Tipologie di imperialismo

Materie:Riassunto
Categoria:Storia

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Testo

Imperi coloniali Domini che le maggiori potenze europee costituirono tra il XV e il XX secolo nelle Americhe, in Asia e in Africa. I sistemi coloniali furono il risultato del processo di espansione territoriale ed economica dei grandi stati nazionali europei, in seguito alla scoperta di continenti sino allora sconosciuti e all'istituzione di collegamenti regolari e diretti con i nuovi territori. La formazione degli imperi coloniali trasse origine dalle esplorazioni geografiche intraprese tra il XV e il XVI secolo, in seguito alle quali furono creati insediamenti che perseguirono obiettivi differenti e diedero vita a forme peculiari di colonizzazione.
Colonialismo portoghese

I portoghesi furono i primi colonizzatori europei dell'età moderna. Conclusa nel XIV secolo la guerra religiosa contro le minoranze musulmane presenti nel regno, il Portogallo si era spinto alla ricerca di nuove terre e di ricchezze, conquistando Madeira e le Azzorre (1419); i successivi viaggi lungo le coste atlantiche dell'Africa, per fare incetta di schiavi, oro e avorio, furono la premessa per la scoperta della rotta per l'India, impresa compiuta da Vasco da Gama nel 1498 circumnavigando il capo di Buona Speranza. Toccò ad Afonso de Albuquerque, conquistatore e viceré delle Indie, il compito di fondare l'impero portoghese, basato su una rete commerciale che dai porti indiani delle spezie si estendeva a Ceylon, l'isola della cannella, a Malacca, la terra dei garofani, e giungeva fino alle lontane Molucche nell'arcipelago indonesiano. Tuttavia, le scarse risorse demografiche del Portogallo, insufficienti per consolidare l'insediamento coloniale, e la concorrenza degli olandesi determinarono la quasi totale estromissione dei portoghesi dall'Asia a partire dalla fine del XVI secolo (conservarono Macao, emporio sul Mar Cinese, Goa, Daman e Diu in India).
Contemporaneamente il Portogallo rafforzò la sua dominazione in Brasile, scoperto da Pedro Alvares Cabral nel 1500 e ottenuto in virtù del trattato di Tordesillas (1494), istituendovi un sistema politico organico che trasformò quell'area in un'entità portoghese a tutti gli effetti per lingua e civiltà. Lo sfruttamento della colonia fu intensivo nel corso del XVIII secolo; l'economia brasiliana passò attraverso vari cicli, ognuno dei quali legato a un particolare prodotto largamente richiesto sui mercati internazionali: il ciclo del legno (il pau-brasil), quello della canna da zucchero, dell'oro e delle pietre preziose, del caucciù e del caffè. L'economia coloniale si resse sull'apporto di manodopera africana ridotta in schiavitù, che veniva impiegata nelle piantagioni e nelle miniere. Il Brasile ottenne l'indipendenza dal Portogallo nel 1822, costituendosi in regno autonomo con Pietro I di Braganza.
In Africa gli insediamenti costieri del Portogallo divennero basi di partenza per estendere il controllo militare e politico alle regioni dell'interno: in questo modo si formarono le due grandi colonie dell'Angola e del Mozambico, la cui economia si fondava principalmente sulla tratta degli schiavi, formalmente soppressa nel 1836, ma in realtà sopravvissuta per tutto il XIX secolo. Entrambe le colonie africane raggiunsero l'indipendenza nel 1975, sulla scia della rivoluzione democratica in atto nella madrepatria, ma il processo di decolonizzazione fu anche in questi paesi particolarmente difficile e cruento.
Colonialismo spagnolo

L'espansione coloniale della Spagna viene di norma associata alla fondazione e al consolidamento del suo vasto impero nelle Americhe. Questo processo ebbe inizio con Cristoforo Colombo e il suo primo viaggio nel mar dei Caraibi nel 1492, e raggiunse l'apice nel XVIII secolo, quando l'impero spagnolo si estendeva dalla California e dal Texas fino alla Patagonia, con l'eccezione del Brasile e delle Guyane.
Contemporaneamente all'espansione nel territorio americano, la Spagna iniziò nel 1565 a stabilire la propria presenza, anche se in misura minore, in Asia, con la conquista delle Filippine – così chiamate dal nome del re Filippo II – e nell'Africa mediterranea.
L'America spagnola
La Spagna intraprese viaggi di esplorazione nell'oceano Atlantico sulla scia dei successi conseguiti dai navigatori portoghesi. Identica era la meta: le Indie, territorio di grandi ricchezze. A questo scopo i sovrani di Spagna, Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, appoggiarono il progetto di Cristoforo Colombo che salpò da Palos nel 1492; il viaggio di colonizzazione vero e proprio tuttavia fu il secondo, con la spedizione effettuata nel 1493. A livello diplomatico si aprirono immediatamente le trattative con il Portogallo e con il papato: il papa emise una serie di bolle che autorizzavano l'evangelizzazione a opera degli spagnoli e, nel 1494, fu concluso con il Portogallo il trattato di Tordesillas, che garantiva alla Spagna i territori al di là della cosiddetta linea alessandrina, situata a circa 1780 km a ovest delle Azzorre. Questa divisione garantì al Portogallo il possesso di gran parte dell'odierno Brasile.
Per tutto il XVI secolo gli unici ostacoli all'espansione spagnola furono costituiti dai limiti naturali delle risorse materiali e umane a disposizione per le esplorazioni e per la colonizzazione, insieme agli ostacoli di natura geografica e, in alcune regioni, all'accanita resistenza opposta dalle popolazioni indigene.
Entro la seconda metà del XVI secolo, gran parte delle isole dei Caraibi era stata conquistata e l'attenzione della Spagna si volse al Venezuela, all'America centrale – attraversata per la prima volta da Vasco Núñez de Balboa, primo europeo a raggiungere l'oceano Pacifico – e al Messico. La celebre spedizione del 1519 di Hernan Cortés, che culminò due anni dopo con la conquista Tenochtitlán, capitale degli aztechi distrutta dagli spagnoli e ricostruita con il nome di Città di Messico, aprì una nuova fase nell'espansione coloniale spagnola, che raggiunse il suo apice nel 1533 con la conquista di Cuzco, la splendida città inca, capitale del Perù, da parte di Francisco Pizarro. Durante questi anni, i conquistadores saccheggiarono l'America centromeridionale, la cui civiltà era ben più ricca e progredita di quella incontrata nelle colonie caraibiche. Dal Perù partirono ulteriori spedizioni dirette a nord verso l'Ecuador e la Colombia e a sud verso il Cile. Una nuova spedizione condotta dalla Spagna, in cerca di altre rotte per il Sud America, portò alla fondazione di Buenos Aires nel 1536 e di Asunción, capitale del Paraguay, nel 1537.
La ricerca di nuovi territori condusse gli spagnoli in regioni ancor più remote, come quelle del Rio delle Amazzoni, del Messico settentrionale e degli altipiani della Guyana. Qui, come altrove, si limitarono a installare postazioni isolate e temporanee, concentrando gli insediamenti permanenti nel Messico centrale e sulla cordigliera delle Ande, dove, intorno al 1540, scoprirono le ricche miniere d'argento di Potosí (nell'odierna Bolivia).
Le colonie americane vennero contese alla Spagna nel XVIII secolo dagli inglesi, i quali si insediarono per un certo periodo a Cuba e nella Florida. Mentre la potenza spagnola in Europa cominciava a declinare sotto il regno di Carlo IV, la potente minoranza di ispano-americani bianchi o creoli, proprietari delle piantagioni e delle miniere in America latina, cominciò a nutrire aspirazioni di indipendenza, che nei primi due decenni del XIX secolo si realizzarono portando alla formazione di una serie di stati sovrani (vedi Guerre di indipendenza latinoamericane).
Solamente Cuba e Puerto Rico rimasero possedimenti spagnoli, in parte perché le minoranze che lavoravano nelle piantagioni temevano che la rivolta politica sfociasse nello sterminio della popolazione bianca da parte di quella di colore, come era accaduto nella vicina Haiti intorno al 1790. Durante il XIX secolo, queste isole vennero assorbite nell'orbita economica degli Stati Uniti, che intervennero con le proprie armate nel 1898 garantendo il successo della rivoluzione cubana contro il dominio spagnolo.
L'Asia spagnola: le Filippine
La scoperta europea delle Filippine avvenne nel 1521, quando la spedizione dell'esploratore Ferdinando Magellano, al servizio della corona spagnola, raggiunse Cebu, una delle isole maggiori dell'arcipelago dell'odierna Repubblica delle Filippine. Magellano venne ucciso nell'isola di Mactan e la Spagna reclamò la proprietà delle isole inviando altre spedizioni, prima di procedere nel 1565 alla colonizzazione sistematica del territorio. L'unico ostacolo alla sua espansione fu costituito dalla resistenza degli abitanti musulmani, che si rivelò particolarmente feroce nelle isole meridionali di Mindanao e Palawan.
Una minaccia alla sovranità spagnola sulla regione si profilò agli inizi del XVII secolo, quando l'Olanda iniziò la penetrazione commerciale in Oriente. Un'ulteriore minaccia fu costituita dall'espansione coloniale britannica nel XVIII secolo: forze inglesi occuparono Manila (1762-1764), nel corso del conflitto che vide alleate Olanda e Inghilterra contro la Spagna. La resistenza maggiore tuttavia venne dalla popolazione musulmana e dai movimenti nazionalistici del XIX secolo. Lo scoppio della guerra ispano-americana del 1898 rappresentò il segnale d'azione per i nazionalisti filippini, ma l'anno seguente il trattato di pace concluso tra i due paesi in guerra stabilì la cessione delle isole agli Stati Uniti. L'arcipelago conseguì l'indipendenza nel 1946.
L'Africa spagnola
Il colonialismo spagnolo nel continente africano era concentrato in due aree principali: il Marocco e il golfo di Guinea. La presenza spagnola in Marocco risale al 1497, quando furono stabilite postazioni militari a Ceuta e a Melilla, sulle coste dell'Africa settentrionale, per proteggere le navi dagli attacchi dei corsari berberi. La penetrazione sistematica nel territorio avvenne in seguito, verso il 1860, quando, dopo un breve conflitto, il Marocco cedette anche Santa Cruz de la Mar Pequeña (odierna Ifni), sulla costa atlantica, di fronte alle isole Canarie. Gli accordi tra le grandi potenze europee portarono all'istituzione di un protettorato spagnolo nel Sahara Occidentale, noto a partire dal 1912 come Sahara spagnolo, e, all'estremo versante nordoccidentale del continente, del Marocco spagnolo, che rimase tale fino al 1956. Successivamente la Spagna restituì Ifni e si accordò nel 1970 per il ritiro dal Sahara spagnolo, che venne diviso tra il Marocco e la Mauritania. Nonostante persistenti reclami da parte del Marocco, la Spagna mantiene ancora oggi il possesso delle enclave di Ceuta e Melilla.
A sud del Sahara la Spagna stabilì una presenza nominale intorno al 1778, quando il Portogallo cedette Fernando Poo (odierna Bioko) e Annobon – centri per la tratta degli schiavi – insieme con il territorio di Rio Muni (odierna Guinea Equatoriale), in cambio del riconoscimento spagnolo delle frontiere del Brasile. La Spagna riconobbe l'indipendenza di questi tre territori nel 1968 e ora essi costituiscono lo stato della Guinea Equatoriale, l'unico paese di lingua spagnola nell'Africa nera.
Colonialismo francese
Le origini dell'impero coloniale francese risalgono al regno di Francesco I, durante il quale fu autorizzata la spedizione di Jacques Cartier che esplorò il fiume San Lorenzo in Canada (1534-1543). Nella regione, battezzata Nuova Francia, le prime colonie francesi furono fondate nel corso del XVII secolo, mentre altri insediamenti furono creati nelle isole caraibiche di Martinica, Guadalupa e Santo Domingo. Contemporaneamente i francesi attraversarono la vasta regione lungo il fiume Mississippi sottomettendola alla sovranità della corona francese con il nome di Louisiana (1684), in onore di Luigi XIV. Nel XVIII secolo l'impero coloniale francese era costituito da Canada, Louisiana, Indie Occidentali francesi, alcuni centri del Senegal, le isole chiamate Ile de France e Bourbon (più tardi note come Mauritius e Réunion) e alcune regioni in India, le più importanti delle quali erano Pondicherry e Chandernagore. La competizione con l'altra grande potenza coloniale, l'Inghilterra, che si protrasse per tutto il XVIII secolo, si concluse con la perdita di molti possedimenti americani e asiatici: nel 1815 l'impero coloniale francese si era ridotto alle isole di Martinica e Guadalupa e all'arcipelago di Saint-Pierre e Miquelon (a sud di Terranova), a pochi scali in Senegal e a cinque porti commerciali in India e alla Réunion; nel 1817 si aggiunse il territorio della Guyana francese. Nel 1830 la Francia ottenne l'Algeria e sotto Napoleone III promosse i propri interessi economici in Senegal, in Cina, in Indocina e in Nuova Caledonia, e, senza successo, in Siria e in Messico.
Fu tuttavia con la Terza Repubblica (1875-1941) che l'attività coloniale francese conobbe un periodo di forte espansione, soprattutto in terra nordafricana, dove, nel 1881, la Francia costrinse il bey di Tunisi ad accettare un protettorato sulla Tunisia, sulla quale la Francia cominciò a esercitare la completa sovranità.
L'Africa equatoriale fu esplorata dall'italiano Savorgnan di Brazzà tra il 1875 e il 1880, e nel 1910 i territori passati sotto l'influenza francese, Gabon, Congo francese, Oubangi-Chari (odierna Repubblica Centrafricana), vennero raggruppati sotto l'unità amministrativa dell'Africa Equatoriale francese. Nell'Africa occidentale, dopo l'occupazione della Costa d'Avorio (1883), della Guinea (1896), del Dahomey (1892), del Senegal e del Ciad, fu istituita l'Africa Occidentale francese (1895). Esploratori e soldati francesi penetrarono nel Sahara occupando le grandi oasi nel 1899 e nel 1900.
La rivalità franco-inglese per il controllo del Madagascar si concluse nel 1896, in seguito a una sanguinosa guerra, con la concessione dell'isola alla Francia. Un'altra importante area di interesse coloniale per la Francia fu l'Indocina, che passò sotto il controllo francese alla fine del XIX secolo. Entro il 1914 l'impero coloniale francese comprendeva circa cinquanta milioni di abitanti, distribuiti su un'area di dieci milioni di chilometri quadrati.
Il processo di decolonizzazione fu cruento e coinvolse la Francia in due sanguinosi conflitti. Nel 1946 scoppiò la guerra d'Indocina, che si concluse nel 1954 con la vittoria, nella battaglia di Dien Bien Phu, delle forze del Vietminh, il movimento di liberazione nazionale fondato da Ho Chi Minh, e la proclamazione dell'indipendenza della Repubblica del Vietnam. Nello stesso anno in cui si concludeva il conflitto indocinese, si apriva un altro fronte insurrezionale contro la Francia nell'Africa settentrionale: anche la guerra d'Algeria avrebbe condotto nel 1962 alla concessione dell'indipendenza all'ex colonia francese. Avendo ottenuto completa autonomia anche la Tunisia (1954) e il Marocco (1956), l'impero coloniale francese si restrinse a Guyana, Guadalupa, Martinica e Réunion.
Colonialismo britannico

L'Inghilterra gettò le basi del proprio impero coloniale durante il regno di Elisabetta I, potenziando la flotta e inaugurando un'aggressiva politica commerciale oltremare (la Compagnia delle Indie Orientali fu fondata nel 1600) che entrò in aperta sfida con la potenza spagnola. I primi insediamenti furono nei Caraibi orientali, esattamente nell'isola di Saint Christopher (in seguito Saint Kitts).
La colonizzazione inglese ebbe anche un'impronta religiosa: le colonie dell'America settentrionale furono fondate dai Padri pellegrini, partiti da Plymouth a bordo della Mayflower e sbarcati nel Massachusetts nel 1620 con l'obiettivo di dar vita a una colonia puritana. Altri insediamenti in cui si stanziarono comunità religiose furono quelli di Rhode Island (1636), del Connecticut (1639) e di Baltimora (1634).
Il processo di espansione coloniale continuò sotto Oliver Cromwell, che, nell'ambito di una politica antispagnola, attuò la conquista della Giamaica (1655). Le piantagioni di tabacco vennero sostituite da quelle di canna da zucchero e furono impiegati schiavi africani per far fronte al bisogno di manodopera. L'atto di navigazione del 1651 stabilì che le merci importate o esportate dalle colonie dovessero essere trasportate solo con navi inglesi: questa politica di protezionismo avrebbe innescato un lungo conflitto con l'Olanda, sfociato in due guerre navali.
Nel continente nordamericano la presenza inglese si attestò lungo le coste: nel 1664 la colonia di Nuova Amsterdam fu strappata agli olandesi e ribattezzata New York, e William Penn fondò la colonia della Pennsylvania (1681). Durante il regno di Giacomo II (1685-1688) le colonie vennero sottoposte a un più stretto controllo da parte della corona. Tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo gli inglesi conquistarono Port Royal, in Nuova Scozia e l'isola di Terranova. Al termine della guerra di successione spagnola acquisirono importanti privilegi coloniali e proseguirono nella colonizzazione del Nord America: ne derivò un drastico ridimensionamento della presenza francese nel Nuovo Mondo, sia nei Caraibi sia nella valle del San Lorenzo.
Alla fine del XVII secolo la presenza inglese in India risultava ancora limitata (la Compagnia delle Indie Orientali disponeva soltanto di alcune stazioni commerciali a Surat e Madras), ma in seguito cominciò a espandersi, a spese ancora della Francia. Il governatore britannico Robert Clive sconfisse, tra il 1751 e il 1757, indiani e francesi permettendo alla Compagnia delle Indie Orientali di assumere una posizione dominante nella regione del Bengala. Con il trattato di Parigi del 1763 l'Inghilterra restituì alla Francia le isole caraibiche di Martinica e di Guadalupa, conservando però il Canada. La ribellione delle colonie del New England, sfociata nella guerra d'indipendenza americana (1776-1783), portò alla nascita degli Stati Uniti d'America, indipendenti dalla madrepatria. Nel frattempo la corona britannica manteneva e rafforzava il controllo sulla colonia indiana e fondava un primo insediamento in Australia, chiamato Sydney Cove (1788).
Le guerre che l'Inghilterra sostenne contro la Francia repubblicana e napoleonica a partire dal 1793 le consentirono di occupare le isole francesi dei Caraibi e di conseguire una definitiva supremazia nell'ambito della navigazione oceanica. All'inizio del XIX secolo intraprese una serie di campagne in India al fine di consolidare il proprio dominio nella regione: fu in quel periodo che l'inglese divenne la lingua ufficiale nei territori conquistati (1828) e si intensificò l'attività missionaria. Dopo la rivolta indiana del 1857 (vedi Ammutinamento dei sepoy) il governo dell'India passò dalla Compagnia delle Indie Orientali alla corona: la nomina di un viceré fu il primo passo verso una sovranità piena, sancita nel 1876, anno in cui la regina Vittoria assunse il titolo di imperatrice delle Indie.
Durante il governo conservatore di Benjamin Disraeli (1874-1880) l'Inghilterra riprese la sua antica vocazione imperialistica che l'avrebbe condotta, sotto il governo liberale di William Gladstone, a occupare l'Egitto (1882) per mantenere il controllo sul canale di Suez (aperto nel 1869). L'espansione coloniale in Africa avvenne in competizione con Francia e Germania: l'Inghilterra si aggiudicò alcuni territori dell'Africa occidentale (lungo la valle del Niger) e dell'Africa meridionale, costituendo nel 1888 il protettorato sul territorio del Bechuanaland (odierno Botswana) ed estendendo nel 1894 il proprio dominio sulla regione della Rhodesia (oggi Zimbabwe e Zambia), così denominata da Cecil Rhodes che fu l'artefice di queste annessioni. Gli avversari più temibili si rivelarono i boeri del Transvaal e dell'Orange, sconfitti dagli inglesi dopo tre anni di guerra (vedi Guerra anglo-boera, 1899-1902). Nell'Africa orientale l'esploratore Samuel Baker scoprì il lago Alberto (1864) e la successiva acquisizione dell'Uganda (1894) assicurò all'Inghilterra un dominio che si estese fino a includere il Kenya. In Africa gli inglesi sperimentarono i primi provvedimenti di decolonizzazione a favore dei coloni bianchi del Transvaal e dell'Orange, a cui concessero l'autogoverno aprendo così la strada alla formazione dell'Unione Sudafricana (1910).
Alla fine della prima guerra mondiale, con la firma del trattato di Versailles (1919) l'impero coloniale britannico raggiunse la sua massima estensione, con l'acquisizione di gran parte dei territori africani delle colonie un tempo in mano alla Germania. La guerra tuttavia provocò la diffusione di profondi sentimenti nazionalistici e indipendentistici, che caratterizzarono i decenni seguenti.
Con lo statuto di Westminster del 1931 la Gran Bretagna riconobbe autonomia costituzionale ai dominions (colonie con diritto di autogoverno). Anche le contee dell'Irlanda del Sud ottennero lo status di dominion e acquisirono il nome di Stato libero d'Irlanda (1922), costituendosi nel 1937 in repubblica. In India l'ombra del massacro di Amritsar del 1919, in cui l'esercito inglese fece fuoco su una folla di dimostranti uccidendone quattrocento, influenzò i rapporti tra il partito del Congresso nazionale indiano (fondato nel 1885) e la corona inglese, nonostante le riforme costituzionali concesse da quest'ultima.
Il fragile equilibrio che l'impero britannico riuscì a conservare fino al 1939 venne sconvolto dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Il Giappone conquistò Hong Kong, la Malaysia, la Birmania e Singapore; la presenza inglese in India, dopo i disordini che si susseguirono nel corso del 1942, era ormai puramente formale. I dominions entrarono in guerra al fianco dell'Inghilterra nel 1939, ma in seguito rivendicarono piena autonomia nel decidere la natura e i limiti della propria partecipazione (la Repubblica d'Irlanda restò neutrale).
Nel dopoguerra la decolonizzazione fu rapida nelle colonie asiatiche: India e Pakistan ottennero l'indipendenza nel 1947, Ceylon nel 1948 e la Birmania nel 1949. Solo quest'ultima non restò nel Commonwealth. Nel 1948 Londra rinunciò al mandato sulla Palestina; in Africa, i disordini di Accra nel febbraio del 1948 inaugurarono un periodo di transizione durante il quale l'odierno Ghana fu la prima colonia britannica subsahariana a ottenere l'indipendenza (1957). Nell'Africa centrale e orientale l'indipendenza fu raggiunta negli anni Sessanta da Nigeria (1960), Sierra Leone (1961), Tanganica (odierna Tanzania, 1961), Uganda (1962), Kenya (1963), Zambia (1964), Malawi (1964), Gambia (1965), Botswana (1966) e Swaziland (1968). Con l'eccezione della Rhodesia, in cui la rivolta dei bianchi portò ad anni di guerriglia, fino alla costituzione dello Zimbabwe (1981), la conquista dell'indipendenza avvenne perlopiù pacificamente. Parallelamente alla fine dell'impero coloniale nacque il Commonwealth britannico, istituzione multirazziale, egualitaria, di carattere cooperativo, di cui attualmente fanno parte cinquantuno paesi.
Colonialismo olandese
Il sistema coloniale olandese si formò immediatamente dopo che le Province Unite ottennero l'autonomia politica dalla Spagna (fine del XVI secolo). Commercianti e armatori, gli olandesi, dopo aver monopolizzato il commercio dei cereali nel Baltico ed essersi inseriti nelle rotte del Mediterraneo in competizione con veneziani e inglesi, volsero la propria attenzione all'Asia, alle Americhe e all'Africa. In India e nell'arcipelago indonesiano il loro arrivo provocò in poco tempo la scomparsa dell'impero coloniale portoghese.
I commerci della Compagnia olandese delle Indie Orientali assicurarono il controllo di aree strategiche in America e in Africa e il dominio sulle isole dell'Estremo Oriente, ponendo le basi per una espansione economica di dimensioni mondiali. Fondata ad Amsterdam nel 1602 grazie all'unione di capitali pubblici e privati, la Compagnia conquistò il monopolio del commercio olandese oltre il capo di Buona Speranza e lo stretto di Magellano, nonché il diritto di fondare e amministrare basi commerciali nelle Indie Orientali. La penetrazione avvenne soprattutto nelle isole della Sonda, dove nel 1619 fu fondata Batavia (l'odierna Giacarta), eletta sede del governo generale; furono poi siglati trattati di alleanza con i capi indigeni, che permisero alla Compagnia di estendere notevolmente la propria influenza nella regione. Tale metodo comportava bassi costi economici ed elevati rendimenti in termini di sfruttamento delle risorse locali.
Nel 1621 gli olandesi istituirono la propria Compagnia delle Indie Occidentali, che avrebbe dovuto organizzare gli scambi tra Africa, America ed Europa, e che fu sciolta nel 1674 per difficoltà finanziarie. Alla base del suo fallimento vi fu la ridotta espansione coloniale olandese nel territorio americano (qualche isola delle Piccole Antille, la Guyana, Nuova Amsterdam) e soprattutto la rivalità con le potenze coloniali francese, inglese e spagnola.
Nel 1652 gli olandesi fondarono uno stabilimento coloniale, sottoposto alla Compagnia delle Indie Orientali, nella zona del capo di Buona Speranza, che diventò uno scalo strategico per i viaggi verso l'Asia. La Colonia del Capo si sviluppò sino a divenire un importante possedimento, i cui coloni di provenienza olandese e tedesca furono chiamati boeri. Quando nel 1806 la Gran Bretagna conquistò la colonia, i boeri emigrarono verso l'interno, costituendo gli stati del Transvaal e dell'Orange. La tensione tra i coloni e gli inglesi sarebbe sfociata nella guerra anglo-boera (1899-1902).
Colonialismo tedesco
L'unità politica tedesca, avvenuta con la costituzione del Secondo Reich nel 1871, fece della Germania una grande potenza e le permise di partecipare alla spartizione coloniale dell'Africa, che divenne il principale terreno di confronto tra gli stati europei e la base per la trasformazione imperialistica dell'economia di fine Ottocento. La politica coloniale tedesca si indirizzò alle regioni centromeridionali del continente, dove la Germania giunse a controllare vasti territori (Tanganica, Camerun e Africa del Sud-Ovest, corrispondente all'attuale Namibia) col proposito, non realizzato, di interrompere il lungo corridoio inglese che andava dal Cairo a Città del Capo.
Il colonialismo tedesco si attuò come istanza di politica estera, ossia come spinta espansionistica volta a contrastare gli interessi inglesi e francesi: da questo punto di vista era essenziale il controllo della navigazione oceanica e l'influenza su aree strategiche, quali erano allora il Medio Oriente, il Nord Africa e la penisola anatolica, punto di raccordo, quest'ultima, tra le metropoli europee e le loro dipendenze coloniali in Asia e Africa orientale. Il sistema coloniale tedesco in Africa fu smembrato dopo la prima guerra mondiale: alla Francia andò il Camerun; alla Gran Bretagna vennero affidati il Tanganica e l'Africa del Sud-Ovest come mandati della Società delle Nazioni. L'Africa del Sud-Ovest fu assegnata all'Unione Sudafricana, di cui avrebbe condiviso la storia divenendo un dominion del Commonwealth, prima di conseguire l'indipendenza come Repubblica di Namibia nel 1990.
Colonialismo italiano

Il quadro internazionale che fece da sfondo al colonialismo italiano si evidenziò alla conferenza di Berlino (1884-1885), in cui i paesi già titolari di colonie definirono le diverse aree di influenza e stabilirono per il futuro alcuni criteri di concertazione. Pur assente dalla conferenza, l'Italia partecipò alla spartizione dell'Africa mossa da ragioni di prestigio, divenute più consistenti dopo che la Francia si era insediata in Tunisia (dichiarata protettorato francese nel 1881) senza tenere conto di analoghe ambizioni italiane. Nella scelta coloniale contarono anche ragioni di politica interna: le future colonie potevano rappresentare una valvola di sfogo per assorbire l'eccesso di manodopera. L'iniziativa si orientò verso una zona dell'Africa orientale nella quale l'insediamento coloniale appariva più agevole, sia per la presenza di esploratori e missionari italiani, sia perché la concorrenza degli altri paesi europei era meno agguerrita. Dopo avere acquisito nel giugno 1882 la baia di Assab, sulla costa meridionale del Mar Rosso, nel febbraio del 1885 il governo italiano inviò i primi contingenti dell'esercito, che sbarcarono a Massaua e di lì stabilirono il controllo sulla vicina zona costiera, che sarà chiamata Eritrea. Poco dopo si stanziarono nella regione nota come Somalia italiana e posero le basi per la successiva avanzata in Etiopia (o Abissinia, come veniva definita), che avrebbe dovuto garantire il possesso dell'intero Corno d'Africa. La penetrazione italiana fu però fermata dall'esercito etiopico dell'imperatore (negus) Menelik nella battaglia di Adua (1896), il cui esito finì col limitare la presenza dell'Italia in Africa alle zone dell'Eritrea e della Somalia.
Il disegno coloniale riprese nel 1911, allorché l'Italia, nell'ambito della guerra italo-turca, occupò la Libia, o meglio si attestò sulle città costiere, perché l'interno era sotto il controllo dei guerriglieri libici. Dopo il 1923 le forze militari italiane intrapresero una sistematica occupazione del territorio e, contemporaneamente, fu avviata una campagna di colonizzazione che portò migliaia di italiani a insediarsi in Libia. Nel periodo tra le due guerre, l'Italia fu protagonista di una nuova espansione in Africa, frutto di uno spirito nazionalistico che ormai non era più l'elemento guida della politica coloniale delle altre grandi potenze, Gran Bretagna in primo luogo. Nel 1935 Mussolini dichiarò guerra all'impero etiopico e, dopo una rapida campagna militare condotta con metodi privi di scrupoli dai generali Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani, nel 1936 l'Italia stabilì la sua sovranità in Etiopia (il re Vittorio Emanuele III ne fu proclamato imperatore). Con l'unione di quest'ultima alla Somalia e all'Eritrea, compresa una parte del Tigrè, venne costituito l'impero dell'Africa Orientale italiana. L'amministrazione italiana, che abolì la schiavitù, avviò vaste opere pubbliche e ridusse il potere dei ras locali, durò comunque per un periodo troppo breve per essere valutata in giusta misura rispetto alle altre dominazioni europee in Africa. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, infatti, trasformò l'Africa Orientale italiana in teatro di scontri che si conclusero con l'occupazione inglese del 1941. La perdita definitiva delle colonie africane fu sancita dai trattati di pace del 1947; la Somalia sarebbe stata affidata dall'ONU per dieci anni (1950-1960) all'Italia in amministrazione fiduciaria.1

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