Sito archeologico di Juvanum (Chieti)

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Categoria:Storia

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Testo

IUVANUM

Le prime testimonianze sulla città antica di Juvanum risalgono al Liber Coloniarum, dove è citato come Jobanos, e forse a Plinio, se Lanuenses si può correggere con Juvanenses. Deduciamo tutte le altre informazioni dalle iscrizioni e dai reperti archeologici.
L'abitato antico si trova lungo la strada moderna che collega Montenerodomo a Torricella Peligna; comincia a svilupparsi nell'età tardo repubblicana preceduto dall'oppidum preromano ubicato sulle alture circostanti.
Juvanum diventa municipium nel periodo anteriore alla guerra sociale quando il frazionamento dell'unità tribale costituisce il presupposto della costituzione del municipium.
Momsen sosteneva che il municipio comprendeva gli attuali paesi di Montenerodomo, Pennadomo, Torricella Peligna, Taranta Peligna, Palena, Gessopalena. L'iscrizione cita, infatti, di un Poppedius, PATRONUS MUNIC(ipii) IUVANENS(is).
Iscritto nella tribù Arnensis, era amministrato da quattuorvires. Risultano presenti anche seviri augustales ed un collegium Herculaniorum, cioè una corporazione di devoti ad Eracle, la divinità locale più importante. Nel 325 d.C., il governatore provinciale Fabio Massimo, rettore del Sannio, ne restaurò le mura e costruì il secretarium.
A partire dagli anni'60 sono iniziati degli scavi sistematici che hanno portato alla luce i monumenti cultuali, costruiti nella zona dove sorgerà Juvanum, sulla sommità dell'acropoli. Il santuario era circondato da un muro in opera poligonale, non particolarmente accurata, realizzata con blocchi informi, di varia grandezza, con giunti discontinui.
Non era solo un muro di circoscrizione del temenos, fungeva anche da sostegno al terrazzamento. Se ne conservano il lato N, con l'angolo NE e il tratto ad O. Le mura poligonali, del III sec a.C., cingevano un luogo di culto precedente l'erezione dei templi, forse un culto dedicato all'acqua. Tale territorio, in epoca medievale, fu occupato dalla abbazia cistercense di S.Maria di Palazzo, realizzata impiegando materiale di spoglio dall'acropoli, dalla città romana, dalla necropoli.
Il tempio originario, la cui costruzione si colloca nella prima metà del II sec a.C., occupa la parte centrale dell'area sacra. Sono visibili sul terreno le tracce dell'alto podio, in opera quadrata, con blocchi di travertino. Poiché vi si è sovrapposta la chiesa medievale, si possono dedurre le misure del podio di 21,30 x 12,60 m, al quale si addossava l'ampia scala di accesso di m 9 x 2,6.
Alcuni blocchi del tempio sono rimasti in situ: rocchi di colonne, cornici modanate, altri sono stati trasportati a valle in occasioni diverse. Alcuni capitelli dorici sono stati conservati a Torricella Peligna.
Intorno alla metà del II sec a.C., a N del tempio già esistente, alla distanza di m 3,9, venne eretto il secondo tempio.
Di questo si conserva il podio sopraelevato, privo di rivestimento. Il nucleo interno è realizzato in blocchi squadrati che consentono di individuare la suddivisione della cella. Le epigrafi rinvenute attestano il culto di Eracle, Diana, Vittoria e Minerva. Tra tutte, Eracle sembra essere il più documentato, dato il rinvenimento di statuette e dello stretto legame tra la divinità e il mondo agricolo-pastorale.
A SE della collina si appoggia la cavea del teatro, costruito nel corso del II sec a.C. Il suo impianto risponde tecnicamente ad un tipo di costruzione precedente la romanizzazione, con la cavea totalmente addossata alla collina, senza alcuna finzione scenica e la frons scenae a tre nicchie.
Si conservano le prime sette file di gradini, relativi alla cavea e parte dell'orchestra, con lavorazione molto accurata per la resa della pavimentazione, con pietre piccole ai lati ed un filare quasi regolare di pietre più grandi al centro. Rispetto ai templi sulla collina il teatro non presenta assialità. Non si verifica pertanto la medesima situazione che si ritrova tra il teatro e il tempio B di Pietrabbondante. La connessione tra gli edifici serviva a conferire sacralità alle rappresentazioni, con le quali si intrattenevano i devoti, in particolari ricorrenze religiose. La fase edilizia dell'acropoli di Juvanum si ascrive all'interno della massima fioritura urbanistica del Sannio, nel II sec a.C., quando il fenomeno dell'evergetismo e del mecenatismo dei negotiatores, verso la propria città, portano alla trasformazione dell'assetto dei centri abitati e alla nascita di fomentazioni che sfoceranno nella Guerra Sociale.
La tipologia dei templi, in associazione con il teatro-santuario, sono espressione della cultura ellenistica che si diffonde nel Sannio-Pentro tramite le maestranze campane, chiamate dai committenti ad eseguire lavori che esprimessero in pieno la loro posizione sociale.
Una via lastricata collega il santuario con il Foro, costruito più a N con orientamento diverso.
Prima di entrare nel foro, sulla destra ci sono, in un cattivo stato di conservazione, resti di muri sconnessi ed esistenti su un solo filare o al massimo due. Si tratta di due o tre stanze, con pareti che si incontrano ad angolo retto, non allineate con la città giulio-claudia, caratterizzata dalla unitarietà del progetto.
Tale insediamento è stato volutamente distrutto dalla costruzione della strada basolata, perché la muratura di tali vani continua anche sotto la strada.
Il Foro è una piazza rettangolare, lastricata (m 62 x 27). Lungo l'asse minore del pavimento si conservano tre file di lastroni, mutili, che recano evidenti tracce di una iscrizione monumentale, che riporta il nome del magistrato, autore dell'opera, ed il suo cursus honorum.
L'iscrizione corre su tre righe ed è parzialmente leggibile:(h)ERE(nnius arn)CAP(ito)Q.II.FLAMEN.TR(ibunus.m)IL(itum).IIII.PRAEF(ectus)CO(hortis)F.A.OMNIA.INCH(o)AVIT.HERENNIA.PROIECTA.EX.T(estamento)PQR.STERNENDUM.CURAVIT. L'interpretazione è stata possibile confrontando la altre epigrafi pavimentali forensi romane, di Pompei, Saepinum, Roma, che presentano una identità di collocazione topografica al centro del foro, parallela ai lati brevi. E' una piazza ad assetto chiuso, con un rapporto lunghezza-larghezza di 2:1. E' circondata da portici di uguale larghezza sui lati O, S, E. Le colonne erano 8 x 18, con un intercolumnio di m 3,90, sul lato corto, e di m 5, sul lato lungo. Sugli stessi lati sono presenti anche le tabernae.
La piazza era adorna di statue onorarie, attestate dalla presenza di diverse basi.
Segue un ambiente rettangolare la cui parete a N era decorata da 12 semicolonne addossate. Era la basilica, un edificio absidato, con pavimento marmoreo, la sede di un culto imperiale, dato che è attestata la presenza di seviri augustales, oppure era la sede del tribunal.
Un'iscrizione ricorda la costruzione della basilica e del tribunal. I primi due vani settentrionali che si affacciano sul lato lungo occidentale della piazza sono intercomunicanti. Il terzo ambiente ha subito un restauro che ha obliterato le strutture preesistenti. Potrebbe essere un edificio dedicato alla sede di collegia.
La zona a SE del foro è stata scavata a partire dal 1987 ed ha restituito un'insieme di vani che conservano parte delle strutture di alzato in blocchi di pietra squadrati e in alcuni casi porzioni di pavimento. Spesso, la rimozione dell'humus ha portato alla luce carbone, ossi combusti frammenti di ceramica a vernice nera, di ceramica comune, di sigillata italica, che in molti casi hanno consentito di interpretare la funzione del vano.
Ad esempio il vano W poteva fungere da culina, data la presenza di un focolare nell'area centrale. Il vano B è stato identificato come taberna, aperta sul portico prospiciente il foro. Il rinvenimento di due strumenti chirurgici usati anche in campo cosmetico e farmaceutico hanno consentito di attribuire una datazione alla prima età imperiale. Il vano è attraversato da una struttura fognaria che conduceva ad una fossa foderata di mattoni bessali, coperta da bipedali.
Il vano K, invece, ha restituito molti oggetti del mundus muliebris che hanno indotto a supporre l'utilizzo della stanza da una ornatrix, colei che svolgeva attività di pettinatrice e di truccatrice.
Nella zona a SE del foro è venuto alla luce un ambiente di difficile interpretazione. Non risulta allineato al foro ma è irregolare ed addossato ad un altro ambiente.
Dalla presenza di molte scorie di ferro e di frammenti informi di stagno fuso, piombo e vetro non lavorato è possibile dedurre che si tratti di una officina o di un laboratorio in rapporto all'ambiente adiacente, nel quale è stata rinvenuta una fornace di forma circolare, costruita con mattoncini curvilinei.
Nell'angolo a SE del portico del foro si evidenziano altri ambienti orientati come la città giulio-claudia. In uno di questi è stata rinvenuta una mola olearia, usata come riempimento della pavimentazione.
E' stato possibile ipotizzare l'esistenza dei resti di un intero insediamento rurale, sotto la città romana, attestato da numerose strutture emerse, non coincidenti con l'orientamento del municipio.
All'interno della città il sistema viario è costituito da due tratti di strade, convenzionalmente chiamati "via del Foro" e "via Orientale". La via del Foro era lastricata con basoli regolari ed era larga m 5,30.
La via Orientale si conserva per m 90 ed è larga m 3. Ha basoli ben connessi e delimitati da argini. Le due strade non sono strutturate canonicamente in assi ortogonali e non attraversano il Foro, ma sono adiacenti ad esso.
Le campagne di scavo effettuate sul territorio hanno portato alla luce numerosi frammenti di ceramica; la fase più antica della città, anteriore all'impianto romano è cronologicamente delineato dai ritrovamenti di vernice nera.
Le dimensioni ridottissime dei frammenti, insignificanti per la ricostruzione dei vasi hanno consentito di individuare solo alcune forme ceramiche, tra le quali la più ricorrente è la patera, datate tra il II e il I sec.a.C.
Tra il I sec a.C. e il I sec d.C., a testimonianza dello status degli abitanti, si collocano le coppe da mensa in sigillata italica liscia o decorata alla barbotine. Numerosi sono anche i frammenti ascrivibili alla classe delle pareti sottili acrome e grigie.
Anche per quanto concerne i metalli sono state rinvenute numerose fibule ad arco semplice, del tipo Aucissa, che consentono di individuare alcune caratteristiche tipiche dell'abbigliamento militare della fine del I sec d.C.
Quindi si possono individuare classi di materiali eterogenei alle quali si affiancano rinvenimenti isolati, emblematici dal punto di vista storico-artistico; tra questi va segnalata una tomba infantile affiancata a bronzetti riproducenti Ercole, anomali in quanto inseriti in un contesto del I sec d.C., una bardatura equina del I sec d.C., in bronzo fuso, ottenuto con la tecnica a cera persa piena, con la superficie ricoperta da una sottile lamina d'argento, sulla quale è incisa una decorazione riempita a niello.
E' costituita da dischi con pendaglio di diverso diametro, di elementi decorativi funzionali, gancetti di chiusura, fascette della estremità delle cinghie. E' un tipo di bardatura del I sec.d.C., dell'età tiberio-claudia.
Altri rinvenimenti significativi da Juvanum sono una statua di togato, ora in una collezione privata di Torricella Peligna; presenta una bulla che induce a pensare che si tratti di un giovane della famiglia imperiale.
Un altro togato, con capsa, era rappresentato su un altorilievo funerario conservato nella sede della Pro-Loco di Torricella Peligna. Ma il rinvenimento più importante è la testa marmorea conservata nel Museo Nazionale di Napoli, pubblicata dal Mustilli, rappresentante Io, fanciulla amata da Zeus. La testa, in marmo bianco, era completata da stucco, secondo una tecnica alessandrina. E' una copia romana della fine del I sec.d.C.
Nel Museo Archeologico di Chieti si conservano frammenti architettonici, mensole, cornici, capitelli, biselli con cista, a testimonianza della grande vitalità del municipio e della fruizione continua del sito fino al IV sec d.C.
Un contributo significativo alla ricostruzione della storia di Juvanum è fornito dal materiale epigrafico. Bisogna però partire dal presupposto che un consistente numero delle iscrizioni pubblicate nel capitolo iuvanese del CIL attualmente è irreperibile. Ciò non consente di verificare le letture non troppo soddisfacenti fornite da alcuni testi traditi. Pertanto le informazioni deducibili devono essere sottoposte ad una analisi critica. Forniscono informazioni relative alla sfera del culto che dà un panorama limitato e costituito da divinità comuni al pantheon romano (Ercole, Minerva, Vittoria).
Le iscrizioni collocabili cronologicamente tra il I e il II sec. d.C., propongono precisi ragguagli sull'organico completo delle cariche magistratuali del municipio romano, che operano all'interno della sfera pubblica. Il municipio era retto dai Quattuorvires, la carica supreme attestata, mentre l'apparato amministrativo si serviva del contributo di Quaestores. Ci sono fornite informazioni dettagliate anche sulle famiglie emergenti, i ceti sociali, le organizzazioni associative. Ne scaturisce l'immagine di un piccolo municipio capace di una certa vitalità e dotato di una compiuta e stabile organizzazione interna, articolantesi nelle forme tradizionali, la cui evoluzione può essere sintetizzata in quattro momenti salienti: l'età Repubblicana, a ridosso della guerra sociale, quando si effettua la costruzione degli ambienti sull'Acropoli, l'età Giulio-Claudia, quando viene costruita la città orientata N\S. Il terzo periodo è l'età Antonina, in seguito ad un terremoto e ad un incendio, ben documentati archeologicamente; il quarto è nell'età tardo antica, quando nel IV sec d.C. inizia la fase di decadenza delle città romana.

Parco Archeologico di Juvanum
Località Santa Maria del Palazzo - Montenerodomo - tel. 0871/331668
Il municipio romano di Juvanum, poco conosciuto dalle fonti antiche, è tutt'ora oggetto di ricerche archeologiche nella zona del quartiere abitativo. Della città antica, recentemente restaurata, sono degni di attenzione il complesso cultuale consistente in due tempietti gemelli circondati dal recinto sacro, sicuramente gli edifici piu antichi dell'intera area ( III sec. a.C. ), ai quali è stato successivamente aggiunto il teatro. Si accede al foro, anticamente circondato da portici, attraverso una strada lastricata che conserva ancora i marciapiedi. Sul pavimento del foro si riconosce un'iscrizione pavimentale in lettere di bronzo, di cui sono rimaste solo le tracce di inserzione sulle lastre di pietra, recante il nome del costruttore. Sul lato nord del foro si affaccia, con tre porte, la basilica, probabilmente destinata al culto imperiale. In situ si conservano due basi di statua; una dedicata , con Decreto dei Decurioni, alla imperatrice Cornelia Salonina, l'altra a Minerva dai Seviri Augustali.

Tipo: Artistici e Archeologici
Difficoltà: facile
Tempo necessario per l'escursione: 2 ore
L'escursione:
Juvanum si trova sulla strada che da Palena sale verso Montenerodomo (oltre il bivio per Colledimacine), poco fuori dai confini del Parco Della Majell; e' una delle più belle ed interessanti aree archeologiche della zona. Juvanum fu una prospera cittadina delle genti italiche, gli antichi abitatori di queste terre; forse del popolo dei Frentani, forse dei Carecini, di stirpe sannitica. Venne poi conquistata dai romani che ne fecero uno dei loro più importanti municipi. Nell' area si trovano i resti dell' acropoli e del foro, centro della vita pubblica di questa antica città, ed il piccolo teatro, uno dei più belli scoperti sino ad oggi in provincia di Chieti. Accanto al foro sono i resti di una basilica pagana.
Alberghi: alberghi vari a Palena
Ristoranti: ristoranti vari a Palena
Aziende e Agriturismi: Cooperativa Majella (0872 916067)
Montenerodomo
(1019 abitanti, 1160 m. slm)
Montenerodomo sorge su una rupe in un ambiente montuoso, di nudi pascoli, rocce e piccoli boschi. Il suo territorio è esteso 29,98 Kmq. Posto in posizione panoramica, Montenerodomo ospitò, sin dai tempi antichi, insediamenti abitativi che reperti archeologici del periodo preromano, romano e medievale testimoniano. Dell’epoca protostorica restano tracce delle mura megalitiche. Nel IV e III secolo A.C. sorse Juvanum che presenta attualmente resti di mura del III secolo A.C., resti di tempi di tipo italico del II secolo A.C.. Asservita a Roma dal I secolo A.C. fu elevata a municipio. Il primo documento storico nel quale è citato Montenerodomo risale al XII secolo. Nel XV secolo fu feudo dei Caldora prima e dei di Capua poi. Nel XVII secolo divenne feudo della famiglia d’Aquino.

Montenerodomo sorge su una rupe in un ambiente montuoso, di nudi pascoli, rocce e piccoli boschi. Il suo territorio è esteso 29,98 Kmq. Posto in posizione panoramica, Montenerodomo ospitò, sin dai tempi antichi, insediamenti abitativi che reperti archeologici del periodo preromano, romano e medievale testimoniano. Dell'epoca protostorica restano tracce delle mura megalitiche. Asservita a Roma dal I secolo A.C. fu elevata a municipio. Il primo documento storico nel quale è citato Montenerodomo risale al XII secolo. Nel XV secolo fu feudo dei Caldora prima e dei di Capua poi. Nel XVII secolo divenne feudo della famiglia d'Aquino. Nel IV e III secolo A.C. sorse Juvanum che presenta attualmente resti di mura del III secolo A.C., resti di templi di tipo italico del II secolo A.C.
Frazioni e Località: Fonticelle, Selvoni.
Manifestazioni e Spettacoli: 24 Aprile: Festa di San Fedele, Prima decade di Agosto: Festa di San Rocco e Sant'Antonio.
Juvanum
In una valletta nei pressi di Montenerodomo, in vista della Majella, si apre una delle aree archeologiche più suggestive della nostra regione: Juvanum. Questo luogo, solitario e
silenzioso, sembra riecheggiare delle voci dei mercanti che vendono i loro prodotti, delle
chiacchiere del foro, delle discussioni nel tribunal e nella basilica.
Nel comune di Montenerodomo (Ch), in un suggestivo pianoro ai piedi della Maiella, nel luogo detto Santa Maria del Palazzo si trovano
le rovine di Juvanum, un piccolo municipium romano poco conosciuto, se non addirittura
ignorato, dalle fonti classiche. Gli scavi hanno portato alla luce notevoli testimonianze del suo
passato: un recinto in blocchi di pietra, le fondamenta di due templi, un teatro di tipo greco addossato al pendio della collina, la città romana con il foro, la basilica, il portico, le tabernae, le terme e parte della rete
stradale. Gli scavi sono stati condotti in maniera sistematica dall’Università D’Annunzio dal 1980, e della Soprintendenza ai Beni
Archeologici dell’Abruzzo dal 1992. Grazie a questa intensa attività di ricerca è stato possibile delineare il profilo storico di Juvanum,altrimenti sconosciuto. La presenza
dell’uomo in questo luogo, fin da epoche remote, è legata ai percorsi della transumanza: i tratturi. Se ne hanno conferme scientifiche sin
dall’età del Bronzo. La vita della città romana continuò fino al IV-V secolo d.C., con due momenti di intensa attività politica e sociale: il primo tra il III e il II secolo a.C.
quando si costruirono il recinto sacro, i due templi e il teatro; il secondo tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I d.C., immediatamente dopo la Guerra Sociale (90-87 a.C.). Durante il IV secolo d.C. inizia
l’impoverimento della città, le abitazioni e gli edifici pubblici vengono progressivamente
abbandonati e il la terra di Juvanum conosce solo sporadiche frequentazioni. I mercati e gli scambi commerciali Juvanum nasce come centro cultuale legato alla pratica della transumanza
avendo la funzione di località di incrocio e di ristoro tra Torricella Peligna, Palena, Montenerodomo e Bomba che permetteva un raccordo
con il mare e, forse, collegata già in tempi antichi con Castel di Sangro. Dopo l’elevazione della città al rango di municipium da parte di Roma, le attività commerciali saranno sviluppate proprio grazie alla costruzione della città ai piedi dell’acropoli, che, se in un primo
tempo era in stretta relazione con il territorio e con le fattorie sparse, da questo momento in poi verrà collegata con la città. Sicuramente i
prodotti che venivano commercializzati erano, quelli legati alla sussistenza di una economia
agricolo-pastorale, ma non mancano attestazioni di contatti con altre località, soprattutto del centro-sud Italia e ci riferiamo alla classe
ceramica a vernice nera di produzione campana, rinvenuta in alcuni esemplari interi o parzialmente ricostruiti che riguardano soprattutto patere e coppe, utilizzate di solito nei templi, provenienti dall’Etruria, dal
Lazio e, appunto, dalla Campania. Altra particolarità è rappresentata dalle monete provenienti dalle zecche di Napoli, Isernia, Alba Fucens e Cales attestanti i rapporti della città con la Puglia, ancora con la Campania
e con il territorio degli Equi. L’importanza di questa particolare circolazione monetale è data dal fatto che le monete di zecca campana siano
la valuta preromana più usata in Abruzzo e che la nostra regione rappresenti una sorta di spartiacque fra il Nord che utilizza soprattutto
monete in bronzo ed il Sud in cui predominano le monete in argento. Con la costruzione della città romana i commerci si arricchiscono
notevolmente, moltissimi sono i frammenti di anfora utilizzata per il trasporto del vino laziale o campano. Il Foro In una qualsiasi città romana, grande o piccola che fosse, esso
rappresentava il fulcro attorno al quale ruotavano le attività peculiari della città stessa. Vi si svolgeva la vita pubblica, sociale, commerciale, giuridica, religiosa, politica: gli ambulanti esponevano le loro merci, i compratori concludevano gli affari, i
magistrati amministravano la giustizia, i sacerdoti attendevano ai culti. Gli edifici che costituiscono il foro di Juvanum sono: la basilica, il tribunal, l’augusteo, la piazza, le
tabernae. La basilica romana era un edificio pubblico preminente, in particolare nei piccoli centri, un riferimento importante per la vita
politica, economica e sociale dei cittadini. In essa infatti si svolgevano le attività legislative, giurisdizionali, amministrative e finanziarie e assolveva anche alla funzione di
mercato nella brutta stagione, quando i piccoli commercianti o i venditori ambulanti non potevano esporre le loro merci nel foro. L’epigrafe, databile all’inizio del I sec. a.C.,
attesta quindi che la basilica potrebbe essere stata edificata negli anni della concessione della municipalità, seguita alla Guerra Sociale del 90-87 a. C.. Essa si presenta come un unico
grande ambiente (36 metri per 10) a pianta rettangolare, con dodici semicolonne addossate alla parete settentrionale, ricoperte da uno spesso strato di intonaco colorato. Dalla
basilica si accede attraverso un ampio
ingresso ad un altro ambiente anch’esso a pianta rettangolare, chiuso a nord da un abside. Si può
pensare ad un Augusteo, la sede del collegio dei Seviri Augustales, i sacerdoti preposti al culto imperiale. La piazza ha una forma rettangolare allungata, misura 61 metri x 27 con un rapporto di circa 2:1 ed è interamente lastricata con grandi blocchi di pietra calcarea disposti in file regolari. Alcune basi di statue ancora visibili sul posto ci testimoniano che la
piazza fosse abbellita da monumenti onorari, tra gli altri uno dedicato a Julia Cornelia Salonina, moglie dell’imperatore Gallieno. Attorno al portico si aprivano le tabernae. Si
tratta in generale di ambienti a pianta rettangolare con un’unica apertura pari all’ampiezza del vano stesso. Le tabernae di Juvanum sono tipologicamente affini alle
numerosissime tabernae di Roma, Ostia, Pompei - solo per fare qualche esempio - e di moltissime altre città dell’impero romano. Esse erano il
cuore pulsante della città, in esse si svolgeva la vita del popolo, della gente comune, dei piccoli commercianti, degli artigiani, che
abitavano e lavoravano in questo unico locale. A causa dell’abbandono degli edifici e della conseguente inevitabile spoliazione degli ambienti, non è stato possibile individuare con
esattezza il tipo di attività esercitata nelle singole botteghe ancora attive nelle ultime fasi di vita della città. Le attività artigianali
Le botteghe antiche possono essere identificate con l’appellativo di “multiuso”. Infatti esse erano allo stesso tempo ateliers di lavoro, negozi al dettaglio, magazzini e spesso anche
abitazioni della famiglia dell’artigiano
o del commerciante. Per quanto riguarda le tabernae di Juvanum nel settore Sud-Est del Foro, ne sono state rinvenute alcune che non si aprono direttamente sul Foro ma su cortili
accessibili dalla Via Orientale. Un gruppo interessante è quello costituito da due grandi ambienti, uno dei quali con un piccolo forno. Probabilmente si tratta di una caupona o trattoria che nella sala più grande poteva
contenere un gran numero di tavoli e in quella più piccola era la cucina. Interessante è anche l’ambiente, diviso in due locali, nel più grande
dei quali è stato trovato un forno ceramico circolare, costruito in mattoni, con le pareti interne ricoperte da uno spesso strato di intonaco bianco, forse refrattario. Accanto al
forno vi era un piano di lavoro costituito da mattoncini. La piccola fornace sarà stata utilizzata per la produzione di vasi in terracotta ma anche per oggetti di vetro, dal
momento che sono state rinvenute anche scorie di lavorazione di quest’ultimo materiale. Il forno, in base al materiale rinvenuto, ha funzionato tra il I e il II secolo d.C..
Il mondo femminile
Le donne di Juvanum e più in
generale del mondo romano,
trascorrevano molto tempo in casa
occupandosi dei lavori domestici e
dell’educazione dei figli. Tuttavia, non
rinunciavano al piacere di dedicarsi
alla cura del proprio corpo ed
all’esaltazione della loro bellezza,
come testimonia la suppellettile
femminile recuperata negli anni di
scavi. Stando alle testimonianze degli
autori latini, le donne potevano
disporre di numerosi cosmetici;
balsami, unguenti, oli profumati
(ricavati da sostanze vegetali, minerali
e organiche), erano preparati e
venduti dagli abili unguentarii.
Questi prodotti, commercializzati nei
vari mercati del Mediterraneo,
venivano conservati in recipienti di
piccola dimensione che giunsero
anche a Juvanum in vari esemplari di
terracotta, tra cui l’unguentario
fusiforme, oppure i caratteristici
contenitori a corpo globulare. In età
tardo repubblicana e soprattutto
durante l’impero, con la diffusione
dell’industria del vetro, iniziò anche
una vasta produzione del tipico
balsamario di vetro soffiato a corpo
tubolare e labbro estroverso, insieme a
tanti altri di fattura più elaborata,
realizzati per soddisfare le richieste
della più raffinata clientela. Salvo i
rari oggetti d’oro e alcune gemme
semipreziose, la massima parte dei
monili trovati a Juvanum è stata
realizzata con materiali di minor
pregio, come il bronzo, il ferro e le
paste vitree. I più numerosi sono gli
anelli, molto usati non solo dalle
donne ma anche dagli uomini.
Discretamente rappresentati sono gli
anelli di bronzo con verga che si
appiattisce al centro formando un
castone liscio oppure decorato ad
incisione. Certamente, i modelli più
interessanti sono gli anelli arricchiti
da una gemma preziosa, liscia o
incisa, o dalla sua imitazione in pasta
vitrea. Dal punto di vista iconografico
le gemme incise di Juvanum
presentano un vasto repertorio
tematico. Tra le divinità compaiono le
raffigurazioni di Giove, Mercurio,
Cerere. Nel repertorio degli animali,
vi sono in particolare un cavallino
pascente e un pappagallo poggiato su
un ramo. Non mancano il motivo a
reticolo puramente decorativo e le
simbologie astrali, come la luna
crescente circondata da sette stelle.
Le prime testimonianze sulla città antica di Juvanum risalgono al Liber Coloniarum, dove è citato come Jobanos, e forse a Plinio, se Lanuenses si può correggere con Juvanenses. Deduciamo tutte le altre informazioni dalle iscrizioni e dai reperti archeologici.
L'abitato antico si trova lungo la strada moderna che collega Montenerodomo a Torricella Peligna; comincia a svilupparsi nell'età tardo repubblicana preceduto dall'oppidum preromano ubicato sulle alture circostanti.
Juvanum diventa municipium nel periodo anteriore alla guerra sociale quando il frazionamento dell'unità tribale costituisce il presupposto della costituzione del municipium.
Momsen sosteneva che il municipio comprendeva gli attuali paesi di Montenerodomo, Pennadomo, Torricella Peligna, Taranta Peligna, Palena, Gessopalena. L'iscrizione cita, infatti, di un Poppedius, PATRONUS MUNIC(ipii) IUVANENS(is).
Iscritto nella tribù Arnensis, era amministrato da quattuorvires. Risultano presenti anche seviri augustales ed un collegium Herculaniorum, cioè una corporazione di devoti ad Eracle, la divinità locale più importante. Nel 325 d.C., il governatore provinciale Fabio Massimo, rettore del Sannio, ne restaurò le mura e costruì il secretarium.
A partire dagli anni'60 sono iniziati degli scavi sistematici che hanno portato alla luce i monumenti cultuali, costruiti nella zona dove sorgerà Juvanum, sulla sommità dell'acropoli.
Il santuario era circondato da un muro in opera poligonale, non particolarmente accurata, realizzata con blocchi informi, di varia grandezza, con giunti discontinui. Non era solo un muro di circoscrizione del temenos, fungeva anche da sostegno al terrazzamento. Se ne conservano il lato N, con l'angolo NE e il tratto ad O. Le mura poligonali, del III sec a.C., cingevano un luogo di culto precedente l'erezione dei templi, forse un culto dedicato all'acqua. Tale territorio, in epoca medievale, fu occupato dalla abbazia cistercense di S.Maria di Palazzo, realizzata impiegando materiale di spoglio dall'acropoli, dalla città romana, dalla necropoli.
Il tempio originario, la cui costruzione si colloca nella prima metà del II sec a.C., occupa la parte centrale dell'area sacra. Sono visibili sul terreno le tracce dell'alto podio, in opera quadrata, con blocchi di travertino. Poiché vi si è sovrapposta la chiesa medievale, si possono dedurre le misure del podio di 21,30 x 12,60 m, al quale si addossava l'ampia scala di accesso di m 9 x 2,6.
Alcuni blocchi del tempio sono rimasti in situ: rocchi di colonne, cornici modanate, altri sono stati trasportati a valle in occasioni diverse. Alcuni capitelli dorici sono stati conservati a Torricella Peligna.
Intorno alla metà del II sec a.C., a N del tempio già esistente, alla distanza di m 3,9, venne eretto il secondo tempio.
Di questo si conserva il podio sopraelevato, privo di rivestimento. Il nucleo interno è realizzato in blocchi squadrati che consentono di individuare la suddivisione della cella. Le epigrafi rinvenute attestano il culto di Eracle, Diana, Vittoria e Minerva. Tra tutte, Eracle sembra essere il più documentato, dato il rinvenimento di statuette e dello stretto legame tra la divinità e il mondo agricolo-pastorale.
A SE della collina si appoggia la cavea del teatro, costruito nel corso del II sec a.C. Il suo impianto risponde tecnicamente ad un tipo di costruzione precedente la romanizzazione, con la cavea totalmente addossata alla collina, senza alcuna finzione scenica e la frons scenae a tre nicchie. Si conservano le prime sette file di gradini, relativi alla cavea e parte dell'orchestra, con lavorazione molto accurata per la resa della pavimentazione, con pietre piccole ai lati ed un filare quasi regolare di pietre più grandi al centro. Rispetto ai templi sulla collina il teatro non presenta assialità.
Non si verifica pertanto la medesima situazione che si ritrova tra il teatro e il tempio B di Pietrabbondante. La connessione tra gli edifici serviva a conferire sacralità alle rappresentazioni, con le quali si intrattenevano i devoti, in particolari ricorrenze religiose.
La fase edilizia dell'acropoli di Juvanum si ascrive all'interno della massima fioritura urbanistica del Sannio, nel II sec a.C., quando il fenomeno dell'evergetismo e del mecenatismo dei negotiatores, verso la propria città, portano alla trasformazione dell'assetto dei centri abitati e alla nascita di fomentazioni che sfoceranno nella Guerra Sociale.
La tipologia dei templi, in associazione con il teatro-santuario, sono espressione della cultura ellenistica che si diffonde nel Sannio-Pentro tramite le maestranze campane, chiamate dai committenti ad eseguire lavori che esprimessero in pieno la loro posizione sociale.Una via lastricata collega il santuario con il Foro, costruito più a N con orientamento diverso.Prima di entrare nel foro, sulla destra ci sono, in un cattivo stato di conservazione, resti di muri sconnessi ed esistenti su un solo filare o al massimo due. Si tratta di due o tre stanze, con pareti che si incontrano ad angolo retto, non allineate con la città giulio-claudia, caratterizzata dalla unitarietà del progetto.Tale insediamento è stato volutamente distrutto dalla costruzione della strada basolata, perché la muratura di tali vani continua anche sotto la strada.Il Foro è una piazza rettangolare, lastricata (m 62 x 27). Lungo l'asse minore del pavimento si conservano tre file di lastroni, mutili, che recano evidenti tracce di una iscrizione monumentale, che riporta il nome del magistrato, autore dell'opera, ed il suo cursus honorum. L'iscrizione corre su tre righe ed è parzialmente leggibile:(h)ERE(nniusarn)CAP(ito)Q.II.FLAMEN.TR(ibunus.m)IL(itum).IIII.PRAEF(ectus)CO(hortis)
F.A.OMNIA.INCH(o)AVIT.HERENNIA.PROIECTA.EX.T(estamento)PQR.STERNENDUM.CURAVIT. L'interpretazione è stata possibile confrontando la altre epigrafi pavimentali forensi romane, di Pompei, Saepinum, Roma, che presentano una identità di collocazione topografica al centro del foro, parallela ai lati brevi. E' una piazza ad assetto chiuso, con un rapporto lunghezza-larghezza di 2:1. E' circondata da portici di uguale larghezza sui lati O, S, E. Le colonne erano 8 x 18, con un intercolumnio di m 3,90, sul lato corto, e di m 5, sul lato lungo. Sugli stessi lati sono presenti anche le tabernae.La piazza era adorna di statue onorarie, attestate dalla presenza di diverse basi.Segue un ambiente rettangolare la cui parete a N era decorata da 12 semicolonne addossate. Era la basilica, un edificio absidato, con pavimento marmoreo, la sede di un culto imperiale, dato che è attestata la presenza di seviri augustales, oppure era la sede del tribunale.Un'iscrizione ricorda la costruzione della basilica e del tribunal. I primi due vani settentrionali che si affacciano sul lato lungo occidentale della piazza sono intercomunicanti. Il terzo ambiente ha subito un restauro che ha obliterato le strutture preesistenti. Potrebbe essere un edificio dedicato alla sede di collegia.La zona a SE del foro è stata scavata a partire dal 1987 ed ha restituito un'insieme di vani che conservano parte delle strutture di alzato in blocchi di pietra squadrati e in alcuni casi porzioni di pavimento. Spesso, la rimozione dell'humus ha portato alla luce carbone, ossi combusti frammenti di ceramica a vernice nera, di ceramica comune, di sigillata italica, che in molti casi hanno consentito di interpretare la funzione del vano. Ad esempio il vano W poteva fungere da culina, data la presenza di un focolare nell'area centrale. Il vano B è stato identificato come taberna, aperta sul portico prospiciente il foro. Il rinvenimento di due strumenti chirurgici usati anche in campo cosmetico e farmaceutico hanno consentito di attribuire una datazione alla prima età imperiale. Il vano è attraversato da una struttura fognaria che conduceva ad una fossa foderata di mattoni bessali, coperta da bipedali. Il vano K, invece, ha restituito molti oggetti del mundus muliebris che hanno indotto a supporre l'utilizzo della stanza da una ornatrix, colei che svolgeva attività di pettinatrice e di truccatrice.Nella zona a SE del foro è venuto alla luce un ambiente di difficile interpretazione. Non risulta allineato al foro ma è irregolare ed addossato ad un altro ambiente.Dalla presenza di molte scorie di ferro e di frammenti informi di stagno fuso, piombo e vetro non lavorato è possibile dedurre che si tratti di una officina o di un laboratorio in rapporto all'ambiente adiacente, nel quale è stata rinvenuta una fornace di forma circolare, costruita con mattoncini curvilinei.Nell'angolo a SE del portico del foro si evidenziano altri ambienti orientati come la città giulio-claudia. In uno di questi è stata rinvenuta una mola olearia, usata come riempimento della pavimentazione.E' stato possibile ipotizzare l'esistenza dei resti di un intero insediamento rurale, sotto la città romana, attestato da numerose strutture emerse, non coincidenti con l'orientamento del municipio.All'interno della città il sistema viario è costituito da due tratti di strade, convenzionalmente chiamati "via del Foro" e "via Orientale". La via del Foro era lastricata con basoli regolari ed era larga m 5,30.La via Orientale si conserva per m 90 ed è larga m 3. Ha basoli ben connessi e delimitati da argini. Le due strade non sono strutturate canonicamente in assi ortogonali e non attraversano il Foro, ma sono adiacenti ad esso.Le campagne di scavo effettuate sul territorio hanno portato alla luce numerosi frammenti di ceramica; la fase più antica della città, anteriore all'impianto romano è cronologicamente delineato dai ritrovamenti di vernice nera.Le dimensioni ridottissime dei frammenti, insignificanti per la ricostruzione dei vasi hanno consentito di individuare solo alcune forme ceramiche, tra le quali la più ricorrente è la patera, datate tra il II e il I sec.a.C.Tra il I sec a.C. e il I sec d.C., a testimonianza dello status degli abitanti, si collocano le coppe da mensa in sigillata italica liscia o decorata alla barbotine. Numerosi sono anche i frammenti ascrivibili alla classe delle pareti sottili acrome e grigie.Anche per quanto concerne i metalli sono state rinvenute numerose fibule ad arco semplice, del tipo Aucissa, che consentono di individuare alcune caratteristiche tipiche dell'abbigliamento militare della fine del I sec d.C. Quindi si possono individuare classi di materiali eterogenei alle quali si affiancano rinvenimenti isolati, emblematici dal punto di vista storico-artistico; tra questi va segnalata una tomba infantile affiancata a bronzetti riproducenti Ercole, anomali in quanto inseriti in un contesto del I sec d.C., una bardatura equina del I sec d.C., in bronzo fuso, ottenuto con la tecnica a cera persa piena, con la superficie ricoperta da una sottile lamina d'argento, sulla quale è incisa una decorazione riempita a niello.E' costituita da dischi con pendaglio di diverso diametro, di elementi decorativi funzionali, gancetti di chiusura, fascette della estremità delle cinghie. E' un tipo di bardatura del I sec.d.C., dell'età tiberio-claudia.Altri rinvenimenti significativi da Juvanum sono una statua di togato, ora in una collezione privata di Torricella Peligna; presenta una bulla che induce a pensare che si tratti di un giovane della famiglia imperiale. Un altro togato, con capsa, era rappresentato su un altorilievo funerario conservato nella sede della Pro-Loco di Torricella Peligna. Ma il rinvenimento più importante è la testa marmorea conservata nel Museo Nazionale di Napoli, pubblicata dal Mustilli, rappresentante Io, fanciulla amata da Zeus. La testa, in marmo bianco, era completata da stucco, secondo una tecnica alessandrina. E' una copia romana della fine del I sec.d.C.Nel Museo Archeologico di Chieti si conservano frammenti architettonici, mensole, cornici, capitelli, biselli con cista, a testimonianza della grande vitalità del municipio e della fruizione continua del sito fino al IV sec d.C.Un contributo significativo alla ricostruzione della storia di Juvanum è fornito dal materiale epigrafico. Bisogna però partire dal presupposto che un consistente numero delle iscrizioni pubblicate nel capitolo iuvanese del CIL attualmente è irreperibile. Ciò non consente di verificare le letture non troppo soddisfacenti fornite da alcuni testi traditi. Pertanto le informazioni deducibili devono essere sottoposte ad una analisi critica. Forniscono informazioni relative alla sfera del culto che dà un panorama limitato e costituito da divinità comuni al pantheon romano (Ercole, Minerva, Vittoria).Le iscrizioni collocabili cronologicamente tra il I e il II sec. d.C., propongono precisi ragguagli sull'organico completo delle cariche magistratuali del municipio romano, che operano all'interno della sfera pubblica. Il municipio era retto dai Quattuorvires, la carica supreme attestata, mentre l'apparato amministrativo si serviva del contributo di Quaestores. Ci sono fornite informazioni dettagliate anche sulle famiglie emergenti, i ceti sociali, le organizzazioni associative.Ne scaturisce l'immagine di un piccolo municipio capace di una certa vitalità e dotato di una compiuta e stabile organizzazione interna, articolantesi nelle forme tradizionali, la cui evoluzione può essere sintetizzata in quattro momenti salienti: l'età Repubblicana, a ridosso della guerra sociale, quando si effettua la costruzione degli ambienti sull'Acropoli, l'età Giulio-Claudia, quando viene costruita la città orientata N\S. Il terzo periodo è l'età Antonina, in seguito ad un terremoto e ad un incendio, ben documentati archeologicamente; il quarto è nell'età tardo antica, quando nel IV sec d.C. inizia la fase di decadenza delle città romana.

Le forme, la composizione, il taglio, le pietre raccontano di testimonianze millenarie presenti a JUVANUM e hanno dato spunto, al fotografo Pietrino Di Sebastiano di rappresentare un perimetro molto definito materialmente, ma a lungo vissuto. Questo mondo ci viene oggi mostrato con le fotografie, ricercate e realizzate da un artista di talento e di ricca esperienza.
Pietrino Di Sebastiano, che ormai da anni raccoglie consensi e ammirazione per i lavori realizzati, ci propone la rivisitazione dei particolari, ricchi di significati e di storia.
Sono molti i fattori visivi che, si sovrappongono in queste immagini in Bianco & Nero, molto curate e ben riuscite anche nella stampa. Le forme geometriche, i volumi, i gradini, evidenziati nell'inquadratura che il fotografo ha per suo stile professionale, rendono giustizia alle immobili pietre di Juvanum, queste visioni ci trascinano negli antichi tempi e ci fanno persino immaginare i popoli che vivevano queste realtà.

La realizzazione del Calendario 1997 con immagini così pregiate diventa un validissimo documento firmato Pietrino Di Sebastiano AFI, Artista della Fotografia Italiana.

( Tratto dal calendario JUVANUM a cura di Mario Ianieri Editore MONTENERODOMO - 1997 )
BRUNO COLALONGO

Il "contesto" - il sito archeologico di Juvanum, oggetto di studio dagli inizi del secolo scorso - è collocato nel territorio di Montenerodomo, in Abruzzo, in provincia di Chieti, immerso in uno scenario paesaggistico di particolare bellezza naturalistica. È parte di una valle racchiusa tra i corsi del Sangro e dell'Aventino, sullo sfondo il massiccio montuoso della Majella, la "montagna madre" degli antichi.
Il luogo, il cui nome, probabilmente dal latino Juvare (giovare), è da collegare alle propietà salutari delle acque di una sorgente, tuttora attiva, che fuoriesce dalla fonte di Santa Maria del Palazzo, ubicato all'ingresso della località archeologica. Al di là della straordinaria e suggestiva cornice naturale, " il paesaggio circostante è caratterizzato da una varietà di
elementi naturali singolari e significativi, per gli aspetti geologici, morfologici: connessioni tra ambiente naturale ed insediamenti umani".
In questo contesto nasce la ricerca fotografica "Juvanum". Un lavoro in bianco e nero realizzato da Pietrino Di Sebastiano su di un territorio particolare, a tratti singolare, in cui l'autore abruzzese coniuga l'amore per un segmento della sua terra con la propia sensibilità. Una fotografia elegante che evidenzia una lettura fotografica attenta, che è rappresentazione ed interpretazione, descrizione e decodificazione di un paesaggio che ormai è storia, tradizione, passato. Appunti fotografici di un mondo le cui origini risalgono a tempi lontani che l'autore raccoglie e "ferma" per sempre sfidando il logorio, cinico ed insensibile del trascorrere del tempo. Le inquadrature sono studiate e calibrate, i toni chiaroscurali ben amalgamati in una tessitura narrativa molto curata. Spicca l'atternzione per i dettagli, sempre ben collocati nell'ambito dell'indagine. Essi danno allo studio una dimensione più ampia e completa e permettono al fruitore di percepire meglio l'insieme del contesto che in ogni singola immagine è rappresentato.
Un lavoro ben composto nella sua struttura portante, ben argomentato, stampato con equilibrio che descrive uno "Spazio" d'arte e di cultura nel quale si coniugano più eventi, più tradizioni, più culture che si sono via via avvicendate nel corso dei secoli. Epoche differenti, molte delle quali sfumate sull'orizzonte del tempo, storie di popoli tra loro molto diverse.
L'autore si sofferma su alcuni segmenti particolarmente suggestivi con l'intento di dare del contesto archeologico una rappresentazione più efficace, ampia, articolata che coniughi il generale col particolare, per meglio descrivere il Luogo che è sedimento di storia e di storie, tradizioni, avvicendamenti di popoli ed epoche che si sono succedute nel corso dei secoli. "le fotografie trasformano il passato in un oggetto da guardare con tenerezza, sopprimendo le distinzioni morali e disarmando i giudizi storici con il pathos generico del passato". Questa riflessione, concreta e lirica, tratta dal volume "Sulla fotografia. Realtà e immagine della nostra società" (Einaudi, 1992), della scrittrice e saggista americana Susan Sontag, invita al sentimentalismo, alla poesia, al ricordo e, nel contempo, allo studio degli eventi che si sono succeduti in certi luoghi ed in alcuni momenti. Ed è quello che ha "costruito" Pietrino Di Sebastiano con la sua camera e la sua sensibilità in uno stupendo angolo d'Abruzzo. [...]


Juvanum
Nei pressi di Montenerodomo, accanto alle rovine dell’abbazia di Santa Maria del Palazzo si trova una delle più belle ed interessanti aree archeologiche d’Abruzzo. Juvanum fu una prospera città fondata dagli antichi abitatori di queste terre, forse la tribù italica dei Frentani, forse quella dei Carecini di stirpe sannitica. Venne poi conquistata dai romani che ne fecero uno dei loro più importanti municipi nell’area, tanto importante che persino Plinio il Vecchio ne parla nelle sue cronache. Sono visibili i resti dell’acropoli e del foro, centro della vita pubblica di questa antica città, ed il piccolo teatro, uno dei più belli scoperti sino ad oggi in provincia di Chieti.
Accanto al foro sono i resti di una basilica pagana, forse dedicata al culto dell’imperatore. Poco distante, tra le rovine dell’abbazia cistercense di Santa Maria del Palazzo, gli archeologi hanno scoperto i resti di due tempietti gemelli, uno dei quali dedicato ad Ercole

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