Anarchismo

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Anarchismo
L'anarchismo è un movimento intellettuale e politico che nasce nel corso del XVIII secolo, nell’età dell’industrializzazione,e si sviluppa nei due secoli successivi dove la loro presenza si rintraccia in tutti i movimenti rivoluzionari come la Comune di Parigi, la rivoluzione russa e la guerra civile spagnola.
Il termine “anarchismo” deriva dalla parola di origine greca “anarchia” ovvero “senza archè” (senza principio regolatore, governo), con cui si è sempre intesa una società priva di ogni dominio politico e di ogni autorità. L’anarchia rappresenta una forma egualitaria di relazioni umane stabilite ed effettuate intenzionalmente.
Le idee anarchiche, fin dalle prime formulazioni rintracciabili nell'illuminismo e in alcune tendenze radicali della rivoluzione francese, propugnavano l'emancipazione totale dell'uomo da ogni autorità e oppressione ideologica, politica, economica, sociale e giuridica.
Sul piano filosofico e delle idee, l'anarchismo può essere considerato come la manifestazione più estrema del processo di laicizzazione del pensiero occidentale che approda al rifiuto di ogni forma d'autorità esterna o superiore agli uomini, sia essa “divina” o umana, e al rifiuto di tutti i principi che, in tempi, forme e con modalità differenti, sono stati utilizzati dalle classi dominanti per giustificare la loro dominazione sul resto della popolazione. Sul piano politico e sociale, l'anarchismo si ritiene continuatore dell'opera della Rivoluzione Francese, attraverso la realizzazione, accanto all'eguaglianza politica, di una vera eguaglianza economica e sociale; eguaglianza che nella società borghese si realizza attraverso la lotta contro il capitalismo e per l'abolizione del salariato. Nella concretezza della lotta politica l'anarchismo assunse caratteristiche estremamente mutevoli nel corso della sua storia. Pur sviluppando tendenze maggioritarie al suo interno, il movimento anarchico assunse sempre espressioni diversificate, eterogenee e, spesso, contraddittorie.
Storicamente, il movimento anarchico si è sviluppato in seno al movimento operaio in quanto espressione – al pari delle altre correnti socialiste – della protesta dei lavoratori contro lo sfruttamento moderno,caratterizzato dalla forte gerarchizzazione del salariato e dalla netta divisione in classi della società.
L'anarchismo portò un significativo contributo al conflitto di classe, raccogliendo il disagio dei settori più marginali del proletariato industriale e agricolo e si precisò come un movimento che esaltava il diritto alla libertà, sia dell'individuo che della collettività, senza limiti di norme al di là di quelli imposti dalla natura e da una volontà collettiva accettata non per costrizione ma come libero atto di volontà di ognuno.
Libertà ed eguaglianza sono i due concetti-chiave attorno ai quali si articolano tutti i progetti libertari. Esse devono essere “concrete”, cioè sociali e fondate sul riconoscimento uguale e reciproco della libertà di tutti.
La libertà dell'individuo infatti non è limitata ma confermata dalla libertà altrui. L'obiettivo della teoria anarchica è la nascita di una società di uomini liberi e uguali. In quanto socialisti, gli anarchici sostengono il possesso collettivo dei mezzi di produzione e di distribuzione. In quanto libertari, essi pensano che la libertà dispieghi il suo reale significato in quanto accompagnata dall'eguaglianza.
L’anarchia intende presentarsi come il complemento indispensabile per la realizzazione del socialismo e la migliore garanzia della libertà individuale. Il fondamento di tale organizzazione è il contratto, uguale e reciproco e capace di riconoscere il diritto di iniziativa di tutti i componenti della società per regolamentare gli eventuali conflitti che possono sorgere tra individui o gruppi. Secondo gli anarchici, i lavoratori rappresentano la forza reale di una società e solo da essi può venire una sua trasformazione profonda.
Lo scopo dell'azione anarchica non vuole essere in alcun caso la “conquista” del potere o la gestione dell'esistente. Nel 1872, il congresso internazionale di St. Imier, in Svizzera, dette ufficialmente vita alla branca antiautoritaria dell'Associazione internazionale dei lavoratori (A.I.T.) in opposizione alle tesi marxiste. In quella sede si affermò che il primo dovere del proletariato non è la conquista del potere politico ma la sua distruzione.
L'approccio dei libertari è quello di opporre soluzioni sociali alle soluzioni politiche dimostrandosi con ciò non politici ma antipolitici. All'azione politica e parlamentare, tesa alla conquista del potere, essi preferiscono l'azione diretta di massa, vale a dire l'autogestione generalizzata e senza deleghe di potere. I libertari ritengono che per i lavoratori la pratica dell'azione diretta, e in particolare dello sciopero, sia anche il migliore e più efficace mezzo di lotta. Essi propagandano inoltre l'autorganizzazione e l'azione collettiva e autonoma dei lavoratori. L'azione anarchica ha sempre mirato, prima di ogni altra cosa, alla difesa degli sfruttati e appoggia tutte le rivendicazioni che vanno nel senso di un miglioramento delle condizioni di vita e del progresso sociale.
Per realizzare una tale società, gli anarchici ritengono indispensabile combattere non solo le forme di sfruttamento economico ma anche quelle di dominazione politica, ideologica e religiosa. Per gli anarchici, tutti i governi, tutti i poteri statali, quale che sia la loro composizione, origine e legittimità, rendono materialmente possibile la dominazione e lo sfruttamento di una parte della società sull’altra. Al modo di organizzazione della vita sociale governativo e centralizzatore, i libertari oppongono un modo di organizzazione federalista che permetta di sostituire lo Stato, e tutta la sua macchina amministrativa, attraverso la presa in carico collettiva da parte degli stessi interessati di tutte le funzioni inerenti alla vita sociale.
Il federalismo, in quanto modo di organizzazione, costituisce il punto di riferimento centrale dell’anarchismo, il fondamento sul quale si costituisce il socialismo libertario, poiché rappresenta il metodo per risolvere le questioni sociali nel rispetto della massima libertà di ciascuno.
Numerosi libertari hanno visto nelle organizzazioni sindacali non soltanto degli organismi di difesa degli interessi dei salariati, ma anche una potenziale forza di trasformazione sociale.
Un’organizzazione sindacale si propone fondamentalmente su tre principi: cercare di mantenere la sua autonomia nei riguardi dello Stato e di tutte le organizzazioni politiche che vorrebbero controllarla; praticare il federalismo e una vera democrazia diretta contro ogni forma di burocratizzazione; ottenere la soddisfazione delle rivendicazioni immediate e di preparare i lavoratori ad assicurare la gestione della produzione nel futuro. Il punto di partenza di una moderna elaborazione dell’anarchia, può essere fatto risalire all’inglese William Godwin che perviene al rifiuto del diritto e della legge poiché parte dalla convinzione che gli uomini sono moralmente uguali e hanno il dovere di salvaguardare la propria indipendenza etica oltre che fisica. La regolazione dei rapporti fra gli individui dev’essere opera della giustizia morale, autoregolazione della ragione. Le istituzioni, in un contesto del genere, finiscono per svolgere un ruolo diseducativo. Egli auspica una società articolata in piccoli raggruppamenti comunitari, nel cui interno la coercizione sia al minimo livello possibile, e la libertà individuale sviluppata al più alto grado. Le idee di Godwin non incisero immediatamente sul terreno della speculazione filosofico-politica, e soltanto con Pierre-Joseph Proudhon l’anarchia trova una prima consapevole teorizzazione.
Egli, scrittore socialista libertario francese, di umile famiglia, iniziò la sua attività con l’opera Qu’est-ce que la propriété. Conobbe Marx, Blanc, Bakunin e altri esponenti rivoluzionari. Nel 1848 fu eletto all’Assemblea nazionale e, passato all’opposizione dopo l’avvento di Luigi Napoleone, fu condannato a tre anni di carcere. Esule per una seconda condanna a Bruxelles, dove lo raggiunse il condono dell’imperatore, rientrò in Francia nel 1862 e vi restò fino alla morte. Le fonti di pensiero di Proudhon sono, comunque, Rousseau e Smith. Dal primo ricavò il concetto della libertà come “dato” naturale, l’avversione per l’autoritarismo accentratore e l’aspirazione ad una democrazia diretta; dal secondo l’equazione di ricchezza e lavoro. Contro la concezione della proprietà privata come diritto naturale e inalienabile, Proudhon vede derivare la proprietà, della terra come del capitale, dalla posizione di forza dei proprietari, grazie a cui essi s’impadroniscono di una parte del prodotto del lavoro. Bisogna dunque abolirla: in secondo luogo, abolire il denaro e instaurare un sistema i cui prodotti siano pagati solo con altri prodotti (mutualismo). La sua formula “la proprietà è un futuro” ebbe una larghissima diffusione. Lo stato è escluso dalla partecipazione a questo processo di trasformazione della società che può venire solo dal basso. Proudhon è un socialista libertario e ha un posto importante nella storia dell’anarchia; non vuole, attraverso la collettivizzazione, rafforzare ulteriormente i poteri centrali. Con lo stato deve scomparire anche la chiesa, sostegno del principio di autorità e del conservatorismo. La sua dottrina esprime interessi e aspirazioni degli artigiani, dei piccoli imprenditori e contadini di un paese dall’industria non ancora progredita. La sete di giustizia, di libertà politica, la polemica contro ogni forma di invadenza, statale o clericale, l’aspirazione all’abolizione dello sfruttamento e a una forma di democrazia diretta, fanno di Proudhon una figura piena di fascino a cui, specialmente in Francia, s’ispirano numerose correnti rivoluzionarie non marxiste, per esempio, il sindacalismo di G. Sorel.
L’idealismo tedesco fece sentire il suo peso sul pensiero anarchico soprattutto nell’opera di Marx Stirner la cui speculazione prese le mosse dal dibattito sviluppatosi all’interno della sinistra hegeliana. Egli pone l’individuo al centro del mondo in quanto è già dotato di per sé di una sua assolutezza: anche la libertà deve essere assoluta in sé e per sé, se non lo fosse non sarebbe più libertà, non dobbiamo cercare di limitarla. Però, un siffatto modello di libertà non è praticabile perché la libertà di un individuo non può coincidere con quella di un altro individuo. Sta, comunque, di fatto, che la libertà può essere esclusivamente assoluta. Il problema risiede nel trovare un compromesso tra libertà assoluta (impraticabile) e libertà determinata (che non è autentica libertà). Stirner sceglie la libertà individuale: “Si può perdere la libertà, ma la libertà spetta solo a noi”, è una scelta momentanea che si presenta all’individuo in ogni momento della sua vita. L’individuo deve avere la proprietà della libertà, non basta dirsi liberi, io devo poter fare o non fare ciò che desidero; a Stirner non interessa realizzare l’ideale della libertà, quello a cui punta è di avere la libertà: l’uomo diventa libero se riesce a sottoporre la libertà al proprio volere (non basta l’ideale). La libertà è teoricamente infinita e senza confini, io individuo e solo io posso sottoporla a dei limiti. Dal punto di vista delle istituzioni politiche non vi può essere alcun rapporto tra istituzioni e libertà dell’individuo, il diritto si pone al di fuori della mia individualità (in quanto è stato elaborato con strumenti che esulano, appunto, dalla mia individualità). I diritti mi sono stati concessi e non sono atto della mia libertà: basta ciò per considerarli un qualcosa che imbriglia la libertà; non sono io che mi approprio dei diritti, sono un qualcosa che gli altri mi concedono, importa poco se questa concessione avvenga ad opera di pochi, uno o molti.
Secondo Stirner la libertà autentica coincide con il diritto dell’io alla proprietà di se stesso, la quale si manifesta nella volontà di disporre di ogni cosa. Per l’io singolo anche gli altri io sono, oggetti e non persone, mezzi del suo interesse, e magari anche del suo amore, perché dice Stirner, “l’amore degli altri uomini mi rende felice e tale sentimento è incarnato nella mia natura, ma non perché vi sia una legge che m’impone di amare”. Ne deriva che l’unica unione possibile tra uomini liberi non è comunque una società gerarchizzata, ma un’associazione che ogni io considera un mezzo per moltiplicare le sue forze. Essa è perseguibile non mediante una rivoluzione, che finisce sempre per instaurare nuove gerarchie e nuovi ideali alienanti, ma con un’insurrezione dei singoli. Queste idee costituiscono la base delle dottrine anarchiche, che fecero di Stirner il loro profeta anche se Stirner negò la collaborazione fraterna degli uomini, presente in molti esponenti dell’anarchia.
L’individuo è per Stirner la sola realtà, l’Unico, tutto ciò che è altro da lui, gli altri uomini compresi, non è che uno strumento per i propri fini; sottometterlo a una realtà, naturale o soprannaturale, che lo trascenda, e a una legge che lo limiti, è immorale e assurdo. Dio, l’umanità, la società, lo stato sono creazioni arbitrarie, spettri, ai quali l’uomo sacrifica la libertà. Le gerarchie terrene, insieme agli esseri trascendenti delle religioni e delle filosofie, compreso l’uomo divinizzato da Feuerbach, debbono venire abbattute, ma non dalle rivoluzioni, che sostituiscono un dominatore a un altro, bensì con la rivolta del singolo contro ogni potere.
Uno però dei fondatori del pensiero anarchico è considerato Michail Bakunin in cui la dimensione speculativa si fonde con quella di agitatore. Il suo modello di rivoluzione, più rispondente alle arretrate condizioni economiche e sociali delle periferie orientali e meridionali, faceva leva su due elementi centrali:
• Le masse disgregate e degradate, soprattutto le plebi contadine;
• Un’avanguardia intellettuale declassata, emarginata dagli strati sociali superiori.
Sul piano organizzativo, Bakunin rimase sempre fedele alla formula della setta clandestina; sul piano politico la sua rivoluzione, avrebbe dovuto immediatamente abolire lo stato e ogni altra forma di autorità: “Chi dice stato o diritto politico, dice forza, autorità, predominio: ciò presuppone l’ineguaglianza di fatto”. Su queste basi, Bakunin riteneva che il movimento operaio dovesse rifiutare programmaticamente l’azione politica per praticare esclusivamente il terreno sociale. Egli fu caratterizzato anche da una forte coesione intorno ad alcune tesi fondamentali: la liberazione totale dell’uomo attraverso l’abolizione dello stato, il rifiuto di qualunque socialismo di stato, la valorizzazione di quelle forze sociali che il processo d’industrializzazione tendeva ad emarginare. L’opera principale nella quale ha trovato espressione il suo pensiero è Stato e anarchia, pubblicata in russo nel 1873. Nei suoi scritti prende decisamente posizione contro Mazzini il cui rivoluzionarismo, alla metà dell’Ottocento, non faceva più paura ai governanti europei. Di Mazzini non condivide la concezione teocratica dello stato, la “teologia politica” che pone al suo centro lo “Stato-Chiesa”: per Bakunin l’impegno di un vero rivoluzionario non deve proporsi la riforma o la separazione delle due istituzioni, ma la loro abolizione. Egli, inoltre, nutriva per Marx una forte antipatia e ciò che lo distingue da quest’ultimo è l’idea pessimistica che egli ha dello stato, fondato sul principio d’autorità, concepito come oppressione dell’uomo, identificato con quelle strutture repressive (la polizia, la magistratura, il carcere, l’esercito) che, nell’Ottocento, la borghesia capitalistica utilizzava per imporre il proprio dominio di classe al proletariato. Lo stato, come qualsiasi autorità, non ha altro scopo che quello di ridurre in schiavitù tutti gli individui e di perpetuare il proprio potere a vantaggio dei privilegi di un’esigua minoranza corrotta e sfruttatrice di una maggioranza asservita. Per attuare pienamente la sua libertà, l’uomo non ha altra via che la lotta a fondo contro lo stato e contro quella che, secondo Bakunin, ne è la prima conseguenza: la proprietà privata ereditaria (mentre può essere consentita la proprietà privata non trasmissibile ereditariamente). Una vera rivoluzione deve porre termine definitivamente a quello stato d’assoggettamento in cui sono vissute fino ad oggi le masse popolari, sempre guidate dall’alto: “metafisicamente” dalla religione, politicamente dal governo, psicologicamente dalle leggi ed economicamente tramite la ricchezza e la proprietà. Combattendo lo stato, Bakunin ovviamente prende posizione anche contro la religione e la chiesa in tutte le loro manifestazioni, considerandole oppressive ed autoritarie allo stesso modo, se non in misura peggiore. La società futura cui l’uomo approderà, è descritta da Bakunin in termini ottimistici, la dissoluzione dello stato che egli prevede per un prossimo avvenire, si effettuerà in nome della libertà, si tratta di assicurare alla società intera l’esercizio di una libertà universale: la libertà di uno è in funzione della libertà di tutti. Per Bakunin lo stato è la causa principale di ogni forma di oppressione e di tirannia, per cui il capitalismo non è altro che lo strumento di cui questo ente superiore, burocratizzato e gerarchizzato, si serve per attuare i suoi disegni. Sono queste le considerazioni che portano Bakunin a guardare più che alla classe operaia, alle masse popolari: invece di agire sul proletariato, che si serve della lotta di classe, egli propone di trasformare lo stato usando la violenza del sottoproletariato e quindi di rinviare ad un momento successivo l’attuazione di quei mutamenti sociali da cui scaturirà la società anarchico-egualitaria. Al centralismo soffocante e burocratico, Bakunin contrappone il comune popolare, dove il cittadino ha la possibilità di manifestare il proprio patriottismo. A loro volta i comuni si riuniscono in una libera federazione su scala regionale e in seguito le regioni si uniranno in una federazione ancora più ampia, che, al limite, potrà estendersi a tutta l’umanità. La guida delle masse popolari deve essere assunta da una ristretta minoranza di rivoluzionari, interamente dediti alla causa anarchica e impegnati totalmente nella lotta per abbattere l’attuale ordinamento politico. Per questo raccolse proseliti, più che in mezzo al proletariato operaio, in mezzo al sottoproletariato delle campagne, composto da braccianti e da lavoratori precari e stagionali, cui affidava, specie in paesi arretrati economicamente e socialmente come la Spagna e l’Italia, il compito di guida rivoluzionaria, con lo scopo di raggiungere un’eguaglianza economico-sociale di tutti gli uomini e la libertà politica. Quest’ultima però deve essere identificata con “la grande libertà umana che, distruggendo tutte le catene dogmatiche, metafisiche, politiche e giuridiche, da cui tutto il mondo è oggi oppresso, restituirà a tutti, collettività quanto individui, la piena autonomia dei loro movimenti e del loro sviluppo, liberati per sempre da tutti gli ispettori, direttori e tutori”. L’anarchismo bakuniniano si affermò nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, in particolare in Italia e in Spagna. Le teorie del filosofo russo seppero coinvolge gli operai di tutta Europa, infondendo in essi la speranza di un cambiamento radicale della società attuale, cercando di ottenere quel che sembrava impossibile perché, come disse Bakunin, “è ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo”.
Le idee di Bakunin trovano numerosi seguaci anche in Italia, fra i quali Carlo Cafiero che, insieme a Errico Malatesta, divenne uno dei principali esponenti delle idee libertarie nella prima epoca di sviluppo del socialismo italiano pronunciandosi a favore della “propaganda del fatto”, mediante l’azione diretta sul piano insurrezionale o la pratica terroristica. Diffusore dei principi dell’Internazionale Italiana (e Spagnola) dopo la tragedia della Comune sosteneva il proletariato non qualificato e bracciantile che si opponeva al parassitismo del governo. Proteso alle esigenze della lotta di classe e disinteressato al suo patrimonio ereditario, lo fece devolvere alla propaganda rivoluzionaria e al soggiorno di Bakunin in Italia. Ebbe funzione preminente nell’insurrezione del Maltese, nell’aprile 1877, subendo 17 mesi di carcere preventivo. Il suo pensiero può essere riassunto in questa massima: “Non solo l'ideale, ma la nostra pratica e la nostra morale rivoluzionaria sono eziandio contenute nell'anarchia; la quale viene così a formare il nostro tutto rivoluzionario. È per ciò che noi l’invochiamo come l’avvenimento completo e definitivo della rivoluzione; la rivoluzione per la rivoluzione”.
Proprio in Italia l’anarchia conosce una storia vivace ed articolata in cui si succedono e si mescolano influenze e suggestioni proudhoniane e bakuniane e che, soprattutto sul finire del sec. XIX e nei primi decenni del XX, è contrassegnata da un dibattito ideologico assai vario cui prendono parte scrittori, polemisti, agitatori, tra i quali Errico Maletesta, Francesco Saverio Merlino, Camillo Berneri, Andrea Costa.
Malatesta fu il più vivace sostenitore dell’insurrezione violenta. Costretto più volte all’esilio pubblicò vari fogli, come “La questione sociale”, punto di riferimento del movimento anarchico italiano, e in seguito con il periodico “L’associazione” propose di dar vita a un partito antiparlamentare. Fu tra i principali capi della “settimana rossa” e alle soglie del primo conflitto mondiale, fu tra gli antimilitaristi. Oppositore del fascismo, nel dopoguerra fondò l’unico quotidiano anarchico italiano “Umanità nova”.
Anche Merlino, teorico del socialismo libertario, aderì all’anarchismo. Le sue idee maturarono però in senso socialista: di un socialismo, comunque, sempre venato di anarchismo, alieno dall’inquadramento partitico e legato alla convinzione libertaria del nesso di reciprocità esistente tra lo sfruttamento economico dei lavoratori e la dominazione politica dello stato.
Berneri fu intensamente attivo nell’Unione anarchica italiana e, radicalmente avverso al fascismo, fu in contatto con gli antifascisti fiorentini. Trasferitosi in Francia, in seguito alla guerra civile spagnola accorse in Catalogna e a Barcellona si dedicò alla pubblicazione del periodico “Guerra di classe”. Il suo impegno lo espose alla repressione dei comunisti e, arrestato, fu infine fucilato.
Un altro aderente all’anarchismo fu Andrea Costa che inizia la sua attività politica nel 1871, divenendo in breve tempo uno dei dirigenti della federazione italiana della Prima Internazionale, per l’attrazione subita dalle idee anarchiche di Bakunin, di cui divenne segretario. Si dedica alla propaganda politica e fonda il “Fascio operaio” prima, e il “Martello” poi. Arrestato per l’insurrezione di Bologna (marzo 1873) di cui ne fu il principale organizzatore, fu rilasciato dopo il processo. Nel 1876 dirige il giornale “Il Martello”, ma nel maggio del 1877 scoppiati nuovi tumulti insurrezionali a San Lupo di Benevento, per sfuggire alla repressione è costretto a lasciare l’Italia e riparare prima in Svizzera e poi in Francia. Tornato in Italia relega l’anarchia, perché ritiene essere importante le lotte nell’agone politico per un cambiamento del sistema elettorale e per varare collegialmente con gli altri partiti le riforme necessarie all’Italia. Fu dunque tra i primi protagonisti della diffusione delle organizzazioni socialiste, fonda nel 1881 il settimanale “Avanti” e il partito socialista rivoluzionario di Romagna. Fu, nel 1882, il primo socialista eletto deputato. Nelle sue battaglie politiche fu un tenace oppositore della politica coloniale del governo Crispi, della repressione poliziesca e dell’autoritarismo umbertino. Nel 1892 dopo aver stretto rapporti con Bissolati e la lega socialista milanese partecipa a Genova al congresso di fondazione del Partito dei Lavoratori (poi Partito Socialista Italiano).

Del periodo anarchico rimane ancora oggi la Federazione Anarchica Italiana che a livello internazionale è, dal 1968, membro fondatore della International of Anarchist Federation che raccoglie le principali federazioni anarchiche del mondo. Essa nasce sulla base del congresso tenutosi segretamente nel piccolo centro ticinese di Capolago nel 1891, al quale parteciparono i principali anarchici italiani, da Malatesta a Merlino, e che decise all’unanimità di aderire alla festa universale del 1° Maggio per farne una grande occasione di agitazione sociale e lanciare un appello ai socialisti e al popolo d’Italia: “Tu credesti nei preti e sperasti in Dio, ma Dio fu sordo alle tue preghiere e i preti si allearono con i tuoi padroni ed ingrassarono alle tue spalle. Tu credesti nei patrioti; combattesti per conquistare una patria, e la patria ti ha sfruttato, affamato, umiliato. Tu credesti nella libertà; per la libertà cospirasti e combattesti e la libertà si rivelò amara ironia, che solo ti lascia libero di morire di fame. Tu credesti e credi ancora nei ciarlatani che, sotto il pretesto di fare il tuo bene, ti domandano l’appoggio del tuo voto o del tuo braccio; ed i ciarlatani si fanno sgabello di te e saliti in alto ti opprimono, ti irridono, ti sfruttano…Ancora una volta rivoltati da te e per conto tuo. Abbatti il governo; prendi possesso della terra, delle case, delle macchine, di tutto ciò che esiste, ed organizza da te la produzione del consumo per il maggior vantaggio di tutti. Soprattutto non rinunziare nelle mani di alcuno alla libertà che avrai conquistato”.
In seguito ai gravi attentati accaduti in Francia nel 1892 e alla psicosi di paura che prese la borghesia italiana addossando agli anarchici attentati veri e presunti che sfociarono in una vera persecuzione, Malatesta cercò di tenere unito il movimento anarchico condannando gli attentati e facendo pubblicare un articolo che assume un significato profondo di redenzione morale: “Conosciamo abbastanza le condizioni strazianti materiali e morali in cui si trova il proletariato, per spiegarci gli atti di odio, di vendetta, ed anche di ferocia che potranno prodursi… Comprendiamo come possa accadere che, nella febbre della battaglia, perdano di vista lo scopo da conseguirsi, prendano la violenza come fine a se stessa e si lascino trascinare ad atti selvaggi. Ma altro è comprendere e perdonare certi fatti, altro è rivendicarli e rendersene solidali. No sono quelli gli atti che noi possiamo accettare, incoraggiare ed imitare… In una parola dobbiamo essere ispirati e guidati dal sentimento dell’amore per gli uomini, per tutti gli uomini… L’odio non produce l’amore, e con l’odio non si rinnova il mondo; e la rivoluzione dell’odio, o fallirebbe completamente, oppure farebbe capo ad una nuova oppressione”.
L’anarchismo di oggi
Anche se oggi viene trascurata, l'influenza che nel corso del il movimento libertario ha esercitato sul movimento operaio è stata notevole. Gli anarchici rappresentano una parte a sé stante del movimento sindacale e operaio internazionale, e la loro presenza si rintraccia in tutti i movimenti rivoluzionari, del XIX e del XX secolo, come la Comune di Parigi del 1871, la rivoluzione russa del 1917 e la guerra civile spagnola del 1936. L'influenza delle idee anarchiche si è soprattutto manifestata in maniera significativa in seno alle organizzazioni sindacali. Basti pensare che nel 1922 l'Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIT), che raggruppava le organizzazioni anarcosindacaliste che avevano rifiutato di aderire all'Internazionale bolscevica, contava più di un milione di aderenti.L'anarchismo ha tuttavia conosciuto nel corso degli anni '20 e '30 un periodo di crisi. Se la rivoluzione russa apre in Europa e nel mondo una nuova fase rivoluzionaria, contemporaneamente in molte nazioni, anche in opposizione al bolscevismo, emergono e si affermano movimenti di tipo fascista. In particolare il movimento libertario si trova al centro di un doppio attacco. Eliminato in Russia dalla repressione prima leninista e poi staliniana, esso deve far fronte ai metodi staliniani in seno al movimento operaio e sindacale anche negli altri paesi. Il mito della rivoluzione bolscevica e l'atteggiamento dei vari partiti comunisti occidentali provocano una crescente marginalizzazione dell'influenza anarchica. D'altra parte laddove le organizzazioni sono rimaste forti, esse vengono annientate dalla reazione fascista. In Italia, in Germania, in Argentina, in Bulgaria, ovunque il fascismo trionfa, il movimento anarchico è ridotto al silenzio, e i suoi militanti spesso assassinati o costretti all'esilio. In generale si può dire che gli anarchici si trovano in questo periodo sempre più isolati, anche sul piano internazionale, potendo trovare al loro fianco solo alcuni settori socialisti e comunisti dissidenti. La rivoluzione di Spagna del luglio 1936 ha rappresentato l'ultima occasione per i lavoratori di rispondere al fascismo e alla guerra attraverso pratiche rivoluzionarie anarchiche. Gli avvenimenti di Spagna, con il ruolo determinante avutovi dalle organizzazioni anarchiche e anarcosindacaliste, sono stati forse l'espressione storica più importante delle idee libertarie. Questo anche per le dimensioni del movimento anarchico nella Spagna di quel periodo. All'inizio della guerra civile infatti, nel fronte antifascista sono presenti la centrale anarcosindacalista, la Confederazione Nazionale del Lavoro (CNT), la Federazione Anarchica Iberica (FAI) e la Federazione Iberica delle Gioventù Libertarie (FIJL). Dopo il 1946, la spartizione del mondo in due blocchi imperialisti contrapposti, la guerra fredda e le minacce atomiche hanno ridotto le possibilità di azione per i libertari. Il radicarsi del legame tra lavoratori da un parte e sindacati e partiti politici dall'altra ha marginalizzato sempre più le correnti anarchiche. Dopo il Sessantotto, tuttavia, a seguito dell’esplodere della rivolta studentesca e giovanile, le idee libertarie hanno conosciuto un ritorno di vigore, anche all'interno del movimento sociale, con la generalizzazione di concetti come “autogestione” o “gestione diretta”. A tutto questo occorre aggiungere la reazione sempre più viva di vasti settori della popolazione contro la burocratizzazione delle società sia del blocco “socialista” (in realtà trattasi di capitalismo di stato) che di quello liberale. In Italia, anche all'interno della contestazione, queste idee non sono state appannaggio dei soli gruppi anarchici, ma anzi sono state fatte proprie in modo più o meno coerente, anche dai gruppi che si rifacevano al trotskismo e al maoismo quando non addirittura al marxismo-leninismo.
Un capitolo a parte merita l'anarco-capitalismo. Nel corso del Novecento (anche se questo movimento vanta pure radici ottocentesche: basti pensare a Gustave de Molinari, che già nel 1849 scriveva un saggio sulla produzione privata e concorrenziale della protezione) all’interno della cultura liberale si è sviluppata una corrente di pensiero detta anarco-capitalismo, che giunge ad esiti in parte simili a quegli degli anarchici (la negazione della legittimità dello Stato, soprattutto), ma che si basa su una radicale difesa della proprietà privata, della libertà di mercato e dell'ordine capitalistico. Lo Stato vive di violenza e la tassazione è un furto. Gli unici ordini politici legittimi sono quelli che emergono sulla base di libere scelte individuali e che raccolgono risorse su base volontaria. Questo movimento, che negli Stati Uniti ha dato vita anche al Libertarian Party, è però ancora in una fase pionieristica e ha iniziato a raccogliere consensi solo a partire dagli anni Novanta. Tuttavia agli inizi degli anni ’70 si sviluppò un movimento culturale e musicale ispirato all’anarchismo: il punk. Nel 1977 usci un album fondamentale: Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols. L’album conteneva il vero e proprio inno Anarchy in the U.K. I riferimenti all'ideologia del punk primordiale britannico lanciato dai Sex Pistols sono quindi l’anarchia, l’anticristo, la distruzione di qualunque cosa assomigli vagamente a una forma di società, e un’affermazione inquietante:
“Non so cosa voglio ma so come ottenerlo!”
Rappresenta le idee libertarie ed anarchiche di quel periodo.
La furia distruttiva del punk non risparmia niente e nessuno.
Anche se marginalizzato, l’anarchismo è quindi presente ancora oggi nella nostra cultura, sotto forma di filosofia, musica e movimenti sociali.
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