Fauves, Cubismo, Espressionismo e Surrealismo

Materie:Appunti
Categoria:Storia Dell'arte

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Testo

I fauves ed Henri Matisse: 18 ottobre 1905 a Parigi, fu inaugurato il Salon d’Automme. Il giornalista Vauxcelles che lo visitò, rimase impressionato dai dipinti composti da colori talmente violenti e scrisse di una di una scultura classica: Donatello chez les Fauves. Quella statua, gli pareva davvero molto classica in mezzo a tale aggressività. Il dispregiativo “fauves”, venne accolto dagli stessi artisticome segno di riconoscimento che li raggruppava sotto un’ unica bandiera. Questo gruppo, però, non sorse mai come movimento vero e proprio, ma si riconosceva in alcune comuni convenzioni. Il dipinto, deve dare spazio essenzialmente al colore, non bisognava dipingere secondo l’impressione, ma in relazione al proprio sentire interiore , cioè bisogna esprimere sé stessi e rappresentare le cose dopo averle fatte proprie. La pittura, dando corpo alle sensazioni dell’artista davanti all’oggetto da riprodurre, deve essere istintiva e immediata e il colore va svincolato dalla realtà che la rappresenta. L’interesse dell’artista, non è mai indirizzato verso la riproduzione realistica della natura.
Henri Matisse: nato nel 1869 a Cateau-Cambresis, compì i primi studi nella sua città natale. Successivamente si trasferì a Parigi, dove seguì corsi di giurisprudenza. Nel 1889 grazie ad una malattia che lo tenne a letto, Matisse cominciò a dipingere. Si convinse poi che la pittura era la sua vera vocazione e cominciò a studiare presso accademie private e alla scuola di belle arti di Parigi, ma studiò anche nell’atelier di Mureau, maggiore esponente della pittura simbolista. Conobbe Derain e De Vlamick, e con essi formò il gruppo dei “Fauves”. Matisse, trascorse molti anni nel sud della francia e conobbe la tragedia delle 2 guerre mondiali. Morì nei pressi di Nizza nel 1954.
Fu influenzato inizialmente dall’impressionismo, dalla volumetria ricomposta per larghe campiature di colore di Cezanne, venne poi attratto dall’esperienza divisionista, e successivamente ancora verso il piacere del colore e della pittura intesa come “gioia di vivere”. L’avvicinamento con il neoimpressionismo, lo condusse a creare un nuovo modo di dipingere e di guardare la realtà.
“Donna col cappello”: venne esposta al Salon d’Automne nel 1905. L’insieme dei colori appena giustificati dalla forma a cui danno vita, parve a un critico “una pentola di colori rovesciata in faccia al pubblico”, ad un altro critico, parve invece “giochi barbari e ingenui di un bimbo che si trastulla con una scatola di colori” . la donna, posta a 3/4 , volge il suo sguardo verso il pubblico, e si mostra nel suo ricco e sovrabbondante abbigliamento borghese, dominato da un fastoso e monumentale cappello. La violenza delle tinte, è il modo impiegato dall’artista per affermare sé stesso e la sua personalità. I colori, sono deposti sulla superficie pittorica sia puri che in unione. Matisse, non cerca la somiglianza cromatica oggettiva, ogni tinta ha però una precisa funzione nel modellare le masse e nel creare le ombre. Il colore, è distribuito con veemenza sulla tela e con immediatezza tale da non coprirla totalmente: ampi brani non dipinti del supporto, affiorano qui e la e diventano così elementi stessi della composizione.
Successivamente, la ricerca di Matisse, si sposta verso un’ulteriore semplificazione delle forme: essenzialità cromatica, uso di tinte contrastanti e linee ritmiche ornamentali. La vita artistica di Matisse, fu costituita da un continuo alternarsi di fasi ove l’aspetto decorativo predomina o al contrario, vi è imposto un certo naturalismo.
“La stanza Rossa”:
1908 conservato a San Pietroburgo. Al colore dato per strisce e chiazze dirompenti di molteplici tonalità, si sono sostituite la grande superficie di colore pieno e la bidimensionalità decorativa.
I primari rosso e giallo, sono le tinte dominanti, la costruzione prospettica, che è indicata dalla sottile linea nera del bordo del tavolo e dalla piega della tovaglia, sulla sinistra, appena accennata, nonché dalla sedia e dallo spessore del muro dove e ritagliata la finestra, è annullata dalla scelta dello stesso rosso, con l’identico motivo floreale in blu e nero ad anse, sia per la tovaglia che ricopre il tavolo sia per il rivestimento murario. L’aspetto piatto, che esalta i colori e i decori, è confermato anche dal paesaggio al di là della finestra, dove sintetici alberi fioriti si stagliano contro un prato verde e un cielo azzurro.
“I pesci rossi”: 1911: il naturalismo ritorna assieme al piacere per il colore chiazzato e vibrante. Il tavolino rotondo e il vaso di vetro con quattro pesci rossi, che sostiene, sono visti quasi assonometricamente e non in prospettiva. Il grado più elevato del naturalismo, è nei riflessi rossi sulla superficie dell’acqua. Matisse tende al massimo dell’espressione con il minimo dei mezzi.
L’espressionismo:
L’ “espressionismo” è un’avanguardia artistica del 1900(1905/25) e l’area geografica di sviluppo è l’Europa centro-settentrionale e in particolar modo in Germania.
L’espressionismo tedesco è un fenomeno culturale che si manifesta non solo nell’arte, ma anche nell’architettura, letteratura, teatro e cinema.
Contrariamente all’impressionismo che rappresentava il “moto” dall’esterno verso, l’interno, l’espressionismo, rappresenta il “moto” inverso, cioè, dall’interno verso l’esterno: dall’anima dell’artista direttamente nella realtà. La natura dell’espressionismo, inteso come proiezione immediata di sentimenti e stati d’animo estremamente soggettivi, è ricca di contenuti sociali, di spunti dialettici, di drammatica testimonianza della realtà. L’espressionismo, tende a togliere al mondo ogni sua realtà oggettiva per trasferirla nella sfera del personale. Se le motivazioni di conflitto date dall’espressionismo, sono contemporanee e profondamente radicate nella società, dove i contrasti di classe hanno creato disoccupazione e squilibri devastanti, i mezzi tecnici per dare loro forma, hanno origini antiche. Dietro i colori violenti, le forme sommarie, i modellati angolosi, rispunta la vera e immortale anima tedesca, legata in modo indissolubile alla cultura gotica, con la sua ansia di religiosità. E a quella barocca, che della prima rappresenta una sorta di raffinata variante evolutiva.
Le forme e i colori, perso qualsiasi rapporto d’equilibrio e di reciprocità, inizieranno una lotta furiosa, che tingerà i cieli di rosso, rappresenterà uomini e donne di scheletrica angolosità, distruggerà ogni sentimento bello, soffocherà ogni aneddoto d’amore nell’abbraccio della morte.

Il gruppo “ Die Brucke”:
Nel 1905, 4 studenti di architettura dell’università di Dresda, interrompono i propri studi, per dedicarsi solamente alla pittura. Nasce così il gruppo Die Brucke.
Il forte cemento di questa società è nell’ideologia che accomuna i suoi componenti. Negli ambiziosi intenti dei suoi promotori, seguaci della filosofia di Nietzsche, vogliono porsi come ideale “ponte” tra vecchio e nuovo, contrapponendo il 1800 realista e impressionista con il 1900 violentemente espressionista e antinaturalista. Il concetto di ponte di trapasso tra vecchio e nuovo, rappresenta il carattere fondamentale del gruppo, che con alterne vicende, protrae la sua esistenza fino al 1911.
Nel manifesto del 1906 si legge che gli artisti della Die Brucke, accolgono tutti coloro che, direttamente e sinceramente, riproducono il loro impulso creativo.
L’impulso creativo e il piano tecnico, sono gli elementi che accomunano le personalità del gruppo. I soggetti, sono abbastanza omogenei: scene d realtà metropolitana, nudi nel paesaggio o interni, gruppi di ballerine e scene di circo. Hanno un’esagerata enfatizzazione dei colori e una voluta spigolosità delle forme, sempre legate da un’ironia sottile e dolorosa, a volte addirittura macabra
“Cinque donne per la strada”: Kirchner: rappresenta un gruppo di prostitute in attesa. L’atmosfera è quella ambigua della sera, in una squallida via di Berlino. I bagliori giallognoli dei lampioni a gas, gettano lame di luce che fanno meglio risaltare l’azzurro nerastro dei lunghi abiti delle donne. Queste, agghindate con pellicce verdastre ed esagerati cappelli, paiono tanti uccelli spettrali. I loro lugubri volti, hanno contorni taglienti come coltelli.
Sono rappresentate come tetre forme animalesche, torbide dispensatrici di morte, simbolo grottesco della degenerazione morale e dell’inaridirsi dei sentimenti umani.
“Ballerina”: Nolde: litografia a colori del 1913. Viene spezzato ogni schema disegnativi, e ci getta addosso al personaggio con sensualità istintiva e selvaggia vitalità. La scena rappresenta una ballerina nuda che si esibisce su un palcoscenico di un locale alla periferia di Berlino. È colta in un atteggiamento di furia scomposta, quasi animalesca, e al ritmo forsennato della musica si produce in una danza che coinvolge tutto il suo corpo. Rappresenta una moderna rappresentazione della Menade Danzante. La testa reclinata all’indietro, la bocca spalancata in un grido, il triangolo del pube che si intravede, simbolo d’amore e di morte, attraverso le frange di un gonnellino semi-trasparente, sono altrettanti, fortissimi richiami sessuali. La ballerina, è un mostro impazzito, e chi la guarda e mostro anch’esso, perché si rapporta al corpo femminile solo con la superficiale brutalità di chi non sa più ne pensare ne comprendere e ne di conseguenza amare.
Questo, è il messaggio espressionista. È un tragico grido di dolore lanciato contro l’indifferenza della società borghese. La violenza espressiva, a volte al limite del volgare, e non addirittura del ripugnante, non è altro che il tentativo disperato di aprire un varco nelle coscienze addormentate.
“Edvard Munch”(1863-1944)
Si trovano in lui, tutti i grandi temi psicologici e sociali del tempo.
Personalità complessa e contraddittoria, nacque in Norvegia nel 1863.
Dal 1880 entrò a far parte della Scuola reale di Pittura di Oslo, e la sua formazione, risente dell’evidente impostazione naturalistica dei suoi primi maestri. Fondamentali per la sua formazione, sono i soggiorni che compie all’estero. Il contatto con gli impressionisti parigini, gli consentì di illuminare la propria tavolozza. Anche l’esperienza impressionista, venne presto superata.
Nel 1892, espose a Berlino 50 suoi dipinti, ma il giudizio della critica fu drastico e la mostra venne chiusa dopo una settimana. Ciò nonostante, ricevette, l’ufficiale accettazione da parte delle avanguardie artistiche berlinesi, che lo invitarono a risiedere nella capitale per altri 3 anni. Anche se di salute debole, prese parte a tutte le mostre d’avanguardia europee. Nel 1914, i tempi sono ormai maturi affinché la sua arte anche se non venne mai del tutto compresa, venga comunque accettata. Nel 1937, conobbe le prime persecuzioni naziste. Nel 1940, i tedeschi invasero la Norvegia ed egli si rifugiò negli stati uniti. Morì nel 1944 ad Oslo. Le radici dell’arte di Munch, sono più letterarie che figurative: ha una visione della realtà profondamente premeata dal senso incombente e angoscioso della morte. L’amore è visto come l’affiorare di un’animalità primitiva e insopprimibile e la voglia di annullarsi, viene ancora letta come espressione di morte.
Parte dall’abbandono di ogni tradizionalismo, abolisce il disegno e il chiaroscuro.
Gli elementi rappresentativi di Munch, sono nuovi e diversi, non vuole rappresentare sentimenti, non materiali e anche i personaggi, sono involucri o passioni di angosce.
“Sera del corso Karl Johann”:1892, esposto alla fallimentare mostra di Berlino. Rappresenta la passeggiata serale, nella via principale della sua città natale. Qui il passeggio dell’ambiente borghese, è ambientato come un’orrida processione di spettri dagli occhi sbarrati. Dell’umanità dei personaggi rimangono solo: i seri cilindri degli uomini e gli sfiziosi cappellini delle donne. I volti, sono maschere scheletriche, oscure incarnazioni di forze misteriose e spaventevoli.
Rappresenta, un feroce attacco alla borghesia e alle sue vuote ritualità, ma è anche un attacco alla politica poiché vi è rappresentato il parlamento, le cui finestre gialle sembrano occhi sinistri, che controllano che tutto vada bene. L’unico elemento di disarmonia, è la figura che si incammina sulla destra, ombra incerta e solitaria che è la rappresentazione del pittore stesso, cioè colui che è incurante del senso della massa e rema quindi controcorrente.
Il simbolismo di Munch, si fa ancora più maturo nel quadro “il grido”.
“L’urlo”: la scena è autobiografica, ed ha molti riferimenti simbolici. L’uomo, esprime nella solitudine la sua individualità, il dramma collettivo dell’umanità intera. Il ponte, la cui prospettiva si perde nell’orizzonte, rappresenta i mille ostacoli che ognuno deve superare nella propria esistenza, mentre gli “ amici” continuano a camminare, incuranti del nostro sgomento, rappresentano con cruda disillusione la falsità dei rapporti umani.
I contenuti, non sono mai disgiunti dalla forma, ma che qui perde ogni residuo naturalistico e diviene preda delle angosce più profonde dell’artista. L’uomo, leva alto e inascoltato l’urlo è di un essere alto e quasi serpentinato, quasi senza scheletro, fatto della stessa materia filamentosa di cui sono fatti il cielo e il mare oleoso. Al posto della testa, c’è un enorme cranio repellente. Le narici, sono 2 fori, gli occhi sbarrati e le labbra nere, rimandano alla putrescenza dei cadaveri. È un urlo disperato e primordiale che esce dalla bocca straziata, e si propaga nelle convulse pieghe di colore del cielo, della terra e del mare. È l’urlo di chi si è perso dentro sé stesso e si sente solo. L’opera fa parte del “fregio della vita”.
“Pablo Picasso”:
Nacque nel 1881 a Malaga. Suo padre, insegnante nella locale scuola d’arte, lo avviò all’apprendimento artistico, ed egli mostrò subito uno straordinario talento.
“ a 13 anni dipingevo come Raffaello, ci ho messo una vita per dipingere come un bambino”
1891. frequenta la scuola di arte e mestieri di La Coruna.
1895: ammesso alla accademia di belle arti di Barcellona
1897: accademia reale di san Francisco a Madrid.
Compì numerosi viaggi in Catalunya.
Quando tornò a Madrid, frequentò il “Prado”, perché s’interessò allo studio dei grandi pittori spagnoli.
Alla fine del 1800 torna a Barcellona. Anni di grande confusione interiore, anni però dove getta le basi di quella che sarà la sua straordinaria capacità di dedicarsi a qualsiasi tipo di espressione artistica.
Nel 1900 si reca a Parigi.
Nel 1901, la sua pittura, ebbe una prima svolta, grazie anche al suicidio del suo amico Casagemas. S’inaugurò il “periodo blu” che finirà nel 1904. È un tipo di pittura giocato sui colori fredi, come se gli occhi dell’artista fossero velati da un cristallo azzurro e il suo cuore da una perenne malinconia.
1905: Periodo Rosa. Periodo di intensa produzione, ma di breve durata, che costituisce la logica prosecuzione del periodo precedente. Al mondo degli sfruttati e degli emarginati, si sostituiscono soggetti dell’ambiente del circo e dei saltimbanchi.
1906: ultimo periodo “ epoca negra” interessamento alla scultura africo-polinesiana, ricerca la forza espressiva di un’umanità spontanea e incorrotta, non ancora contaminata dall’ideologia e dai condizionamenti sociali.
1907: espone “les demoiselles d’avignon”: opera capostipite del movimento cubista.
Alla fase analitica, ove Braque e Ricasso non firmano i loro dipinti, segue quella sintetica ove si precisano le diversità stilistiche dei 2 artisti.
Ricasso, è come un fiume in piena: la sua fantasia e la innata propensione al disegno lo fanno procedere per geniali intuizioni. I colori, sono brillanti e le superfici, perfettamente piatte. Usa molti “collage” x attaccare alla tela materiali e oggetti eterogenei da a ogni composizione un significato nuovo e provocatorio.
Morì nel 1973.
Era un eccellente disegnatore, e ciò lo si evince sia dagli schizzi preparatori per i dipinti sia dall’impostazione grafica. Il suo segno è sempre nitido e inconfondibile, sia nei tratti soggetti cubisti sia in quelli figurativi, come in una puntasecca.
“Poveri in riva al mare”:Barcellona 1903. I 3 personaggi scalzi e infreddoliti, sono la metafora della sacra famiglia. Anche se hanno un aspetto misero hanno una dignità quasi monumentale. La madre, richiama la volumetria di certe donne giottesche. Anche se è un quadro monocolore, differenzia marcatamente i tre elementi primigeri della natura: terra, acqua e aria. Le 3 fasce orizzontali che si creano, contrastano con la loro geometrica uniformità, e i 3 personaggi in primo piano, li isolano nella scena per sottolinearne il loro muto dramma.
“Les demoiselles d’Avignon”: inizialmente, il dipinto rappresentava 7 personaggi(2 uomini), e dopo 17 studi i 2 uomini scompaiono ed il gruppo dei nudi femminili, divenne più compatto. Partendo dalle solide volumetrie di Cézanne, Picasso semplifica le geometrie dei corpi e coinvolge in tale semplificazione anche lo spazio. Lo spazio, diviene un oggetto alla pari degli altri, da scomporre secondo i taglienti piani geometrici che lo delimitano. Le figure femminili, sono compenetrate dallo spazi, e a parte il colore rosato dei nudi, cosicché ogni differenza tra contenuto(i personaggi) e contenitore( lo spazio), viene automaticamente annullata. Per la realizzazione dei volti delle figure centrali, Picasso si ispira alla cultura iberica, e le figure di destra hanno l’influsso delle maschere rituali dell’Africa nera. In un caso e nell’altro, vengono stravolte tutte le regole della prospettiva e anche quelle del senso comune. Le apparenti incongruenze sono finalizzate a una nuova e diversa percezione della realtà., non più visiva, ma mentale, cioè volta a rappresentare tutto quello che c’è e non solo quello che si vede. Perciò non ci dobbiamo meravigliare se un personaggio lo si vede contemporaneamente su due o più lati: è come se ci girassimo intorno e tentassimo di ricostruire le varie viste sovrapponendole l’una all’altra.
1937: guerra civile spagnola, Picasso, dipinge “Guernica”.
“Guernica”: già nelle sue dimensioni, denuncia la propria funzione di manifesto ideologico politico, fatto per essere conservato contemporaneamente osservato da un numero grandissimo di persone.
Rappresenta il drammatico momento del bombardamento. Il colore, sinonimo di vita, viene abbandonato in favore di un tetro bianco e nero, e le figure appaiono come spettri urlanti, illuminate all’improvviso dai bagliori sinistri delle esplosioni. La composizione, è organizzata su tre fasce veritcali: due laterali più strette, fra loro uguali, simmetriche a quella centrale, più larga, ove è ammassato il maggior numero di personaggi. L’ambientazione, è contemporaneamente interna ed esterna. In questo spazio caotico e indifferenziato uomini, donne e animali fuggono e urlano come impazziti, sovrapponendosi e compenetrandosi, accomunati dallo stesso dolore e dalla stessa violenza. Alla sinistra, una madre, lancia un grido straziante e stringe tra le mani il cadavere del figlio. Le fa eco dal lato opposto della tela un altro personaggio che fa un urlo disperato e che alza le mani al cielo. Al centro c’è un cavallo ferito, che nitrisce dolorosamente e protende verso l’alto la lingua aguzza. Morte e distruzione sono sottolineate da un disegno duro e tagliente, che rende anche i raggi del lampadario altrettante piccole spade acuminate. Chi può cerca di fuggire, come la donna posta all’angolo inferiore destro, che si slancia verso il toro, simbolo di violenza e bestialità. Una donna si affaccia disperatamente dalla finestra e regge una lampada a petrolio, simbolo della regressione alla quale conduce la guerra. Al suolo, tra le macerie, ci sono i cadaveri. A sinistra, una mano protesa, con la linea della vita simbolicamente spezzata in minuti segmenti. Al centro del dipinto, una mano, serra una spada spezzata e sullo sfondo, un fiore intatto, simbolo di vita e giovinezza.
In questo dipinto, Picasso riunisce cubismo analitico e cubismo sintetico. Tutto è movimento, convulsione e dramma. Le bocche rivolte al cielo, urlano di dolore e vendetta, e il brusco alternarsi di luci e ombre, sottolinea il sinistro susseguirsi di esplosioni e incendi.
“Umberto Boccioni”:
nasce nel 1882.
1900/06: Roma. Qui approfondisce i suoi interessi per la pittura e la letteratura, prende lezioni di disegno e frequenta la scuola libera del nudo. Conosce Balla che è da poco rientrato da Parigi, dal quale apprende la tecnica del divisionismo.
1907: s’iscrive alla scuola libera del nudo di Venezia, ma poi si trasferisce a Milano. Nei dipinti di questo primo periodo, affiorano sia le lezioni di Balla sulla tecnica divisionista, ma c’è anche un riferimento alla pittura impressionista e postimpressionista.
1910: conosce Marinetti.
Aderisce con entusiasmo al “futurismo” e collabora con il “manifesto dei pittori futuristi”.
1914: pubblica “pittura, scultura futuriste”: importante testo teorico, ove definisce con grande lucidità i concetti fondamentali della pittura futurista, come quelli di linea-forza di dinamismo e simultaneità.
Muore nel 1916.
Il lavoro che segna il suo sviluppo artistico è la “città che sale”: è un turbinoso affollarsi di cavalli e di uomini, che invade quasi l’intero campo d’immagine e che lascia emergere le alte impalcature di alcuni edifici in costruzione. Lo scenario ove si svolge questa battaglia di movimenti e di forze, è una periferia urbana. Il futurismo, ha sempre collocato la propria azione poetica sullo sfondo della metropoli moderna. Un tema che emerge, è anche quello del lavoro. Una febbrile attività, anima le figure degli uomini e dei cavalli in primo piano, deformandone i corpi in esasperate tensioni muscolari. Le loro movenze, sono evidenziate dalla tecnica divisionista: evidenzia la componente cromatica, costituita da masse di colore che si compenetrano o si scontrano e generano un effetto dinamico, come se il vento, attraversasse la scena. In Boccioni, è del tutto nuovo il modo in cui le periferie urbane, si fondono sulla tela.
L’obiettivo di Boccioni, è andare oltre la pura raffigurazione degli oggetti, per arrivare ad un livello ancora più alto di comunicazione, quello dell’espressione diretta di una sensazione, di un’emozione e di uno stato d’animo.
“stati d’animo”: 1911. Vi è analizzato uno stesso evento, nei suoi diversi risvolti emotivi, restituendone alcuni aspetti salienti che corrispondono, ad altrettanti “stati d’animo”. La concezione della pittura come espressione della “sensazione”, la riaffermazione del ruolo fondamentale della tecnica divisionista, oppure ancora la dichiarazione esplicita che “il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi”. Negli “addii” che è il primo dipinto della serie, il linguaggio deriva dalla tecnica della scomposizione divisionista, portata ai limiti estremi della sue possibilità. Le ondeggianti e nervose linee di colore che serpeggiano sulla tela hanno sostituito l’originaria struttura puntiforme e acquistato dimensioni di masse cromatiche. Lasciano intravedere figure appena delineate nell’atto di unirsi in un abbraccio e in qualche modo riverberano quel movimento, espandendone la dinamica nello spazio circostante.
Nella seconda edizione de “Gli addii”: il linguaggio risente della cultura cubista. Nel espandersi dinamico della scomposizione dei volumi una serie di figure sfaccettate, ormai lontane da qualsiasi naturalismo, ripetono la sequenza del movimento dell’abbraccio moltiplicandola nello spazio. Al centro del dipinto. Vi è una vaporiera. Come in un insieme di tanti dettagli fotografici, si possono osservare il tondeggiante Duomo della caldaia e il fumo che sale, diventando un gioco di colori con toni arancioni e celeste, e il numero di serie posto sulla locomotiva che affiora tra l’assieparsi di linee e di piani, e assume proporzioni tanto irreali come solo nella memoria può accadere.
I criteri della pittura futurista, sono enunciabili nei vari manifesti e immediatamente riconoscibili all’interno dell’opera: simultaneità della vision, intesa come contemporaneità degli eventi e degli aspetti della realtà, non più inquadrabili all’interno del piano prospettico univoco e unitario.
Il secondo criterio è quello della sintesi tra la visione ottica, e la visione mentale, cioè la consapevolezza della complessità dell’atto del guardare una forma. La percezione globale di ogni oggetto e di ogni personaggio, si compone di due fasi distinte: quella della percezione diretta istante e per istante, e quella della memoria delle configurazioni e dei movimenti che quel personaggio o quell’oggetto hanno continuato ad assumere nel tempo.
Terzo criterio: tipicamente futurista: compenetrazione dinamica estrema vicinanza e sovrapposizione tra gli oggetti e le loro forme, che gli uni penetrino gli altri e viceversa. Lo studio della compenetrazione dinamica e la sua applicazione, sono finalizzati a portare “lo spettatore al centro del quadro”.

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