Materie: | Tesina |
Categoria: | Letteratura |
Voto: | 1 (2) |
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Data: | 12.06.2006 |
Numero di pagine: | 11 |
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Testo
Lo spunto per queste note и stato dato dalla pubblicazione, avvenuta nel «Quarto Stato» del 18 settembre, di un articolo sul problema meridionale, firmato Ulenspiegel, che la redazione della rivista ha fatto precedere da un esordio alquanto buffo. Ulenspiegel da notizia, nel suo articolo, del recente libro di Guido Dorso {La Rivoluzione meridionale. Torino, edit. Piero Gobetti, 1925) e accenna al giudizio che il Dorso ha dato intorno all'atteggiamento del nostro partito sulla questione del Mezzogiorno; nel suo esordio, la redazione del « Quarto Stato », che si proclama costituita di « giovani che conoscono perfettamente nelle sue linee generali (sic) il problema meridionale )>, protesta collettivamente per il fatto che si possano riconoscere dei «meriti» al Partito comunista. E fin qui niente di male; i giovani del tipo «e Quarto Stato» hanno, in ogni tempo e luogo, fatto sopportare alla carta ben altre opinioni e proteste, senza che la carta si ribellasse. Ma poi questi « giovani » aggiungono testualmente: «Non abbiamo dimenticato che la formula magica dei comunisti torinesi era: dividere il latifondo tra i proletari rurali. Quella formula и agli antipodi con ogni sana realistica visione del problema meridionale». E qui occorre mettere le cose a posto, poichй di « magico » esiste solo l'improntitudine e il superficiale dilettantismo dei «i giovani » scrittori del « Quarto Stato ».
La « formula magica » и inventata di sana pianta. E devono avere ben poca stima dei loro intellettualissimi lettori i « giovani » del « Quarto Stato » se osano con tanta loquace sicumera simili capovolgimenti della veritа. Ecco, infatti, un brano dell’Ordine Nuovo» (numero del 3 gennaio 1920) nel quale и riassunto il punto di vista dei comunisti torinesi:
« La borghesia settentrionale ha soggiogato l'Italia meridionale e le Isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento; il proletariato settentrionale, emancipando sй stesso dalla schiavitщ capitalistica, emanciperа le masse contadine meridionali asservite alla banca e all'industrialismo parassitario del Settentrione. La rigenerazione economica e politica dei contadini non deve essere ricercata in una divisione delle terre incolte e mal coltivate, ma nella solidarietа del proletariato industriale, che ha bisogno, a sua volta, della solidarietа dei contadini, che ha interesse anche il capitalismo non rinasca economicamente dalla proprietа terriera e ha interesse anche l'Italia meridionale e le Isole non diventino una base militare di controrivoluzione capitalistica. Imponendo il controllo operaio sull'industria, il proletariato rivolgerа l'industria alla produzione di macchine agricole per i contadini, di stoffe e calzature per i contadini, di energia elettrica per i contadini; impedirа che piщ oltre l'industria e la banca sfruttino i contadini e li soggioghino come schiavi alle loro casseforti. Spezzando l'autocrazia nella fabbrica, spezzando l'apparato oppressivo dello Stato capitalistico, instaurando lo Stato operaio che soggioghi i capitalisti alla legge del lavoro utile, gli operai spezzeranno tutte le catene che tengono avvinghiato il contadino alla sua miseria, alla sua disperazione; instaurando la dittatura operaia, avendo in mano le industrie e le banche, il proletariato rivolgerа l'enorme potenza dell'organizzazione statale per sostenere i contadini nella loro lotta contro i proprietari, contro la natura, contro la miseria; darа il credito ai contadini, istituirа le cooperative, garantirа la sicurezza personale e dei beni contro i saccheggiatori, farа le spese pubbliche di risanamento e di irrigazione. Farа tutto questo perchй и suo interesse dare incremento alla produzione agricola, perchй и suo interesse avere e conservare la solidarietа delle masse contadini, perchй и suo interesse rivolgere la produzione industriale a lavoro utile di pace e di fratellanza fra cittа e campagna, tra Settentrione e Mezzogiorno».
Ciт и stato scritto nel gennaio 1920. Sono passati sette anni e noi siamo piщ anziani di sette anni anche politicamente; qualche concetto potrebbe essere oggi espresso meglio, potrebbe e dovrebbe essere meglio distinto il periodo immediatamente successivo alla conquista dello Stato, caratterizzato dal semplice controllo operaio sull'industria, dai periodi successivi. Ma quello che importa notare qui и che il concetto fondamentale dei comunisti torinesi non и stato la « formula magica » della divisione del latifondo, ma quello della alleanza politica tra operai del Nord e contadini del Sud per rovesciare la borghesia dal potere di Stato: non solo, ma proprio i comunisti torinesi (che pure sostenevano, come subordinata all'azione solidale delle due classi, la divisione delle terre) mettevano in guardia contro le illusioni « miracoliste » sulla spartizione meccanica dei latifondi. Nello stesso articolo del 3 gennaio 1920 и scritto: «Cosa ottiene un contadino povero invadendo una terra incolta o mal coltivata? Senza macchine, senza abitazione sul luogo di lavoro, senza credito per attendere il tempo del raccolto, senza istituzioni cooperative che acquistino il raccolto stesso (se arriva al raccolto senza prima essersi impiccato al piщ forte arbusto delle boscaglie o al meno tisico fico selvatico della terra incolta) e lo salvino dalle grinfe degli usurai, cosa puт ottenere un con-
tadino povero dall'invasione?». E tuttavia noi eravamo per la formula molto realistica e per nulla « magica » della terra ai contadini; ma volevamo che essa fosse inquadrata in una azione rivoluzionaria generale delle due classi alleate, sotto la direzione del proletariato industriale. Gli scrittori del « Quarto Stato » hanno inventato di sana pianta la « formula magica » attribuita ai comunisti torinesi, dimostrando cosi la loro poca serietа di pubblicisti e il loro poco scrupolo di intellettuali da farmacia di villaggio; e anche questi sono elementi politici che pesano e portano conseguenze.
Nel campo proletario, i comunisti torinesi hanno avuto un « merito » incontrastabile : di avere imposto la questione meridionale all'attenzione dell'avanguardia operaia, prospettandola come uno dei problemi essenziali della politica nazionale del proletariato rivoluzionario. In questo senso essi hanno contribuito praticamente a far uscire la quistione meridionale dalla sua fase indistinta, intellettualistica, cosм detta « concretista6», per farla entrare in una fase nuova. L'operaio rivoluzionario di Torino e di Milano diventava il protagonista della questione meridionale e non piщ i Giustino Fortunato, i Gaetano Salvemini, gli Eugenio Azimonti, gli Arturo Labricla, per non citare che il nome dei santoni cari ai «giovani» del «Quarto Stato».
I comunisti torinesi si erano posti concretamente la questione dell'« egemonia del proletariato », cioи della base sociale della dittatura proletaria e dello Stato operaio. Il proletariato puт diventare classe dirigente e dominante nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanza di classi che gli permetta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice, ciт che significa, in Italia, nei reali rapporti esistenti in Italia, nella misura in cui riesce a ottenere il consenso delle larghe masse contadine. Ma la questione contadina in Italia и storicamente determinata, non и la «questione contadina e agraria in generale»; in Italia la questione contadina ha, per la determinata tradizione italiana, per il determinato sviluppo della storia italiana, assunto due forme tipiche e peculiari, la questione meridionale e la questione vaticana. Conquistare la maggioranza delle masse contadine significa dunque, per il proletariato italiano, far proprie queste due questioni dal punto di vista sociale, comprendere le esigenze di classe che esse rappresentano, incorporare queste esigenze nel suo programma rivoluzionario di transizione, porre queste esigenze tra le sue rivendicazioni di lotta.
Il primo problema da risolvere, per i comunisti torinesi, era quello di modificare l'indirizzo politico e l'ideologia generale del proletariato stesso, come elemento nazionale che vive nel complesso della vita statale e subisce inconsapevolmente l'influenza della scuola, del giornale, della tradizione borghese. E' noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle masse del Settentrione: il Mezzogiorno и la palla di piombo che impedisce piщ rapidi progressi allo sviluppo civile dell'Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale; se il Mezzogiorno и arretrato, la colpa non и del sistema capitalistico o di qualsivoglia altra causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni, incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con l'esplosione puramente individuale di grandi geni, che sono cerne le solitarie palme in un arido e sterile deserto. Il Partito socialista fu in gran parte il veicolo di questa ideologia borghese nel proletariato settentrionale; il Partito socialista diede il suo crisma a tutta la letteratura « meridionalista » della cricca di scrittori della cosiddetta scuola positiva, come i Ferri, i Sergi, i Niceforo, gli Orano e i minori seguaci, che in articoli, in boz-
zetti, in novelle, in romanzi, in libri di impressioni e di ricordi ripetevano in diverse forme lo stesso ritornello; ancora una volta la « scienza » era rivolta a schiacciare i miseri e gli sfruttati, ma questa volta essa si ammantava dei colori socialisti, pretendeva essere la scienza del proletariato.
I comunisti torinesi reagirono energicamente contro questa ideologia, proprio a Torino, dove i racconti e le descrizioni dei veterani della guerra contro il « brigantaggio » nel Mezzogiorno e nelle Isole avevano maggiormente influenzato la tradizione e lo spirito popolare. Reagirono energicamente, in forme pratiche, riuscendo ad ottenere risultati concreti di grandissima portata storica, riuscendo ad ottenere, proprio a Torino, embrioni di quella che sarа la soluzione del problema meridionale.
D'altronde, giа prima della guerra, si era verificato a Torino un episodio che conteneva in potenza tutta l'azione e la propaganda svolte nel dopoguerra dai comunisti. Quando, nel 1914, per la morte di Pilade Gay, rimase vacante 1] IV Collegio della cittа e fu posta la questione del nuovo candidato, un gruppo della Sezione socialista, del quale facevano parte i futuri redattori dell'«Ordine Nuovo», ventilт il progetto di presentare come candidato Gaetano Salvemini. Il Salvemini era allora l'esponente piщ avanzato in senso radicale della massa contadina de! Mezzogiorno. Egli era fuori del Partito socialista, anzi conduceva contro il Partito socialista una campagna vivacissima e pericolosissima, perchй le sue affermazioni e le sue accuse, nella massa lavoratrice meridionale, diventavano causa di odio non solo contro i Turati, i Treves, i d'Aragona ma contro il proletariato industriale nel suo complesso. (Molte delle pallottole che le guardie regie scaricarono nel '19, '20, '21, '22 contro gli operai erano fuse nello stesso piombo che servм a stampare gli articoli del Salvemini). Tuttavia questo gruppo torinese voleva fare un'affermazione sul nome del Salvemini, ne!
senso che al Salvemini stesso fu esposto dal compagno Ottavio Pastore recatosi a Firenze per avere il consenso alla candidatura. « Gli operai di Torino vogliono eleggere un deputato per i contadini pugliesi. Gli operai di Torino sanno che, nelle elezioni onerali del 1913, i contadini di Molfetta e di Bitonto erano, nella loro stragrande maggioranza, favorevoli al Salvemini; b pressione amministrativa del governo Giolitti e la violenza dei mazzieri e della polizia ha impedito ai contadini pugliesi di esprimersi. Gli operai di Torino non domandano impegni di sorta al Salvemini, nй di Partito, nй di programma, nй di disciplina al gruppo parlamentare; una volta eletto il Salvemini si richiamerа ai contadini pugliesi, non agli operai di Torino, i quali faranno la propaganda elettorale secondo i loro principi e non saranno per nulla impegnati dall'attivitа politica del
Salvemini ».
Il Salvemini non volle accettare la candidatura, quantunque fosse rimasto scosso e persi no commesso dalla proposta (in quel tempo non si parlava ancora di « perfidia » comunista, e i costumi erano onesti e lieti); egli propose Mussolini come candidato e si impegnт dм venire a Torino a sostenere il Partito socialista nella lotta elettorale. Tenne infatti due comizi grandiosi alla Camera del Lavoro e in Piazza Statuto, tra la massa che vedeva ed applaudiva in lui il rappresentante dei contadini meridionali oppressi e sfruttati in forme ancora piщ odiose e bestiali che il proletariato settentrionale.
L'indirizzo, potenzialmente contenuto in questo episodio che non ebbe sviluppi maggiori solo per la volontа del Salvemini, fu ripreso e applicato dai comunisti nel periodo del dopo guerra. Vogliamo ricordare i fatti piщ salienti e sintomatici.
Nel 1919 si formт l'associazione della « Giovane Sarde-
gna », esordio e premessa di quel che sarа piщ tardi il Partito Sardo d'Azione. La « Giovane Sardegna » si proponeva di unire tutti i sardi dell'isola e del continente in un blocco regionale capace di esercitare una utile pressione sul governo per ottenere che fossero mantenute le promesse fatte durante la guerra ai soldati; l'organizzatore della «Giovane Sardegna» nel continente era un tale prof. Pietro Nurra, socialista, che molto probabilmente oggi fa parte del gruppo di « giovani » che nel « Quarto Stato » scopre ogni settimana qualche nuovo orizzonte da esplorare. Vi aderivano con l'entusiasmo che crea ogni nuova probabilitа di pescar croci, commende e medaglini, avvocati, professori, funzionar!. L'assemblea costituente, convocata a Torino per i sardi abitanti nel Piemonte, riuscм imponente per, il numero degli intervenuti. Era in maggioranza povera gente, popolani senza qualifica distinguibile, manovali d'officina, piccoli pensionati, ex-carabinieri, ex-guardie carcerarie, ex-soldati di finanza che esercitavano piccoli negozi svariatissimi; tutti erano entusiasmati all'idea di ritrovarsi tra compaesani, di sentire discorsi sulla loro terra alla quale continuavano ad essere legati da innumerevoli fili di parentele, di amicizie, di ricordi, di sofferenze, di speranze: — la speranza di ritornare al loro paese, ma ad un paese piщ prospero e ricco, che offrisse le condizioni di vivere, sia pure modestamente.
I comunisti sardi, in numero preciso di otto, si recarono alla riunione, presentarono alla presidenza una loro mozione, domandarono di fare una controrelazione. Dopo il discorso infiammato e retorico del relatore ufficiale, adorno di tutte le veneri e gli amorini dell'oratoria regionalistica, dopo che gli intervenuti avevano pianto ai ricordi dei dolori passati e del sangue versato in guerra dai reggimenti sardi, e si erano entusiasmati fino al delirio alla idea del blocco compatto di tutti i figli generosi della Sardegna, era molto difficile « piazzare » la 12 —
controrelazione; le previsioni piщ ottimistiche erano se non il linciaggio, per lo meno una passeggiata fino in questura dopo essere stati salvati dalle conseguenze del «"nobile sdegno della folla ». La controrelazione, se suscitт una enorme stupefazione, fu perт ascoltata con attenzione, e una volta rotto l'incanto, rapidamente, se pur metodicamente, si giunse alla conclusione rivoluzionaria. Il dilemma: — Siete voi, poveri diavoli di sardi, per un blocco coi signori di Sardegna che vi hanno rovinato e sono i sorveglianti locali dello sfruttamento capitalistico o siete per un blocco con gli operai rivoluzionari del continente che vogliono abbattere tutti gli sfruttamenti ed emancipare tutti gli oppressi? — questo dilemma fu fatto penetrare nei cervelli dei presenti. Il voto per divisione fu un formidabile successo: da una parte un gruppetto di signore sgargianti, di funzionari in tuba, di professionisti lividi dalla rabbia e dalla paura con una quarantina di poliziotti per contorno di consenso e dall'altra tutta la moltitudine dei poveri diavoli e delle donnette vestite da festa intorno alla piccolissima cellula comunista. Un'ora dopo, alla Camera del Lavoro, era costituito il Circolo educativo socialista sardo con 256 inscritti; la costituzione della «Giovane Sardegna » fu rinviata sмne die e non ebbe mai luogo.
Fu questa la base politica dell'azione condotta tra i soldati della Brigata Sassari, brigata a composizione quasi totalmente regionale. La Brigata Sassari aveva partecipato alla repressione del moto insurrezionale di Torino dell'agosto 1917; si era sicuri che essa non avrebbe mai fraternizzato con gli operai, per i ricordi di odio che ogni repressione lascia nella folla anche contro gli strumenti materiali della repressione e nei reggimenti per il ricordo dei soldati caduti sotto i colpi degli insorti. La Brigata fu accolta da una folla di signori e signore che offrivano ai soldati fiori, sigari, frutta. Lo stato d'animo dei soldati и carat-
terizzato da questo racconto di un operaio conciapelli di Sassari, addetto ai primi sondaggi di propaganda : « Mi sono avvicinato a un bivacco di piazza X (i soldati sardi nei primi giorni bivaccavano nelle piazze come in una cittа conquistata) e ho parlato con un giovane contadino che mi aveva accolto cordialmente, perchи di Sassari come lui. — Cosa siete venuti a fare a Torino? — Siamo venuti a sparare contro i signori che fanno sciopero. — Ma non sono i signori quelli che fanno sciopero, sono gli operai e sono poveri. — Qui sono tutti signori : hanno tutti il colletto e la cravatta; guadagnano 30 lire al giorno. I poveri io li conosco e so come sono vestiti; a Sassari, sм, ci sono molli poveri; tutti «gli zappatori» siamo poveri e guadagnarne 1,5 al giorno. — Ma anche io sono operaio e sono povero. — Tu sei povero perchй sei sardo. — Ma se io faccio sciopero con gli altri, sparerai contro di me? — II soldato riflette un poco, poi mettendomi una mano sulla spalla: — Senti, quando far scoperт con gli altri, resta a casa!6».
Era questo lo spirito della stragrande maggioranza della Brigata, che contava solo un piccolo numero di operai minatori del bacino di Iglesias. Eppure, dopo pochi mesi, aм!a vigilia dello sciopero generale del 20-21 luglio, la Brigala fu allontanata da Torino, i soldati anziani furono congedati e la formazione divisa in tre: un terzo fu mandato ad Aosta, un terzo a Trieste, un terzo a Roma. La Brigata fu fatta partire di notte, all'improvviso; nessuna folla elegante li applaudiva alla stazione; i loro canti, se erano anche essi guerrieri, non avevano piщ lo stesso contenuto di quelli cantati all'arrivo.
Questi avvenimenti sono rimasti senza conseguenze? No, essi hanno avuto risultati che ancora oggi sussistono e continuano ad operare nella profonditа della massa popolare. Essi hanno illuminato per un momento cervelli che non avevano mai pensato in quella direzione e che sono rimasti impressici-
nati modificati radicalmente. I nostri archivi sono andati dispersi; molte carte sono state da noi stessi distrutte per non provocare arresti e persecuzioni. Ma noi ricordiamo decidere e centinaia di lettere giunte dalla Sardegna alla redazione torinese dell'" Avanti! »; lettere spesso collettive, spesso firmate da tutti