Nicotina: Entita' del problema

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Testo

Entita' del problema
L'abuso di alcol, eroina e cocaina e' ritenuto direttamente, o indirettamente, la causa delle tre principali cause di morte degli adolescenti: incidenti stradali, omicidio, suicidio. Un'indagine recente negli Stati Uniti ha calcolato che almeno un quarto dei suicidi tra gli adolescenti ha l'abuso di droga o di alcol come concausa.
L'abuso di droghe e alcol produce anche conseguenze non mediche tra gli adolescenti quali il fallimento a scuola, l'incarcerazione, l'allontanamento dal nucleo familiare e la perdita del posto di lavoro. Alcune di queste conseguenze sono pero' legate allo stato illegale di alcune droghe.
L'adolescente che abusa di alcol e droghe illecite costituisce un problema difficile per se stesso, la famiglia, il medico, la societa' e anche per il neurobiologo che voglia studiare gli effetti delle droghe e dell'alcol sul cervello dell'adolescente. Egli si trova a dovere aggiungere l'importante variabile dell'eta' adolescenziale al gia' complesso problema degli effetti di queste sostanze sul cervello dell'adulto. Infatti il cervello dell'adolescente non ha ancora completato il suo sviluppo.

Plasticita' Neuronale
Benche' il numero dei neuroni sia gia' definitivamente stabilito fin dalla prima infanzia, il cervello continua a presentare fino all'adolescenza un fenomeno chiamato plasticita' neuronale. Esso consiste nella produzione o eliminazione di sinapsi, nella progressiva mielinizzazione di fibre nervose, nelle variazioni della concentrazione di neurotrasmettitori e dei sistemi della loro neutralizzazione, infine nella variazione del numero dei recettori dei differenti neurotrasmettitori. Questi processi di plasticita' neuronale sono controllati, in parte, dagli stessi neurotrasmettitori. Ad esempio, variazioni nelle concentrazioni della dopamina nelle sinapsi possono modificare in piu' o in meno il numero dei recettori di questo neurotrasmettitore. Un ruolo particolarmente importante nei processi di sinaptogenesi svolge l'acido glutammico. Questo neurotrasmettitore eccitatorio agendo in particolari recettori chiamati NMDA decide sul "destino" di certi neuroni e di certe connessioni neuronali.
Poiche' le diverse droghe, come la cocaina, l'amfetamina, l'eroina e l'alcol modificano l'azione di differenti neurotrasmettori esse alterano pertanto le normali condizioni nelle quali devono realizzarsi i suddetti processi neurobiologici.
E' prevedibile che l'assunzione di queste sostanze in dosi adeguate e per tempi sufficientemente prolungati possa influenzare lo sviluppo neurobiologico del cervello dell'adolescente e quindi i suoi correlati funzionali: cognitivi emotivi e comportamentali.
Poiche' nel bambino e nell'adolescente i successivi livelli di organizzazione di tipo cognitivo, psicologico, sociologico possono realizzarsi solo se si sono organizzati i precedenti stadi di organizzazione un'alterazione nella maturazione neurobiologica potrebbe avere delle conseguenze a lungo termine.

Lo stato dell'arte
Il problema degli effetti di sostanze chimiche sul cervello dell'adolescente e' importante per incidenza e gravita', eppure le ricerche in questo settore sono scarsissime. Le informazioni disponibili, anche queste non numerose, originano dallo studio del cervello del ratto.
Accennero' alle ricerche sugli effetti della cocaina, amfetamina e alcol sui neuroni dopaminergici e glutammatergici. Il primo neurotrasmettitore svolge un ruolo importante nel trasmettere gli effetti gratificanti in questi farmaci e nella loro capacita' di dare dipendenza.
Il glutammato svolge invece, come si' e' detto, un ruolo importante nella plasticita' cerebrale.
I neuroni dopaminergici sono presenti alla nascita, ma e' stato osservato che la loro maturazione continua, sia nel ratto che nei primati, fino all'eta' matura, nel senso che si producono piu' connessioni, piu' recettori e piu' dopamina. Invece, nell'animale anziano i neuroni dopaminergici si riducono progressivamente di numero.
I neuroni dopaminergici sembrano piu' attivi nell'animale adolescente. Questi e' infatti piu' attivo e curioso dell'ambiente dell'animale adulto. L'attivita' esploratoria e la curiosita' sono considerate tra le funzioni controllate dalla dopamina nel sistema limbico. Nell'animale adolescente gli effetti stimolanti della cocaina e dell'amfetamina sono ridotti mentre sono potenziati quelli dell'alcol. Nel primo caso si pensa che i recettori della dopamina sono gia' "bombardati" in eccesso dalla dopamina endogena. Perche' l'effetto dell'alcol sia potenziato non e' spiegato.
Purtroppo non esistono studi nell'animale adolescente che chiariscono se le suddette droghe producono maggiore effetto gratificante, se la dipendenza si sviluppa piu' facilmente e se persiste piu' a lungo quando inizia nel periodo dell'adolescenza.
Non esistono studi che confrontano l'effetto delle droghe nel ratto adolescente con il ratto anziano, nel quale i neuroni dopaminergici sono diminuiti.

Ormoni, neurotrasmettitori e droghe
E' importante tenere presente il fatto che durante l'adolescenza si presentano delle grandi modificazioni della secrezione di differenti ormoni (sessuali, ipofisari) i quali influiscono sull'attivita' dei neuroni dopaminergici e viceversa.
Un problema di particolare importanza e' il chiarire se gli effetti dell'alcol sui neuroni glutammatergici e sul recettore NMDA nell'adolescente sono differenti rispetto all'adulto.
L'alcol e' un inibitore di questo recettore, la cui attivazione, come si e' detto, e' importante per provocare la produzione o l'eliminazione di determinate connessioni neuronali. Inoltre un'eccessiva stimolazione dei recettori NMDA puo' provocare la morte dei neuroni sui quali questi recettori sono localizzati.
E' stato osservato che la sensibilita' dei recettori NMDA agli effetti dell'alcol e' superiore nell'animale immaturo rispetto all'adulto.
Inoltre si e' visto che se il cervello e' esposto a concentrazioni sufficientemente alte e prolungate di alcol, i recettori NMDA aumentamo di numero, per compensare al loro blocco funzionale da parte dell'alcol.
Quando l'assunzione dell'alcol cessa, durante l'astinenza i recettori NMDA che erano divenati piu' numerosi che di norma, subiscono una maggiore stimolazione da parte dell'acido glutammico e cio' puo' provocare la morte dei neuroni. Queste considerazioni hanno grande interesse clinico per quegli adolescenti che usano consumare quantita' rilevanti di alcol durante gli weekend. Sara' importante sapere se le ripetute sbronze con le relative astinenze provocano quei danni, specie a carico dei neuroni dell'ippocampo, che gli studi preclinici farebbero prevedere.

Il Problema della sensibilizzazione
Recentemente, studiando gli effetti delle ripetute somministrazioni di droghe e' stato scoperto un fenomeno di estremo interesse clinico: la cosidetta "sensibilizzazione". Si e' osservato cioe' che le ripetute somministrazioni nel ratto di cocaina, amfetamina, morfina e perfino di nicotina, sensibilizzano l'animale agli effetti comportamentali delle successive somministrazioni della stessa sostanza, anche se questa viene iniettata molto tempo dopo l'ultima dose. Ad esempio, una dose di cocaina normalmente inefficace diventa molto potente se viene somministrata ad un animale che ha avuto nel passato ripetute somministrazioni della stessa sostanza.
Le implicazioni cliniche del fenomeno della sensibilizzazione sono evidenti: essa puo' spiegare gli effetti dirompenti di una dose di eroina, alcol, cocaina, nicotina, in individui che hanno smesso di assumere queste sostanze. Il che puo' spiegare perche' la dipendenza riprecipita se uno riprende anche per una sola volta a fumare, a bucarsi o a bere. Ma il fenomeno della sensibilizzazione e' ancora piu' interessante. E' stato scoperto che la cocaina non sensibilizza solo verso se stessa ma anche nei confronti dell'eroina e viceversa.
Infine, e questo interessera' particolarmente i sociologi e gli psicologi, si e' visto che gli stress ripetuti sensibilizzano non solo agli effetti di uno stress successivo, ne' piu' ne' meno di cio' che succede per le droghe, ma sensibilizzano anche agli effetti della cocaina e dell'eroina.
Sara' di grande interesse verificare se il fenomeno della sensibilizzazione ha delle peculiari caratteristiche nel periodo dell'adolescenza.
Non si conosce se la marijuana produce sensibilizzazione, se cosi' fosse sarebbe importante sapere se si estende alle "droghe pesanti".

Conclusioni
L'assunzione di alcol e di droghe nel periodo adolescenziale modifica la funzione di alcuni tipi di neuroni nel momento in cui la loro normale attivita' e' importante per creare o eliminare connessioni tra di loro. E' ragionevole pensare che l'assunzione di queste sostanze possa produrre delle alterazioni nello sviluppo del cervello con delle conseguenze funzionali sullo sviluppo psicologico dell'adolescente. Tuttavia dobbiamo onestamente riconoscere che non esistono studi clinici o preclinici che dimostrino che queste alterazioni vengano effettivamente prodotte dall'azione delle droghe nel periodo dell'ontogenesi cerebrale.
Per via dell'importanza e l'incidenza del fenomeno tali ricerche dovrebbero essere affrontate tramite tecnologie, conoscenze e modelli sperimentali adeguati. Sono gia' disponibili tecniche non invasive, come la PET e la SPECT, che permettono di studiare la funzione di determinati sistemi neuronali anche in clinica.
Ad esempio, chiarire gli effetti neurobiologici delle droghe e dell'alcol nel bambino e nell'adolescente potrebbe permettere efficaci interventi di prevenzione, quali l'identificazione precoce dei bambini con alta probabilita' di diventare alcolisti da adolescenti.
Inoltre la conoscenza reale di questi fenomeni puo' offrire argomenti efficaci nella educazione sanitaria. Crediamo sia molto piu' convincente spiegare perche' queste sostanze non dovrebbero essere assunte anziche' genericamente affermare che fanno male.
Fattori di rischio e di protezione
Per cercare di chiarire quali fossero le variabili che, nel corso di tutta l'adolescenza, potevano favorire o impedire l'uso di droghe erano necessari degli studi prospettici, che seguissero i bambini e gli adolescenti per diversi decenni. A metà degli anni '60 Margaret Ensminger e Sheppard Kellam della John Hopkins University individuarono un campione di circa 1200 alunni che frequentavano la prime classi elementari di Woodlawn, un sobborgo povero a Sud di Chicago e, da allora, i ragazzi e le loro famiglie sono stati intervistati, visitati e valutati regolarmente per 30 anni.
I risultati finali di prossima pubblicazione dimostrano come dalla prima elementare o anche prima i bambini mostrino dei tratti temperamentali e dei comportamenti che sono potenti indicatori della loro inclinazione all'uso ed abuso di droghe nell'adolescenza e nell'età adulta. Recenti elaborazioni dei dati hanno consentito non solo di individuare significativi fattori di rischio ma anche comportamenti che proteggono dall'uso di sostanze sin dalla prima adolescenza.
Sono stati individuati quattro fattori endogeni come l'introversione-timidezza, l'aggressività- irritabilità, la tendenza alla ribellione e l'appartenenza al sesso maschile ed alcuni fattori esterni all'adolescente, come l'uso di sostanze nel gruppo di appartenenza, nei propri genitori e l'aver avuto dei problemi con la legge.
I fattori protettivi sono principalmente: avere dei buoni risultati scolastici, essere impegnati in attività dopo-scuola ed avere dei solidi legami affettivi familiari.
Gli studi iniziali consentirono di valutare la salute psichica mediante dei semplici criteri come l'adattamento sociale e lo stato psicologico. Per misurare l'adattamento sociale alla scuola i ricercatori utilizzarono gli stessi parametri usati degli insegnanti cioè il comportamento del bambino in classe, la sua intelligenza (misurata con test specifici) e le risposte a domande standard che misurano l'adattamento scolastico e sociale. Lo stato psicologico venne determinato sulla base di una serie di criteri tra cui la presenza o meno di sintomi psichici, di comportamenti anomali ed il livello della auto-stima di base.
Due importanti comportamenti nella prima infanzia vennero correlati con l'uso di sostanze in una fase successiva della vita. La timidezza -descritta dagli insegnanti come la tendenza dell'alunno a stare da solo, avere pochi amici, essere silenzioso durante le lezioni- e l'aggressività -descritta come la tendenza ad essere coinvolti in risse e non rispettare le regole. Timidezza e aggressività si dimostrarono come i due fattori più importanti nel predirre un comportamento da abuso di sostanze. La timidezza e l'aggressività sono sintomi di uno scarso adattamento sociale e come tali vanno del tutto distinti dall'ansia e della depressione.

Capire le differenze tra maschi e femmine
Le relazioni reciproche tra timidezza ed aggressività complicano la probabilità che gli adolescenti hanno di diventare tossicodipendenti. Tra i maschi l'aggressività favorisce il comportamento d'abuso mentre la timidezza, al contrario, lo riduce. La contemporanea presenza di sintomi attribuibili sia all'aggressività che alla timidezza conferisce il massimo rischio rispetto alla presenza di uno dei due fattori singolarmente. L'aggressività nei maschi è spesso associata con l'incapacità a mantenere la concentrazione per periodi sufficienti a svolgere con profitto i compiti scolastici.
Nelle femmine la situazione è completamente diversa, nè l'aggressività, nè la timidezza nè tantomeno problemi di concentrazione hanno alcuna relazione con la tendenza ad usare droghe in un secondo momento.
La timidezza e l'aggressività potrebbero essere meno importanti per le ragazze perchè i gruppi di riferimento sono, per loro, più piccoli e vengono considerati meno importanti. Queste differenze di genere (maschile o femminile) devono essere tenute in grande considerazione e non esclusi a priori come si tendeva a fare in passato.
All'età di 16-17 anni le ragazze usano una quantità inferiore di birra, vino, liquori, marijuana ed altre droghe illegali rispetto ai loro coetanei maschi, ma non usano meno tabacco. All'interno di entrambi i gruppi, maschi o femmine con i punteggi intellettivi più alti e le migliori risposte ai test attitudinali scolastici tendevano ad abusare birra, vino, superalcolici e marijuana 10 anni più tardi. In genere i bambini che sono più "pronti" ed adatti alla scuola sono anche quelli più preparati a sperimentare le droghe.
Lo stato della salute psicologica e le relazioni intrafamiliari giocano un ruolo essenziale per le ragazze. Le madri hanno un importante effetto sulla salute psicologica delle loro figlie ma non dei loro figli maschi. Le aspettative materne e la salute psichica della madre sono i fattori protettivi più validi contro l'abuso di sostanze nelle ragazze, dieci anni più tardi. Le ragazze con solidi rapporti affettivi all'interno della famiglia tendono ad usare meno sostanze di quelle che provengono da famiglie in crisi, ma la stessa situazione non è valida per i loro fratelli per i quali l'aggressività rimane uno dei comportamenti predittivi più importanti dell'abuso di cocaina.

Cosa dire, cosa fare
Altre ricerche, come quella di Judith Brook della Mt. Sinai School of Medicine, hanno rivolto la loro attenzione ai fattori e alle variabili sia di rischio che protettive presenti sin dalla prima infanzia che potrebbero favorire o impedire uso e abuso di droghe da adulti.
Ancora una volta i fattori di rischio individuati sono l'aggressività, la disobbedienza, gli scatti d'ira, la tendenza a ignorare i regolamenti, i tratti sociopatici, l'evitamento delle responsabilità, l'uso di sostanze tra i propri amici e la presenza di sostanze illecêite in famiglia (abuso in uno o entrambi i genitori di alcool o droghe) e problemi con la polizia.
I bambini di questo studio sono stati suddivisi in tre fasi: infanzia (5-10 anni), prima adolescenza (13-18 anni) e adolescenza avanzata (15-20 anni).
Le interazioni tra i fattori di rischio vengono confermate anche in questo caso, in particolare l'aggressività nei primi anni se combinata con la sociopatia della famiglia d'origine e l'uso di droghe nel gruppo di coetanei è altamente predittiva di comportamenti d'abuso; mentre l'astensione dalle droghe nella prima adolescenza in combinazione con una stabilità familiare e la presenza di comportamenti socialmente adeguati è la combinazione più favorevole per una successiva astensione dalle sostanze d'abuso. L'uso di alcol o droghe nei genitori aumenta la frequenza dell'uso delle stesse sostanze anche nei loro figli. Paradossalmente i genitori tossicodipendenti sono quelli più rigidi a parole nell'educazione dei loro figli. Essi spesso si rivolgono ai loro figli dicendo:"Fai quello che ti dico e non quello che vedi fare a me", eppure questo tipo di affermazioni che possono avere un qualche valore nella prima adolescenza, quando i figli ancora s'identificano nei loro genitori, sono del tutto inutili nella adolescenza avanzata quando la famiglia perde il suo ruolo di controllo e quando i genitori diventano, tramite il loro comportamento, un fattore di rischio aggiuntivo per i ragazzi.
I fattori protettivi sono: la tendenza ad avere delle mete da raggiungere, l'impegno sociale o religioso, le solide relazioni familiari e la aspirazione a diventare qualcuno od avere dei modelli di riferimento. Ciò significa ottenere buoni risultati scolastici, avere dei buoni rapporti con i propri fratelli e sorelle, occupare la giornata in attività dopo-scuola (sport, chiesa e gruppi di riferimento dove non si usino droghe). Molti di questi ragazzi non solo non usano droghe ma diventano delle persone di successo. Lo studio fa rilevare come sia stato forse un errore concentrare la nostra attenzione solo sugli adolescenti a rischio senza occuparci di quelli che non hanno mai avuto problemi di droga perchè anche loro avrebbero potuto insegnarci qualcosa di altrettanto importante.
Attualmente sono sotto osservazione i figli e le figlie dei soggetti originariamente intervistati nel 1970. Questi bambini hanno oggi in media 2 o 3 anni. Essi mostrano già chiaramente dei tratti di personalità e caratteristiche familiari, tra cui alcuni dei fattori di rischio sopraelencati, che predicono l'abuso di droghe.

L'importanza dei rapporti familiari
Un'altro filone di ricerca si è concentrato sullo studio dei bambini e degli adolescenti in piccole comunità rurali dell'Oregon. Hyman Hops ed i suoi collaboratori dell'Oregon Research Institute stanno seguendo da 10 anni, 500 soggetti di età compresa, al momento delle prime interviste, tra gli 11 ed i 15 anni.
Nel 90% dei casi la progressione nell'uso di sostanze è stata la seguente: astinenza, alcool, tabacco, marijuana e droghe pesanti. L'uso più elevato di sostanze avviene tra i 13 ed 14 anni quando gli adolescenti passano dalla scuola media alla scuola superiore.
L'uso di sostanze da parte dei genitori compreso il tabacco è, anche in questo caso, uno dei fattori di rischio associato con l'uso di droghe nei figli. Il comportamento dei padri bevitori ha un impatto negativo sia sui figli maschi che sulle femmine, maggiore rispetto a quello delle madri bevitrici il cui cattivo esempio vale solo sui figli nella primissima adolescenza e forse anche meno (sino ai 14 anni).
Questa ricerca ha evidenziato come genitori che fumano e bevono aumentano nei loro figli il rischio di abuso non solo di tabacco ed alcool ma anche di altre sostanza illecite.
Conflitti all'interno della famiglia e la scarsa capacità di confrontarsi e risolvere i problemi di tutti i giorni sono associati con un netto aumento del rischio di abusare droghe nei ragazzi che hanno difficoltà nel rapporto con i loro genitori e/o nell'affrontare i momenti di crisi.
La scarsa coesione familiare e l'uso di sostanze tra gli amici più cari è predittivo dei livelli (tipo e quantità) iniziali dell'abuso di droghe. Una buona relazione familiare può rappresentare un ottimo ostacolo contro la tendenza dei giovani tra i 13 ed i 23 anni a sperimentare le sostanze anche sotto l'influenza di amici tossicodipendenti.
La pressione ad usare sostanze d'abuso è viceversa molto più forte e pericolosa nella prima infanzia, tanto da suggerire, in un'opera di prevenzione efficace, controlli costanti sui gruppi di coetanei sin dai primi anni di vita sociale (4-10 anni).
Tutti gli studi concordano comunque sulla necessità di poter contare su forti e sane relazioni familiari per contrastare l'influenza che i giovani esercitano a vicenda l'uno sull'altro per quanto riguarda le prime esperienze di droga.

Nicotina:

Chiariamo subito che il problema non e' solo la nicotina in quanto tale, ma il suo veicolo cioe' il tabacco. I danni del fumo di tabacco sono noti da almeno 500 anni. Da allora si sono fatti molti passi indietro e le critiche sulla nocivita' del fumo sono state attribuite ad una visione moralistica della vita che si opponeva a piaceri considerati innocui. Oggi nessuno, ad eccezione di quelli che ignorano totalmente le evidenze scientifiche, gli industriali del tabacco ed i fumatori incalliti, puo' avere dei dubbi sull'enorme nocivita' del fumo. Il che non e' la stessa cosa della nocivita' della nicotina.
I pericoli della nicotina e quelli del tabacco sono due cose distinte. La nicotina e' forse l'unico composto dotato di proprieta' gratificanti tra i 4000 componenti del fumo di sigaretta, che invece, brucia sostanze tossiche non gratificanti ma farmacologicamente molto attive. [ figura 1]

Danni prodotti dai composti del tabacco
Alcuni dei composti che costituiscono il catrame, e soprattutto i prodotti di combustione sono i veri responsabili di varie forme di cancro, principalmente di quello polmonare. Mentre tra i composti attivi del fumo, sia il monossido di carbonio che la nicotina hanno un ruolo importante nel determinare le malattie cardiovascolari. La nicotina ha infatti un'azione diretta sui recettori colinergici e provoca una cascata di azioni farmacologiche, legate alla liberazione di catecolamine (adrenalina, noradrenalina e dopamina). E' noto come un'azione eccessiva e persistente delle catecolamine, come avviene nei casi di stress e nelle malattie delle ghiandole surrenali puo' causare gravi irreparabili cardiovascolari (aterosclerosi e patologie a carco del muscolo cardiaco). Il ruolo della nicotina come tale (cioe' come composto puro) nella genesi delle forme tumorali e' molto piu' dubbio.
Perche' se e' vero che la nicotina puo' essere convertita in un composto carcinogeno, chiamato nitrosonornicotina e' anche discutibile che la quantita' formata sia sufficiente a provocare tumori. Quindi il problema della nicotina non e' quello di provocare il cancro.
E' dubbia anche un'altra azione della nicotina: il suo ruolo causale nelle malattie polmonari croniche. Infatti sia in vitro che in vivo la nicotina provoca una migrazione dei granulociti neutrofili, che, tra le altre sostanze, liberano elastasi, un enzima che distrugge la struttura alveolare del polmone, nello stesso momento in cui altri componenti del fumo di sigaretta contribuiscono all'inattivazione dell' -1- antitripsina, un enzima che protegge la struttura polmonare.

Il problema del fumo passivo
Il fumo passivo, o involontario, viene oggi identificato come causa di una serie di malattie. Negli Stati Uniti il Surgeon General (la massima autorita' sanitaria del paese) ha dedicato un intero capitolo di ricerca al fumo involontario, concludendo senza ombra di dubbio che l'esposizione a questo tipo di fumo causa cancro polmonare e che i figli di fumatori hanno un aumento della frequenza di infezioni respiratorie e di altri sintomi, e un ritardo nel normale sviluppo della funzione polmonare. L'esposizione al fumo passivo aumenta del 150% il rischio di cancro polmonare.

Effetti biologici della nicotina
Nell'uomo le azioni della nicotina si manifestano come alterazioni della fisiologia del sistema nervoso, sia centrale che periferico. La nicotina e' in grado di modificare la trasmissione degli impulsi nervosi attraverso una specifica azione sui gangli del sistema nervoso simpatico.
Studi successivi hanno rivelato che a concentrazioni basse la trasmissione nervosa e' stimolata, mentre concentrazioni piu' elevate bloccano la trasmissione nervosa gangliare. Questo lo sappiamo da quasi 100 anni.
Oggi, la distribuzione ed il metabolismo della nicotina nel cervello possono essere seguiti mediante PET (positron emission tomography). La nicotina e' capace di produrre diversi effetti attribuibili alla sua azione sul cervello. Sono molto frequenti, la prima volta, sensazioni soggettive di vertigine e di capogiro, talvolta anche sindromi vertiginose vere e proprie.
A dosi leggermente piu' elevate, sempre la prima volta, compaiono nausea e vomito.
Gli stessi effetti possono essere provocati in fumatori anche cronici che vengano costretti ad assumere grandi quantita' di nicotina. I fumatori esperti (tutti diventano esperti dopo qualche vertigine ed un po' di nausea) imparano ad evitare gli effetti spiacevoli modificando la profondita' e la frequenza dell'aspirazione per ottenere immediatamente dei livelli ematici di nicotina costanti.

Perchè non è facile smettere di fumare?
Studi scientifici controllati rivelano che i fumatori cercano di mantenere dei livelli costanti di nicotina nel cervello. La nicotina e' una sostanza d'abuso (droga) e come tale agisce come un rinforzo positivo primario. Quando la nicotina e' somministrata per via endovenosa a fumatori, questi la classificano come piacevole e gratificante e le assegnano un punteggio elevato nella scala di godimento. Questa classificazione soggettiva e' molto simile a quella dell'anfetamina e della morfina per le sue proprieta' euforizzanti. E' importante notare che la somministrazione endovenosa non sopprime del tutto il desiderio di fumare, probabilmente a causa di altri rinforzi associati al fumo.
In una certa misura gli effetti della nicotina assomigliano a quelli degli stimolanti psicomotori, cocaina e anfetamine, ma, a causa della sua azione indiretta, il suo limite superiore di rinforzo e' molto piu' basso.
La nicotina stimola la liberazione di un neurotrasmettitore chiamato dopamina agendo sulle cellule specifiche che la producono mentre la cocaina e l'anfetamina agiscono sulla dopamina con un altro meccanismo. Gli animali distinguono prontamente la nicotina dalla cocaina e dall'anfetamina, mentre l'uomo ha piu' difficolta'.
Abbiamo gia' detto come la nicotina possa avere azione stimolante o deprimente, in funzione della dose impiegata. Non e' mai stato confermato a livello scientifico quanto affermano i fumatori: e cioe' che il fumo stimoli la concentrazione (durante il lavoro) o rilassi (in condizioni di stress) in funzione della necessita'. Anche gli effetti specifici della nicotina sull'umore sono molto difficili da dimostrare se non mediante il sollievo che essa induce nei fumatori quando essi si trovano in astinenza.
Anche il potenziale effetto ansiolitico del tabacco e della nicotina e' molto discutibile. Non e' stato possibile dimostrare un aumento del consumo di tabacco in situazioni di stress o una riduzione dell'ansia grazie al fumo. La riduzione dell'ansia puo' essere rilevata, invece quando si assuma nicotina durante l'astinenza.
Lo stress induce molti tipi di comportamenti ripetitivi, tra i quali consumare farmaci o cibo, guardare la televisione, compiere movimenti stereotipati come mordersi le unghie. I classici sedativi antiansia (tipo il Valium ®) riducono lo stress, disinibizione, cioe' con un tipo di stimolazione.
Se, viceversa, la nicotina e gli altri stimolanti risolvano l'ansia attraverso una qualche sedazione e' ancora oggetto di polemiche. Oltrettutto il rinforzo, sia positivo (gratificazione) che negativo (sollievo dall'astinenza), dato da qualunque sostanza puo' essere erroneamente scambiato per una riduzione dell'ansia. E' interessante notare come situazioni di ansia possano provocare la ricaduta anche in fumatori che da tempo non presentano piu' nessun segno o sintomo di astinenza.

Il fumo di sigaretta come nicotino-dipendenza
Il Surgeon General nel 1964, non indentificava il fumo di tabacco come una tossicodipendenza. Tuttavia gia' da allora, alcuni studiosi avevano formulato l'ipotesi di una dipendenza da nicotina, il principio attivo presente nel fumo di sigaretta. Grazie a studi successivi e' stato invece accertato, oltre ogni ragionevole dubbio, che la nicotina e', nel tabacco, il principio attivo che produce la dipendenza. Nella quarta edizione del 1994 del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, (DSM-IV), la dipendenza e la astinenza da Nicotina sono classificate come un disturbo psichico. I criteri per valutare la dipendenza da nicotina, sono:

a) un persistente desiderio o il fallimento dei tentativi di smettere
b) un aumento della quota del proprio reddito destinata a procurarsi la sostanza
c) la continuazione nell'uso nonostante la consapevolezza di un problema di salute
d) il disagio, anche dopo una breve astinenza, che porta al tentativo continuo di trovare sollievo al
desiderio di fumare.
Nei primi anni '70, prima che fossero avviati gli studi basati su sistemi di sostituzione della nicotina, la dipendenza era valutata attraverso studi di titolazione. Queste ricerche confermarono che i fumatori manifestano un comportamento di 'ricerca della nicotina', in modo da garantirsi costantemente un determinato livello di questa sostanza nel sangue.
E' dimostrato come le sigarette con elevata concentrazione di nicotina determinano un abbassamento della frequenza del numero e/o della intensita' delle aspirazioni, mentre viceversa, sigarette a bassa concentrazione di nicotina, costringono i fumatori ad aumentare la frequenza e l'intensita' delle aspirazioni per aumentare la quantita' di fumo inalata. I fumatori di sigarette a basso rendimento non consumano meno nicotina, essi tendono comunque a mantenere i livelli di nicotina fra 30 e 40 ng/ml di plasma.
Sembra che il fumo abbia un effetto protettivo sul cancro dell'utero e della mammella ma queste osservazioni in contrasto con previsioni intuitive, non sono mai state confermate. Un effetto protettivo della nicotina e' stato osservato anche in alcune malattie neurologiche come il morbo di Parkinson e quello di Alzheimer.
La nicotina e' altresi' utile nel frenare emorragie associate a coliti ulcerative e la sua forma in gomma masticabile e' in sperimentazione per la terapia della sindrome di La Tourette.

Il problema della dipendenza
La tolleranza come criterio di dipendenza ha ricevuto un'attenzione considerevole. La tolleranza cronica, dimostrata dagli studi condotti su animali, non e' mai stata evidenziata nell'uomo in modo inequivocabile, forse per l'assenza di uno studio sistematico e controllato sull'argomento.
Una tolleranza acuta nel corso della giornata e' rilevabile con la determinazione della frequenza cardiaca, il parametro piu' facile da misurare. La prima sigaretta della giornata provoca tachicardia, ma quando i livelli plasmatici di nicotina raggiungono l'equilibrio il fumo non presenta ulteriori effetti sulla frequenza cardiaca. Quando i fumatori cronici si astengono dalla sigaretta, presentano una caduta della frequenza cardiaca, che rimane bassa a lungo, almeno per 10 giorni. Gli altri due sintomi che sembra presentino tolleranza sono stordimento e nausea. Il sollievo dall'astinenza e' il tipo principale di rinforzo negativo per i fumatori.
Questa componente e' presente anche per sostanze come l'alcol, i barbiturici e l'eroina. La sindrome di astinenza da sostanze stimolanti, come la caffeina, la nicotina e la cocaina, e' piu' moderata di quella causata da sostanze depressive.
L'ipotesi formulata da Russell e' che la fase iniziale del consumo di tabacco sia sostenuta da un rinforzo positivo, che consiste nel piacere di fumare, ma che in seguito si instauri un rinforzo negativo, che trasforma questo piacere soprattutto nella ricerca di sollievo dai sintomi di astinenza. La condizione di deprivazione di nicotina per forti fumatori comporta irritabilita' e disagio alleviabili solo con nicotina sostitutiva.
Questa componente e' presente anche per sostanze come l'alcol, i barbiturici e l'eroina. La sindrome di astinenza da sostanze stimolanti, come la caffeina, la nicotina e la cocaina, e' piu' moderata di quella causata da sostanze depressive.
Il consumo compulsivo accompagnato dal rischio sarebbe per alcuni studiosi sufficiente per dare una definizione di dipendenza o tossicodipendenza. In contrasto con l'ipotesi che concentra l'attenzione sul sollievo dall'astinenza, diversi Autori sostengono che il rinforzo positivo e' l'origine di tutte le forme di dipendenza da sostanze. Il fatto che una ricaduta possa presentarsi molto tempo dopo l'astinenza acuta rivela che la ricerca di nicotina per il rinforzo positivo puo' essere sempre presente.
Tuttavia, questa ricerca a distanza di tempo (spesso anche anni) potrebbe essere un'astinenza condizionata o semplicemente il ricordo degli effetti piacevoli. Il comportamento rituale e le sensazioni orali e respiratorie sono considerati rinforzi secondari.

Segni e sintomi dell'astinenza da nicotina
L'astinenza da nicotina era stata gia' segnalata nel 1942. L'astinenza dal fumo di tabacco e' stata descritta da Larson e Silvette negli studi sul tabacco pubblicati tra il 1961 e il 1975.
I sintomi di astinenza associati alla interruzione del consumo di tabacco erano tuttavia considerati di origine psicologica e inconsistenti.
L'assenza di una sindrome di astinenza misurabile in modo obiettivo e quindi definibile con precisione ha alimentato a lungo l'opinione che fumare non fosse una forma di tossicodipendenza.
Si e' cosi' creduto a lungo che i sintomi definiti di volta in volta derivassero dalla modificazione del comportamento rituale piuttosto che dalla mancanza di nicotina.
L'identificazione degli aspetti della sindrome di astinenza che accompagna l'interruzione del consumo di tabacco e' stata avviata alla fine degli anni '70.
Nella tabella 1. sono elencati i segni e i sintomi riferiti come piu' frequenti nell'interruzione piu' o meno graduale del consumo di tabacco.
Vari sintomi di astinenza (irritabilita', ansia, fame, impulso a fumare) sono nicotino-specifici come risulta da studi controllati che utilizzano nicotina (2 mg) in gomma contro placebo per caratterizzare i sintomi di astinenza.
I sintomi di astinenza, rilevabili durante l'interruzione del consumo di tabacco da fumo, fanno parte di quei criteri utilizzati per definire nicotino-dipendente un fumatore. Come accade anche per altre sostanze psicoattive, sono da utilizzare numerosi parametri, includendo i segni di consumo compulsivo, la presenza di tolleranza e l'astinenza.

Terapia della nicotino-dipendenza

Un'indagine pubblica effettuata nel 1979 ha rivelato che 90 fumatori su 100 ogni anno vorrebbe smettere di fumare ma non riesce a farlo milioni di fumatori hanno smesso di fumare, probabilmente senza aiuto. Per quei fumatori che hanno utilizzato programmi di trattamento, cliniche private, aiuti per l'interruzione o tecniche speciali (ipnosi, agopuntura) le frequenze di fallimento sono state têra il 70 e l'80%.
Farmaci per smettere di fumare
Le farmacoterapie per le sostanze d'abuso comprendono i trattamenti sostitutivi, gli antagonisti, i trattamenti sintomatici e i deterrenti. Queste categorie si applicano anche per il trattamento farmacologico del fumo.
Sistemi sostitutivi della nicotina
Sono almeno quattro i tipi sperimentati: gomme alla nicotina, nicotina transdermica, nicotina in spray nasale e nicotina per inalazioni. Tutti comportano dall'inizio del trattamento la riduzione sistematica dei livelli di nicotina. Per tre sistemi sostitutivi: vapore con nicotina (base per inalatore), gel nasale alla nicotina (ora disponibile anche in spray) e gomme alla nicotina (2 mg), il tempo per raggiungere il massimo livello e' dell'ordine di minuti. Mentre con il sistema della nicotina transdermica il valore massimo e' raggiunto dopo 8 ore.
Trattamenti sintomatici
L'efficacia del trattamento farmacologico dei sintomi di astinenza e di craving e' stata dimostrata nei casi d'abuso di altre sostanze: la fluoxetina per l'alcol e la clonidina per l'eroina. La stessa logica e' applicata all'uso di trattamenti per smettere di fumare. I farmaci antidepressivi, antiansia, antipertensivi possono essere efficaci se riducono il desiderio e/o risolvono i sintomi specifici dell'astinenza, come l'ansia o la depressione strettamente associate all'interruzione del consumo di tabacco.
Clonidina
Ansiolitici
Antidepressivi
Antagonisti del fumo e dei neurotrasmettitori
L'unico antagonista nicotinico proposto per l'interruzione del fumo e' la mecamilamina. Sono stati presi in considerazione come strumenti terapeutici potenziali anche alcuni antagonisti che influenzano la cascata di azioni provocata dalla nicotina: il propranololo, farmaco à -bloccante che puo' proteggere il fumatore dagli effetti del fumo nocivi per il cuore, e gli antagonisti delle á-endorfine, naloxone e naltrexone, l'efficacia dei quali deriva dall'inattivazione delle endorfine, liberate dalla nicotina e responsabili di alcuni o di tutti gli effetti gratificanti della nicotina.
Deterrenti e sostitutivi chimici del fumo
I tentativi effettuati con sostanze che, combinate con i componenti delle sigarette, ne alterano la gradevolezza (sali d'argento), o che sono agonisti nicotinici inattivi (lobelina), o che hanno proprieta' gratificanti, differenti dalla nicotina ma potenzialmente sostitutive con rinforzo condizionato, non rappresentano soluzioni valide o per assenza di efficacia o per mancanza di studi sistematici.
Trattamenti comportamentali o non farmacologici
Negli ultimi 30 anni, sono stati sperimentati molti tipi di interventi comportamentali o non farmacologici per indurre i fumatori a sospendere il consumo di tabacco. La gamma di terapie e' ampia e comprende espedienti individuali, programmi di modifica del comportamento come procedure che inducono disgusto condizionato, interlocutori specializzati, sazieta', e terapie non ortodosse come l'ipnosi e l'agopuntura.
Nonostante una iniziale frequenza d'interruzione apparentemente alta, le terapie comportamentali hanno presentato nella valutazione una scarsa efficacia sul lungo periodo. Per la maggior parte dei trattamenti, a un anno dall'inizio, la percentuale di interruzioni ancora presente e' tra il 15 e il 30%.
Due problemi gravi, caratteristici di questi interventi, spiegano i risultati deludenti: la breve durata del trattamento (da 1 giorno a 6 settimane), condotto senza un'adeguata prevenzione della ricaduta nel lungo periodo, e la difficolta' di adattare il trattamento al singolo fumatore.

Conclusioni

Il processo che puo' condurre a smettere di fumare e' caratterizzato da apprendimento (sviluppo di capacita' imitative verso modelli smoke-free), rimozione (quotidianita' vissuta in un contesto che sostiene e impone un comportamento smoke-free), estinzione (risultato dell'efficienza delle prime due fasi). Una forte motivazione a smettere e' il requisito piu' ovvio, necessario ma non sufficiente. Rimane da determinare per tutte le terapie, farmacologiche o comportamentali, come trattamento e fumatore possano essere armonizzati.
La selezione puo' essere completata con test atti a determinare:
1. il grado di dipendenza da nicotina per l'assegnazione del trattamento opportuno
2. gli indici fisiologici del grado di tossicodipendenza (es.: i livelli di cotinina) e/o
3. le esigenze emotive coinvolte nell'armonizzazione tra il fumatore e l'appropriata terapia comportamentale di supporto.
Una terapia armonica basata interamente sull'intervento comportamentale sara' possibile soltanto quando:
1. saranno numerosi gli studi controllati sistematicamente condotti sulle terapie comportamentali in se'
2. saranno meglio comprese le esigenze individuali di riapprendimento
3. saranno maggiormente chiarite le interazioni fra dipendenza da nicotina e fenomeni sensorio-ritual-sociali.
Per esempio, una persona che vive da sola puo' aver bisogno del supporto di un gruppo piu' di chi dispone gia' di un eccellente sostegno nell'ambiente domestico e in quello di lavoro.
La giusta assegnazione di un fumatore al suo tipo di trattamento diventera' non meno decisiva per il risultato della terapia di quanto sia oggi la scelta corretta dell'antibiotico per un'infezione.

Definizione di droga
Con il termine droga si indica ogni sostanza capace di alterare gli equilibri dei diversi, ma interconnessi, livelli su cui può rappresentarsi il nostro essere: il livello biologico, quello psicologico e quello sociale. Gli equilibri del primo livello sono quelli della fisiologia. Le droghe interferiscono con i processi biochimici finalizzati al mantenimento delle condizioni normali dell'organismo e soprattutto agiscono sui meccanismi delle funzioni cerebrali, interferendo sugli eventi biologici che sono alla base delle normali attività delle cellule nervose: la trasmissione e l'elaborazione di impulsi nervosi, cioè a dire di segnali ed informazioni.
Gli equilibri del livello psicologico costituiscono la rappresentazione mentale e comportamentale dei meccanismi cerebrali di cui abbiamo appena parlato. Perturbando le funzioni delle cellule nervose, le droghe compromettono o addirittura annullano gli equilibri psicologici e quindi la capacità di adattamento dell'individuo e le possibilità che esso ha di far fronte a situazioni di disagio intra-psichico, ambientale o interpersonale.
Le droghe condizionano le possibilità d'inserimento sociale dell'individuo, minando da un lato le sue capacità adattative e dall'altro determinando una reazione di emarginazione da parte del tessuto sociale. Gli equilibri del livello sociale sono legati alle condizioni dei due livelli precedenti, ma, a sua volta, il livello sociale influenza e vincola la dimensione psicologica e quella biologica.
Il significato dei comportamenti, delle abitudini, degli stili di vita che un individuo ricava dalla cultura e dall'insieme dei valori della società è infatti uno dei fattori che più condizionano l'esito del riaggiustamento psicologico e quindi biologico conseguente all'uso delle droghe. Il valore storico-culturale di normalità e di devianza, infine, è l'elemento che più contribuisce a determinare l'atteggiamento della società nei confronti di chi fa uso di droghe e quindi, conseguentemente, le possibilità che ha quest'ultimo di adattarsi con i minori danni possibili alla sua nuova condizione.

Alter Ego e le droghe legali
Alter Ego non affronta l'analisi dei meccanismi d'azione delle droghe legali: alcoolici, tabacco e psicofarmaci e dei danni che il loro consumo eccessivo produce sull'organismo e sul comportamento. Ciò non è dovuto ad una sottovalutazione del problema dell'alcoolismo, del tabagismo e dell'abuso degli psicofarmaci. Abbiamo ben presente il fatto che gli alcoolici, il tabacco e gli psicofarmaci rappresentano le droghe più incidenti, a livello epidemiologico, sulla salute dell'uomo moderno, poiché sono le sostanze psicoattive di cui si fa più uso.
La nostra scelta è stata dettata da esigenze pratiche, legate alle strutture espositive della mostra e dalla volontà di evitare inutili e dannose "overdose" di informazioni. L'esame della complessa realtà storica e scientifica delle droghe legali sopraindicate avrebbe imposto una pesante limitazione allo sviluppo dei temi importantissimi legati alle droghe illegali (stimolanti, stupefacenti e allucinogeni), riducendoli a presentazioni didascaliche di difficile comprensione.
Queste ultime sostanze meritano invece una attenta e ampia trattazione. Pur essendo meno diffuse, esse infatti sono sicuramente più pericolose dell'alcool, del tabacco e degli psicofarmaci, in quanto posseggono un'attività farmacologica superiore e sono assunte con modalità e sotto forma di presentazioni adulterate e contaminate (dosi, polveri e pillole vendute dagli spacciatori) che ne moltiplicano l'effetto tossico sino a renderle mortali.

Classificazione delle droghe
In base agli effetti positivi ricercati da chi ne fa uso, le droghe possono essere classificate in sei gruppi:
1. Stupefacenti: oppio e derivati (morfina, eroina, codeina).
2. Stimolanti: cocaina, amfetamine, tabacco, caffe', te' e, se assunti in dosi piccole, i derivati di sintesi come le metossiamfetamine (DOM, conosciuta comunemente come STP - serenita', tranquillita', pace -, DMA, conosciuta come pillola dell'amore e MDMA, meglio nota come ecstasy).
3. Sedativi o ipnotici: benzodiazepine, barbiturici.
4. Inebrianti: alcool, etere, solventi, colle e, fino alla fine dell'Ottocento, il cloroformio e l'assenzio.
5. Allucinogeni: LSD, hashish e marijuana, mescalina, psilocibina, psilocina e se assunte in dosi appropriate le metossiamfetamine indicate sopra tra gli stimolanti.
Introduzione
Si ritiene comunemente che l'uso e l'abuso delle droghe siano problemi tipici della società contemporanea e che le droghe vengano usate nel tentativo di risolvere o di eludere le difficoltà. Questa convizione trova conforto nella attuale grande diffusione delle sostanze che modificano il funzionamento del sistema nervoso e modulano o controllano gli stati del cervello e della mente: psicofarmaci e droghe. Le indagini storiche, etnologiche e geografiche, hanno tuttavia dimostrato che la ricerca della manipolazione della coscienza, dell'alterazione degli stati della mente e del controllo del comportamento sono costanti della storia dell'umanità. Lo psicotropismo infatti si presenta, con metodologie e percorsi diversi, in tutte le epoche e a tutte le latitudini geografiche e sociali.
Attraverso le droghe l'uomo ha sempre cercato di curare il male, di fuggire gli affanni, le preoccupazioni, la tristezza, di rompere i vincoli della quotidianità, di acquisire una percezione mistica e giungere all'esperienza del sacro.
Ma quali sono le ragioni di un fenomeno così vasto e radicato nella storia dell'umanità? Perché l'uomo ricerca con tanto accanimento di agire sugli stati di coscienza e di modificare artificialmente i processi mentali, nonostante tutti i rischi e i danni che ciò comporta? La paradossalità dello psicotropismo forse si risolve se si tiene presente il fatto che l'uomo è un animale intelligente e dotato di coscienza. Vivendo l'esperienza della propria coscienza, l'uomo sembra portato a controllare gli stati mentali che percepisce, a riprodurre in maniera artefatta tonalità emotive piacevoli, a fugare - con ogni strumento valido al fine - le afflizioni e il dolore. In quanto essere intelligente, l'uomo intende controllare la sua coscienza con strumenti artificiali, le droghe, così come controlla con utensili da lui messi a punto i fenomeni naturali e le cose che maggiormente lo coinvolgono.

Par .1 - L'Oppio e i suoi derivati -
L'oppio e' il succo lattiginoso, condensato all'aria, estratto per incisione dalle capsule non mature del Papaver somniferum album (papavero sonnifero). Il suo nome deriva dal termine greco opos: succo. L'oppio grezzo e' la sostanza base di tutti gli stupefacenti e contiene circa 20 tipi di alcaloidi, composti organici azotati dotati di elevata azione farmacologica a livello del sistema nervoso. Tra questi alcaloidi sono presenti alcune sostanze di diffuso uso clinico nella terapia del dolore e della tosse, come la codeina, la papaverina, la narcotina. L'alcaloide principale dell'oppio e' invece la morfina. Per le sue elevate proprieta' analgesiche, essa e' stata anche soprannominata la "medicina di Dio" e rappresenta tuttora il farmaco piu' usato nella terapia contro il dolore. La morfina e' stata anche la prima droga iniettabile e costituisce la base da cui si sintetizza uno degli stupefacenti piu' tossici e pericolosi: l'eroina.
Papaver somniferum
Dioscoride, Codex Vidobonensis (512 d.C.). Osterreische Nationalbibliotek, Vienna
Storia dell'Oppio
L'uso dell'oppio e' attestato sin nei primi documenti scritti prodotti dall'uomo. Hul gil, l'ideogramma con cui i Sumeri indicavano, gia' nel 4000 a.C., il papavero da oppio, stava per pianta della gioia, dimostrando cosi' come le antiche popolazioni della Mesopotamia conoscevano bene le proprieta' euforizzanti del succo di tale pianta.
L'oppio veniva usato dagli Egizi come calmante per i bambini ed era l'ingrediente principale del pharmakon nepenthes che Elena versa nel vino durante il banchetto con Telemaco alla corte di Menelao, raccontato da Omero nell'Odissea (IV, 219-228).Nella mitologia greca e romana l'oppio era una presenza ricorrente. Un mito raccontava come Demetra, la dea della terra feconda, sorella di Zeus, usasse il papavero per alleviare il dolore provocatole dal rapimento della figlia Persefone.
Per questa ragione, esso veniva usato nel culto ufficiale di tale divinita' e il papavero veniva collocato immancabilmente tra le spighe di grano che Demetra tiene in mano nelle raffigurazioni, veniva usato nelle decorazioni dei suoi altari e costituiva l'insegna delle sue sacerdotesse.
Capsula di papavero da oppio e
attrezzature per il raccolto

Litografia anonima dell'Ottocento. Wellcome Institute for the History of Medicine, Londra
Il papavero e' spesso presente nelle mani di Morfeo, dio del sonno, mentre Nyx, dea della notte, dispensava papaveri agli uomini. In talune rappresentazioni, anche Hermes si fa avanti con un papavero, quando arriva a recare il sonno ristoratore e la fantasia dei sogni.
L'oppio era presente in moltissimi tipi di pozione (teriaca) messi a punto dai medici greci e romani. La teriaca piu' famosa ed usata era il galenos (soave) elaborata dal cretese Andromaco il Vecchio, medico alla corte di Nerone.
Il galenos era raccomandato come una infallibile panacea. Il piu' grande medico dell'antichita' romana, Galeno, prescriveva tale pozione diluita in alcool per una serie incredibile di disturbi, tra cui sintomi di avvelenamento, cefalee, problemi di vista, epilessia, febbre, sordita' e lebbra.
Con questa pozione, stemperata in abbondanti dosi di miele, Galeno curo' il piu' eminente dei suoi pazienti, l'imperatore Marco Aurelio, sino a farlo divenire dipendente dall'oppio, come testimoniano i resoconti clinici compilati dal medico.
L'oppio era un principio curativo fondamentale della farmacopea araba e da questa passo' quindi nella medicina europea. Il famoso alchimista Paracelso metteva a punto un preparato a base d'oppio destinato ad avere una straordinaria diffusione: il laudano.
A partire dal Cinquecento l'oppio diveniva d'uso comune nel nostro continente, come testimonia il fatto che tale sostanza si trasformava in una sorta di topos dell'immaginario occidentale, tanto che in letteratura il riferimento all'oppio costituiva una sorta di pretesto narrativo, una chiave simbolica, per l'analisi e la descrizione delle lotte umane contro le tristezze e le sofferenze, contro i ricordi angosciosi, ma anche un elemento fondamentale nell'invenzione e nello sviluppo del racconto di intrighi e illecite macchinazioni.
Nonostante la crescente diffusione dell'oppio, tuttavia, l'uso di tale droga non assunse mai livelli epidemici. Esistevano consumatori occasionali e sporadici, individui farmaco-dipendenti, ma socialmente accettati e capaci di mantenere una vita di relazione nei canoni della normalita' ed infine gruppi significativamente piccoli di tossicomani completamente dipendenti ed asserviti alla droga, ma che non rappresentavano un reale pericolo sociale, data la loro scarsa consistenza numerica.
L'era industriale e la sintesi in forma pura dei principi psicoattivi

Questa condizione doveva mutare con l'avviarsi della Rivoluzione industriale, quando l'oppio, ormai prodotto in larga scala, diveniva una merce acquistabile a basso prezzo. In Inghilterra, ad esempio, l'oppio veniva venduto a prezzi dalle cinque alle dieci volte piu' bassi di quelli della birra e dell'alcool. Gli inglesi disponevano delle enormi piantagioni d'oppio dell'India, la cui produzione, data la quantita' e dato il basso costo della manodopera, poteva essere commercializzata a prezzi estremamente concorrenziali. La grande disponibilita' d'oppio a basso prezzo determinava, soprattutto nella classe operaia, l'instaurarsi di un'epidemia d'abuso ancora piu' grave di quella dell'alcoolismo.
Gli interessi commerciali e l'avvio della produzione di farmaci a livello industriale favorirono allo stesso tempo un'impressionante proliferazione di rimedi a base d'oppio, largamente pubblicizzati e distribuiti capillarmente.
Sciroppi, cordiali e polveri dai nomi familiari ed accattivanti (lo sciroppo dolce della signora Winslow, l'elisir all'oppio di McMunn, il Cordiale Godfrey, lo Cherry di Ayer e cosi' via) e dalle confezioni appariscenti venivano reclamizzati su giornali e riviste, venduti per posta o direttamente dai medici, mentre nelle farmacie i preparati a base d'oppio rappresentavano il prodotto piu' acquistato.
Questa convergenza di interessi determinava quindi una rapida estensione del consumo dell'oppio e dei suoi derivati anche ai ceti sociali privilegiati. Negli Stati Uniti l'oppio diventava una sostanza d'abuso tipica della borghesia e soprattutto del sesso femminile. Stime ufficiali dell'Amministrazione Sanitaria della confederazione americana indicavano un rapporto variabile da uno a venti a uno a cento tra individui dipendenti da oppioidi e popolazione totale, laddove oggi tale rapporto negli Stati Uniti va da uno a duecento a uno a cinquecento.

Fig. 2: Fumeria d'oppio nella Parigi dell'Ottocento

L'oppiomania divenne un grave problema nell'Europa dell'Ottocento e molti intellettuali denunciarono i pericoli derivanti dall'uso del succo di papavero. Ne I paradisi artificiali , ad esempio, Baudelaire scriveva: "quanti cercano il paradiso con l'oppio si costruiscono un inferno, lo preparano, lo scavano con un successo la cui previsione forse li spaventerebbe"
L'abitudine di fare uso dell'oppio si diffuse anche tra gli intellettuali e tra i letterati, soprattutto inglesi: George Byron, Percy Shelley, Walter Scott, John Keats, Wilkie Collins e Charles Dickens facevano ricorso, saltuario o sistematico, al laudano per curare i mal di capo, l'insonnia, l'ansia. I casi piu' famosi pero' sono quelli di Samuel T. Coleridge e soprattutto di Thomas De Quincey. Quest'ultimo ci ha lasciato un mirabile racconto autobiografico della sua esperienza di tossicomane, Le confessioni di un mangiatore d'oppio. Anche la cultura francese produsse originali posizioni sul problema dell'oppiomania (fig.2), come quelle illustrate da Honore' de Balzac nel racconto Massimilla Doni e quelle discusse da Charles Baudelaire nei famosi saggi raccolti ne I paradisi artificiali.
L'oppiomania della Rivoluzione industriale e' un esempio eloquente di come sia l'offerta delle droghe a creare la domanda, e non viceversa.
La facile disponibilita' di tale droga, sia in termini di diffusione al minuto che in termini di prezzo, contribui' in maniera determinante all'origine dell'epidemia d'abuso del secolo scorso.
La grande diffusione dell'uso dell'oppio nella societa' di quel periodo, infine, rendeva il dominio della normalita' sociale molto diverso da quello che vige nella cultura attuale. La gente considerava l'uso dell'oppio e l'oppiomania come comportamenti non devianti e i governi continuavano a sancire la piena legittimita' di tali abitudini. La grave epidemia d'abuso dell'oppio dell'Ottocento trasformava la produzione e il commercio di tale sostanza in un colossale affare. Cio' e' testimoniato eloquentemente dal fatto che proprio in quegli anni l'Inghilterra si decideva a scatenare una guerra contro la Cina per costringerla a ripristinare la legalita' dell'oppio revocata nel lontano 1729 dall'imperatore Yung Chiang.
L'espandersi dell'uso dell'oppio incito' a nuovi studi sulla sostanza.
Nel 1804, Armand Séquin isolava per la prima volta il costituente fondamentale di tale droga, chiamandolo morfina, in onore a Morfeo, dio greco del sonno e dei sogni. Un anno piu' tardi Wilhelm Setürner, un giovane speziale tedesco di soli vent'anni, metteva a punto un efficace ed economico metodo di isolamento e produzione della morfina.
Nel 1853, Alexander Wood inventava la siringa ipodermica (Fig.3), rendendo cosi' possibile l'assunzione di droghe in forma pura direttamente nel circolo sanguigno. Si determinava cosi' una svolta radicale nel rapporto tra l'uomo e le droghe, in quanto l'iniezione endovena aumenta in modo drammatico l'azione delle droghe sul cervello. Il successo dell'accoppiata morfina-siringa diveniva ben presto tale che su di essa cominciava a svilupparsi una terapeutica dalla casistica praticamente sterminata. La morfina non era soltanto un rimedio alle patologie organiche, ma diventava anche un farmaco per le malattie sociali.
L'alcaloide dell'oppio doveva servire, secondo teorie mediche accreditate nella seconda meta' dell'Ottocento, a sconfiggere la piaga dell'alcolismo e a risolvere cosi' tutti i problemi sociali conseguenti a tale abuso. Non si doveva attendere molto per assistere alle prime tragiche dimostrazioni della pericolosita' dell'uso irrazionale della morfina iniettabile.
Fig. 3: La morfinomane

Eugene Grasset, Cromolitografia, 1897.
Biblioteca Jacques Doucet, Parigi
Durante la guerra di secessione americana (1861-1865) e con il conflitto franco-prussiano (1870-1871) decine di migliaia di militari divennero assuefatti alla morfina, tanto che la dipendenza a questa droga venne significativamente chiamata "malattia del soldato". Gli ufficiali medici avevano purtroppo imparato a somministrare la morfina non soltanto come anestetico per le operazioni sui soldati feriti, ma anche per dare sollievo ai piu' piccoli malanni fisici e al disagio psicologico provocato dalla tensioni delle battaglie. La guerra franco-prussiana diffondeva la pratica della morfina anche tra lo stato maggiore dell'esercito tedesco e quindi tra le classi piu' agiate del Secondo Reich, sino al cuore dell'intellighenzia.
Il musicista ufficiale del regime, Richard Wagner, e l'artefice dell'unificazione nazionale, paladino del militarismo prussiano e cancelliere del Reich Otto von Bismarck, erano consumatori abituali di morfina. La moda della morfina si radicava anche in Francia, soprattutto tra i ceti medio alti. Il derivato dell'oppio faceva adepti tra intellettuali, scienziati, uomini di stato. Il generale Georges Boulanger, ministro della guerra nella Terza Repubblica francese e capo del movimento nazionalista e autoritario del boulangismo, era stato visto varie volte iniettarsi morfina in pubblico. Guy de Maupassant usava la morfina a scopo voluttuario e per stimolare la creativita'. Negli ultimi anni della sua vita, il grande neuropatologo e maestro di Sigmund Freud, Jean-Martin Charcot, si iniettava una dose di morfina al giorno per trovare sollievo da una lombaggine cronica. Jules Verne ricorreva alla morfina per ridurre il dolore che gli provocava una pallottola conficcata nel piede che non poteva estrarre a causa del diabete che lo affliggeva.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la morfina assurgeva a simbolo caratterizzante la cerchia elitaria di esteti e raffinati decadenti e per estensione degli intellettuali in genere. Si fabbricavano astucci d'argento ornati da emblemi, incisioni, stemmi e iniziali di famiglia, contenenti il necessaire per la somministrazione della droga: una siringa d'oro ed un grazioso flacone di vetro intarsiato. I morfinomani della buona societa' si regalavano l'un l'altro questi preziosi strumenti scegliendoli con grande cura ed attenzione. Non era difficile incontrare nei caffé, al teatro, negli angoli dei salotti alla moda, dame e signori del bel mondo che si iniettavano con fare disinvolto la morfina in una coscia, anche attraverso gli indumenti.
Cosi', la «medicina di Dio» si era rivelata essere anche un potenziale veleno, il germe portatore di una delle piu' gravi epimedie della storia moderna, la causa scatenante di una piaga sociale apparentemente insanabile.
Occorreva pertanto trovare un farmaco parimenti efficace contro il dolore, che non provocasse pero' la dipendenza. Questa ricerca rappresentava un nuovo colossale affare commerciale e le maggiori industrie chimico-farmaceutiche dell'epoca investirono su di essa ingenti quantita' di denaro. Nel 1898, la Bayer annunciava al mondo di essere finalmente pronta a commercializzare questo farmaco miracoloso. Il lancio del nuovo prodotto veniva preparato con una massiccia e capillare campagna pubblicitaria. Foglietti illustrativi, depliant e campioni gratuiti della sostanza vennero inviati praticamente a tutti i medici e a tutte le farmacie dei paesi industrializzati. «Contro tutti i dolori, sedativa della tosse, per la cura dei tossicomani», cosi' recitava il foglietto inviato con il campione. Era la diacetilmorfina, il cui nome commerciale, Eroina, derivava dalla parola tedesca heroisch, energico, eroico, che piu' caratterizzava, secondo la Bayer, questo farmaco potente e apparentemente privo di controindicazioni.

Par. 2 - Le droghe stimolanti -

2.1 Coca e Cocaina
I metodi di datazione applicati su reperti archeologici scoperti nelle Ande centrali, testimoniano come l'uomo abbia cominciato a masticare le foglie di coca, da cui si estrae la cocaina, in epoche precedenti al 2500 a.C.
La pianta della coca ha avuto un'importanza enorme per tutte le civilta' andine. Cio' e' testimoniato dal fatto che essa era protagonista principale di tutti i moltissimi miti d'origine con i quali si raccontavano le vicende leggendarie della fondazione delle varie civilta' andine. La coca costituiva inoltre la pianta per eccellenza, la classe paradigmatica dell'intero regno vegetale, come attestavano i significati stessi della parola. Nel linguaggio della civilta' Tiahuanaca, ad esempio, la parola coca significava semplicemente pianta o albero.
La coca aveva un posto particolare nell'olimpo Incaico. Essa era il dono che il dio Sole aveva fatto a suo figlio, Manco Capac, mitico fondatore dell'impero Inca, per alleviare le sofferenze umane ed infondere vigore alla nuova civilta'.
Dato il carattere sacrale della coca, la consuetudine e le leggi incaiche ne limitavano l'uso all'aristocrazia imperiale e alla potente casta sacerdotale. Sino all'arrivo degli spagnoli, pertanto, la popolazione poteva consumare la coca soltanto in occasione di particolari riti religiosi e per scopi terapeutici. Nel 1532, con la caduta dell'impero Incaico per mano degli eserciti spagnoli guidati da Francisco Pizarro, la situazione doveva mutare radicalmente. Con l'uccisione dell'ultimo imperatore incaico, Atahualpa, gli indios dell'impero cominciavano a fare libero uso della coca, tanto che, sin dai primi resoconti che gli storici e i cronisti spagnoli pubblicavano sulla nuova provincia, e' costante il riferimento all'estrema diffusione del consumo di coca e al fatto che gli indigeni considerassero la coca una ricchezza inestimabile, tanto da preferirla all'oro.
Gli spagnoli usarono dunque la coca come compenso per il massacrante lavoro nelle miniere e nelle piantagioni degli Incas schiavizzati. Le complicanze sull'organismo prodotte dall'abuso generalizzato di coca amplificarono la mortale azione delle armi e dei virus europei per i quali gli indigeni non avevano alcuna resistenza immunitaria, accelerando il gia' rapido processo di eliminazione degli indios da parte degli spagnoli.
Coca e bevande toniche
I primi seri studi di tossicologia e sull'uso della coca in clinica iniziavano nella seconda meta' dell'Ottocento, con la pubblicazione di un'importante opera di Paolo Mantegazza, un eclettico professore italiano di patologia generale ed antropologia, intitolata Sulle virtu' igieniche e medicinali della coca e degli alimenti nervosi in genere. Il Saggio conobbe un successo straordinario in tutta Europa e divenne il maggiore veicolo di promozione del potente stimolante nella societa' occidentale. Ispirandosi all'opera di Mantegazza, un chimico farmacista corso, Angelo Mariani, ideava nel 1863 una bevanda preparata con coca sciolta in vino: il Vin Mariani (Fig.5).
Questa bibita tonificante veniva usata anche in medicina, perché si pensava capace di sollevare il morale ai depressi e di curare praticamente ogni tipo di disturbo fisico, dal mal di gola alle affezioni nervose,dall'impotenza all'insonnia, dall'anemia alle febbri, finanche ai morbi di tipo contagioso.
La bevanda acquistava immediatamente una popolarita' clamorosa, annoverando tra i suoi acquirenti personalita' famose del mondo dell'arte e della cultura, come Emile Zola, August Rodin, Charles Gounod, Alexandre Dumas figlio, Paul Verlaine, Jules Verne, Heinrik Ibsen, Thomas Alva Edison, della politica, come Ulysses Grant, presidente degli Stati Uniti, come lo zar di Russia e il Principe di Galles. Mariani era ritenuto un benefattore dell'umanita', tanto che papa Leone XIII regalava al chimico corso una medaglia d'oro in segno di riconoscenza.
Il successo mondiale del Vin Mariani spingeva l'artigianato e l'industria chimico-farmaceutica a mettere a punto un preparato capace di trarre profitto dal ricchissimo mercato creato dal tonico francese. Fu un farmacista americano di Atlanta, John Styh Pemberton, a commercializzare nel 1885 la prima bevanda in concorrenza con il Vin Mariani, il French Wine Coca.
Fig. 5: Manifesto pubblicitario del Vin Mariani
L'eccezionale campagna pubblicitaria che accompagno' la commercializzazione del Vin Mariani mirava non solo a far conoscere la bevanda, ma anche a provare la "realta'" delle straordinarie virtu' del tonico attraverso le autorevoli e favorevoli testimonianze delle grandi personalita' che l'avevano usato. Per raccogliere e rendere noti ai consumatori questi testimonial, Mariani comincio' a pubblicare, dal 1891, una elegante serie di quattordici Album. In essi erano presenti i ritratti e le autografe attestazioni di gratitudine che la gente illustre gli aveva inviato.
Gentilmente concessa dall'editore Casamassima, Udine
L'anno successivo Pemberton modificava il suo preparato eliminando l'alcool e aggiungendo estratto di noce Kola - una sostanza ricca di caffeina -, oli di agrumi e dolcificanti. Il nuovo analcolico (soft drink) era destinato, secondo la pubblicita' che ne accompagno' l'immissione sul mercato, «agli intellettuali e agli alcolisti in astinenza»: il suo nome commerciale era Coca Cola. Sino al 1903, anno in cui il governo federale statunitense imponeva la decocainizzazione delle foglie di coca usate per la preparazione, la cocaina fu un ingrediente della Coca Cola.
Dalla Coca alla Cocaina
Nella storia dell'uso delle foglie di coca non si trovano, eccetto che per il consumo coatto imposto agli indios dai conquistadores, testimonianze di abuso e di problemi di una certa rilevanza sociale (nella sanita' e nell'ordine pubblico) connessi all'utilizzo della pianta peruviana. Tali problemi invece apparivano drammaticamente a partire dal 1860, quando Albert Nieman, un chimico di Göttingen, riusciva ad isolare l'alcaloide principale delle foglie di coca, la cocaina. La disponibilita' della cocaina in forma pura facilitava anche le ricerche medico-scientifiche e l'impiego in clinica, soprattutto nel settore delle malattie mentali. Fiorirono cosi' una serie di bizzarre proposte per l'utilizzo "razionale" del potente stimolante. In Francia, alla fine degli anni settanta, si consigliava la somministrazione della cocaina agli operai per l'aumento della produzione nelle fabbriche.
Negli Stati Uniti si usava curare l'esaurimento nervoso e persino la timidezza con dosi di cocaina. Nel 1878, il dottor Bentley suggeriva di utilizzare la cocaina per la disintossicazione dei morfinomani. La pratica del dottor Bentley trovava purtroppo vasta applicazione, soprattutto negli Stati Uniti, dove peraltro veniva estesa al recupero degli alcolisti, producendo infallibilmente nei pazienti la conversione della dipendenza dagli oppioidi (e dall'al-cool) al farmaco stimolante. Agli inizi degli anni '80, in Germania furono condotti studi sulle proprieta' stimolanti ed anoressizzanti della cocaina somministrandola di nascosto ai soldati. Lo Stato Maggiore tedesco sperava di trovare una sostanza in grado di migliorare il morale, l'efficienza e la resistenza delle truppe alla fatica e alla fame, in modo facile, sicuro e relativamente economico.
Tali pericolose teorie erano ben conosciute e condivise da Sigmund Freud e lo spingevano a sperimentare, entusiasmandosene, gli effetti della cocaina su se stesso.
Nel suo famoso saggio Sulla cocaina, pubblicato nel 1884, il padre della psicanalisi raccontava come dal 1864 avesse cominicato a fare uso di cocaina per combattere i suoi ricorrenti stati depressivi. L'ingenua fiducia nel nuovo farmaco era tale da indurlo a regalare la cocaina alla sua fidanzata, Marthe Bernays e a consigliare il suo uso come farmaco disintossicante a un caro amico, il patologo Ernst Fleischl, divenuto morfinomane in seguito ad una lunga terapia del dolore.
Dopo aver trovato iniziale giovamento, Fleischl sviluppo' una fortissima dipendenza alla cocaina, sino ad aver bisogno di dosi eccezionali, cento volte superiori a quelle usate nei normali trattamenti: un grammo al giorno che si autosomministrava per iniezione sottocutanea. Fleischl cominciava quindi ad avere spaventosi episodi paranoidei: allucinazioni e deliri che aveva sperimentato talvolta anche Freud, nei quali terrorizzato ed impotente doveva lottare contro i morsi e le aggressioni di miriadi di insetti sopra e sotto la pelle.
I racconti delle angoscianti allucinazioni sensoriali di Fleischl costituiscono il primo resoconto di un sintomo classico del cocainismo, la zoopsia, eufemisticamente indicata come "sintomo delle bestioline". I deliri di Fleischl divennero sempre piu' frequenti, sino a renderlo vittima di una delle prime forme documentate di psicosi cocainica.
La triste esperienza di Fleischl accomunava presto folte schiere di ex-morfinomani e nuovi drogati, facendo finalmente spegnere l'acritico entusiasmo della comunita' medica.
L'epidemia dell'abuso si diffuse quindi tra gli intellettuali, dato che la cocaina veniva ritenuta una sostanza capace di amplificare le capacita' critiche e creative. Scritto in tre giorni e tre notti da un autore dedito all'uso dei piu' diversi farmaci, Robert L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr Hyde, e' forse l'opera letteraria piu' famosa redatta sotto l'effetto di cocaina.
Il famosissimo Sherlock Holmes, immaginario detective dei gialli di Conan Doyle, al quale il suo ideatore faceva consumare notevoli quantita' di cocaina, diede un indiscutibile contributo alla propaganda di questa droga.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la moda della cocaina guadagnava consensi sempre piu' vasti anche al di fuori delle elite intellettuali, soprattutto negli Stati Uniti. Nelle grandi metropoli europee e americane si inauguravano ritrovi per il consumo di cocaina. La cocaina, come la morfina, si consumava poi durante le feste private e nel buio delle platee dei teatri. La cocaina conquistava nuovi adepti anche nelle classi lavoratrici. I conduttori di mezzi di trasporto pubblico o le guardie notturne lo usavano per sopportare il sonno durante i turni di notte. Per le stesse ragioni, la cocaina diveniva sostanza d'abuso nel variegato mondo del popolo della notte. La assumevano scassinatori, prostitute, giocatori d'azzardo, frequentatori di locali piu' o meno alla moda.
Negli stati meridionali dell'unione americana la cocaina costituiva una parte del compenso elargito ai negri raccoglitori di cotone. In Europa l'abuso di cocaina trovava in Francia la sua patria adottiva. Nel 1924 nella sola Parigi si contavano almeno 80.000 cocainomani. Nel 1914, un'indagine epidemiologica pubblicata sul Journal de Médicine française rivelava che almeno meta' delle prostitute di Monmarte era dipendente dalla cocaina. Molti tra i dadaisti e i surrealisti francesi erano dediti a tale droga. La cocaina servi' purtoppo a qualcuno di loro per darsi la morte.
La cocaina dunque era divenuta un grande affare commerciale e, attirando conseguentemente gli interessi della malavita, si era trasformata in una grave minaccia per l'ordine pubblico. A partire dagli inizi del Novecento, le autorita' dei vari stati americani cominciarono a prendere seri provvedimenti restrittivi e ad iniziare una vigorosa campagna educativa nelle scuole e presso gli eserciti.
L'atteggiamento degli Stati Uniti veniva presto imitato a livello internazionale. Il documento elaborato per la «Convenzione dell'oppio» all'Aja dalla Societa' delle Nazioni, nel 1912 e nel 1914, sanciva infatti la messa al bando della cocaina e restringeva la liceita' del suo uso esclusivamente alle applicazioni mediche e alla ricerca.
2.2 Le amfetamine
La storia delle amfetamine e' piuttosto recente rispetto a quella delle altre sostanze psicotrope che abbiamo gia' illustrato. Le amfetamine, infatti, vennero sintetizzate verso la meta' degli anni trenta da un chimico di Los Angeles, Gordon Alles. Tali sostanze dovevano costituire un sostituto sintetico dell'efedrina, un principio farmacologico naturale della pianta Efedra molto efficace nella cura dell'asma, ma di difficile estrazione.
Le amfetamine, poste liberamente in vendita alla fine degli anni trenta in confezioni con inalatore, ebbero immediatamente un successo commerciale, non solo per la loro efficacia nel trattamento delle affezioni asmatiche, ma soprattutto per le proprieta' stimolanti, la cui conoscenza si diffuse immediatamente, in special modo nel mondo degli studenti americani. Questi ultimi avevano imparato ad assumere il farmaco per vincere il sonno durante la preparazione agli esami.
In quegli anni le amfetamine venivano prescritte come antidepressivi e per la cura degli "esaurimenti nervosi". La potente azione anoressizzante, inoltre, veniva utilizzata per la produzione di farmaci per le cure dimagranti. Vennero dunque messe a punto numerosissime "pillole dietetiche", la cui pubblicita' comincio' ad invadere non solo le riviste di medicina ma anche i rotocalchi a larga diffusione. Cio' determinava, agli inizi degli anni cinquanta, una grave e particolare forma di epidemia d'abuso, con moltissimi casi di persone diventate dipendenti all'amfetamina nel corso di cure dimagranti, ed induceva i governi dei paesi occidentali a regolamentare la produzione e il commercio di farmaci a base di amfetamine.
Le amfetamine e la seconda guerra mondiale

La prima grave epidemia d'abuso, in realta', si era verificata durante la seconda guerra mondiale. Le pillole a base di amfetamine venivano infatti distribuite ai soldati, specialmente ai piloti, per aumentarne l'efficienza e sostenerne il morale. Secondo alcune stime, circa il 10% delle truppe inquadrate nell'esercito americano era dedito all'uso cronico e pesante di amfetamine. Tra i soldati dei corpi speciali e tra i prigionieri di guerra tale percentuale si alzava sino al 25%. I tedeschi distribuirono agli alleati giapponesi dell'Asse grandissime quantita' di amfetamine, esportando verso l'Impero del Sol Levante anche le conoscenze e le tecnologie necessarie allo loro sintesi.
A differenza dei tedeschi, pero', i giapponesi distribuivano le amfetamine soprattutto alla popolazione civile, nelle fabbriche di munizioni e materiale bellico, per aumentare la produttivita'.
"Ammine della veglia" fu il nome dato dai giapponesi a queste sostanze e che indicava sinteticamente i loro effetti piu' manifesti ed apprezzati.
Alla fine della guerra, le industrie farmaceutiche nipponiche cercarono di vendere le enormi scorte di amfetamine accumulate con anni di produzione esasperata, attraverso una martellante campagna pubblicitaria, che decantava l'efficacia di queste droghe nei casi di depressione, sonnolenza, stanchezza cronica, obesita'. La campagna pubblicitaria ebbe un grande successo in quanto sfruttava scientificamente il diffuso stato di frustrazione e sfiducia che si era impadronito del paese, soprattutto dei giovani, in seguito alla sconfitta militare, proponendo un rimedio estremamente economico, rapido e potente. Con gli inizi degli anni '50, quindi, scoppiava in Giappone una vera epidemia dell'abuso di amfetamine.
Una statistica del 1950 rivelava che circa il 5% della popolazione compresa tra i 16 e i 25 anni era costituita da tossicodipendenti dediti all'uso di amfetamine. Un'altra statistica del 1954, invece, dimostrava che su sessanta omicidi commessi nel paese, trentuno erano in qualche modo in rapporto piu' o meno diretto con l'abuso di tali sostanze.

Par. 3 - Gli allucinogeni -

3.1 La Canapa Indiana
La canapa indiana (Cannabis indica) e' una pianta comune largamente diffusa nelle zone tropicali e temperate della terra. Dalla canapa indiana si traggono la marijuana e l'hashish, sostanze con blanda azione euforizzante ed allucinogena. La marijuana e' una miscela delle foglie, dei fiori e degli steli della canapa indiana, mentre l'hashish rappresenta la resina della cannabis estratta dal polline dei suoi fiori. L'hashish possiede effetti stupefacenti molto piu' forti rispetto alla marijuana in quanto la resina del polline contiene una percentuale di principi psicoattivi, i cannabinoli, piu' elevata di quella propria della pianta al naturale.
Dalla preistoria agli "assassini"
Si suppone che l'uso della canapa indiana cominci in eta' neolitica nei territori situati a sud ovest del Mar Caspio e corrispondenti all'attuale Afghanistan. La conoscenza della canapa si sarebbe da qui diffusa verso la Cina, dove il suo uso e' documentato nel Rhyya, un trattato cinese di botanica del XV secolo a.C. Nel trattato farmacologico risalente al leggendario imperatore Shen Nung, la canapa veniva descritta come sedativo e panacea. Il testo indiano Atharveda indicava la canapa come elemento magico e medicinale.
In India la canapa era ritenuta di origine divina, in quanto derivava dalla metamorfosi dei peli della schiena di Visnu'.
Come tutti gli oggetti sacri essa possedeva vari epiteti tra i quali quello di Vijahia (fonte di felicita' e successo) e di Ananda (che produce la vita). La canapa era coltivata dai bramini negli orti dei templi e serviva alla preparazione di un infuso chiamato bhang, che assunto in determinate occasioni rituali favoriva l'unione con la divinita'.
Gli Assiri bruciavano una sostanza chiamata qunnabu nei loro templi, mentre Caldei e Persiani la conoscevano rispettivamente col nome di kanbun e di kenab. Nell'Avesta persiano la canapa occupava il primo posto in una lista di migliaia di sostanze terapeutiche.
Nel mondo islamico la canapa era tenuta in grandissima considerazione. Hashish in arabo significa erba, anzi e' l'erba per eccellenza, come se l'attivita' psicotropa della pianta costituisse la chiave definitoria dell'intero regno vegetale.
La canapa e' stata protagonista della vicenda leggendaria del "Veglio della Montagna" e della feroce setta dei suoi assassini, che Marco Polo riprendeva con alcune varianti nel Milione, una storia che ha stimolato per secoli l'immaginario occidentale, soprattutto quello dell'epoca Romantica. In essa si raccontava di come l'imam Hasan, infallibile ed onnipotente capo della citta' fortezza di Alamut si servisse dell'hashish per arruolare dei giovani e renderli privi di volonta' e da lui assolutamente dipendenti in modo tale da spingerli nelle imprese piu' pericolose, non escluso l'omicidio. Il termine assassini, con cui si indicavano in Europa i componenti di questo devotissimo corpo armato di vendicatori, e quindi per estensione gli autori di omicidio, derivava dall'arabo hashishen, cioe' dediti all'erba.
L'hashish e l'indagine sulla follia
L'uso voluttuario della canapa veniva introdotto in Europa (soprattutto in Francia), nell'Ottocento, in seguito alla conquista delle provincie dell'impero Ottomano da parte delle truppe napoleoniche. Gli estatici abbandoni ed il vacuo torpore, il kif, cui si lasciavano andare gli islamici e divennero presto esperienza comune tra i borghesi e i giovani romantici parigini. Nascevano quindi circoli di fumatori d'hashish, luoghi consacrati ad un nuovo culto laico. Il «Club des Haschischins» era forse il piu' noto di questi. Vi convenivano alcuni tra i maggiori letterati ed artisti parigini dell'epoca, come Gérard de Nerval, Théophile Gautier, Charles Baudelaire, Honoré de Balzac.

Fig. 7: L'accenditrice di narghile'
Jean-Leon Gerome, olio su tela, 1898. Collezione privata.
Il fumo della canapa, che gli europei avevano riscoperto con le conquiste coloniali nel Nord Africa ed in medio Oriente, divenne una pratica piuttosto diffusa nella buona societa' dell'Ottocento, soprattutto in quella francese.
Diverso era l'approccio che caratterizzava l'altro famoso cenacolo dei fumatori di hashish (Fig. 7), quello di cui era capo indiscusso il medico Jacques Joseph Moreau de Tours. In questo circolo l'hashish era usato "sperimentalmente", come una sorta di sonda chimica per indagare la follia dal di dentro.
Nel saggio Du haschisch et de l'aliénation del 1845, Moreau de Tours scriveva di aver visto «nell'haschisch, o piuttosto nella sua azione sulle facolta' morali, un mezzo potente, unico, per esplorare le patologie mentali». Cio' perché, per comprendere le straniate architetture del pensiero folle, bisognava averci vissuto dentro, almeno per un momento,
ma senza perdere coscienza del delirio, mantenendo la capacita' di osservare e giudicare le alterazioni via via sopraggiunte. Secondo Moreau de Tours, questo era possibile assumendo hashish.
3.2 Piante allucinogene del sud America

Fig. 8: Statuetta messicana che rappresenta una donna sciamano con fungomagico

La sacralita' della Psylocibe mexicana, e' attestata dal gran numero di ritrovamenti di statuette simili a quella raffigurata.
Molto antica e' anche la storia dell'uso religioso del fungo magico del Messico e dell'America centrale (Psylocibe mexicana Fig.8) in cui sono presenti due potenti sostanze allucinogene, la psilocibina e la psilocina, straordinariamente simili nella struttura chimica all'LSD.
Teonanacatl e' il nome indio di questo fungo e significa carne di dio, perché i sacerdoti messicani pensavano che esso permettesse di entrare in comunicazione con gli dei e di acquisire facolta' magiche e curative. L'idea dello Psylocibe come veicolo di un viaggio a ritroso verso una grandezza e una ricchezza perdute e' ancora oggi comune in alcuni riti degli Indiani mazatechi e zapotechi.
Gli aztechi, invece, ritenevano sacro il cactus peyote (Fig. 9), la pianta da cui si ricava un allucinogeno naturale, la mescalina, la cui ingestione da' effetti simili a quelli dell'LSD. I mescaleros, cosi' i conquistadores spagnoli chiamarono gli indios del Centro America, avevano fatto dell'assunzione di peyote il fulcro dei cerimoniali religiosi.
L'esperienza di trascendenza e di illuminazione che questa sostanza e' capace di dare costituisce ancora oggi un elemento centrale della cultura religiosa di alcune tribu' indiane d'America. I sacerdoti del Peyotismo non impongono nessun dogma specifico ai fedeli, poiché ritengono che ciascuno puo' entrare in comunione con Dio tramite la "grazia" che da' l'ingestione del peyote. Il peyotismo e l'uso rituale del peyote e del fungo psylocibe sono il tema fondamentale di alcune delle opere piu' famose di un antropologo brasiliano, Carlos Castaneda: A scuola dallo stregone, Una realta' separata e Viaggio a Ixtlan. Piuttosto che illustrare in maniera oggettiva i risulati di una ricerca scientifica condotta sul campo, esse tuttavia rappresentano una ingenua ed acritica apologia della mistica e dell'irrazionale, tanto che Castaneda e' diventato una sorta di guida spirituale per la ribellione antintellettualistica condotta da molti giovani negli anni della contestazione del '68.
La mescalina ispirava un'altra opera letteraria di grande fortuna: Le porte della percezione, scritta da Aldous Huxley, l'autore de Il mondo nuovo. Egli riteneva che la mescalina fosse il mezzo piu' efficace per gettare luce su quelle zone della coscienza umana che la cultura occidentale, cosi' improntata alla razionalita', aveva messo in ombra. Per tale ragione, egli accettava di fare da cavia agli esperimenti con cui gli psichiatri Humphry Osmond, John Smythies e Abraham Hoffer stavano indagando la possibilita' di studiare i meccanismi biologici della schizofrenia attraverso l'induzione di psicosi sperimentali con mescalina. Le porte della percezione narrano le esperienze e raccolgono le riflessioni suscitate dai viaggi allucinati condotti da Huxley sotto l'effetto della mescalina.
Fig. 9: Cactus peyote (Lophophora williamsi)

In seguito alla loro conversione al Cristianesimo, le popolazioni del centro America hanno incorporato il culto del peyote nei rituali cattolici. Nel 1918, questo singolare sincretismo, che ancora oggi viene praticato, e' stato proclamato ufficialmente Chiesa indigena americana.
3.3 Gli allucinogeni di sintesi
Le metossiamfetamine
Tra gli allucinogeni di origine naturale, la mescalina e' sicuramente la sostanza meno attiva. Negli anni '60, l'interesse sorto in ambito psichiatrico intorno alla mescalina diede un forte impulso alle ricerche chimiche e farmacologiche tese a potenziare gli effetti del principio attivo del peyote. Nascevano cosi' le metossiamfetamine. Le prime metossiamfetamine hanno conosciuto una grandissima diffusione nel movimento hippy, soprattutto tra gli hippies di quello che era il centro mondiale della produzione di nuove sostanze psicoattive e dell'esplorazione dei loro effetti, San Francisco. Una tra queste, la 2,5-Dimetossi-4-metilamfetamina (DOM), cento volte piu' potente della mescalina, era stata soprannominata STP, abbreviazione di serenita', tranquillita', pace, ma anche chiaro riferimento ad un noto additivo della benzina usato per dare piu' potenza al motore.
Il tramonto della cultura psichedelica hippy e l'avvento di quella efficientistica e piu' "effimera" degli yuppies determinava quindi il declino dell'uso delle sostanze allucinogene. La trasformazione del mercato delle sostanze psicotrope impose cosi' all'industria chimica illegale la produzione di droghe capaci di aumentare la vigilanza e la consapevolezza del sé senza produrre effetti psicotici e distorsioni percettive. La piu' tristemente famosa di queste sostanze e' l'MDMA, nota come ecstasy. Una droga che ha raggiunto il massimo della popolarita' negli anni '80, in quella parte della popolazione giovanile che ha assimilato le istanze e gli stereotipi piu' deteriori - soprattutto per quanto riguarda le pratiche di aggregazione sociale - proposti da alcuni nuovi modelli culturali.
L'ecstasy e' cosi' diventata una sostanza molto usata tra quelli che maniacalmente cercavano e cercano l'esasperazione del divertimento nelle discoteche, nelle feste private e nei locali notturni, perché conferisce euforia e possiede una potente azione eccitante. Al suo uso non e' certo disgiunta la drammatica crescita della mortalita' sulle strade del sabato sera.
LSD: la dietilamide dell'acido lisergico
Nella grandissima varieta' delle sostanze allucinogene, la dietilammide dell'acido lisergico, o piu' brevemente LSD (Fig.10), e' sicuramente la piu' conosciuta. Essa e' stata la prima droga psichedelica ad incidere in maniera profonda sulla cultura e sull'immaginario del mondo occidentale. Intorno all'esperienza psicheledica prodotta dall'LSD, infatti, si originarono alcuni tratti fondamentali della "metafisica" e, in certi casi, della mistica che animava la rivolta hippy e che sul finire degli anni '60 si diffuse da San Francisco in tutti i paesi industrializzati. Il 16 aprile 1943, Albert Hofmann, un chimico dei laboratori Sandoz, ingerendo accidentalmente l'LSD nel corso di esperimenti sull'attivita' farmacologica dei derivati dell'acido lisergico, veniva colto da allucinazioni, da un flusso ininterrotto di vivide visioni, immagini distorte, giochi caleidoscopici di colori, forme grottesche, durato qualche ora.
Egli aveva scoperto casualmente le straordinarie proprieta' psichedeliche dell'LSD.
Uno dei primi utilizzi dell'LSD (Fig.10) tentati in medicina fu quello in ambito psichiatrico. Esso venne usato con l'intento di rendere conscio l'incoscio, ma anche, come nel caso degli altri allucinogeni, quale strumento per indurre delle psicosi sperimentali e studiare quindi i meccanismi della malattia mentale. Agli scarsi successi terapici, tuttavia, si accompagnava una straordinaria e rapida diffusione nel consumo voluttuario di LSD.
Fig. 10:
Pannocchia di granturco infestata da Claviceps purpurea, fungo da cui si estrae l'acido lisergico, sostanza base la sintesi dell'LSD
L'LSD diveniva in breve una bandiera ideologica, il simbolo dell'anticonformismo e del rifiuto dei valori della cultura occidentali.
Secondo gli hippies e i ragazzi della beat generation, l'LSD doveva servire a promuovere quella rivoluzione psichedelica che avrebbe finalmente liberato la coscienza e i comportamenti dai legacci dell'educazione all'individualismo e del pensiero raziocinante imposti come norma dalla societa' occidentale.

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