Filosofia: Il problema del mito

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Categoria:Generale

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Data:28.06.2000
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Il nuovo esame di maturità – Prova orale
IL COLLOQUIO MULTIDISCIPLINARE - TEMA DI DISCUSSIONE: FILOSOFIA
IL PROBLEMA DEL MITO
L’indagine del concetto di mito permette di collegare numerosi campi del sapere: antropologia, filologia, studi classici, filosofia, storia, psicoanalisi, archeologia. È immediato osservare come la cultura occidentale abbia ereditato innumerevoli materiali mitologici dalla cultura greca. Tanto nelle arti quanto in filosofia desta meraviglia l’interesse rivolto alla cultura pagana, e non si può indicare un ambito culturale che non sia stato decisamente influenzato da questa ripresa di antichi temi. La mitologia classica offre alla cultura occidentale una fonte inesauribile di ispirazione, e nel contempo, a partire da Platone, si accende intorno al mito un dibattito continuo volto alla definizione della sua natura. La continuità del problema rende lecito il sospetto che il valore attribuito al mito vada oltre una semplice questione accademica e che coinvolga una dimensione più vasta e profonda della nostra cultura. Considerare il mito come una favola senza valore o come un primo tentativo di spiegazione del mondo fenomenico o come fondazione delle istituzioni culturali o come forma di pensiero distinta dal pensiero logico-scientifico ha implicazioni etico-politiche profondissime (di fronte alle popolazioni americane o africane, sia il cristianesimo sia l’Islam, hanno operato spesso una conversione forzata, appellandosi all’infondatezza o alla diabolicità dei miti che fondavano la loro cultura).
È decisiva, nella definizione del sapere filosofico, la contrapposizione operata da Platone tra logos, cioè il discorso nella particolare forma assunta nel ragionamento filosofico, e mythos, inteso come racconto di eventi riguardanti le divinità, gli eroi e i viaggi nell’al di là, caratteristico della poesia epica. Tale contrapposizione è estremamente significativa se si considera il ruolo centrale che il mito occupa nella cultura dei greci e in genere in ogni civiltà. La svalutazione del mito, operata da Platone, indica un avvenuto mutamento del sentire dei greci nei confronti della loro cultura, ma come è potuto accadere ciò? Altrettanto, nella tragedia, l’eroe del mito subisce una critica e una contestazione dalla città: con le parole di J.P. Vernant, se il mito, nella sua forma autentica, dava risposte senza mai formulare esplicitamente i problemi, la tragedia, quando riprende le tradizioni mitiche, attraverso di esse pone dei problemi senza risolverli.
Platone, a sua volta, recupera il mito attribuendogli la possibilità di dire, riguardo al Bene, gli dei o la nascita del mondo, ciò che al logos è impossibile, così il mythos si qualifica come ciò che sa dire la verità, mentre alla filosofia spetta il compito di giungere alla verità attraverso il discorso logico.
Bisogna osservare che i tentativi di definizione del mito portano inevitabilmente a un paradosso, in quanto ogni discorso intorno a esso appartiene a un ambito culturale (filosofia e scienza) che si definisce a sua volta in opposizione al mito stesso: il mito è finzione (in opposizione al reale), il mito è assurdo (in opposizione al razionale).
Alla frattura tra mythos e logos avvenuta tra l’VIII e il IV secolo a.C., si accompagna un mutamento culturale di grande importanza: il passaggio dall’oralità alla scrittura. Non sappiamo perché sia nata l’esigenza di trasporre in scrittura i racconti dell’ira di Achille o del viaggio di ritorno di Ulisse o, ancora, la genealogia degli dei a opera di Esiodo, tuttavia possiamo analizzare gli apporti della scrittura alla cultura greca.
La scrittura permette una maggiore astrazione concettuale e una più complessa organizzazione del discorso, inoltre, come testimoniato dai trattati medici (il corpus ippocratico), dai racconti storici, dalle orazioni politico-giuridiche e dalle dissertazioni filosofiche, non ci troviamo di fronte solo a inedite forme di espressione, se paragonate alla tradizione orale o poetica, ma a una nuova forma di pensiero. Il logos trova la sua forma principale di espressione attraverso la scrittura, e nella coscienza dei greci appare chiaro che la sua capacità di affermarsi come discorso vero avviene attraverso un’azione sulla mente posta a un livello diverso da quello della parola. La parola poetica, tragica, retorica o sofistica agiscono sulla mente commuovendo o incantando, in altre parole procurando piacere, ma a tutto ciò il logos sembra volere coscientemente rinunciare. Si afferma così una separazione netta in seno alla cultura occidentale: da un lato ciò che da la potenza alla parola viene svalutato e posto sul piano del mythos, dall’altro il logos, il discorso, per potersi affermare nell’ordine del vero, deve contemporaneamente rinunciare all’ordine del piacevole, del commovente e del drammatico (si può osservare come tale opposizione caratterizzi il rapporto tra scienza e filosofia da un lato e arte dall’altro).
Bibliografia
M. Detienne, Dioniso e la pantera profumata, 1977.
M. Detienne, La figura di Dioniso in una nuova interpretazione.
C. Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto, Dal miele alle ceneri, 1966.
L’analisi strutturalistica antropologica ha influenzato gran parte del pensiero contemporaneo, e ha fornito numerosi strumenti alla moderna interpretazione del mito.
F. Jesi, Mito, 1973. Il testo offre una panoramica delle interpretazioni classiche del mito e offre notevoli agganci alla letteratura e alla filosofia.
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, 1872.
R. Schérer, Dionisos, l’étranger, www.philagora.net
L’ultimo capitolo di Morte a Venezia di T. Mann letto alla luce del mito di Dioniso.
J-P. Vernant, Mito e società nell’antica Grecia, 1974-76. Il capitolo “Ragioni del mito” analizza approfonditamente il rapporto tra logos e mythos, e tra oralità e scrittura.

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