Fontana di Trevi

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte
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LA FONTANA DI TREVI
La fontana di Trevi, deve il suo nome, così come il rione in cui è situata, al trivio presso Piazza dei Crociferi mentre la sua storia inizia con la Mostra dell’Acqua Vergine (la romana «Aqua Virgo» incanalata da Agrippa presso Salone nel 19 a.C. per alimentare le sue terme in Campo Marzio), ricostruita per volere di Niccolò V nel 1453 e orientata allora verso il summenzionato incrocio. Poi l’abbondante quantità di acqua servì per lungo tempo all’approvvigionamento di un lavatoio fatto costruire all’epoca di Sisto V a favore di lavandaie, tintori e pulitori di macchie che lavoravano affacciati alla piazza, di cui si conserva il toponimo Via del Lavatore. Un breve di Urbano VIII del 1640 dispone una prima ristrutturazione della Mostra dell’Acqua Vergine: allo scopo si dovevano utilizzare i marmi della Tomba di Cecilia Metella. Predisposto il cantiere, si diede inizio ai lavori, ma furono presto interrotti a causa della morte del pontefice e di sopraggiunte difficoltà economiche. In un’incisione della metà del ‘600 sono visibili i resti del cantiere e sparsi attorno alla vasca, con un fondale a nicchia, blocchi di travertino. Solo intorno al 1724 con il pontificato di Benedetto XIII si riprende il dibattito sull’abbellimento del Fonte di Trevi, ma sarà il suo successore Clemente XII, che desideroso di «bonificare» il quartiere, bandì nel 1732 un concorso per il nuovo affidamento dell’incarico. Luigi Vanvitelli partecipò al bando, ma, sebbene il suo progetto raccogliesse i maggiori consensi, la commissione fu data all’architetto Nicola Salvi. Inaugurata una prima volta nel 1735 da Clemente XII, come ricorda l’iscrizione nell’attico, fu completata da gruppi scultorei solo nel 1762, con alcune variazioni rispetto al progetto iniziale del Salvi. L’architetto Giuseppe Pannini aveva infatti apportato varie modifiche alla fonte, dando incarico a Pietro Bracci di scolpire il gruppo centrale in marmo disegnato da Giovanni Battista Maini e a Filippo Della Valle di eseguire le statue allegoriche nelle nicchie. Addossata alla facciata di Palazzo Poli, l’ultima delle grandi imprese monumentali del barocco romano, la fontana di Trevi costituisce un felice tentativo di fusione tra architettura e scultura, nonché un abile connubio fra rigore architettonico classico e concezione scenografica barocca. L’opera presenta sopra l’arco trionfale romano, costituito da un ordine di quattro colonne corinzie addossate a lesene, un grandioso attico con balaustra e figure allegoriche e iscrizione centrale con lo stemma di Clemente XII e rappresentazioni della Fama. Le due ali simmetriche laterali sono scandite da un ordine piatto di lesene, che vengono rese più vive dalle finestre superiori, che, con libertà e scioltezza, infrangono la continuità dell’architrave. Dalla grande nicchia centrale, con i suoi sei metri di altezza, emerge maestosa la statua di Oceano, dio del mare, in piedi su una grande valva di conchiglia trainata da due cavalli marini. A simboleggiare l’imprevedibilità dell’oceano uno di essi, imbizzarrito, è trattenuto da un tritone, mentre l’altro, mansueto, è afferrato per la criniera da un’altra fantastica creatura marina. Nelle nicchie laterali, a destra la Salubrità, con la sovrastante Vergine che indica la sorgente ai soldati di Andrea Bergondi, a sinistra l’Abbondanza, sormontata da Agrippa che approva il disegno dell’acquedotto di G.B. Grossi. Artificio e natura si fondono nella rappresentazione della scogliera e della vegetazione pietrificata (di derivazione berniniana), che raccorda la parte alta con la grande piscina della fontana, dove l’acqua giunge dopo aver attraversato tre vasche semicircolari. Se l’assetto spaziale complessivo della Piazza di Trevi così compressa è giunto invariato fino ad oggi si deve ringraziare una singolare provvidenza storica. La cronica mancanza di fondi dello Stato Pontificio, le residue titubanze degli sventratori napoleonici e la brevità di quel regime, sono alcuni capitoli dei rischi corsi dal complesso. Fra tutti il più pericoloso fu quello presentato da Valadier che, dapprima respinto per motivi economici, poi approvato dalla Commissione degli Abbellimenti, si proponeva di ottenere, con l’abbattimento dell’isolato tra la piazza e Via dell’Umiltà, una visione prospettica «degna» del monumento e di «regolarizzare» ad un tempo la piazza, a spese ovviamente della dinamicità spaziale della fontana esaltata proprio dalle ridotte dimensioni della piazza.

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