Materie: | Scheda libro |
Categoria: | Generale |
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Data: | 25.06.2001 |
Numero di pagine: | 7 |
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Testo
FONTAMARA
La vicenda di Fontamara si sgrana in 10 capitoli di ampiezza irregolare preceduti da una prefazione, svolta dall’autore sotto forma di intervento diretto che sintetizza i nuclei tematici, le strutture narrative e gli strumenti linguistici adoperati. Nella prefazione sono indicati, inoltre, la collocazione geografica, i connotati topografici, la genesi sociale, le peculiarità della vita e del costume, che fanno di Fontamara l’emblema del meridione di tutto il mondo:
Fontamara somiglia dunque, per molti lati, a ogni villaggio meridionale […]
Affiorano gli aspetti più drammatici del mondo contadino meridionale, in cui i cafoni risultano inchiodati ad una condizione di massa indistinta assuefatta al dolore e al sopruso. I fontamaresi sono vincolati da un feudale codice di vassallaggio che sembra impossibile sovvertire a causa dell’immobilismo da tempo immemorabile, di frustrazioni, di mortificazioni fisiche, di lotte estenuanti per la sopravvivenza contro l’aridità della terra e l’inclemenza del tempo. Il prosciugamento del lago Fucino ha favorito la gestione latifondista dei Torlonia, ha reso più fertili i terreni meno montuosi; ma ha danneggiato le poche risorse agricole dei monti vicini a causa dell’abbassamento della temperatura. Il romanzo, insomma, fin dalle prime pagine denuncia la situazione di masse contadine emarginate; e tre di loro costruiscono la voce narrante (Giuvà, Matalè e il figlio), sia come strumento di fedeltà più autentico alla verità dei fatti, sia come testimonianza di una speranza di lotta contro il sopruso ed il fascismo. Il romanzo si articola sulla funzione dei tre fontamaresi che, scampati alla catastrofe finale del villaggio, raccontano a Silone in esilio gli “strani” avvenimenti accaduti a Fontamara prima della strage ordinata dalle autorità fasciste. Esso si può suddividere in tre blocchi tematici: il primo inerente la vicenda collettiva del villaggio, con la manifestazione della fraudolenza del nuovo regime, con i raggiri, la spoliazione dell’acqua del ruscello che irriga i campi dei cafoni, alla rivolta delle donne; il secondo è costituito dall’itinerario esistenziale di Berardo Viola, dalla primitiva disorganica manifestazione dell’istintivo ribellismo alla lenta maturazione delle responsabilità di classe contro il fascismo spinta fino al martirio, all’interno del quale s’iscrivono la storia d’amore con Elvira e la ferocia del regime; il terzo ha ancora come protagonista la popolazione di Fontamara che, ammaestrata dalla lezione di coraggio di Berardo, imbocca il sentiero della lotta e si avvia eroicamente al sacrificio.
All’interno di tale scomposizione scorre un disegno ideale che funge da struttura di fondo della progettazione narrativa: l’esplosione disorganizzata delle masse contadine, la lenta presa di coscienza dei diritti civili da parte degli oppressi attraverso la penetrazione delle idee marxiste per creare i presupposti per la rivoluzione di classe. Emerge la linea di marcia del movimento socialista dalle forme dell’anarchismo al progetto di rivoluzione socialista.
Il romanzo si apre all’inizio del giugno 1929 con il taglio della luce elettrica in seguito al mancato pagamento delle bollette e, mentre i fontamaresi danno libero sfogo alla loro indignazione, sopraggiunge il cav. Pelino che, con subdole argomentazioni, vince la diffidenza dei cafoni verso gli stranieri e fa loro sottoscrivere una pseudopetizione, un foglio bianco su cui poi verrà annotato l’atto di donazione all’Impresario delle acque che irrigano le terre dei fontamaresi.
All’alba del giorno successivo gli addetti del comune deviano le acque del ruscello verso le terre prima appartenute a don Carlo Magna, un ricco proprietario decaduto, e acquistate a poco prezzo dall’Impresario, uno straniero venuto ad Avezzano tre anni prima. Questi ha accumulato ingenti ricchezze con la nomina a podestà. Le donne di F. organizzano la marcia sul capoluogo per parlare col sindaco. La loro richiesta suscita il sarcasmo degli impiegati e dei cittadini per la loro totale ignoranza della mutata situazione politica. Comincia ora una specie di via crucis alla ricerca del rappresentante della legalità, finché approdano alla casa dell’impresario, dove si festeggia la sua nomina a podestà cui partecipano le persone più importanti del paese, fra cui il parroco don
Abbacchio e l’avvocato don Circostanza. Appena le donne si accorgono che le autorità del capoluogo stanno per allontanarsi senza curarsi di loro, incominciano a lanciare pietre contro le finestre. In quell’attimo arriva l’Impresario. Dopo aver ascoltato con simulata attenzione le ragioni dell’insurrezione, il segretario comunale spiega che l’acqua sarà utilizzata dai latifondisti del capoluogo ed elogia i cafoni che, con la loro “spontanea” donazione si sono resi benemeriti verso l’interesse supremo della produzione. Mentre la rabbia ribolle nel petto delle donne, don Circostanza, espressione del più untuoso trasformismo politico, riesce a sedare i fermenti della rivolta con la subdola proposta di una ripartizione ugualitaria dell’acqua:
Bisogna lasciare al podestà i tre quarti dell’acqua del ruscello
E i tre quarti dell’acqua che resta sarà per i Fontamaresi. Così
gli uni e gli altri avranno tre quarti: cioè, un po’ di più della metà.
A questo punto le due realtà s’incrociano: da una parte i poveri che, per ragioni di sopravvivenza si scuotono dal letargo della miseria inseguendo, prima attraverso il dialogo con le autorità, poi con un aperto atteggiamento di rivolta, la liberazione dal sopruso; dall’altra il fascismo che sotto la vernice del populismo, agevola le ruberie e gli intrallazzi d’avvoltoi quali l’Impresario che acquista terre a prezzi bassi e le rende irrigue con l’acqua sottratta illegalmente. Tra i due poli s’inserisce lo stuolo degli ottimati che simbolicamente sfilano nel giardino dell’Impresario dopo il banchetto: un avvocato, un farmacista, il collettore delle imposte, l’ufficiale postale, il notaio e soprattutto il curato don Abbacchio e l’ex sindaco don Circostanza che rappresentano la religione e la legge, impegnati a svolgere un’azione di ammorbidimento fra le due realtà per non turbare gli arcaici equilibri sociali, all’insegna del compromesso. All’estremità della parabola discendente del mondo contadino che coincide con la dinamica ascensionale del neo-patriziato fascista, prende quota la vicenda emblematica di Berardo che invade in secondo piano del racconto. Essa si snoda su due traiettorie, quella pubblica del ribellismo preideologico alla maturazione della lotta antifascista, alla scelta responsabile del martirio; e la storia privata, d’amore, con Elvira di cui non tratteremo. Fin dalle prime pagine, l’ombra del gigante aleggia su F. e suscita speranza in chi ha subito un torto; egli sembra perseguitato da un destino avverso: vende quel poco che possiede e decide di partire per l’America. Le nuove leggi fasciste contro l’immigrazione all’estero gli impediscono l’espatrio e lo costringono a tornare a F., dove con l’aiuto di don Circostanza riesce a farsi consegnare un pezzo di terra incolta sulla montagna. Lottando tenacemente contro la durezza del suolo riesce a farlo fruttificare, ma l’alluvione gli porta via il campiello. Berardo ne rimane sconvolto e si riduce a ragionare come chi non ha più nulla da perdere. A ogni sopruso fascista contrappone anonimi congegni di giustizia: all’illegittima appropriazione dell’Impresario risponde con due incendi consecutivi alla staccionata innalzata dal Comune; alla rappresaglia fascista su F., replica sbarrando la strada con un tronco che fa ribaltare un camion provocando alcuni feriti nella squadra punitiva. Nell’atmosfera di mistero in cui Berardo compie le sue vendette, ogni azione acquista il significato di miracolo agli occhi dei cafoni, educati così al coraggio contro il potere da loro considerato fino a quel momento astratto e invincibile. Il suo radicalismo rivoluzionario all’inizio viene accolto scetticamente dai fontamaresi che, attraverso un’orale trasmissione di saggezza, hanno acquistato la consapevolezza della loro estraneità ai processi evolutivi della storia che li ha archiviati come soggetti passivi nei rivolgimenti politici che hanno portato al potere nuovi padroni:
così dalle nostre parti […] i Borboni avevano preso il posto degli
Spagnoli e i piemontesi il posto dei Borboni. Ma donde provenissero
e di che nazione fossero i nuovi governanti, a Fontamara non si
sapeva ancora con certezza
Si osservi la pantomima della distribuzione delle terre del Fucino subdolamente montata dalle autorità del capoluogo per far accorrere ad Avezzano oceaniche masse popolari in occasione della visita del ministro, in realtà inviato da Roma per legalizzare l’operazione di espulsione dalla terra dei miserabili e della loro assegnazione alla ristretta oligarchia del capitalismo agrario, di cui il fascismo è l’incarnazione politica. Il linguaggio della retorica fascista viene dai fontamaresi confusa con l’unico altro linguaggio simbolico che essi conoscono, quello ecclesiastico; e la loro incolpevole ignoranza fa mettere sullo stesso livello il gagliardetto fascista con lo stendardo di S. Rocco.
La prepotenza fascista si scatena anche fisicamente sul villaggio: un commando armato, mentre gli uomini non sono ancora tornati dalla mietitura, fa irruzione a F., seminando il terrore, sottoponendo i presenti a interrogatori sommari la cui terminologia si rivela incomprensibile ai cafoni. Questi perciò vengono schedati con varie definizioni “refrattari”, “anarchici”, “comunisti”, “socialisti” come irriducibili antifascisti e su di loro si accaniscono le squadracce fasciste saccheggiando, incendiando le misere capanne, torturando e stuprando le donne.
In questo stato di cose, la proibizione dell’emigrazione esterna e le limitazioni su quella interna imprigionano i cafoni nella miseria, costretti a offrire le loro braccia al capitalismo agrario. Per cercare di superare la sua condizione di cafone senza terra, Berardo si reca da don Circostanza per ottenere l’aiuto a cercare un’occupazione a Roma, dove entra in contatto con la burocrazia che sottopone chi cerca lavoro alle verifiche del partito fascista. Berardo è così costretto ad accettare la tessera del regime per potersi iscrivere nell’elenco dei disoccupati. Le informazioni negative giunte da F. sulla condotta pessima dal punto di vista nazionale sia di Berardo sia del figlio di Giuvà, affidatogli per tentare insieme di trovare una sistemazione al di fuori dei confini natali decretano il ripudio della società che a loro non concederà mai lavoro.
1
Riassunto del primo capitolo di Fontamara
riassunto di ogni capitolo del romanzo fontamara di silone