La questione omerica e i temi

Materie:Appunti
Categoria:Epica

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Testo

LA QUESTIONE OMERICA

Sui poemi epici ci sono molti elementi che mettono i critici in disaccordo: la nascita di Omero, si pensa tra l’VIII e il VII secolo a.C., il luogo natio, ben 7 città della Grecia si contendono i natali di Omero: Smirne, Colofone, Pilo, Cuma, Itaca, Argo, Chio e Atene. La sua vita è molto lontana dagli avvenimenti delle sue opere che sono calati nel “medioevo ellenico” con barbarie e durante il quale scomparve la scrittura.
Molti sostengono che Omero fosse cieco e la critica moderna accetta questo concetto, perché “Omero” significa: “colui che non vede”. Nonostante la cecità gli impedisse di svolgere cose materiali, non gli impediva di narrare e comporre. Gli antichi non vollero vedere un segno d’inferiorità fisica, ma come una misteriosa elezione divina che gli consentiva di poter aprire gli occhi verso il cielo; lo consideravano come una persona sacra, inviolabile.
Femio e Demodoco sono i due cantori presenti nell’Iliade; anche Omero forse era un aedo perché le suo opere non sono firmate, quindi potrebbe essere la risultante del lavoro di più aedi.
A noi i due poemi sono giunti scritti, ma al suo tempo non esisteva la scrittura, le opere vennero riscritte con Pisistrato, tiranno di Atene nel VI secolo a.C., il quale formò una commissione di filologi che analizzarono le varie opere poi pubblicarono i testi originali.
Nel III a.C. tre filologi alessandrini (Zenodoto Dieso, Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Stamogracia) ripetendo l’opera di Pisistrato, misero insieme tutti i contenuti e li distribuirono in ventiquattro libri seguendo l’ordine dell’alfabeto greco.
Non si sa se Omero sia stato autore sia dell’Iliade che dell’Odissea ma molti critici sostengono che per la scansione dei contenuti vi siano molte diversità. Molti sostengono che i temi trattati nell’Iliade (eroismo, forza) siano diversi da quelli dell’Odissea (astuzia): corrente separatista.
Ma altri sostengono che l’Iliade fu scritta quando era giovane e l’Odissea nella vecchiaia che spiegherebbe tali diversità. Nonostante questo tuttora non c’è possibilità di trovare una decisione univoca.
L’Iliade parla solo degli ultimi anni della guerra, questa scelta era ammirata già dai critici di quel tempo e nonostante narrasse solo una parte limitata della guerra conteneva comunque l’ira di Achille; e sottolinea la grande maturità artistica dell’autore.
Il tema: l’ira di Achille contro Agamennone perché non gli concede sua figlia Criseide; a causa di questa negazione si dice che Apollo mandò una terribile pestilenza per punire Agamennone. Da qui nasce la lotta tra i due: Achille restituisce la schiava, non torna più sul campo di battaglia e dona la sua armatura a Patroclo. Il quale inizialmente non fece riconoscere da Ettore fin quando Apollo gli farà capire che sotto l’armatura non risiede Achille ma Patroclo, dopodiché la vittoria di Ettore fu inevitabile. Il padre scongiura Achille perché gli restituisca il corpo del figlio e Achille rivedendo in quell’immagine il padre dolorante glielo restituisce.
La guerra di Troia, che è il secondo mito, è durata dieci anni, comunque non era un’impresa esclusivamente leggendaria, difatti una città di Troia esiste veramente in Frigia, venne scoperta venne scoperta nel secolo scorso da Enrico Schliemann, il quale era un archeologo dilettante spinto dal suo amore per Omero e per i suoi poemi, con accurate ricerche archeologiche è stato dimostrato che la città venne più volte distrutta da terremoti o nemici e successivamente ricostruita.
Che nel corso del XIII secolo un esercito greco abbia assediato e distrutto Troia è verosimile e tutto questo trova conferma nelle tavolette in scrittura lineare decifrate negli ultimi decenni e da queste si sono venute a sapere molte notizie sulla storia dei greci.
La guerra non scoppiò solo per il rapimento di Elena, la causa reale fu nel bisogno di conquista e di saccheggi che i greci avevano nei confronti di Troia. Quindi il mito aveva anche un’origine storica e i poemi omerici erano, per i greci del tempo, storia vera, le imprese degli eroi erano la storia delle varie città greche.
I greci erano un popolo indoeuropeo, venuto dal nord in Grecia nel corso del II millennio a.C.; in realtà i greci antichi chiamavano se stessi elleni e vennero chiamati greci dai romani. Fondarono nella parte più meridionale, prima della metà del II millennio, delle città i cui sovrani abitavano in grandi palazzi regali (Micene, Tirinto, Argo, Pilo). Non solo ebbero commerci con Creta ma ne occuparono una parte intorno al 1400 a.C. , inoltre conquistarono e saccheggiarono le città costiere dell’Asia minore, quindi la spedizione di Troia fu opera delle popolazioni greche di questi regni del Peloponneso aiutate da altre popolazioni, in particolare da quelle della Tessallia (patria di Achille), la conquista di Troia fu una delle ultime conquiste degli Achei perché intorno al 1200 a.C.: un’altra popolazione greca, i Dori, si riversava verso sud e conquistava tutti i regni del Peloponneso.
La società omerica: nei poemi c’è la consapevolezza che i fatti si svolgono in un passato lontano diverso dal presente, passato che presenta costumi e tradizioni diverse da quelle attuali tuttavia le linee essenziali dell’organizzazione sociale rimangono le stesse nel mito rappresentato dal poeta e nel mito in cui vive. Anche nell’età micenea i greci sono lontani da un’organizzazione politica unitaria, non hanno formate delle grandi dinastie e i centri più grandi sono i palazzi del re. Il palazzo del re ha una pianta geometrica molto razionale le parti fondamentali del vestibolo, una sola centrale più ampia detta Megaron con in mezzo il focolare sempre acceso, le stanze da letto e da bagno, i depositi di vino, olio e cereali che dovevano servire sia per nutrire tutta la comunità sia per il commercio, una cisterna e una cinta di mura fortificate. Nell’Iliade c’è una forma politica costituita da una democrazia guerriera molto primitiva: un’organizzazione in cui il potere appartiene ai guerrieri che eleggono un capo in un’assemblea di soli guerrieri, durante la quale ascoltano i pareri di tutti, al fine di poter successivamente prendere delle decisioni, ma non in quell’assemblea, quando il capo supremo convoca il consiglio dei vari capi. A tal punto è chiaro che un sovrano come Agamennone non può permettersi di decidere contro il parere della maggior parte dei capi che possono abbandonarlo e bloccare la guerra; il re deve quindi ascoltare il consiglio degli anziani e prendere le decisioni con loro. Il signore ha al suo servizio un gran numero di schiavi che servono nel palazzo o coltivano i campi o svolgono lavori artigianali. Gli schiavi in origine erano prigionieri di guerra, sono schiavi i loro figli e tutti coloro che vi discendono, spesso vengono comprati e venduti come merci e il loro prezzo dipende da robustezza, bellezza e abilità nel lavoro. Quelli che servono a palazzo, in particolare donne per lo più nutrici, sono trattate con mitezza ma in genere la situazione dello schiavo è considerata come una tremenda sciagura che degrada l’uomo.
Dall’agricoltura, dall’allevamento e dal commercio il re ricavava la sua ricchezza ma soprattutto mirava alla guerra perché ne ricavava oggetti preziosi e schiavi, egli riservava per sé parte del bottino il resto veniva diviso fra tutti.
Il valore in guerra, detto aretè, e la più alta delle virtù e dona all’eroe gloria e ricchezza. Al tempo dei poemi epici la gloria di un capo che combatte su di un cocchio trainato da cavalli è di gran lunga più importante di quella dei suoi guerrieri; infatti le gesta dell’Iliade e dell’Odissea sono gesta di capi, il resto è considerato come una massa informe. Gli aedi narrano solo le imprese individuali degli eroi perché solo queste servono alla gloria dei grandi regni e sono degne di essere tramandate ai posteri.

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