Signori e Mercenari

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Categoria:Storia

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Testo

Signori e Mercenari
1) La Guerra del ‘200
2) I soldati di ventura
3) L’arte della guerra

Questo è uno studio che ha per oggetto delle istituzioni, della mentalità, delle idee oltre ad uomini e battaglie.
La guerra del ‘200
Inizia con la descrizione della situazione italiana tra il 1100 e il 1300.
Nel XII secolo l’Italia si trova in una situazione di frammentazione politica senza precedenti, nella quale ci fu tuttavia un episodio sul finire del secolo che fece sperare in una possibile unità: il matrimonio tra Enrico, figlio di Federico Barbarossa, e Costanza, erede del regno normanno di Sicilia. La speranza di unità scemò però con l’aumento dell’autonomia delle città dell’Italia settentrionale. Nel 1176 la vittoria della Lega Lombarda a Legnano fu indice di come la speranza di unità fosse una semplice utopia.
Nel 1250, con la morte di Federico II, gli imperatori tedeschi rinunciarono alla realizzazione del disegno politico di Federico Barbarossa, il quale sperava di riuscire a ricostituire il sacro romano impero germanico, riunendo sotto un solo sovrano un territorio molto vasto caratterizzato da stessa cultura, stessa lingua e stessa religione.
Il matrimonio ebbe però una conseguenza ben più concreta, diede inizio al conflitto tra papato e impero, in quanto il papa si sentiva minacciato dalla presenza del potere imperiale sia a nord che a sud dello stato pontificio; inoltre la Chiesa si era sempre interessata alle cose dell’Italia meridionale, che avevano anche rivendicato come feudo. Dopo la morte di Federico II, mentre i suoi figli tentavano di tenere unito il vasto impero su cui egli aveva regnato, il papa Urbano IV, francese, si rivolse a Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX re di Francia, perché cacciasse i tedeschi dal meridione e se ne facesse sovrano. Nel 1266 Carlo sconfisse a Benevento Manfredi (figlio illegittimo di Federico II), e successivamente a Tagliacozzo completò l’impresa.
In questo periodo il popolo italiano si trovò a dover parteggiare o per i guelfi (per il papa) o per i ghibellini (per l’imperatore). Avendo chiamato il papà gli angioini in suo soccorso, la Chiesa si trovò alla mercè dei francesi, addirittura la sede papale da Roma si trasferì ad Avignone.
Le caratteristiche salienti dell’Italia nel secolo XIII furono la gran varietà degli organi politici e delle tradizioni politiche e la crescita precoce della vita urbana. Solo a Napoli e in Sicilia il vincolo feudale rappresentò un elemento rilevante nella struttura del servizio militare.
È anacronistico parlare di un esercito feudale. Nell’Italia del ‘200 il grosso dell’esercito era formato da milizie cittadine (coloro idonei a portare le armi) e soldati mercenari.
Nelle città italiane in teoria era obbligatorio prestare servizio militare, in pratica ricadeva su quella classe chiamata politica, che partecipava in modo attivo al governo della città.
Con il rapido sviluppo dell’economia monetaria il servizio militare fu sempre retribuito.
Le milizie cittadine erano articolate in compagnie (una per ogni quartiere) ed erano costituite in larga misura da fanti, poiché pochi cittadini potevano permettersi un cavallo, inoltre richiedeva meno tempo per l’addestramento, permettendo ai cittadini di svolgere con maggior tranquillità il lavoro quotidiano. Il ruolo dei fanti era sempre di natura difensiva, per quella offensiva c’era bisogno della cavalleria, solo con l’introduzione della balestra i fanti acquistarono una certa importanza in situazioni offensive; il nerbo della potenza cittadina in città era il carroccio, un carro su cui erano innalzati i vessilli della città e con la sua guardia di armati di lancia costituiva un punto di riferimento per i cittadini che combattevano.
Per tutto quanto il ‘200 le milizie delle Leghe (lombarda e toscana) ebbero il rinforzo di gruppi mercenari, parliamo di mercenari non per indicare coloro che si facevano retribuire per combattere, poiché tutti i soldati venivano retribuiti, ma coloro che non erano italiani, che militavano lo stesso al cospetto di una città italiana.
La presenza di eserciti imperiali nella penisola per tutto il secolo fu la causa del grande numero di mercenari presenti nel suolo italiano.
L’utilizzo dei mercenari era diverso tra nord e sud. Nell’Italia settentrionale e centrale i mercenari alla fine del XIII sec erano ancora una minoranza. Qui la tradizione delle milizie cittadine e comunali fu lenta a morire così come la fiducia riposta nella fanteria, per questo motivo le compagnie di mercenari, composti da cavalieri, tardarono ad inserirsi, fungendo, in un primo tempo, solo come appoggio al nerbo dell’esercito comunale.
Nell’Italia meridionale invece sia gli imperatori tedeschi sia gli angioini fecero ricorso ad un numero massiccio di mercenari per infoltire le truppe dell’esercito che dovevano combattere così lontano da casa. Nella battaglia di Benevento del 1266 i due terzi della cavalleria era formata da mercenari tedeschi e italiani. Entrambe le parti inoltre impiegarono gli esperti balestrieri genovesi e pisane, anche questi in larga misura.
Oltre al passaggio da milizie cittadine o feudali a composte di mercenari, ci fu un'altra trasformazione sempre nella scena italiana del 1300, si passò dall’assoldamento di mercenari singoli a compagnie di mercenari.
Le cause di questo cambiamento furono molteplici.
Il primo fattore da prendere in considerazione fu quello economico. L’Italia si trovò al centro della rivoluzione commerciale che si ebbe nel XIII sec, ed era al centro di un’economia monetaria in fase di espansione. Proprio l’espansione dell’economia portò ad un aumento dell’aggressività politica: una popolazione in via di incremento demografico aveva bisogno di un territorio più ampio, inoltre avevano bisogno di un’organizzazione militare più efficiente, essendo città caratterizzate da un grande sviluppo economico non potevano permettersi che i cittadini abbandonassero per un periodo troppo lungo le città perché impegnati nell’esercito.
Sconfitta la minaccia del potere imperiale iniziarono gli scontri per l’egemonia territoriale tra i comuni dell’Italia, e la situazione politica cambiò rispetto all’inizio del ‘200, ci furono diversi conflitti tra città vicine e le più forti inglobarono le più deboli, dando origine a quelli che vennero definiti stati regionali, vasti territori che comprendevano più città capeggiate dalla città economicamente, politicamente e militarmente più forte. La guerra non consisteva più nella difesa occasionale delle mura cittadine, ma in prolungate campagne di aggressione contro i vicini; non erano più le mura cittadine a dover esser difese, bensì le frontiere di un territorio. Per questo occorreva una fanteria specializzata per difendere i confini e assediare in modo efficace, inoltre occorreva anche una cavalleria di mestiere per condurre lunghe campagne estive e per attacchi che mettevano in ginocchio l’economia della città rivale.
Per questo non bastava più l’esercito cittadino o i singoli mercenari ma compagnie di mercenari, più efficaci in numero e preparazione, i quali potevano assentarsi per lunghi periodi dalla città senza pesare economicamente su di essa.
Nel corso dello stesso secolo l’arte militare ebbe un notevole sviluppo. Una delle maggiori innovazioni fu l’introduzione della balestra, simile all’arco, ma molto più veloce nel colpire, questo arrivò dall’esperienza fatta con le crociate. Nello stesso tempo, con la reale minaccia che costituiva i dardi lanciati tramite le balestre, si sostituì l’armatura di cuoio e maglie di ferro con un’armatura a piastre e si tentò di proteggere anche i cavalli con una corazza. Questo portò ogni cavaliere ad avere più di un cavallo al suo seguito, poiché poteva capitare che i cavalli fossero ammazzati dai colpi della balestra o che morissero sopraffatti dal peso dell’armatura; proprio a questo proposito nacque la cosiddetta “lancia” e cioè quella piccola formazione al servizio del combattente catafratto che sarebbe diventata l’unità caratteristica sul finire del Medioevo.
Tutte queste innovazioni portarono maggiormente a pensare all’esercito come formato da persone specialiste e di mestiere, non più come formato da cittadini comuni.
Tutte queste dinamiche possono esser riassunte analizzando brevemente un episodio che accadde a metà strada tra Firenze e Arezzo, la battaglia di Campaldino del 1289, nella quale si scontrarono la Lega Guelfa delle città toscane guidate da Firenze e i ghibellini guidati da Arezzo.
L’esercito guelfo contava 10.000 fanti e 1.600 cavalieri; dei circa mille cavalieri forniti dalla sola Firenze, quasi metà erano mercenari, capeggiati dal narbonese Amauri e dai suoi cavalieri angioini. L’esercito ghibellino era numericamente inferiore, circa 800 cavalieri e 8.000 fanti. I guelfi si schierarono in un modo che illustra bene le innovazioni in campo militari del XIII secolo. Dietro uno schermo di 150 cavalieri procedeva il resto della cavalleria con al fianco i fanti; la formazione aveva così l’aspetto di una mezzaluna.
Dietro alla formazione a mezzaluna stava una linea di carri dove i cavalieri avrebbero potuto rifugiarsi se si fossero dispersi e dietro i carri erano presenti forze di riserva formate da cavalieri e armati di lancia. L’esercito ghibellino era invece di formazione più tradizionale: c’era un’avanguardia di cavalieri, poi veniva il grosso della cavalleria e in terza linea stavano i fanti, dietro ai quali c’erano le riserve di cavalleria. Inoltre, la fanteria ghibellina era in larga misura formata da armati di lancia e contava pochi balestrieri. I primi a scagliare l’attacco furono i ghibellini e se non fosse stato per i carri e le riserve di fanti l’esercito sarebbe stato distrutto. Tuttavia nell’attaccare i cavalieri ghibellini si trovarono sotto il fuoco incrociato degli arcieri guelfi che fiancheggiavano la cavalleria. La confusione fu impressionante, le riserve ghibelline fuggirono, mentre quelle guelfe aggirarono ai fianchi i ghibellini e comparvero alle spalle del nemico intrappolato. L’esito della battaglia fu la completa vittoria dei guelfi; quasi metà dei nemici rimase uccisa sul campo o venne fatta prigioniera. La vittoria riportata ci fa render conto dell’efficacia di combattere avendo una certa tattica e che l’importanza dei contingenti di mercenari, di cui era in buona parte composto l’esercito guelfo.

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