Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia |
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Data: | 17.11.2000 |
Numero di pagine: | 3 |
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Testo
SOCRATE
Socrate è ritenuto uno dei più grandi pensatori dell’umanità, eppure non ci ha lasciato nessuno scritto, non un rigo, non una parola. Tutto quello che sappiamo di lui ci deriva dalle notizie tramandate dagli allievi. Il suo insegnamento, infatti, era essenzialmente orale, si svolgeva per le vie, nelle piazze e sotto i portici di Atene, nasceva dal dialogo spesso estemporaneo, non derivava dai libri né mirava a essere fissato nei libri.
Le testimonianze principali sono quelle che ci hanno lasciato i suoi allievi Senofonte e Platone. Le testimonianze che Senofonte ci ha lasciato di Socrate sono interessanti per alcuni aspetti particolari, ma tutto sommato abbastanza superficiali. Di ben altro interesse sono le testimonianze di Platone, uno dei più grandi filosofi mai esistiti. Socrate compare come protagonista in quasi tutte le opere platoniche, composte sotto forma di “dialoghi”, e la circostanza rende spesso molto difficile, per gli interpreti moderni, distinguere il reale pensiero di Socrate, da quello platonico, che Platone attribuisce a Socrate.
Socrate era nato ad Atene verso il 469 a.C. Suo padre era uno scultore abbastanza noto. Sembra che Socrate avesse intrapreso, com’era frequente, il mestiere paterno, ma lo abbandonò per dedicarsi unicamente alla filosofia. Gli antichi insistono sulla sua povertà, che va tuttavia intesa in senso relativo: sappiamo infatti che combatté in molte battaglie, come oplita, durante la guerra del Peloponneso. Doveva quindi appartenere a una delle tre più alte classi censitarie, quelle appunto che componevano l’esercito politico. In molte occasioni belliche diede prova di coraggio e di resistenza alle sofferenze fisiche:
Quanto a sopportare l’inverno, faceva miracoli e, fra gli altri, una volta che c’era un gelo da inorridire e tutti stavano rintanati dentro e se uno usciva si avvolgeva in un’incredibile quantità di panni, si calzava e si fasciava i piedi con feltri e pellicce, lui, con un tempo simile, se ne usciva con questa gabbanina che ha sempre, e scalzo camminava sul ghiaccio, più tranquillo che gli altri tutti iscarponati. E i soldati lo sbirciavano credendo che li volesse umiliare (Platone, “Simposio”, 220 b; trad. di P. Pucci).
Fisicamente era piccolo e brutto: sembrava, si diceva, uno di quei sileni barbuti che gli artigiani esponevano nelle botteghe raffigurati con le zampogne e con i flauti in mano. Ma quando parlava, si sprigionava un irresistibile incanto:
Quando lo ascolto – è un allievo che parla – il cuore mi salta dentro e mi prendono le lacrime per effetto delle sue parole e vedo che moltissimi altri provano la stessa emozione. Ascoltando Pericle e altri bravi oratori, sentivo che parlavano bene, ma non soffrivo niente di simile, né l’anima mi tumultava, né m’irritavo al pensiero di soggiacere come uno schiavo…(Platone, “Simposio”, 215 d-e; trad. di P. Pucci).
Tra i suoi allievi fedeli spiccavano i rampolli delle ricche e nobili famiglie ateniesi, ma molti erano anche i poveri, gli artigiani, la gente qualunque. Non mancavano stranieri, che si trasferivano ad Atene solo per ascoltare il suo insegnamento. A questo pubblico così eterogeneo, Scorate insegnava unicamente a riflettere sull’uomo e sulle cose umane:
Esaminava quello che è pio o empio, quello che è bello o vergognoso, quello che è giusto o ingiusto, quello che è saggio o folle, il coraggio o la vigliaccheria…(Senofonte, “Memorabili”, 1, 1, 16).
Bisogna ricordare che il suo personaggio, rimasto nei millenni il simbolo della coerenza, della libertà di pensiero, del coraggio del sapiente di fronte alla morte, incarna perfettamente la figura antica del filosofo come individuo che ha scelto non solo un campo di attività e di interessi, ma un vero e proprio “genere di vita” che genera la felicità. Il celeberrimo racconto della sua morte è diventato, anche per questo, il simbolo dell’uomo che, avendo scoperto la verità e il bene, non ha più nulla da temere.