Materie: | Tema |
Categoria: | Storia |
Voto: | 1.5 (2) |
Download: | 348 |
Data: | 11.02.2007 |
Numero di pagine: | 10 |
Formato di file: | .doc (Microsoft Word) |
Download
Anteprima
1848-questione-meridionale_1.zip (Dimensione: 15.65 Kb)
trucheck.it_dal-1848-alla-questione-meridionale.doc 80 Kb
readme.txt 59 Bytes
Testo
L’ITALIA E L’EUROPA NEL “VORTICE” DELLE RIVOLUZIONI ISPIRATE DA IDEOLOGI COME MAZZINI
Nei primi decenni dell’ ‘800 si assistette in Europa ad una serie di rivolte aventi principalmente come scopo quello di ottenere una Costituzione.
Negli anni 1816-1817 si verificò una carestia con conseguente aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari. Al malessere sociale si univa il malessere politico: veniva così favorita l’opera delle organizzazioni segrete rivoluzionarie, mentre emergevano le prime critiche e i primi problemi del sistema elaborato dal Congresso di Vienna.
I primi moti scoppiarono in Spagna nel gennaio del 1820 ad opera delle truppe che dovevano imbarcarsi a Cadice per andare a reprimere un moto indipendentistico scoppiato in America Latina. Vi fu un ammutinamento ed una giunta di ufficiali costrinse il re a ripristinare la Costituzione che era stata da lui soppressa nel 1814.
In Portogallo la Capponeria diede il via alla rivolta, tanto che Ferdinando I dovette accettare la costituzione, ma presto emersero divergenze tra le componenti democratiche della stessa Capponeria e quelle moderate alle quali fu affidato il governo e che frenarono l’opera riformatrice.
In Italia il movimento nacque a Napoli da ufficiali legati alla Carboneria ed era composto dall’esercito e dalla borghesia (commercianti e artigiani). Nel luglio 1820, a Nola,un gruppo di ufficiali fece insorgere le truppe. Si ebbe l’appoggio del comandante dell’esercito napoletano, Guglielmo Pepe. Ferdinando I accolse la richiesta della Costituzione e indisse le elezioni. Gli Stati europei, temendo la monarchia costituzionale del Regno delle due Sicilie, convocarono Ferdinando I per avere spiegazioni. Questi si giustificò dicendo di averla dovuta concedere e allora le truppe austriache scesero a Napoli e ristabilirono l’ordine.
In Piemonte, in cambio della Costituzione, si diede a Vittorio Emanuele I la possibilità di diventare re di un futuro Stato nazionale, ma il sovrano preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice (1821) che, momentaneamente lontano, incaricò della reggenza il nipote Carlo Alberto. Questi, di simpatie liberali, concesse la Costituzione spagnola, ma venne sconfessato da Carlo Felice, per cui abbandonò precipitosamente Torino. A questo punto le truppe austriache insediarono sul trono Carlo Felice che ripristinò la monarchia assoluta.
A seguito del fallimento dei moti italiani, la Santa Alleanza, che comprendeva Russia, Prussia, Francia ed Austria, si occupò della Spagna e anche nella penisola iberica fu ripristinata la monarchia assoluta.
Al fallimento dei moti avevano contribuito le divergenze tra i moderati e i democratici; negative si erano dimostrate inoltre le illusioni di ricevere l’appoggio dei vecchi sovrani per operare il rinnovamento istituzionale; infine le società segrete, con il loro carattere di circoli chiusi, avevano mostrato per questo i primi limiti.
Il Paese più controllato dalla Santa Alleanza era la Francia. Al suo interno vi era una monarchia parlamentare concessa da Luigi XVIII nel giugno 1814 e che venne chiamata octroyée, ossia concessa per iniziativa del sovrano senza condizionamenti rivoluzionari. Il Parlamento era diviso in
due camere: alta (membri nominati dal re) e bassa (eletta dai cittadini in base al censo). Vi era libertà di pensiero, di parola e di stampa, economica e quindi la possibilità di farsi strada nella società.
Alla morte di Luigi XVIII salì al trono Carlo X, un sovrano reazionario contrario quindi a qualsiasi cambiamento. Nel marzo 1830 entrò subito in contrasto con il Parlamento e lo sciolse. Le elezioni indette il 25 luglio videro però vincere gli oppositori. Carlo X emanò quindi quattro ordinanze con cui sciolse la camera appena eletta e abolì le libertà di parola e di stampa.
Il 27,28,29 luglio nacque subito una forte protesta e a Parigi scoppiò un’insurrezione, detta rivoluzione di luglio o delle “tre giornate gloriose”, guidata dalla grande e dalla piccola borghesia, ostili invece ai movimenti rivoluzionari i contadini. Il re dovette abdicare e venne richiesta una nuova Costituzione che introducesse nuovi diritti.
Il 7 agosto Carlo X venne quindi cacciato e salì al trono Luigi Filippo d’Orleans, che si definì “re dei francesi”, molto democratico e attento alle richieste del popolo.
La rivoluzione parigina del 1830 innescò un processo rivoluzionario che si diffuse a macchia d’olio in Europa.
In Belgio la rivoluzione non nacque da cause politiche ma dal sentimento nazionale. Belgio e Olanda vennero uniti dopo il Congresso di Vienna nonostante non avessero niente in comune. Nell’agosto 1830 insorsero vittoriosamente contro l’esercito di Guglielmo I d’Orange. Nel 1831 nacque il Regno del Belgio sotto la guida di Leopoldo I di Sassonia che vi instaurò un regime costituzionale.
Anche in Polonia la rivoluzione nacque da un sentimento nazionale. Con il Congresso di Vienna la Polonia venne assorbita dall’Impero russo. Anche se lo zar avrebbe dovuto concedere una certa indipendenza, la sua politica si rivelò molto centralizzata e suscitò il malcontento. Nel novembre 1830 Varsavia insorse e si formò un governo nazionale polacco. La Russia intervenne e rimise ordine senza che però intervenisse nessuno degli alleati.
La rivoluzione greca fu l’unica ad aver avuto successo, anche grazie all’unità popolare e all’appoggio del clero contro l’assoggettamento dell’Impero ottomano. Per recuperare il controllo del Paese, i Turchi si abbandonarono a stragi indiscriminate, ma ciò aumentò l’interesse dell’opinione pubblica occidentale per quella che cominciò ad essere definita la questione orientale: le grandi potenze, infatti, si preparavano ad utilizzare i loro fini espansionistici o economici date le difficoltà dell’Impero ottomano, mentre sorgevano comitati di solidarietà a favore degli insorti e diversi intellettuali andarono a combattere, e a morire, per la libertà della Grecia. Anche la Russia e l’Inghilterra si schierarono con i greci fino a distruggere la flotta turca: la Grecia ottenne l’indipendenza nel 1830, ma sul suo trono le potenze che l’avevano appoggiata imposero un principe tedesco: Ottone di Baviera.
Il centro di irradiazione dei moti del 1848 fu nuovamente la Francia. Per difendersi dalle forze estremiste della sinistra e per paura di perdere il proprio potere, Luigi Filippo iniziò ad attuare una politica più conservatrice che deluse le aspettative. Scoppiò così la rivolta e venne proclamata la repubblica (concretizzando il successo delle idee mazziniane). Le fazioni politiche tra cui era divisa la Francia erano diverse:
• bonapartisti (alta borghesia)
• nobili, che aspiravano ad una monarchia costituzionale
• democratici, che volevano la repubblica
• socialisti, rappresentativi della lotta sociale che iniziava ad emergere a fianco di quella politica. Questi si fecero portavoci di un socialismo ideologico, che si contrappose a quello scientifico di Marx (che nel 1848 pubblicò il “Manifesto del Partito Comunista”).
Alla fine si decise di proclamare Presidente della Repubblica Luigi Bonaparte (Napoleone III), nipote di Napoleone I, che mise d’accordo tutti i diversi schieramenti. Napoleone III portò stabilità politica e sviluppo economico alla Francia e per questo nessuno gli mise i bastoni fra le ruote quando, nel 1851, con un colpo di Stato, si proclamò imperatore.
Nell'Impero asburgico le rivendicazioni ebbero carattere liberale e nazionale: oltre alle riforme e alla Costituzione si chiedeva da parte dei popoli soggetti una maggiore autonomia dal governo austriaco. In marzo scoppiarono tumulti a Vienna e Metternich, il braccio destro dell’imperatore Ferdinando I, fu costretto ad abbandonare l'incarico. Contemporaneamente a Praga e a Budapest si costituirono governi provvisori. Nonostante le promesse iniziali della monarchia austriaca, le insurrezioni di Vienna e di Praga furono rapidamente domate e anche in Ungheria, malgrado l'eroica resistenza dei patrioti, venne ristabilito l'ordine con l'aiuto dello zar di Russia (agosto 1849).
Nella Confederazione germanica, dove in quegli anni si era andata affermando la potenza della Prussia, scoppiarono nel marzo del '48 in vari Stati numerose insurrezioni che costrinsero i principi a concedere riforme e a indire un'assemblea di rappresentanti di tutti gli Stati per elaborare una nuova Costituzione. L'assemblea si riunì a Francoforte e decise di dar vita a una nuova Confederazione germanica, di cui fu offerta la corona al re di Prussia. Ma questi, temendo l'ostilità dell'Austria, esclusa dalla Confederazione, rifiutò l'offerta e fece sciogliere l'Assemblea.
Nel ’49 salì al trono austriaco Francesco Giuseppe.
In Italia il movimento per l’unità, la libertà e l’indipendenza dallo straniero prese il nome di Risorgimento.
Ciro Menotti, un imprenditore, aspirava ad un’Italia unita con capitale Roma. Si accordò col modenese Enrico Misley, che aveva stretto rapporti con il Duca di Modena Francesco IV, che finse di appoggiare il moto liberale, e fece poi invece arrestare i capi. Nel 1831 scoppiò comunque la rivoluzione, ma venne repressa dalle truppe austriache e Ciro Menotti venne ucciso.
I moti del 1830-1831 misero in luce le debolezze dell’attività cospirativa di tipo carbonaro, che fu largamente criticata da Giuseppe Mazzini, uno dei grandi ideologi che furono al centro del Risorgimento italiano.
Secondo Mazzini, non si doveva confidare nell’iniziativa dei principi e dei governi, ma nell’organizzazione e nell’azione popolare. L’unità poteva essere conseguita solo attraverso una rivoluzione che sovvertisse le strutture dei vecchi Stati e fondasse una repubblica democratica.
Arrestato nel 1830 ed esiliato nel 1831, fondò a Marsiglia il movimento chiamato la Giovine Italia. Nel 1832 fondò l’omonima rivista.
Nel 1834 fondò la Giovine Europa , dando un contributo e un modello all’organizzazione democratica europea. Il problema nazionale prese il sopravvento sulla questione sociale e sui contrasti di classe. In questo
periodo si precisò nel pensiero mazziniano il rapporto tra intellettuali e popolo: i primi chiamati a educare e esprimere le confuse aspirazioni popolari; il popolo protagonista dei movimenti rivoluzionari. Nel riorganizzare la Giovine Italia Mazzini insistette sul reclutamento tra i ceti popolari e operai. Nel 1840 fondò l’Unione degli operai italiani, la prima associazione politica degli operai italiani. Il problema fondamentale rimaneva quello dell’indipendenza e dell’unità nazionale. Questo si era imposto anche all’opinione pubblica moderata, che cominciava a esprimere proprie soluzioni. I tentativi insurrezionali erano inconcludenti, mentre sembrava possibile una soluzione federativa, con il consenso e l’appoggio dei cattolici e la funzione preminente del papato. Nel 1843 Vincenzo Gioberti nel “Primato morale e civile degli italiani” espresse tale linea politica che fu definita neoguelfa per analogia con la fazione guelfa che nel Medioevo si raccoglieva intorno al Papa. Il mito neoguelfo si diffuse rapidamente e suscitò grandi entusiasmi.
La posizione mazziniana fu indebolita ancora di più dalla tragica fine dei fratelli Bandiera (fucilati) che volevano ravvivare l’insurrezione in Calabria. Mazzini aveva tentato di dissuaderli, ma la responsabilità fu attribuita a lui lo stesso.
Alcuni elementi del programma neoguelfo (una federazione di stati italiani guidata dal Papa) si concretizzarono in atti politici con l’elezione di Pio IX nel Luglio 1846. Egli proclamò subito un’amnistia per i reati politici, poi concesse la libertà di stampa, istituì la guardia civica e nominò organi consultivi di governo composti da laici. Il disegno neoguelfo sembrava prossimo a realizzarsi. L’Austria tentò d’intimidire Pio IX, ma il papa reagì energicamente.
Anche i democratici erano ormai conquistati: Mazzini ritenne opportuno rivolgersi a Pio IX e Garibaldi offrì la sua spada.
Fu un crescendo di iniziative, di appelli, di pubblicazioni e i governi non poterono rimanere indifferenti. Nel novembre 1847 si arrivò alla firma da parte di Pio IX, Carlo Alberto e Leopoldo II, dei preliminari per la formazione di una lega doganale italiana. Ferdinando II di Borbone era su una linea di resistenza e represse in Calabria un tentativo insurrezionale. I democratici erano ormai attivi in tutte le grandi città e sollecitavano l’iniziativa popolare. Il 12 Gennaio 1848 Palermo insorse. Rosolino Pio e Giuseppe La Masa, a capo degli insorti, costrinsero le truppe borboniche a lasciare la città. Ferdinando II chiese aiuto all’Austria, ma Pio IX rifiutò il passaggio delle truppe austriache attraverso lo Stato Pontificio. Il re di Napoli allora concesse la Costituzione con l’intento di precedere di colpo tutti gli altri sovrani italiani sulla via delle riforme. Gli altri principi furono costretti a seguirlo: prima Leopoldo II di Toscana, poi Carlo Alberto (Statuto Albertino) e infine Pio IX.
Gli avvenimenti del 1848 italiano segnarono un’ampia partecipazione dell’opinione pubblica e delle masse popolari. Furono soprattutto intellettuali e borghesi i protagonisti dei moti, ma anche artigiani e popolani intervennero. I contadini inizialmente parteciparono ai moti antiaustriaci in Lombardia, al movimento rivoluzionario nel Mezzogiorno, poi però presero un orientamento filoaustriaco e filoborbonico. Le agitazioni contadine preoccupavano i moderati, che guidavano il movimento costituzionale, e cercavano di reprimerle. Sulla stessa linea erano anche i moderati, per
questo l’Austria e i principi poterono recuperare i contadini, lasciati appunto senza guida politica e osteggiati dai moderati.
Due erano i punti principali della questione italiana: in primo luogo la presenza dello straniero, l’Austria, e la necessità di liberare i territori che occupava; in secondo luogo la divisione della penisola in vari stati e le prospettive di superare tale condizione con un nuovo organismo politico. Sul primo punto democratici e moderati erano concordi. Sul secondo punto i dissensi erano profondi. I democratici erano orientati verso una repubblica (federale, unitaria o confederale), mentre i moderati verso un governo costituzionale guidato da un capo. Questi ultimi, a loro volta, aspiravano o a una confederazione di Stati sotto il Papa, o a una monarchia costituzionale guidata dai Savoia.
Quando scoppiò l’insurrezione di Vienna, i patrioti a Venezia e a Milano si mossero. A Venezia vennero liberati Manin e Tommaseo e l’insurrezione portò alla cacciata degli austriaci e alla formazione di un governo provvisorio. A Milano il 18 Marzo la popolazione insorse e dopo cinque giorni costrinse le truppe di Radetzky alla fuga. Qui i repubblicani, guidati da Carlo Cattaneo, forti dell’appoggio degli strati popolari e artigiani e dell’area più radicale della borghesia, controllavano il consiglio di guerra, ma i moderati , cioè aristocrazia di tendenze liberali e filopiemontesi, controllavano il governo provvisorio. Prevalsero i moderati che mettevano in primo piano la questione dell’indipendenza dall’Austria e anche Mazzini da Londra insisté molto su questo punto. Il moto italiano del 1848 si trasformò allora in guerra d’indipendenza quando Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria (23 Marzo). Dalla Toscana furono inviati truppe e volontari. Guglielmo Pepe guidava quelle del governo costituzionale napoletano. La guerra contro l’Austria era diventata il fine comune dei patrioti italiani di ogni tendenza.
Anche Ferdinando di Spagna e il Papa mandarono truppe in aiuto, ma dopo le prime vittorie ritirarono gli eserciti con qualche scusa perché compresero che non ci avrebbero guadagnato niente perché lo spirito indipendentista italiano era troppo forte.
Carlo Alberto si ritrovò così a combattere con un esercito dimezzato e subì una pesante sconfitta a Custoza. Decise così di firmare un armistizio, deludendo le aspettative dei patrioti.
Intanto, durante la guerra, i democratici si organizzarono contemporaneamente e approfittarono di quest’ultima per rovesciare il governo straniero e fondare delle repubbliche a Venezia (Manin), Firenze (Guerrazzi) e Roma (Mazzini).
Con l’armistizio però le repubbliche crollarono e si ritornò allo stato quo ante.
Carlo Alberto abdicò e lo successe Vittorio Emanuele II.