Stati Uniti e Unione Sovietica tra le due guerre

Materie:Riassunto
Categoria:Storia
Download:561
Data:25.05.2005
Numero di pagine:5
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
stati-uniti-unione-sovietica-due-guerre_1.zip (Dimensione: 6.64 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_stati-uniti-e-unione-sovietica-tra-le-due-guerre.doc     29.5 Kb


Testo

STATI UNITI E UNIONE SOVIETICA TRA LE DUE GUERRE
All’inizio del 1920, mentre l’Europa era gravata da una disastrosa svalutazione monetaria, gli Stati Uniti si andavano affermando come Stato-guida del mondo capitalistico. Il presidente democratico Woodrow Wilson tentò di consolidare questo ruolo attraverso una politica di difesa della libertà, della democrazia e dell’autonomia di tutti i popoli contro i nazionalismi europei (Quattordici punti), ma non ottenne i consensi sperati. Alle elezioni del 1920 prevalse infatti la linea conservatrice del Partito repubblicano e venne eletto presidente Warren Harding.
Il nuovo governo si rifiutò di prendere parte ai lavori della Società delle Nazioni e, anziché ratificare i trattati di Parigi, stipulò accordi bilaterali di pace con Germania, Austria e Ungheria. Per promuovere l’economia venne adottata una linea isolazionistica politica ed economica, che, pur mantenendo un certo liberismo, difese i prodotti nazionali con misure protezionistiche. Questo indirizzo portò a una serie di provvedimenti contro l’immigrazione straniera e nel Paese si creò un clima di ostilità verso gli immigrati, che raggiunse punte di estrema violenza xenofoba e razzista (Ku Klux Klan). Questo orientamento ebbe modo di manifestarsi in tutta la sua drammaticità anche nel processo contro due anarchici italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, accusati pretestuosamente di rapina e omicidio e condannati a morte. In questo contesto, nel 1919, fu emanata la legge sul proibizionismo, che vietava la produzione e la vendita di alcolici e che finì invece per favorirne il traffico illegale.
La politica conservatrice di Harding fu proseguita dal suo successore, il repubblicano Calvin Coolidge, il quale favorì le esportazioni verso l’Europa per soddisfare il mondo industriale statunitense, che chiedeva la ripresa dell’economia e l’apertura di nuovi mercati in cui smerciare la sovrapproduzione. Sempre per dare vigore all’economia e al contempo evitare che l’Europa fosse travolta da una crisi che le impediva di pagare i debiti di guerra, Coolidge predispose un sistema di aiuti finanziari ai Paesi vinti, destinati anche a scoraggiare rivoluzioni di stampo sovietico (piano Dawes per incentivare la produzione tedesca, 1924). I fondi americani riuscirono di fatto a rivitalizzare l’economia dell’Europa, che poté restituire agli Stati Uniti i prestiti bellici. I capitali così ottenuti vennero reinvestiti nel vecchio continente, favorendo un vero e proprio boom economico (1925-1926).
Il benessere crescente, la speculazione, i facili guadagni, l’incontrollata produzione industriale e agricola crearono negli Stati Uniti una crisi di sovrapproduzione. Il mercato internazionale, divenuto a poco a poco stagnante, si trovò nell’impossibilità di assorbire le eccedenze produttive e ciò determinò una crisi gravissima, con una serie di conseguenze a catena. La Borsa di Wall Street vide un crollo dei prezzi e dei titoli azionari (Ottobre 1929), le fabbriche chiusero e le banche fallirono; la produzione industriale calò vertiginosamente, mentre crebbero disoccupazione e povertà. La crisi degli Stati Uniti si propagò in tutto il mondo, soprattutto in Europa, dove il ritiro dei capitali americani e l’arrivo sui mercati di prodotti a prezzi bassissimi provocarono l’arresto della produzione. In Italia molti agricoltori e operai si trovarono disoccupati, mentre alcuni produttori, favoriti dalla politica protezionistica del governo fascista e dei bassi salari, riuscirono ad accaparrarsi grandi monopoli.
A risolvere la crisi americana fu il presidente democratico Franklin Delano Roosevelt (eletto nel 1932), che adottò il New Deal (nuovo corso), un piano innovativo destinato a segnare il passaggio da un’economia libera ad un’economia guidata (limiti alla crescita produttiva e controllo della libertà d’iniziativa privata), prevedendo un più incisivo intervento dello Stato. Per favorire l’incremento degli investimenti e dei consumi, Roosevelt adottò sul piano monetario un sistema di inflazione controllata (svalutando il dollaro per rialzare i prezzi, immettendo cartamoneta, controllando banche e Borse). Sul piano sociale difese i salari minimi, i contratti di lavoro, la riduzione dell’orario, l’attività sindacale e la contrattazione collettiva. Sul piano fiscale attuò una rigida politica di tassazione verso i ceti più abbienti.
Realizzò lavori pubblici e concesse aiuti alle aziende in crisi, combattendo così la disoccupazione e favorendo la ripresa dell’industria. La seconda presidenza Roosevelt (1936) confermò il pieno consenso delle massi popolari alla sua politica, basata sulle teorie di Keynes, assertore del necessario controllo dello Stato sull’attività produttiva e monetaria.
Dopo la pace di Brest-Litovsk, in Russia era scoppiata una sanguinosa guerra civile fra i “rossi” (sostenitori del regime comunista dei soviet) e i “bianchi” (filozaristi, kulaki, borghesi nazionalisti e militari). Temendo la diffusione della rivoluzione, le potenze capitalistiche dell’Intesa (Francia, Giappone, Inghilterra e Usa) sostennero le truppe bianche con vari attacchi militari (1918). Il governo sovietico, per salvare la propria indipendenza, creò l’Armata rossa (guidata da Lev Trotskij), che riuscì a sconfiggere gli avversari e a porre fine alla guerra civile. Sterminata la famiglia imperiale (luglio 1918), qualche mese dopo fu proclamata la Repubblica socialista federativa sovietica russa; in seguito i bolscevichi imposero il Partito comunista russo come partito unico (marzo 1919) e crearono una brutale polizia di Stato (Ceca, e poi Gpu) destinata a reprimere i nemici della rivoluzione.
Il leader comunista Lenin intraprese un processo di rinnovamento della società russa (tesi d’aprile), abolendo la grande proprietà terriera privata, spartendo quella medio-piccola fra i contadini, confiscando i beni ecclesiastici e imperiali e stabilendo il controllo operaio sulle fabbriche. Queste misure non bastarono però a sollevare le masse della povertà e Lenin adottò il comunismo di guerra, un programma di controllo forzato su tutta la produzione, specialmente quella agraria (requisizione delle derrate). Contadini e piccoli possidenti si opposero e il governo comunista rispose con dure repressioni che fecero crescere il clima di terrore. Ad aggravare la situazione intervenne la crisi agricola dovuta al calo della produzione nazionale e alle avverse condizioni climatiche.
Di fronte al malessere generale Lenin decise di attuare il rigore della sua politica e diede corso alla Nep Nuova politica economica, che prevedeva l’apertura al libero commercio, l’aumento dei prodotti disponibili per il consumo, la prospettiva di profitti privati e una maggiore libertà per i contadini; vi furono risultati positivi anche nell’industria e nel settore operaio. Lenin intraprese inoltre una lotta all’analfabetismo e incentivò la diffusione della cultura, migliorò le condizioni igienico-sanitarie della popolazione, ma continuò a mantenere un atteggiamento di chiusura nei confronti della religione. In occasione del primo congresso dell’Unione dei soviet (dicembre 1922) venne creata l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, che venne dotata di una Costituzione (gennaio 1924); la direzione dello Stato fu affidata al Comitato centrale del Partito comunista, che deteneva il potere sulla base del principio marxista della dittatura del proletariato; il potere giudiziario fu attribuito alla Corte suprema dei soviet.
Lenin istituì la Terza Internazionale (marzo 1919), al fine di organizzare i partiti comunisti dei vari Paesi contro il capitalismo e di stabilire rapporti di politica internazionale che favorissero anche il riconoscimento ufficiale dell’Urss. La discussione si focalizzò su due obiettivi contrapposti: “rivoluzione permanente” (Trotskij) e “socialismo in un Paese solo” (Stalin).
A Lenin, morto nel 1924, successe Stalin, che per incentivare lo sviluppo del Paese intraprese la via dell’industrializzazione. Promosse dapprima la collettivizzazione forzata della terra, sterminando i kulaki, e in seguito predispose i piani quinquennali, che avevano lo scopo di incrementare la produzione industriale (industria pesante, grandi costruzioni, ecc.). L’Urss fece straordinari progressi economici, grazie anche a un intenso sfruttamento della forza-lavoro (stakanovismo) e all’impegno collettivo. Per portare avanti la sua strategia economica Stalin instaurò un sistema dittatoriale fondato su un potere tirannico e personale: uccisioni di Stato, condanne a morte, soppressione fisica di massa (“grandi purghe”, 1936-1938), campi di lavoro coatto (gulag).

1

Esempio