Materie: | Riassunto |
Categoria: | Fotografia |
Voto: | 2.5 (2) |
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Data: | 11.04.2007 |
Numero di pagine: | 11 |
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Testo
ROBERT FRANK
Nasce a Zurigo nel 1924; nel 1942 comincia la sua attività presso alcuni fotografi commerciali di Ginevra, Basilea e Zurigo. Finita la seconda guerra mondiale Frank si reca a Parigi solo per pochi mesi, dove conosce il lavoro di fotografi di fotogiornalismo della fama di Robert Capa, Cartier-Bresson, “Chim”, Seymour.
Nel marzo del 1947 si trasferisce in America a New York e inizia a lavorare come fotografo di moda per la più prestigiosa rivista del tempo, Harper’s bazaar, di cui è art-director Alexei Brodovich maestro di altri famosi fotografi quali Avedon, Penn e Hiro. Lavora anche per riviste come Fortune e Life; tra il 1949 e il 1952 realizza dei reportages in giro per il mondo, dal Perù a Londra. Nel 1952 Frank torna a New York e comincia a lavorare come fotografo indipendente, influenzato dal lavoro di due fotografi contemporanei, l’inglese Bill Brandt e l’americano Walker Evans che lo incoraggia a concorrere alla borsa Gugghenheim, che vince, primo tra i fotografi non americani nel 1955. Nel 1954 sposa May a New York. Nascono Pablo e Andrea. Viaggia in Perù.
Frank può partire per un lungo viaggio attraverso tutti gli stati dell’America per realizzare il suo personale progetto di un libro fotografico sugli americani pubblicato nel 1958 a Parigi con il titolo Les Americanes. Il libro viene pubblicato a New York nel 1959 con un testo di Jack Kerouac che Frank aveva conosciuto poco tempo prima e che insieme al poeta Allen Ginsberg appartengono alla contemporanea generazione di intellettuali americani, la beat generation, con i quali Frank stringe una grande amicizia. Nel 1958 con le immagini sull’autobus numero 10 di New York, Frank decide di smettere di fotografare. Nel 1969 si separa dalla moglie. Nel 1972 pubblica un libro dal titolo The Lines of My Hand, retrospettiva di Frank sulla sua vita, concepita come insieme di fotografie. Nel 1974 muore il figlio Andrea in Guatemala. Nel 1975 lavora in California e realizza un film sui baraccati.
Si dedica alla attività di regista sperimentale insieme ai suoi amici Kerouac, Ginsberg, Corso e Orlowsky. Nel 1983 fotografa in bianco e nero. Viaggia a Parigi e al Cairo.
Il 1955 rappresenta per Robert Frank la possibilità di realizzare il suo sogno: partire per un lungo viaggio all’interno degli Usa con un’automobile usata ed esplorare quella che era la società americana di quegli anni.
Sono già leggibili, per gli animi più sensibili, le contraddizioni della cultura americana infatti - nel momento in cui gli ideali Kennedyani della Nuova Frontiera raggiungono il massimo della popolarità e della credibilità, Frank evidenzia nelle sue fotografie il vuoto morale che la maggior parte degli americani sperimenta quotidianamente nella povertà umana tesa all’acquisto di un numero sempre maggiore di prodotti di consumo imposti dalla pubblicità, nell’ alienante circolo vizioso di un tempo esistenziale ormai spersonalizzato e massificato.
“Con queste foto ho cercato di dare uno spaccato del popolo americano. Il mio sforzo è stato di esprimere ciò semplicemente e senza confusione” dice Frank.
Servendosi di un apparecchio da 35mm. coglie la vita americana nei suoi aspetti più comuni: scampagnate, cortei, automobili, stazioni di rifornimento, pannelli pubblicitari, posti di ristoro sulla strade, la solitaria autostrada nel deserto.
E’ l’inizio di una nuova letteratura come quella di Kerouac e di Ginsberg.
Nell’introduzione di Les Americans all’edizione americana del 1959 Kerouac scrive: “Chi non ama queste immagini non ama la poesia, chi non ama la poesia sta a casa per vedere sequenze televisive di cow-boys dai grandi cappelli sopportati da bianchi cavalli” - è questa America che non vuole vedersi, soffocata dal velo tranquillo della falsa coscienza.
Nelle foto di Frank scopriamo che i vecchi venuti in Florida, allettati dalle agenzie turistiche, sperando di trovare una natura incontaminata e un cielo puro sotto cui morire in pace, se ne stanno tristi, seduti uno accanto all’altro ai bordi di strade inquinate da rumorose vetture che lungo le strade, dove per un banale incidente si passa in un attimo incontrollabile dalla vita alla morte, il luminoso sole del grande orizzonte americano si chiude in un opprimente e desolato cielo nero, intenzionalmente ottenuto da Frank con una mascheratura in sede di stampa. Questo cielo nero è il segno di chi persa ogni luce per la propria vita trova, in un buio bar metropolitano, solo l’ambigua luminescenza di un’elettronica macchina sonora.
Osservando la foto di “quella piccola malinconica ragazza dell’ascensore che guarda in alto sospirando in un ascensore pieno di oscuri demoni”, ci nasce spontanea la stessa domanda di Kerouac, “qual è il suo nome e il suo indirizzo”?; è certo sempre più difficile trovare il nostro vero nome, cioè la nostra personale e irripetibile identità, l’unica che ci possa permettere un vero incontro d’amore con gli altri esseri umani.
Il libro di Frank si chiude con l’immagine di una donna e di un bambino che intravediamo appena oltre il vetro della nera, metallica, struttura di un’auto dai fari accesi nella sera, “il che avviene proprio prima dell’arrivo della notte completa che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge i picchi e rimbocca le ultime spiagge”, lungo una strada d’America il paese dove, secondo Kerouac, “nessuno sa quel che succederà di nessun altro se non il desolato stillicidio del diventare vecchi ”.
Ancora Kerouac dice che “la foto di quel tipo che osserva la sua mucca sul fiume Plate è la foto di un uomo che sta riconoscendo l’essenza della propria mente”, ma l’immagine di quel volto ci rimane nascosta e sconosciuta per sempre, nello stesso modo in cui, nella comunicazione dataci da Frank della allucinante mutazione antropologica che segue l’avvento della civiltà della tecnica prodotta dalla mente umana, ci rimane nascosta e sconosciuta per sempre qualsiasi via di salvezza e qualsiasi possibiltà per una vita umana più vera più libera.
Les Americans ha avuto molta influenza sui giovani fotografi, anche se, inizialmente, non è stato accolto favorevolmente dalla cultura dominante perché troppo critico verso l’ottimismo americano: le sue immagini non corrispondevano all’idea del ruolo, del livello di vita, dell’immagine che gli americani avevano di sé. Nonostante ciò questo libro diventerà successivamente il punto di riferimento per intere generazioni di fotografi e Frank inaugurerà un nuovo modo di guardare la realtà.
- Le sue immagini sono inquiete, sono organizzate in una struttura libera, sciolta, spesso appaiono come momenti ghermiti a caso. Contrastano con le armoniose ed eleganti fotografie di Cartier-Bresson, del quale avrebbe detto. “Hai la sensazione che egli non sia mai turbato da nessun accadimento che non sia la sua bellezza, o la composizione di un oggetto”. Frank invece non aveva alcun interesse per la bellezza, ma piuttosto per la cruda realtà, per quanto sgradevole o banale possa essere.
“Basta con la pretesa di cogliere il bell’ordine del mondo in uno di quei fuggevoli istanti in cui sembra cristallizzarsi. Non più momenti decisivi ma momenti in between fra quelli che appaiono pieni di significato e armonia. Dopo Frank il fotografo sa che i momenti decisivi non esistono, che i significati ce li mettiamo noi, e che sorte della fotografia non è saper sorprendere un mondo in flagrante reato di concordare con le nostre idee, ma vederlo così come è in sé, assurdo. Un mondo che preesiste al pensiero e al significato. Anche la scelta di messa in prospettiva delle sue fotografie non rispetta i canoni classici di inquadramento che sembra preferire dei tagli di realtà, dei frammenti di visione: a volte Frank preferisce portare la macchina (un apparecchio da 35mm) all’altezza dei fianchi e scattare “direttamente “ dalla nuda realtà.
In Frank il volto dell’uomo non c’è quasi più, come nella prima fotografia che apre il suo volume, Parata: nella facciata di un’umile casa in mattoni, una grassa signora dal volto che si perde nell’ombra assiste a una parata cittadina, mentre una grande bandiera sventolando copre il viso a un’altra donna che sta alla finestra.
Tutti i volti de Gli Americani configurano un unico ritratto d’uomo cioè l’uomo contemporaneo: alienato, in solitudine, ai piedi dei freddi grattacieli, fra le macchine, davanti ai juke-box, spersonalizzato e in balia del consumismo massificante. Questo uomo è quello che Frank, uomo europeo sensibile e intelligente, con disperata lucidità ritrae nella consapevolezza che “...nessun Mondo Nuovo resta all’uomo”.
BIBLIOGRAFIA
Burgin Victor, Two Essays on Art, Photography and Semiotics, Londra, 1976
Chiaramonte Giovanni, Robert Frank, fotografo, da “L’umana avventura, Guardando si vede”
Chiaramonte Giovanni, Storia della fotografia, Jaca Book, Milano, 1983
Kerouac Jack, Sulla strada, Mondadori, Milano, 1989
Lemagny Jean-Claude, Rouille Andre, Storia della fotografia, Sansoni, Firenze, 1988
Newhall Beaumont, Storia della fotografia, Einaudi, Torino, 1984
(a cura di) Pozzi Piero, Corso di analisi e storia della fotografia “Fotografia e rappresentazione del territorio”, Politecnico di Milano, Facoltá di Architettura, 1995/96
(a cura di) Pozzi Piero, Lo sguardo e le immagini, Doppiouni, 1998, (fotoarchivio digitale
ROBERT FRANK
Nasce a Zurigo nel 1924; nel 1942 comincia la sua attività presso alcuni fotografi commerciali di Ginevra, Basilea e Zurigo. Finita la seconda guerra mondiale Frank si reca a Parigi solo per pochi mesi, dove conosce il lavoro di fotografi di fotogiornalismo della fama di Robert Capa, Cartier-Bresson, “Chim”, Seymour.
Nel marzo del 1947 si trasferisce in America a New York e inizia a lavorare come fotografo di moda per la più prestigiosa rivista del tempo, Harper’s bazaar, di cui è art-director Alexei Brodovich maestro di altri famosi fotografi quali Avedon, Penn e Hiro. Lavora anche per riviste come Fortune e Life; tra il 1949 e il 1952 realizza dei reportages in giro per il mondo, dal Perù a Londra. Nel 1952 Frank torna a New York e comincia a lavorare come fotografo indipendente, influenzato dal lavoro di due fotografi contemporanei, l’inglese Bill Brandt e l’americano Walker Evans che lo incoraggia a concorrere alla borsa Gugghenheim, che vince, primo tra i fotografi non americani nel 1955. Nel 1954 sposa May a New York. Nascono Pablo e Andrea. Viaggia in Perù.
Frank può partire per un lungo viaggio attraverso tutti gli stati dell’America per realizzare il suo personale progetto di un libro fotografico sugli americani pubblicato nel 1958 a Parigi con il titolo Les Americanes. Il libro viene pubblicato a New York nel 1959 con un testo di Jack Kerouac che Frank aveva conosciuto poco tempo prima e che insieme al poeta Allen Ginsberg appartengono alla contemporanea generazione di intellettuali americani, la beat generation, con i quali Frank stringe una grande amicizia. Nel 1958 con le immagini sull’autobus numero 10 di New York, Frank decide di smettere di fotografare. Nel 1969 si separa dalla moglie. Nel 1972 pubblica un libro dal titolo The Lines of My Hand, retrospettiva di Frank sulla sua vita, concepita come insieme di fotografie. Nel 1974 muore il figlio Andrea in Guatemala. Nel 1975 lavora in California e realizza un film sui baraccati.
Si dedica alla attività di regista sperimentale insieme ai suoi amici Kerouac, Ginsberg, Corso e Orlowsky. Nel 1983 fotografa in bianco e nero. Viaggia a Parigi e al Cairo.
Il 1955 rappresenta per Robert Frank la possibilità di realizzare il suo sogno: partire per un lungo viaggio all’interno degli Usa con un’automobile usata ed esplorare quella che era la società americana di quegli anni.
Sono già leggibili, per gli animi più sensibili, le contraddizioni della cultura americana infatti - nel momento in cui gli ideali Kennedyani della Nuova Frontiera raggiungono il massimo della popolarità e della credibilità, Frank evidenzia nelle sue fotografie il vuoto morale che la maggior parte degli americani sperimenta quotidianamente nella povertà umana tesa all’acquisto di un numero sempre maggiore di prodotti di consumo imposti dalla pubblicità, nell’ alienante circolo vizioso di un tempo esistenziale ormai spersonalizzato e massificato.
“Con queste foto ho cercato di dare uno spaccato del popolo americano. Il mio sforzo è stato di esprimere ciò semplicemente e senza confusione” dice Frank.
Servendosi di un apparecchio da 35mm. coglie la vita americana nei suoi aspetti più comuni: scampagnate, cortei, automobili, stazioni di rifornimento, pannelli pubblicitari, posti di ristoro sulla strade, la solitaria autostrada nel deserto.
E’ l’inizio di una nuova letteratura come quella di Kerouac e di Ginsberg.
Nell’introduzione di Les Americans all’edizione americana del 1959 Kerouac scrive: “Chi non ama queste immagini non ama la poesia, chi non ama la poesia sta a casa per vedere sequenze televisive di cow-boys dai grandi cappelli sopportati da bianchi cavalli” - è questa America che non vuole vedersi, soffocata dal velo tranquillo della falsa coscienza.
Nelle foto di Frank scopriamo che i vecchi venuti in Florida, allettati dalle agenzie turistiche, sperando di trovare una natura incontaminata e un cielo puro sotto cui morire in pace, se ne stanno tristi, seduti uno accanto all’altro ai bordi di strade inquinate da rumorose vetture che lungo le strade, dove per un banale incidente si passa in un attimo incontrollabile dalla vita alla morte, il luminoso sole del grande orizzonte americano si chiude in un opprimente e desolato cielo nero, intenzionalmente ottenuto da Frank con una mascheratura in sede di stampa. Questo cielo nero è il segno di chi persa ogni luce per la propria vita trova, in un buio bar metropolitano, solo l’ambigua luminescenza di un’elettronica macchina sonora.
Osservando la foto di “quella piccola malinconica ragazza dell’ascensore che guarda in alto sospirando in un ascensore pieno di oscuri demoni”, ci nasce spontanea la stessa domanda di Kerouac, “qual è il suo nome e il suo indirizzo”?; è certo sempre più difficile trovare il nostro vero nome, cioè la nostra personale e irripetibile identità, l’unica che ci possa permettere un vero incontro d’amore con gli altri esseri umani.
Il libro di Frank si chiude con l’immagine di una donna e di un bambino che intravediamo appena oltre il vetro della nera, metallica, struttura di un’auto dai fari accesi nella sera, “il che avviene proprio prima dell’arrivo della notte completa che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge i picchi e rimbocca le ultime spiagge”, lungo una strada d’America il paese dove, secondo Kerouac, “nessuno sa quel che succederà di nessun altro se non il desolato stillicidio del diventare vecchi ”.
Ancora Kerouac dice che “la foto di quel tipo che osserva la sua mucca sul fiume Plate è la foto di un uomo che sta riconoscendo l’essenza della propria mente”, ma l’immagine di quel volto ci rimane nascosta e sconosciuta per sempre, nello stesso modo in cui, nella comunicazione dataci da Frank della allucinante mutazione antropologica che segue l’avvento della civiltà della tecnica prodotta dalla mente umana, ci rimane nascosta e sconosciuta per sempre qualsiasi via di salvezza e qualsiasi possibiltà per una vita umana più vera più libera.
Les Americans ha avuto molta influenza sui giovani fotografi, anche se, inizialmente, non è stato accolto favorevolmente dalla cultura dominante perché troppo critico verso l’ottimismo americano: le sue immagini non corrispondevano all’idea del ruolo, del livello di vita, dell’immagine che gli americani avevano di sé. Nonostante ciò questo libro diventerà successivamente il punto di riferimento per intere generazioni di fotografi e Frank inaugurerà un nuovo modo di guardare la realtà.
- Le sue immagini sono inquiete, sono organizzate in una struttura libera, sciolta, spesso appaiono come momenti ghermiti a caso. Contrastano con le armoniose ed eleganti fotografie di Cartier-Bresson, del quale avrebbe detto. “Hai la sensazione che egli non sia mai turbato da nessun accadimento che non sia la sua bellezza, o la composizione di un oggetto”. Frank invece non aveva alcun interesse per la bellezza, ma piuttosto per la cruda realtà, per quanto sgradevole o banale possa essere.
“Basta con la pretesa di cogliere il bell’ordine del mondo in uno di quei fuggevoli istanti in cui sembra cristallizzarsi. Non più momenti decisivi ma momenti in between fra quelli che appaiono pieni di significato e armonia. Dopo Frank il fotografo sa che i momenti decisivi non esistono, che i significati ce li mettiamo noi, e che sorte della fotografia non è saper sorprendere un mondo in flagrante reato di concordare con le nostre idee, ma vederlo così come è in sé, assurdo. Un mondo che preesiste al pensiero e al significato. Anche la scelta di messa in prospettiva delle sue fotografie non rispetta i canoni classici di inquadramento che sembra preferire dei tagli di realtà, dei frammenti di visione: a volte Frank preferisce portare la macchina (un apparecchio da 35mm) all’altezza dei fianchi e scattare “direttamente “ dalla nuda realtà.
In Frank il volto dell’uomo non c’è quasi più, come nella prima fotografia che apre il suo volume, Parata: nella facciata di un’umile casa in mattoni, una grassa signora dal volto che si perde nell’ombra assiste a una parata cittadina, mentre una grande bandiera sventolando copre il viso a un’altra donna che sta alla finestra.
Tutti i volti de Gli Americani configurano un unico ritratto d’uomo cioè l’uomo contemporaneo: alienato, in solitudine, ai piedi dei freddi grattacieli, fra le macchine, davanti ai juke-box, spersonalizzato e in balia del consumismo massificante. Questo uomo è quello che Frank, uomo europeo sensibile e intelligente, con disperata lucidità ritrae nella consapevolezza che “...nessun Mondo Nuovo resta all’uomo”.
BIBLIOGRAFIA
Burgin Victor, Two Essays on Art, Photography and Semiotics, Londra, 1976
Chiaramonte Giovanni, Robert Frank, fotografo, da “L’umana avventura, Guardando si vede”
Chiaramonte Giovanni, Storia della fotografia, Jaca Book, Milano, 1983
Kerouac Jack, Sulla strada, Mondadori, Milano, 1989
Lemagny Jean-Claude, Rouille Andre, Storia della fotografia, Sansoni, Firenze, 1988
Newhall Beaumont, Storia della fotografia, Einaudi, Torino, 1984
(a cura di) Pozzi Piero, Corso di analisi e storia della fotografia “Fotografia e rappresentazione del territorio”, Politecnico di Milano, Facoltá di Architettura, 1995/96
(a cura di) Pozzi Piero, Lo sguardo e le immagini, Doppiouni, 1998, (fotoarchivio digitale