Roma contro Cartagine

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Testo

Capitolo 16
Roma contro Cartagine

Descrizione di Cartagine
Nel III secolo Cartagine era una grande potenza con una flotta senza rivali sul piano militare e commerciale. era situata vicino a Tunisi ed era interessata soprattutto al commercio dei metalli. I Cartaginesi erano famosi per essere i marinai più esperti del Mediterraneo.
Non avevano un esercito terrestre composto da cittadini: quando serviva assoldavano dei mercenari. Dal punto di vista politico era una repubblica aristocratica (oligarchia). Al vertice c’erano due magistrati (sufeti) presi ogni anno tra le famiglie nobili.
Roma era in buoni rapporti con Cartagine (trattato) e aveva sia relazioni economiche che culturali.
I rapporti si guastarono quando entrambe le potenze ebbero l’opportunità di controllare Messina.
Nel 264 a.C. Roma andò in soccorso dai soldati campani (Mamertini) che si erano rivolti in un primo tempo ai cartaginesi. Avevano chiesto l’aiuto dei romani perché Cartagine li stava dominando. Questo però andava contro i trattati con Cartagine e siccome nessuna delle due potenze volle farsi indietro si scatenò la guerra.

La prima guerra punica: la vittoria di Roma
Punico: nome con cui i romani chiamavano i cartaginesi.
L’obbiettivo di entrambe le potenze era quello di prevenire che l’altra si espandesse.
Roma era forte sul campo, mentre Cartagine aveva una flotta che poteva attaccare le coste.
Combatterono per un po’ sulla terra, ma una svolta nel conflitto si ha quando Roma decise di affrontare Cartagine sul mare e cominciò ad allestire una flotta da guerra. Fu una decisione molto coraggiosa perché era un popolo di contadini e di pastori, ma con questo Roma si avviava a diventare anche una grande potenza navale. Le lotte terrestri continuarono ma il conflitto venne deciso sul mare. I successi di Roma furono soprattutto navali: la vittoria a Milazzo nel 260 a.C. ma persero anche tanti uomini (naufragi, tempeste). Cartagine invece ebbe una vittoria sul campo in Africa quando annientò un corpo di spedizione romano guidato dal console Attilio Regolo.
Alla fine vinse la superiore disponibilità di uomini e di mezzi di Roma. Nel 241 a.C. una flotta riportò nelle isole Egadi una vittoria schiacciante. La pace costò a Cartagine la rinuncia completa della Sicilia che diventò al prima delle province romane.

Con la vittoria della guerra Roma diventò una grande potenza sul mare e la Sardegna e la Corsica divennero la seconda provincia romana.

La ripresa di Cartagine e il piano di Annibale
Anche se Cartagine era stata sconfitta estese i propri domini nella penisola Iberica grazie alla guida del generale Amilcaere Barca e Asdrubale e firmarono un accordo con Roma il possesso del fiume Ebro.
Roma però si alleò con Sagunto (a sud dell’Ebro) e il posto di Asdrubale venne preso da Annibale (figlio di Amilcare). Fu lui ad assediare Sagunto e a provocare la seconda guerra punica (218 a.C.).

Annibale prevedeva di invadere l’Italia e di sconfiggere Roma e di toglierle la base della sua forza e portare la guerra sul suo territorio (un piano molto difficile che riuscì ad attuare solo una prima fase). Ad differenza della prima guerra la seconda, presenta differenze dal punto di vista strategico e ebbero maggiore importanza le operazioni terrestri che quelle navali.

La seconda guerra punica
L’esercito Cartaginese raggiunse rapidamente le Alpi e Annibale portò dalla propria parte le tribù galliche (romane) e sconfisse gli eserciti romani in due battaglie (fiumi, Ticino e Trebbia) e l’anno seguente presso il lago Trasimeno. La strada verso Roma sembrava spianata ma Annibale preferì deviare verso l’Umbria per farsi alleate le popolazioni italiche.
A Roma intanto venne eletto il dittatore Quinto Fabio Massimo per fronteggiare la grave crisi che impose la rinuncia di combattere sul campo per fare in modo di distruggere l’esercito di Annibale (il temporeggiatore). Nel 216 a.C. l’esercito di Roma subisce una grave sconfitta a Canne. Questa sconfitta segnò il passaggio alla seconda fase della guerra durante la quale l’offensiva di Annibale si affievolì proprio a un passo dalla vittoria finale. L’esercito di Cartagine cominciava a sentire inferiorità numerica e la mancanza di rifornimento → diventò una guerra di logoramento con gravi conseguenze politiche.
La terza fase della guerra si aprì con la controffensiva di Roma su tutti i fronti: conquistò Siracusa e rasa al suolo Capua. Il protagonista di questa svolta fu Publio Cornelio Scipione che costrinse i cartaginesi ad abbandonare completamente il paese. Nel 207 a.C. l’esercito cartaginese viene sconfitto sul fiume Metauro e nella battaglia morì Asdrubale (fratello di Annibale).
Ebbe poi un’altra vittoria in Africa che costrinse i cartaginesi a richiamare Annibale dall’Italia → nel 202 a.C. avvenne a Zama la vittoria definitiva di Roma su Cartagine (Scipione prese il soprannome di Africano).
Le condizioni di pace imposero a Cartagine la consegna della flotta di guerra, il pagamento di un enorme somma di denaro.

Il Mediterraneo mare romano
Dopo la vittoria nella seconda guerra punica Roma consolidò il suo dominio: condusse campagne vittoriose contro i galli della pianura padana; ebbe lunghe guerra con la Spagna che riuscì a sottomettere dividendola nelle due province di Spagna Citeriore e Spagna Ulteriore; combattè tre guerre contro la Macedonia che riuscì a vincere e la ridusse a provincia romana.

La terza guerra punica
Anche se Cartagine aveva mantenuto fede agli impegni presi con la pace con Roma Catone il censore ripeteva continuamente che voleva che Cartagine fosse distrutta.
I cartaginesi utilizzarono come pretesto questa provocazione per scatenare la terza guerra punica. La città fu assediata da Scipione Emiliano (figlio dell’Africano) e resistette per tre anni, poi però venne rasa al suolo (146 a.C.), gli abitanti fatti schiavi e il territorio incorporato nello stato romano come provincia d’Africa.
In quegli anni Roma devastò e distrusse anche Corinto (in Grecia) che fu accorpata nelle province di Macedonia e rese la Grecia provincia d’Asia.

L’organizzazione delle province
Roma si trovò a gestire un territorio immenso che divise in province alle quali affidò a ciascuna un governatore (o console o pretore). Gli abitanti delle province non avevano diritti politici ma erano sudditi e pagavano delle imposte a esattori privati chiamati pubblicani. L’ampia autonomia concessa ai governatori delle province generò il fenomeno della corruzione.

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