle a sfondo meridionalista, in quanto realtà nuova ed esotica per la borghesia italiana, allora sita per lo più nel nord di nascente industrializzazione. Ma forse la carenza di una tradizione liberale in un paese di recente costituzione nazionale, o forse una più accentuata forma di elitarismo quasi nobiliare cui si sentivano portati i nostri letterati, portò l’analisi verista, pur condotta con massima dignità di rigore scientifico, e soprattutto nel caso di Verga, il massimo esponente verista, supportata da una mirabile tecnica letteraria, ad una forma di puntigliosa ma distante descrizione, una minuziosa ma muta fotografia in bianco e nero destinata ad una classe borghese (quella italiana) ancor più cieca e reazionaria, forse ancora un po’ troppo vicina ad un certo sentire edonistico tipico dell’aristocrazia, rispetto alle sue omologhe in Europa.
Così la fiumana della vita che sommerge i vinti, bagna in parte anche Verga stesso, che sospende il suo ciclo letterario, privo, in pratica, di un pubblico cui destinarlo.

Oltre che all’analisi letteraria, la trasposizione naturalista dei principi positivisti, si affidò anche alla genialità di un nuovo tipo di pittura: l’impressionismo.
Stanche delle soffocanti regole accademiche, i pittori impressionisti abbandonarono l’atelier ed il disegno preparatorio, per portarsi in strada, in mezzo alla gente, en plein air,catturando, tramite il solo ausilio della pittura immediata, le impressione di colori, luci, cercando di renderle nel modo più reale possibile. L’abbandono delle accademie, rese possibile a questi pittori ritrarre i luoghi più disparati, e quindi anche le fabbriche, le miniere, i luoghi del lavoro, e per contrasto la ricchezza o la quieta compostezza della borghesia. Il contrasto che ne deriva è stridente, una visualizzazione puntuale della dicotomia sociale esistente, e, se vogliamo, il completamento visivo dei romanzi denuncia dei naturalisti.
Antonio Carli
Destinazione editoriale: pagina culturale di un quotidiano

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