Sistemi Totalitari - Nazismo

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SISTEMI TOTALITARI:
- Il Nazismo -

L’ESPERIMENTO DEMOCRATICO DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR

Già prima della fine della grande guerra, la Germania è attraversata da una grave crisi interna, con tentativi rivoluzionari ispirati alla rivoluzione russa, ma -a differenza dell’ottobre 1917- qui la minoranza rivoluzionaria non era riuscita ad infiltrarsi nella struttura amministrativa statale e neanche ad ottenere il controllo dei vari soviet operai e militari formatisi spontaneamente nel Paese. Gli stessi leader rivoluzionari della cosiddetta Lega di Spartaco, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg -contrariamente a Lenin, impadronitosi del potere con un abile colpo di mano di una minoranza spacciato poi per insurrezione popolare- confidavano ottimisticamente in una spontanea rivolta operaia che sarebbe scoccata, spontaneamente, da una serie ininterrotta di scioperi e manifestazioni. Invece la stessa Repubblica socialdemocratica proclamata a Berlino, dopo la fuga dell’imperatore Guglielmo II, nel novembre 1918 represse nel sangue la rivolta e i due capi rivoluzionari furono arrestati e uccisi.
A guerra conclusa, la intrinseca debolezza della neonata repubblica di Weimar favorì l’avvento al potere della dittatura. Nonostante la costituzione all’epoca fosse considerata un gioiello di liberalità, basata com’era su di un modello misto di parlamentarismo e presidenzialismo, il Reichstag, eletto attraverso il democraticissimo sistema proporzionale, si rivelò scrupoloso garante della rappresentatività, ma assai meno della governabilità. Con eguale sfoggio di democraticità, nel 1933 la costituzione di Weimar consentirà al nazismo di prendere il potere in modo assolutamente legale. Weimar però non fu solo un esperimento di astratta alchimia politica. La prima Repubblica tedesca non è pensabile senza il trauma della sconfitta, senza le clausole del trattato di pace, senza il fervore rivoluzionario comunista e il feroce nazionalismo di quegli anni. La guerra, nella cui vittoria quasi tutti in Germania avevano creduto sino all’ottobre del 1918, aveva logorato fino allo stremo l’esercito, l’economia del Paese e la sua stessa struttura sociale.
L’entità del debito di guerra stabilito dal trattato di pace di Versailles era tale da rendere impossibile il suo pagamento da parte della Germania: mentre l’Inghilterra rinunciò a parte dei suoi crediti, la Francia, di fronte ai ritardi e alle resistenze tedesche nel soddisfare i debiti, occupò militarmente la regione industriale della Ruhr, aggravando ulteriormente la crisi economica del paese con il conseguente crollo del marco ed un’impennata clamorosa dell’inflazione. Alla fine del 1923 i prezzi all'ingrosso avevano raggiunto un livello 1.200 miliardi di volte quello del 1913!
La situazione si normalizzò solo qualche anno dopo, grazie all’intervento risolutivo degli Stati Uniti che, con il piano Dawes, promossero un intervento della finanza internazionale per favorire il risanamento dell’economia tedesca. Gli anni dal 1925 al 1929 furono un intermezzo felice nella storia della Repubblica di Weimar: la ritrovata stabilità economica favorì un'atmosfera di libertà e di fermento culturale. In questo periodo si sviluppò l'esperienza di avanguardia del Bauhaus, mentre in ambito filosofico sorsero il circolo di Vienna e il gruppo di Berlino.

IL NAZISMO AL POTERE

Il crollo della borsa di Wall Street spinse gli investitori americani a ritirare i loro investimenti. Paesi come la Germania, che facevano affidamento soprattutto su prestiti statunitensi, videro ridursi l'afflusso di capitale e furono costretti a sospendere i lavori pubblici, gli investimenti, e a procedere a licenziamenti. Due partiti trassero dalla crisi economico-sociale dei vantaggi immediati: quello comunista e quello nazionalsocialista. I nazisti, in particolare, riuscirono a compiere un incredibile balzo in avanti: dal poco più di mezzo milione di voti ottenuti nelle consultazioni del 1928, raggiunsero i sei milioni e mezzo di voti in quelle del 1930, diventando il secondo partito tedesco.
Nato nel 1920, il partito nazionalsocialista inizialmente non era che uno sparuto movimento locale bavarese, violentemente nazionalista, anticomunista e antidemocratico. Il cosiddetto "putsch della birreria", tentato da Hitler a Monaco nel 1923 e conclusosi ingloriosamente con la sua carcerazione (dei cinque anni comminati ne scontò però uno solo), sembrò quindi porre fine all'avventura un po' sguaiata delle camice brune, che ancora non godevano di finanziamenti e appoggi altolocati.
Furono proprio la pausa forzata in galera e lo smacco delle prime elezioni a spingere Hitler all'elaborazione concreta della dottrina nazista e ad individuare una nuova strategia per la conquista del potere. Le basi ideologiche del nazismo si basavano sull'individuazione precisa dei "nemici" della Germania. Se i nemici esterni erano le potenze vincitrici della prima guerra mondiale, quelli interni erano incarnati dal marxismo e dal liberalismo. La lotta di classe e l'internazionalismo marxista corrompevano, attraverso i partiti della sinistra, le masse lavoratrici fiaccandone il senso di appartenenza nazionale. Il liberalismo, come tipica espressione dell'ideologia borghese, era anch'esso responsabile della corruzione della nazione con i suoi appelli alla competizione -economica e partitica- e all'individualismo. Ma la sintesi estrema del "nemico" era l'ebraismo, da cui, secondo Hitler, discendevano in fin dei conti il liberalismo, la democrazia e il marxismo. Collegato con il capitalismo plutocratico delle nazioni responsabili del trattato di Versailles e con il bolscevismo sovietico, l'ebraismo era -secondo Hitler- capitalista e comunista al tempo stesso e complottava contro la Germania. Per assicurare un futuro alla nazione, l'unica chance era eliminare i nemici, e con essi l'istituzione parlamentare, per sostituirvi un nuovo Reich privo di conflitti interni, con una struttura rigorosamente gerarchica, razzialmente puro e capace di espandere la sua potenza a est.
Nel 1930 il governo Brüning non aveva una maggioranza parlamentare stabile e omogenea al punto da consentirgli di affrontare di petto la crisi economica e l'instabilità politica. Il suo programma di aumento delle imposte e di tagli rigorosi alla spesa pubblica, varato nel 1930, non fu accettato dal Reichstag; così per cercare di attuarlo fu costretto a ricorrere all'articolo 48 della costituzione, che permetteva di governare, in casi di emergenza, per decreto-legge, anche senza l'appoggio del
In cerca di una nuova maggioranza, Brüning indisse le elezioni per il settembre del 1930: svoltesi in clima di crisi economica e di furiosa propaganda di destra contro l'istituzione stessa della Repubblica, queste elezioni si risolsero, come abbiamo già visto, in un grande successo dei nazisti (18,3%) ma anche dei comunisti (13,1%), mentre i socialdemocratici si confermarono pur sempre il più forte partito con il 24,5 per cento dei suffragi. La compagine governativa non guadagnava però in stabilità e il governo Brüning si trovò costretto a vivacchiare come prima.
Oltre alla debolezza di Brüning, un ulteriore segno di disfacimento fu costituito dalle elezioni presidenziali dell'aprile 1932. L'ottantaquattrenne feldmaresciallo Hindenburg si lasciò convincere a ripresentare la candidatura. Dopo un testa a testa con Hitler, ne uscì vincitore con il 53% dei voti contro il 37% del leader nazista. L'indice della debolezza della Repubblica era però nel fatto che questo antico e ormai decrepito rappresentante della Germania imperiale, già candidato dei conservatori nel 1925, fosse ormai l'unica speranza cui potessero aggrapparsi i partiti democratici.
Poco più di un mese dopo, nel maggio 1932, cadeva il governo Brüning. Ormai decisamente impopolare ai suoi stessi sostenitori, di fronte al dilagare della violenza delle SA -le camicie brune di Ernst Röhm che costituivano il braccio armato del partito nazista- uno dei suoi ultimi atti fu almeno quello di tentare di sciogliere le associazioni paramilitari nazionalsocialiste (SA e SS). Seguirono altri brevi governi (Von Papen, Kurt von Schleicher) e altre elezioni, quelle del novembre 1932 registrarono un lieve calo dei nazisti (dal 37% al 33%); la Repubblica di Weimar giungeva alla fine, sotto i colpi della crisi economica, delle violenze naziste e della divisione tra le forze politiche tradizionali: il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler, come capo del partito di maggioranza relativa, venne legalmente nominato cancelliere di un governo di coalizione da Hindenburg.
La propaganda, l’intimidazione e la repressione degli avversari politici prima delle elezioni del marzo 1933 (sulle quali Hitler contava per ottenere una solida maggioranza) toccarono un vertice con l’incendio del palazzo del Reichstag nella notte del 27 febbraio 1933. L’incendio fu definito dal governo Hitler come il primo segnale di un’imminente azione sovversiva dei comunisti e fu utilizzato propagandisticamente secondo questa interpretazione, per poter meglio consolidare e "legalizzare" il proprio potere. Furono sospettati cinque comunisti, ma, benché soggetto a forti pressioni, il tribunale supremo condannò solo un olandese, assolvendo gli altri. La notte stessa dell’incendio fu dato il via ad una vasta azione di arresti contro esponenti dei partiti di sinistra, in particolare di quello comunista, dichiarato illegale, la cui stampa venne soppressa proprio nel pieno della campagna elettorale.
Ma –fatto di ancor maggior gravità- l’incendio servì come pretesto per l’emanazione di un altro decreto d’emergenza, promulgato già la mattina seguente e quindi preparato in anticipo. Con questo atto, sempre basato sull’articolo 48 della Costituzione di Weimar, venivano in pratica aboliti i diritti dell’uomo e del cittadino, sul cui rispetto si fonda la democrazia. Esso conteneva la proclamazione dello stato di emergenza e la fine della vita costituzionale, diventando il sostegno formale più importante del dominio di Hitler; infatti, benché vi si dica che sarebbe stato "valido fino a nuovo ordine", non venne mai soppresso e durò fino al crollo del Reich nel 1945.
Nonostante anche nelle elezioni del 1933 non avesse ottenuto la maggioranza assoluta, il regime hitleriano si impose senza trovare significative resistenze, anche per lo scioglimento degli altri partiti e di tutti i sindacati. Hitler utilizzò da un lato la perfetta macchina propagandistica orchestrata da Göbbels, dall’altro la sistematica repressione degli avversari politici, arrestati e rinchiusi in campi di concentramento, e l’annullamento di ogni forma di dissenso mediante un ferreo controllo, basato sul terrore, della vita pubblica e privata dei cittadini.Per raggiungere il potere assoluto, assumendo insieme alla carica di Cancelliere anche quella di capo dello Stato, Hitler aveva bisogno dell’appoggio degli ambienti industriali e militari. Ma un pericolo proveniente dall’interno stesso del partito, minacciava la sua posizione di padrone assoluto. Si trattava dei circa due milioni di uomini delle SA, comandati dal suo intimo amico Ernst Röhm, che erano stati fondamentali per la sua salita al potere. I loro dirigenti erano favorevoli ad una "seconda rivoluzione": pensavano di statalizzare le strutture economiche (come prevedeva l’originario programma del nazionalsocialismo) e di fondere le SA con l’esercito formando una gigantesca armata popolare. I poteri economici e militari erano decisamente contrari a quest’eventualità; Hitler decise di mettersi dalla loro parte liberandosi delle frange "rivoluzionarie" del suo partito. Con la brutalità e la mancanza di scrupoli sue proprie, sbaragliò i più alti comandi delle SA, cominciando dallo stesso Röhm. La notte del 30 giugno centinaia di uomini caddero vittime di un massacro preparato in precedenza nei minimi particolari; oltre che delle SA, Hitler si sbarazzò anche di ebrei e di antichi avversari. La spiegazione ufficiale riportata al popolo tedesco fu che il Führer era riuscito a prevenire e a sventare una rivolta delle SA.
Dopo la morte del Presidente Hindenburg (2 agosto 1934), Hitler poté riunire nella sua persona le cariche di Presidente dei Reich e di Cancelliere e ricevette il giuramento di fedeltà da parte dell’esercito. Ora Hitler poteva proclamare la fine della rivoluzione, esclamando al congresso del partito, nel settembre 1934: "Nei prossimi mille anni nessuna rivoluzione avrà più luogo in Germania".

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