Materie: | Appunti |
Categoria: | Storia Dell'arte |
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Testo
Frank Lloyd Wright
Un grande testimone dell’America contemporanea che ha indicato
la via più stimolante alla ricerca architettonica del nostro tempo
di BONATO ALESSANDRO cl. 5^ sez. Cg
Kaufman House a Bear Run, Pennsylvania
Nel 1936 l'architetto americano Frank Lloyd Wright progettò Casa Kaufman a Bear Run, in Pennsylvania. Questa foto mostra la parte della costruzione che si estende al di sopra di una cascata naturale: una soluzione che rispecchia la concezione di Wright secondo la quale lo spazio abitativo si deve integrare nell'ambiente naturale che lo circonda.
Frank Lloyd Wright nacque negli Stati Uniti d'America nel 1869 (Richland 1869-Phoenix 1959) da William Russel CaryWright, pastore della chiesa unitaria e musicista, e da Anna Lloyd Jones, donna molto energica, che aveva deciso di fare del proprio figlio un architetto.
I doni froebeliani
Nel 1876, ricorrendo il centenario della dichiarazione d’indipendenza i genitori di Frank da Boston si spinsero a visitare, a Philadelphia, nel Fairmount Park, la grande esposizione del Centennial.Fu qui che la madre scoprì l’idea rivoluzionaria sperimentata da Froebel e dai suoi colleghi :”Un padiglione della mostra era dedicato al giardino d’infanzia froebeliano .Mia madre trovò i Doni.Collegato a questi doni era il sistema, inteso come base per il disegno, e la geometria elementare che sottendono ogni nascita naturale della Forma”. I Doni erano: “Strisce di carta colorata, lucida e opaca, dai colori teneri e brillanti.Attraenti combinazioni a scacchiera di colori… Blocchetti da costruzioni in acero, dalle forme lisce e definite, il cui significato non abbandonerà più le dita :così la forma diventa sensazione…lisce forme triangolari, con il dorso e gli spigoli bianchi disposte a romboidi, onde creare composizioni sulla superficie piana del tavolo. Quali forme creavano da se stesse solo a lasciarle in libertà” (A testament).
Così nella formazione di Wright l’esperienza empirica, la conoscenza diretta dei materiali, delle forme elementari e delle loro leggi combinatorie sostituivano la conoscenza storica indiretta e mediata.Il gioco inavvertitamente si tramutava in fondate esperienze: ”I lisci triangoli di cartone e i blocchetti d’acero erano importantissimi.Me li sento ancora oggi sotto le dita”.
Ai giochi froebeliani si può far risalire anche l’interesse di Wright, se non addirittura l’entusiasmo, ad un sistema di valori simbolici,presente in tutta l’opera del maestro, che gli sembravano assumere le forme fondamentali: ”Nel loro schema geometrico il quadrato significava purezza, il cerchio l’infinito, il triangolo l’aspirazione; ed erano tutte cose con le quali “disegnare” nuove forme significative.Nella terza dimensione i blocchetti levigati d’acero diventavano il cubo, la sfera il tetraedro; miei, tutti,per giocare”.
Tempo dopo Wright s’iscrisse alla facoltà d’ingegneria civile a Madison, Wisconsin. Dopo due anni di studi si recò a Chicago, lavorando prima nello studio di Silsbee, quindi in quello di Adler e Sullivan, ove collaborò ai progetti di diverse case e a quello dell'Auditorium di Chicago; ma il suo carattere ed il desiderio d'indipendenza lo portarono presto a lavorare da solo.
L’incontro con Silsbee
”Silsbee disegnava con una facilità sorprendenti , ricorda Wright ; usava una matita a punta morbida e tracciava a mano libera degli splendidi schizzi di quelle sue tipiche case. Il suo notevole talento di progettista ne aveva fatto una figura di rilievo a Chicago. Le sue opere erano una combinazione pittoresca di frontoni, torrette e tetti spioventi con ariosi portici dal gradevole tono casalingo: un vero contrasto con la goffa stupidità e volgarità dell’epoca”.
Dall’incontro con Silsbee Wright formulò l’idea della centrifugazione della casa verso la natura: “dalle verande e dai bow-windows, deriva l’idea della finestratura continua della pianta centrifuga; dall’espansione del portico inglese, nasce lo spazioso porticato americano, che proietta la casa all’esterno e le imprime un solito andamento orizzontale; la traduzione della tegola inglese a S nella tegola di legno grigia del vecchio stile coloniale, suggerisce contorni fluidi, come il cigliato abbaino e la cupola a campana; e non dimentichiamo gli audaci ed eleganti camini, le opere modellate in mattoni, le decorazioni in terracotta, i legni intagliati.”.
La sua formazione di architetto derivò,oltre che da Sullivan e Silsbee, anche dalle opere di S. Richardson (1689-1761 iniziatore del romanzo inglese moderno) e dai principi di W.Morris (1834-96 artista, poeta, e pensatore britannico).
La tradizionalità e i grandi spazi
Dopo un primo periodo di apprendistato, il ruolo di Wright nello studio Adler e Sullivan si definì con precisione: ” Con Silsbee avevo acquisito una notevole esperienza sulle pratiche esigenze delle abitazioni americane. Sullivan si rifiutò di costruire case private di abitazione e per tutto il tempo in cui rimasi con loro. Le poche che accettarono le eseguii io, fuori delle ore di ufficio” (da An autobiography di F.Ll Wright 1957). In questa circostanza è contenuta una delle scelte fondamentali di Wright: egli, infatti, non seppe e non volle seguire Sullivan nella grande impresa di ridefinire la struttura figurativa e tecnologica della nuova città americana ma concentrò il suo interesse ad una scala edilizia oggettivamente minore, nella cui definizione intervenivano fattori in gran parte tradizionali, appartenenti alla storia americana del sec. XIX, e valori culturali preindustriali, quali l’attaccamento alla terra, l’amore per i grandi spazi, il colloquio con gli elementi naturali:”Amavo l’architettura perché romantica e profetica di un vivere vero:perché la vita riviveva in bellezza oggi come nelle più grandi civiltà del passato.Non eravamo oggi uomini liberi? E dunque in ciò doveva qualificarsi l’architetto in mezzo a noi; essere la libera guida di uomini liberi nella nostra nuova e libera terra.Ogni edificio costruito doveva servire alla liberazione dell’umanità, affrancando le vite degli individui” (A testament)
Wright inseguiva il sogno anarchico di una libera società di individui e volgeva lo sguardo alle verdi praterie vicine, nelle quali proiettava la residenza domestica ipotizzando un rinnovato e rigeneratore equilibrio biologico dell’uomo nella natura: ” la città, era per lui ,ha scritto Peter Blake (in The master builders),il male incarnato e un male che faceva passi da gigante. Quando Wright nacque, la popolazione degli Stati Uniti era di soli trentotto milioni di persone; quando morì, di quasi centottanta. Quando nacque, non più di un quarto degli americani viveva inurbato; quando morì, quasi i tre quarti si erano trasferiti nei grandi centri urbani. Wright faceva parte di quella minoranza che non si era mossa; e dopo la morte, nell’Aprile 1959, fu sepolto a Spring Green nel Wisconsin, a una quindicina di chilometri dal luogo dove una novantina di anni prima era nato.Sembrava che per lui, non aver mai veramente abbandonato il luogo dove aveva visto la luce fosse divenuto poco meno che una questione di principio “.
Ma Wright fu innanzi tutto un uomo del "nuovo mondo", con una fiducia illimitata e spesso persino ingenua nelle possibilità dell'America. L'americanesimo significava, naturalmente, opposizione all'Europa perché vecchio mondo, superando con ciò il tradizionale complesso di inferiorità dell'America, e rinnegando qualsiasi tradizione costituita, e perciò qualsiasi stilistica europea, orientandosi piuttosto verso le forme estremo-orientali (soprattutto giapponesi) e americane (maya, indios, ecc.). L'aspetto più tipico della civilizzazione americana era la frontiera, lo spirito pionieristico della conquista mai completa, del punto da superare ogni giorno e la casa della frontiera, unifamiliare con camino centrale in pietra, a diretto contatto con la natura, influenzò tutta l'opera dell'architetto.
Wright visse pienamente la parte dell'artista, in senso ottocentesco, orgoglioso al possibile delle proprie produzioni, in atteggiamento di continua sfida. Diventò un personaggio i cui detti divennero celebri e furono tuttavia accettabili anche se talora paradossali. I suoi ideali e il suo carattere lo portarono a rivolgersi ad una committenza media, ed a pensare soprattutto la casa per questa committenza. Si trattava di un’abitazione unifamiliare, a contatto con il terreno, semplice ed a dimensione umana.
La casa organica
Wright per ottenere ciò scelse di partire dallo spazio interno della casa per proiettarsi verso il suo esterno. Fu una scelta che gli permise la massima libertà formale: era, infatti, prodigiosa in Wright la capacità inventiva nonchè le acquisizioni e le rielaborazioni di altri linguaggi. Il modo di realizzare questo spazio dall'interno doveva essere "organico" e cioè aderente alla vita, così dell'uomo come della natura, sviluppato secondo una logica interna, propria degli organismi viventi. Questo portò da un lato alla fluidità spaziale, evitando al possibile i frazionamenti interni, dall'altro alla molteplicità e ricchezza degli interni.
Wright contrapponeva la visione dell’architettura come visione estetica di classe sociale ad una condizione soggettiva di netto stampo romantico:”Prendendo come metro un essere umano,ridussi l’intera casa in altezza in modo che si adattasse ad un uomo alto un metro e settanta. E’ questa la mia statura. E poiché non credevo in nessun altro metro, all’infuori di quello umano, allargai le masse per quanto mi era possibile, in modo che guadagnassero spazio in senso orizzontale… Non consideravo più la parete come il lato di una scatola, ma come la chiusura di uno spazio destinata a consentire protezione contro il maltempo o contro il calore. Ma doveva altresì portare nella casa il mondo esterno e permettere che il suo interno si espandesse al di fuori… La casa cominciò a integrarsi col terreno, a connaturarsi con la prateria che costituiva il suo ambiente”.Egli definiva così le sue prime opere “sereni profili dei volumi sviluppati sui livelli del terreno… un nuovo e appropriato uso dei materiali, vecchi e nuovi” ed una progettazione “condotta sul principio della linearità e del piano”.
Il suo giudizio sulle unità residenziali verticali, infatti, era negativo: il grattacielo per Wright era soltanto uno‘ stratagemma meccanico ’ fatto apposta per “moltiplicare le aree fortunate tante volte quante è possibile vendere e rivendere l ’area del terreno originale” (Modern Architecture) e gli appariva chiaramente fin dall’ esordio la natura speculativa dell’ operazione che oltretutto risultava contraria alle sue originarie idee sull’architettura.
Wright formulò la concezione di’"architettura organica", sostenendo che l'edificio, unità in cui le parti si integrano in un insieme armonico, deve fondersi con l'ambiente circostante, tanto da sembrare parte di esso. L'architettura organica è quella che si sviluppa come un organismo da un nucleo centrale, senza schemi geometrici preordinati, vivendo liberamente dal proprio ambiente, anzi connaturandosi ad esso; è l'architettura per l'uomo, tagliata su misura per lui, nata intorno a lui e cresciuta con lui come se fosse il suo corpo. La forma architettonica deve dunque essere determinata volta per volta, in considerazione dello specifico utilizzo dell'edificio, dell'ambiente circostante e del tipo di materiali impiegati scelti in relazione al colore naturale, alla consistenza e alle caratteristiche strutturali. Gli interni dei suoi edifici enfatizzano il senso di spaziosità che deriva da strutture aperte, dove le stanze confluiscono le une nelle altre.
Il continuum spaziale
Per comprendere meglio quest’aspetto del maestro bisognerebbe entrare in un edificio da lui progettato, per esempio Taliesin West o meglio in Robie House, ed ecco che si proverrebbe una strana esperienza: dall’esterno, avevamo contemplato un modesto edificio a due piani, di esigue dimensioni,un po’ goffo per il vasto tetto inclinato,dalle sgradevoli spigolature laterali ed uno spiacevole “gusto” Liberty; ed ora, invece, ci accorgiamo di trovarci in vasti locali, quasi solenni, che si succedono l’uno all’altro, tra di loro legati ma indipendenti, dandoci un senso di raccoglimento intimo e di privacy.
Questa straordinaria dilatazione dell’elemento spaziale si deve alla sapiente modulazione dello spazio interno con cellule autonome, articolate nelle diverse direzioni e dimensioni, così, da offrire all’uomo che abiti queste dimore, la sensazione di trovarsi non già in una scatola meccanica ma in una vivente costruzione umana.
Wright partendo da una prospettiva per così dire introspettiva e di revisione dall’ interno, riuscì a distruggere quella secolare spartizione in diaframmi artificiosi che separavano anziché unire i singoli elementi funzionali della casa (isolandoli in una sequenza artificiosa di ‘scatole’ o stanze incomunicanti) fino ad abolire progressivamente tali setti e riaffermando in tal modo l’esigenza di ripristinare quell’ organico continuum spaziale che è alla base della rivendicazione dell’ unità degli atti umani che nella casa si svolgono .
Ma ciò non bastava: il suo obiettivo andava ben oltre, si proiettò finalmente all’ esterno, conquistando ed annettendo alla cellula abitativa ogni possibile interesse di legame con la realtà e con la natura e ogni stimolo di vita all’aperto: per la prima volta così, in un nuovo equilibrio fra ambiente e prodotto architettonico che in quello si inserisce, cadevano anche le artificiali barriere che tradizionalmente separavano la vita interna dalla vita esterna; le pareti perimetrali si squarciarono a loro volta e la finestratura continuava a nastro.
Le opere
La comprensione dell’iter progettuale rimanda la spiegazione di sé direttamente alle opere.
Ecco perché una parte non indifferente della critica ha dovuto dunque finire per fare i conti lo stesso con la decodificazione delle strutture formali immesse da Wright nelle sue opere ,confrontandole con le parallele opere dei suoi coetanei e contemporanei di varie regioni culturali. Tale comparazione, se ha avuto il merito indubbio di cogliere l’originalità del messaggio wrightiano e il suo grado di evidente anticipazione e di profezia rispetto alle ricerche dei suoi contemporanei, ha spesso prodotto astratte deformazioni interpretative nel desiderio di accomunare e di etichettare tutto, riducendo forzosamente ad unità ciò che si presentava invece distinto e dando luogo ad incastri e decifrazioni disinvolte che hanno inevitabilmente soqquadrato alcune parti dell’opera di Wright a svantaggio di altre.
Wright restò radicalmente estraneo ai grandi problemi dell’abitare collettivo, degli standard tipologici popolari, e la scelta che egli fece liberamente, e cioè la ricerca sulla casa unifamiliare si focalizzava nell’offrire sì un nuovo modo di vivere e di abitare per l’americano, ma ad un livello eccessivamente rarefatto, inaccessibile e comunque estraneo al contesto drammatico, esistenziale che caratterizzava la quotidiana lotta della vita nelle aree metropolitane in espansione.
La casa come rifugio
Wright progettava dunque per gli uomini, al suo pari, isolati, che coltivavano il miraggio dell’evasione della città, intesa quest’ultima come macchina distruttrice dell’individuo e come strumento di alienazione: “Per Wright la casa è un rifugio, un riparo in cui l’animale umano si può ritirare come in una caverna, protetto dalla pioggia, dal vento e dalla luce” (Giedion), ma come tale era sostanzialmente uno strumento di autodistruzione sociale, e si poneva come una fondamentale struttura antiurbana che dissociava anziché unire gli uomini fra loro: le case unifamiliari si contrapponevano e s’ignoravano, nella maglia estensiva di una lottizzazione monotona nelle praterie prossime alla grande città, che risentiva degli spazi silenti della fattoria dei pionieri, come contenitori isolanti, come vasi incomunicanti. Erano queste le case della borghesia ricca, quasi un microcosmo attrezzato che competeva con la città o che in ogni modo tendeva a sostituirsi ad essa, erano le case di una classe di censo molto agiato che si strutturavano secondo una visione oligarchica della società, soddisfacendo alle esigenze della nuova classe dominante secondo una scala ben preordinata di relazioni umane: il soggiorno per le visite, per la lettura, per lo studio, per gli atti della vita quotidiana, infine i locali per i domestici, mentre il camino rappresentava lo spazio più intimizzato della casa, anzi ne costituiva il cuore interno, simbolico, evocativo, secondo la più schietta tradizione dei pionieri.
Il tempo non assillava mai Wright. Agiva da filtro che ne salvaguardava e ne assicurava la libertà di una produzione creativa totalmente svincolata alla convenzione sia sul piano delle influenze tipologiche sia su quello degli ascendenti culturali: “Chiunque sia impegnato nell’opera creativa è esposto alla persecuzione odiosa dei confronti.Gli odiosi confronti seguono le peste della creatività ovunque sia implicato il principio poetico, perché solo per confronti apprende la mente inferiore: confronti, spesso equivoci, compiuti l’uno per l’altro per momenti di utile. Ma la mente superiore apprende per analisi: dallo studio della Natura”(A testament,).
E’ proprio dall’affondare le proprie radici nella Natura, avvertita come matrice di ogni esperienza che contiene, nel suo grembo, tutta la storia, che trae il più autentico alimento e sostegno la meditazione del giovane Wright.
L’originalità dell’individuo
Egli si oppose sempre all'ornamentalismo degli stili prevalenti, neoclassico e vittoriano.
Credette profondamente, fino a farne la base del suo concetto di architettura, alla nozione di individuo, che gli derivò indubbiamente dalla sua completa aderenza all’ideologia “pionieristica” americana ed ai suoi valori fondamentali: il rapporto con la natura considerata come alternativa antagonistica allo sviluppo tecnologico, e la democrazia come potenzialità inespressa della società americana. L’ideologia individualistica di Wright lo indusse quindi a rifiutare ostinatamente un discorso sui filoni figurativi cui la sua ricerca nei vari periodi si collegò: se anche ciò significava rifiutare la prassi architettonica della cultura eclettica, la radice più profonda di questo atteggiamento era senz’altro la necessità di mantenere vivo il mito romantico dell’architetto come creatore unico e originale.
Le Prairie House
Fu straordinariamente attivo: elaborò oltre seicento progetti, con più di trecento realizzazioni. La sua attività iniziale fu molto varia: da alcune case in stile, costruite per confessate esigenze economiche, a palazzine per appartamenti, come i Terrace Apartaments, Chicago, alla sua casa ad Old Park (1889), un perfetto esempio di Shingle Style (stile assicella). Ma subito iniziarono le ricerche spaziali e compositive: la casa Winslow, Chicago (1893), ha una stupenda facciata simmetrica in mattoni e intonaco, con una fascia di piastrelle brune sottotetto, che ne alleggeriscono il volume, sotto la grande sporgenza del tetto; mentre, verso il giardino, i volumi si articolano prodigiosamente. Un movimento che venne sviluppato in modo più possente, anche se meno controllato, nella casa Husser Chicago (1899).
Gli anni dal 1900 al 1909 furono quelli delle Prairie houses, le case della prateria, che realizzarono sia l'ideale dell'abitazione unifamiliare incentrata sul focolare, come la casa dei pionieri, sia quello dello spazio organico, continuo, che partendo dal centro si espandeva secondo spazi precisi, sia un linguaggio formale inconfondibile, che se risentiva di elementi giapponesi o d’influenze Art Nouveau era in ogni modo assolutamente personale, caratterizzato dai grandi tetti sporgenti, dalle fasce orizzontali, dalle serie di finestre.
Nell’ arco di progettazione delle Prairie House assistiamo progressivamente alla trasformazione degli statici bow windows silsbeiani, che nelle prime opere ( ad esempio la casa di Oak Park ) fungevano da aggraziate emergenze prospettiche, in elementi i quali, con crescente forza centrifugante rispetto alla scatola muraria, tendono via via ad acquistare significato di autentiche frecce o punte dinamiche, come veri e propri vettori segnaletici di una direzionalità che, sottraendosi al limite fisico dell’involucro perimetrale che inscatola le funzioni abitative, è lanciata a recuperare energeticamente la necessaria continuità di vita nello spazio fisico esterno.
Gli inserti angolari a cuneo fin qui seguite come chiavi interpretative della convinzione fermamente espressa da Wright di distendere le sue agiate case unifamiliari nel paesaggio accentuandone la tensione di fuga orizzontale (ha lasciato scritto: “vedo, in questa linea orizzontale prolungata, il vero orizzonte della vita umana”), improvvisamente nei primi anni del nuovo secolo scompaiono e la metodologia di progettazione pare ricalibrarsi e ricomporsi razionalmente e mono direzionalmente su un classico registro squadrato rigorosamente a 90° (e le frecce direzionali sembrano allora sostituite dalla presenza di compatti blocchi a U, quando non addirittura da enormi pilastri cavi, come nel caso della Barton House e delle due opere più note di Wright di questo periodo -il Larkin Building a Buffalo e la Chiesa Unitaria di Oak Park- quasi a riequilibrare e a recuperare un’armonia centripeta perduta).
Lo Studio di Oak Park
Il vantaggioso contratto di consulenza per la American Luxfer Prism Conpany(per un grattacielo prismatico in vetro e cemento) e il benessere economico che gliene derivò offrì l’occasione all’architetto di costruirsi il nuovo Studio prospiciente alla casa di Oak Park .
Con questo suo Studio Wright sperimenta e collauda in effetti un organismo nel quale i percorsi, i calibrati traguardi ottici le calcolate variazioni dei piani di contenimento perimetrali e dei soffitti sono condotti in modo da dar vita ad un fluente plesso di valenze spaziali,struttura univocamente e guida, come sottesa matrice primaria, la fruizione dell’ opera,mentre il ricorso ad una continua fascia orizzontale, all’altezza delle porte (che corrisponde alla misura dell’uomo con il braccioi alzato dell’ unità di misura lecorbusiana ), già parzialmente sperimentata nella stessa casa dell’ architetto alcuni anni prima, rappresenta l’espediente sintattico più efficace per unificare lo spazio interno riconducendo i singoli differenziati invasi spaziali alla effettiva misura umana.
Egli ha lasciato scritto in An autobiography: “Durante gli anni dello Studio di Oak Park, le stampe giapponesi mi interessarono e mi insegnarono molto :l’eliminare il superlfuo,il processo artistico di semplificazione in cui ero impegnato dall’età di ventitre anni,trovò una parallela conferma nelle stampe…Scoprii che l’arte giapponese aveva un carattere veramente organico, era più vicina alla terra, era un prodotto più diretto di condizioni originarie di vita e di lavoro, per ciò più vicina al moderno delle civiltà europee vive o morte”.
I capolavori del periodo furono la Willits House, Highland Park, Illinois (1902), impostata su due assi incrociati; la Robie House, Chicago (1909), oggi ricostruita e divenuta monumento nazionale; l’Heurtley House, Oak Park (1902); la Gale House, Oak Park (1909), di primaria importanza per lo studio della compenetrazione di volumi elementari, e per la trattazione delle superfici.
Contemporanei sono la Unity Church, Oak Park (1906), formata da due corpi parallelepipedi, molto chiusi, collegati da un piccolo atrio comune, e gli uffici amministrativi della Larkin, a Buffalo (1904, distrutti nel 1950), un grande edificio dominato all'esterno dal gioco delle pareti e dei pilastri, dai tagli molto duri, ma completamente aperto all'interno verso un unico spazio centrale.
La Robie House
La Robie House è una struttura planimetrica di una pulizia totale, ed il corpo dei servizi per non inquinarlo le è affiancato asimmetricamente nel fronte lungo posteriore: il corpo di fabbrica principale in virtù di tale scelta è ridotto ad un unico spazio di vita (il living-dining al primo piano e lo spazio dei giochi al piano terra) il cui perno centrale è occupato dal camino e dalla scala che forando l’orizzontamento del solaio collega i due livelli di vita.
La Robie House riassume nei suoi elementi costituenti essenziali tutte le caratteristiche primarie della progettazione portata avanti da Wright in un periodo di quasi venti anni:blocco stereometrico principale unitario su impianto rettangolare molto allungato; concentrazione dei punti di forza della struttura in larghi pilastri rettangolari agli angoli;completa finestratura del perimetro esterno articolata e in un ritmato nastro di infissi; risoluzione dei lati corti attraverso la immissioni di strutture formali tensionali, galleggianti e lanciate in uscita;ampio porticato sui fronti laterali a determinare delle larghe zone di soggiorno protetto; ma soprattutto un tetto incombente molto aggettante, dalle traiettorie dei displuvi dinamicamente tirate;rotto solo nella sua parte interna dalla muraglia saliente del camino, confermato cuore della casa ed effettivo perno di tutta l’ aggregazione; un interno infine totalmente riscattato dagli eclettici standard di mercato, condotto fino alla progettazione dell’arredo sia fisso che mobile, impronta impressa dalla volontà dell’architetto allo svolgimento ed all’organizzazione di un univoco sistema di vita interno.
Nel 1909 Wright abbandonò la famiglia per fuggire con un'altra donna in Europa, passando tra l'altro diversi mesi a Firenze. Tornato negli Stati Uniti, costruì una grande abitazione per sé e i suoi genitori: fu questa Taliesin I a Spring Green, Wisconsin (1911), che andò distrutta in un incendio doloso nel 1914.
Per Wright fu la definitiva rottura con il passato.
Il soggiorno giapponese
Fu una fortuna l'occasione di costruire, a Tokyo, l'Hotel Imperiale, per il quale inventò una struttura antisismica (poggia le fondamenta su uno strato di fango) che gli permise di vivere per anni tra Giappone e Stati Uniti.
Wright al suo arrivo nel Paese nipponico notò la simmetrica articolazione del tempio di Katsura.
Nell’impianto assiale, del santuario, nel suo invaso spaziale unitario, scandito da pilastri angolari sia lungo il perimetro che all’interno Wright dovette cogliere attraverso un esempio già collaudato, il primo suggerimento diretto di un unicum spaziale filtrante nel quale si realizzava, la totale dissolvenza dei tradizionali tramezzi continui e degli inerti diaframmi divisori interni e nel quale tutto l’assemblaggio architettonico finiva per ruotare sulla cella del ‘tokonoma’, ossia del reliquiario che, come centro delle cerimonie, rappresentava l’effettivo cuore della contemplazione e del culto domestico.
L’impianto planimetrico colpisce profondamente il giovane Wright: “La pianta di qualsiasi casa giapponese è uno studio effettivo di matematica sublimata”, dirà nel 1905 in Giappone. Se dunque la pianta, la quale è il frutto di un’assolutezza formale, raggiunta attraverso una stratificata ricerca paziente ottenuta in virtù di un allenamento secolare, è la matrice dalla quale cresce l’unitario invaso spaziale, l’esempio del tempio giapponese fu importante anche per la meditazione sulle seguenti scelte tecnologiche e linguistiche: nello Ho-o-den, infatti, i diaframmi perimetrali che separano lo spazio di vita da quello atmosferico esterno erano costituiti da semplici schermi scorrevoli, all’interno, e da pannelli trasparenti o traslucidi, a realizzare delle sfinestrature continue montate su rotaie e quindi anch’esse scorrevoli (solo una piccolo muro era fisso lungo l’articolato fronte posteriore a difesa dei venti): la sala centrale e le sale da the laterali erano dunque spazi aperti, completamente intercomunicanti con il giardino e la pittoresca natura esterna. Quanto alle caratteristiche strutturali significativa doveva senz’altro apparire la chiarezza con la quale era stata esemplata la separazione fra parti portanti e parti portate: le prime rappresentate da emergenti montanti in legno nero che impaginavano i bianchi pannelli di tamponamento, mentre i profondi sbalzi del tetto accentuavano, attraverso le larghe fasce d’ombra da esse generate, quella prevalente disposizione orizzontale tanto congeniale con le soluzioni sperimentate per la casa della prateria.
Il periodo dopo il ritorno fu meno felice: scarseggiarono le commesse e Wright fu alla ricerca di un proprio nuovo linguaggio, sono di questo tempo le imitazioni stilistiche più esotiche, come i templi maya per la casa Barnsdall, Hollywood (1920).
L'unica opera ,veramente interessante del periodo, è la casa Millard, detta "la miniatura" a Pasadena (1923), costruita con blocchetti di cemento collegati da cavi d'acciaio (un sistema inventato dallo stesso Wright) che formano la struttura e la facciata, la quale resta così modulata da piccoli quadrati traforati: un modello ripreso in seguito anche per casa Ennis.
Le due opere più famose
Riapparse sul palcoscenico attorno al ’30, ma da molti fu considerato un sorpassato. E’ inevitabile, infatti, considerare Wright sotto un duplice aspetto: dell’architetto vivente e operante e, in un certo senso, allineato con coloro che erano d’una generazione a lui posteriori, e del patriarca, ancorato ad un gusto ed ad uno stile che, volere o no, rimase quello dell’epoca della sua prima formazione: ossia del Liberty.
A questo periodo, di sostanziale stanchezza, Wright reagì improvvisamente con la casa sulla cascata, Bear Run, Connesville un'opera innovatrice per la struttura, che maturò e compì la ricerca sullo spazio interno e rinnovò ancora una volta il suo linguaggio figurativo.
La casa sulla cascata, costruita nel 1936, rappresenta il capolavoro assoluto dell'opera di Wright. Adoperando tutte le risorse della tecnologia moderna e i suoi materiali (cemento, ferro, vetro), Wright costruì una delle opere più audaci dell'ingegneria: un edificio costituito da lastre a sbalzo incernierate su una struttura portante verticale di pietre in vista.
Ma l'audacia tecnica non è fine a se stessa: è il mezzo che gli permise di collocare l'opera dell'uomo in simbiosi con quella della natura.
La casa vive in quell'ambiente (rocce alberi, acqua) come se vi fosse nata per germinazione spontanea, come una pianta selvatica. Tutto è costruito, tutto è studiato, tutto è calcolato, eppure tutto appare perfettamente naturale, esempio mirabile di come sia possibile e lecito all'uomo trasformare la natura senza violentarla. La casa sulla cascata è l'opera più rappresentativa dell'architettura organica come integrazione nella natura: il luogo dove sorge è già di per sé l'esaltazione della natura.
Dal 1936 al 1939 costruì la torre e gli uffici della Johnson Wax, Racine: un altro capolavoro. La pianta è basata su una maglia formata da cerchi accostati, che gli permisero una gran libertà distributiva, cui si affiancò, come sempre, l'invenzione strutturale, costituita questa volta dagli esilissimi pilastri ad ombrello, che suscitarono perplessità nei contemporanei; ma non furono da meno le immancabili trovate formali, come le finestre, formate da tubi di vetro che permettono il passaggio della luce, ma non la vista; ed ancora l'insistenza sul colore rosso nei mattoni, negli intonaci, nelle pavimentazioni in linoleum.
Intanto, oltre a progettare numerose altre case, preparava la casa usoniana (Usonia è nome poetico usato da lui per America), un tipo semplificato ed economico di residenza, che evidentemente pensava di utilizzare nei suoi studi urbanistici; ne sono esempi la casa Jacobs, Madison (1937), la casa Goetsch-Winkler, Okemos (1939), ed altre pure ad Okemos (1939-1940).
Contemporaneamente realizzò nel deserto dell'Arizona, presso Phoenix, Taliesin West, la sua dimora favorita, riaffermando una volta di più lo spirito del pioniere.
Da allora, con un nuovo cambiamento si diede a studiare forme e edifici circolari o a spirale; mentre il linguaggio si appesantiva peraltro in decorazioni superflue, in formalismi compiaciuti. Sono di questo periodo la casa Sol Friedman, Pleasntville, formata da due circonferenze intrecciate, e la grande spirale del Guggenheim Museum, New York (1946-1959), che contrasta e rompe esemplarmente con l'anonima omogeneità delle costruzioni circostanti.
Il Guggenheim Museum
Il Guggenheim Museum di New York è un museo d'arte moderna e contemporanea di New York, aperto nel 1959 fu dedicato a Solomon R.Guggenheim, industriale e filantropo americano. Una prima esposizione della collezione Guggenheim fu curata nel 1936 dall'artista tedesco Hilla Rebay con l'intento di riunire opere d'arte moderna non figurativa, tra cui erano presenti dipinti di Marc Chagall e Vasilij Kandinskij. L'ampliamento della collezione portò alla nascita della Solomon R. Guggenheim Foundation nel 1937, con lo scopo di favorire l'apertura di nuovi musei.
E' situato nel cuore della caotica metropoli americana, artificiale come tutte le città, anzi più artificiale di molte altre per la sua stessa grandezza Eppure anche per il Museo si può parlare di organicità: il dato di fatto con cui ci si deve misurare in campagna è la natura, qui è la città . L'organicità dunque qui è stabilita con la città. Mentre la Casa sulla cascata si protende verso la natura primitiva, il Museo Guggenheim si protende verso la città, non adeguandosi ad essa per le forme esteriori, ma penetrandovi con un movimento a spirale in espansione.
L’opera, nonostante alcuni lati discutibili specie dal punto di vista museologico, rimane una delle più coraggiose affermazioni che, l’architettura moderna, ha saputo imprimere sin dentro al cuore stesso della metropoli statunitense, inserendo, accanto alla prevalente stereometria degli edifici che sorgono sulla Quinta Avenue, una sagoma spiraliforme che si differenzia da tutte le altre costruzioni contigue.
Il museo ospita opere di scultura e pittura europee e americane, con capolavori impressionisti, postimpressionisti, cubisti e di arte astratta: tra i vari, dipinti di Fernand Léger, Lyonel Feininger, Robert Delaunay, Paul Cézanne, Edouard Manet, Claude Monet, Pablo Picasso e sculture di Alexander Calder, Constantin Brancusi, Alberto Giacometti, Henry Moore. Una sezione distaccata del Guggenheim è stata aperta nel 1992 nel quartiere di Soho, allo scopo di esporre molte opere della collezione altrimenti destinate ai depositi.
Nel 1958,Wright stava preparando una serie di vedute interne del museo ,ancora in costruzione, per illustrare al direttore e al consiglio d’amministrazione la disposizione ottimale delle opere. Una delle prospettive conteneva un gruppo di persone che guardavano un gran quadro di Kandinsky, eccetto una ragazzina, che si è allontanata dal dipinto e stava guardando giù, attraverso il gran vuoto centrale dell'edificio, evidentemente più stupita dallo spettacolo dello spazio che dal quadro.
La maturità
Nel 1953 realizzò la torre Price, Bartlesville, che raccolse i risultati di molti studi per edifici pluripiani: fu uno dei più riusciti grattacieli americani, per la straordinaria libertà compositiva.
Nel campo urbanistico Wright lasciò solo un libro utopistico, auspicante per ognuno un'abitazione unifamiliare circondata da un appezzamento di terreno, ma il progetto per questa città, da lui denominata Broadacre, non fu mai realizzato: n’è rimasto il puro messaggio di condanna della vita contemporanea nelle strutture urbane.
Wright ha sempre avuto un notevole successo critico ed ha largamente influenzato architetti in America ed in Europa.
Era un disegnatore veloce, una volta che l'idea gli era chiara nella mente, la trasferiva subito sul foglio, si destreggiava con la sua riga a T e la squadra con eccezionale abilità. Per un architetto l'atto di disegnare è essenzialmente un mezzo per raggiungere un obiettivo: la trasposizione su carta d’idee che appartengono all'immaginazione, allo scopo di costruire un edificio. Egli si trovava di fronte ad un obiettivo non sempre facile: rendere la rappresentazione grafica di una creazione così precisa, così chiara, così leggibile da consentire agli altri di interpretarla, capirla e creare all'opera. I disegni di Wright erano sempre disponibili per chi collaborava con lui, vale a dire per i suoi disegnatori e, in seguito, per i suoi allievi; ma egli conosceva il valore e l'importanza per i posteri.
Scelse Taliesin West come deposito del lavoro di una vita.
In America Taliesin fu luogo di richiamo per parecchi contemporanei ed anche se il suo insegnamento provocò un certo manierismo, evidente nelle distese di case unifamiliari del Michigan o dell'Ohio, il messaggio organico ha avuto seguaci impegnati, da R. J. Neutra (1892-1970 noto per Casa Lovell a Los Angeles) alla scuola californiana, fino a E. Saarinen (1910-1961 eclettico architetto e designer statunitens ).
Nel 1932 fondò, assieme alla moglie, la Taliesin Fellowship, una scuola d’architettura e arti affini basata sull'apprendistato; otto anni dopo, istituì la Frank Lloyd Wright Foundation.
Le opinioni su Wright
In Europa le sue opere vennero diffuse presto da pubblicazioni, come quella di Berlino (prima edizione, 1910; seconda, 1911, con introduzione dell'Ashbee), come la rivista Wendingen, 1924, curata da Behrens, ed una monografia del 1925 con diversi scritti.
A Bruno Zevi si deve la conoscenza in Italia delle opere di Wright, avvenuta in modo completo solo dopo il 1945, e la sua influenza sull'ambiente architettonico veneziano.
Zevi elenca ben tredici aspetti dell'architettura di Wright per poi riconoscere che : “ Resta ancora da svelare il vero segreto wrightiano. Questo segreto consiste nella conquista dello spazio, motivo conduttore dell'ascesa che il maestro ha compiuto attraverso mezzo secolo di prove creatrici” e più avanti dichiara che : ” La coerenza della poetica wrightiana va più in là della meccanica ripetizione di motivi figurativi e degli stessi principi psicologici, sociali e funzionali in cui si articola il suo pensiero. Si destreggia in una creatività spaziale che, partendo dall'interno dell'edificio, s’irradia a formare volumi, attraversa la materia delle superfici e plasma la continuità urbanistica".
Tale giudizio va condiviso, ma liberato dal rischio di cadere nell’indescrivibilità critica. Affermare che lo stile di Wright stia nella creatività spaziale equivale a dire tutto e niente. Lo spazio del fare architettonico è sì uno spazio vuoto nel quale si vive e si agisce, in altre parole un serbatoio, ma questo non esiste senza la conformazione del relativo involucro, composto di "figure" di tipo spaziale: la pianta, le pareti, le facciate e le coperture in modo che la creatività spaziale si fondi sulla creatività figurativa.
Molto spesso i discepoli che seguivano Wright,non riuscivano ad orecchiare che le invenzioni del maestro, seguendone gli aspetti estrinseci (unione con la natura, uso di materiali rozzi, l’abbondanza in angoli ottusi, tetti spioventi ecc.)e non seppero, per contro, imitarne le vere qualità formali e formative :la straordinaria qualità figurativa, la capacità di adattarsi a terreni, climi,ambienti diversi, la continua mutevolezza della dimensionalità spaziale, tutte qualità che hanno fatto di Wright uno dei pochissimi realizzatori di un’architettura al tempo stesso umana e tecnicamente evoluta.
Riferimenti bibliografici
1) Gillo Dorfles, L’architettura moderna, Garzanti, Milano, 1954.
2) C. Amerio P.L.Brusasco, Elementi di progettazione edilizia, SEI, Torino, 1995.
3) M. D. Bardeschi, Frank Lloyd Wright, I maestri del ‘900 Sansoni Editore, Firenze 1980.
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