Stati Uniti

Materie:Appunti
Categoria:Ricerche
Download:302
Data:15.02.2001
Numero di pagine:61
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
stati-uniti_3.zip (Dimensione: 47.07 Kb)
trucheck.it_stati-uniti.doc     245.5 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Stati Uniti d'America (inglese United States of America), repubblica federale dell'America settentrionale, costituita da quarantotto stati confinanti e due geograficamente non contigui: l'Alaska e le isole Hawaii. Comprende inoltre alcuni possedimenti non incorporati: Puerto Rico, le Samoa Americane, Guam e le isole Vergini Americane. I quarantotto stati limitrofi si estendono nella fascia centrale dell'America settentrionale e sono delimitati a nord dal Canada, a est dall'oceano Atlantico, a sud dal golfo del Messico e dal Messico e a ovest dall'oceano Pacifico. A nord i Grandi Laghi e il fiume San Lorenzo delimitano in parte il confine con il Canada, mentre a sud il Rio Grande separa gli Stati Uniti dal Messico. Lo stato dell'Alaska è situato all'estremità nordoccidentale del continente americano e l'arcipelago delle isole Hawaii si trova nell'oceano Pacifico, a più di 5000 km di distanza dalla costa statunitense.
La capitale è Washington, DC e il centro urbano più esteso è New York. La superficie dello stato è di 9.809.155 km2, di cui 1.530.700 km2 costituiscono l'Alaska e 16.615 km2 le isole Hawaii. L'intero sistema delle acque interne ha una superficie di 507.788 km2.
Territorio
Gli Stati Uniti presentano una grande varietà di paesaggi e ambienti che sono all'origine di una flora e una fauna notevolmente diversificate, approfondite nelle voci riguardanti i singoli stati.
Morfologia
La struttura geomorfologica degli Stati Uniti è caratterizzata dalla presenza di due sistemi montuosi (quello dei monti Appalachi a est, quello delle Montagne Rocciose a ovest) allineati da nord a sud, e di un vasto insieme di pianure nella parte centrale. Essa è il risultato di una lunga successione di collisioni e separazioni di grandi aree della parte superficiale della crosta terrestre, in base alla teoria nota come tettonica a zolle. Il nucleo continentale più antico è lo Scudo Canadese, o Laurentian Plateau (altopiano Laurenziano), costituito da una massa di graniti e di altre rocce cristalline che affiorano in tutto il Canada orientale e nella parte nordorientale degli Stati Uniti. Alla formazione dello Scudo seguì un lungo periodo di inattività della crosta terrestre durante il quale il continente, in seguito a continui fenomeni erosivi, assunse l'aspetto di un tavolato che i mari adiacenti ricoprirono con spessi strati di sedimenti. Verso la fine di questo periodo estese foreste coprivano le superfici emerse e la combinazione di materiale organico e sedimenti marini permise la formazione di vasti giacimenti di petrolio e di carbone.
Il periodo di calma geologica ebbe termine quando i continenti dell'America settentrionale e dell'Europa entrarono in collisione nel primo periodo della formazione dei fossili, o Carbonifero, in seguito al quale i continenti americani si scontrarono con quelli africani. Il fenomeno provocò la formazione del sistema montuoso degli Appalachi, originariamente costituito da vette elevate. Questa collisione determinò la deriva della massa continentale verso ovest con una conseguente espansione dell'oceano Atlantico e un periodo di calma geologica che interessò nuovamente le aree orientali degli Stati Uniti. Il materiale prodotto dall'erosione dei monti Appalachi si depositò e si accumulò nella regione interna delle Grandi Pianure e nelle pianure costiere affacciate sull'Atlantico e sul golfo del Messico.
Nel frattempo, la compressione tra la zolla americana in spostamento verso ovest e la zolla pacifica determinò la formazione di nuovi sistemi montuosi nella sezione occidentale: le Montagne Rocciose con i loro altipiani (del Colorado e del Montana) e le loro catene montuose, come le Black Hills del South Dakota. Lo slittamento delle rocce lungo le faglie formate da ulteriori spinte determinò la formazione della Sierra Nevada in California, dei monti Wasatch nello Utah, delle catene montuose allineate del Nevada e della Teton Range nel Wyoming. Il suolo dell'Arizona e dello Utah meridionale si sollevò e i fiumi incisero profondi canyon.
Effetti dei mutamenti climatici
Nel Pleistocene grandi calotte di ghiaccio iniziarono a coprire la parte orientale del Canada e i rilievi dell'Ovest e da qui iniziarono un graduale spostamento verso sud trasportando materiale roccioso e detriti. Le erosioni glaciali hanno determinato l'attuale configurazione del paesaggio del New England e del Minnesota settentrionale, caratterizzato da accumuli morenici e da laghi allineati. Lo scioglimento dei ghiacci alimentò i fiumi Hudson, Illinois, Minnesota, Missouri e Columbia, che nel loro corso scavarono ampie valli; esso fu anche all'origine della formazione dei Grandi Laghi.
Morfologie glaciali si rintracciano in tutta la fascia settentrionale degli Stati Uniti, a partire dai bassi crinali sabbiosi che segnano i letti e le sponde di antichi laghi ai confini orientali e occidentali del Vermont e nell'Ohio nordoccidentale, attraverso le sabbiose province centrali del Wisconsin, nei pressi del Red River in Minnesota, nel South e nel North Dakota, intorno al Grande Lago Salato nello Utah, sino al bacino Missoula nel Montana e nella Central Valley in California.
I fenomeni di glaciazione hanno inoltre lasciato spessi depositi di loess (vedi Deposito) sulle fertili pianure circostanti i fiumi Mississippi e Missouri, sui più scoscesi promontori del Wisconsin occidentale e del Tennessee occidentale, nelle regioni orientali dello stato di Washington. Episodi di innalzamento del livello dei mari hanno portato alla formazione di distese sabbiose all'interno della pianura costiera del golfo del Messico e sui pendii delle montagne che dominano l'oceano Pacifico; la baia di Chesapeake e molte altre valli di origine fluviale, situate lungo la costa atlantica dalla Georgia al Connecticut, si formarono invece conseguentemente a fasi di abbassamento del livello dei mari.
Clima
Negli Stati Uniti il clima è ovunque temperato, a esclusione dell'Alaska, situata nella fascia climatica subartica. Esso presenta tuttavia marcate variazioni regionali dovute alla disposizione dei rilievi, orientati in senso meridiano, e alla diversa influenza degli oceani. Specialmente la vasta sezione interna del paese, priva di sbarramenti orografici, è esposta alle masse d'aria fredda provenienti dal Polo Nord, che possono spesso raggiungere le aree più meridionali del paese, e, in senso opposto, alle masse d'aria calda e umida provenienti dai tropici, che possono spingersi sino alle regioni nordorientali.
La sezione orientale del paese, esposta all'Atlantico, è soggetta a sud agli influssi subtropicali, che rendono gradevole il clima della Florida, a nord agli influssi continentali, come dimostra il clima severo di New York. La sezione occidentale è invece condizionata climaticamente dalle correnti oceaniche occidentali, che rendono umidi e piovosi i versanti montuosi rivolti al Pacifico a nord, mentre a sud, nella California, prevalgono gli influssi subtropicali che apparentano il clima locale a quello mediterraneo. Però tutta la parte interna, dalle Grandi Pianure sino alle catene costiere, schermata dai rilievi, è poco piovosa e in certe aree addirittura desertica.
Due fenomeni, legati alla circolazione atmosferica, condizionano in modo determinante il clima degli Stati Uniti. Il primo, legato agli alisei, riguarda le correnti ascendenti di aria calda e umida provenienti dalla fascia equatoriale che, a 30° di latitudine nord, perduta l'umidità, iniziano a scendere, portando condizioni atmosferiche calde e asciutte nelle aree sudoccidentali del paese, soprattutto in estate. Un altro fenomeno significativo è la corrente a getto, cioè quei forti venti che soffiano generalmente da ovest verso est negli strati alti dell'atmosfera, ma che influenzano in modo decisivo la circolazione negli strati più bassi dell'atmosfera stessa.
L'osservazione delle correnti a getto consente di effettuare accurate previsioni meteorologiche in qualsiasi momento del giorno. In estate la corrente a getto si trova generalmente vicino al confine con il Canada, ma può spostarsi a nord fino all'Alaska o a sud fino alla Louisiana. Nello stato di Washington e in Alaska essa porta l'aria umida del Pacifico verso le regioni interne, mentre negli altri stati occidentali hanno la prevalenza le masse di aria asciutta provenienti dal Messico e dal Canada. A est, al contrario, la corrente a getto può determinare lo spostamento di masse d'aria umida dal golfo del Messico al Canada. Durante l'inverno il sistema dei venti influenza le regioni meridionali del paese. Le masse d'aria provenienti dal Pacifico portano nuvole e pioggia sui rilievi della costa californiana e dell'Alaska meridionale.
I cataclismi meteorologici sono strettamente connessi alla direzione stagionale della corrente a getto e ai fronti a essa associati. Le piogge torrenziali sono più frequenti nelle vicinanze del golfo del Messico; i tornado si verificano nelle regioni centrali degli Stati Uniti, dove le masse d'aria provenienti dal Canada e dal golfo si scontrano violentemente; gli uragani si sviluppano nella tarda stagione estiva e, provocati dalle masse d'aria calda provenienti dall'Atlantico, si spostano verso gli stati sudorientali nella stagione autunnale. Le abbondanti nevicate invernali negli Stati Uniti orientali sono causate dal rapido raffreddamento dell'aria del golfo, fenomeno che, nella regione dei Grandi Laghi, risulta amplificato dai venti continentali freddi provenienti da nord.
Idrografia
Il territorio degli Stati Uniti è diviso in diversi sistemi idrografici. Anzitutto la sezione orientale del paese riversa le sue acque nell'oceano Atlantico attraverso la serie di fiumi che scendono dagli Appalachi: l'Hudson, il Delaware, il Susquehanna, il Potomac e il Savannah, tutti con una portata considerevole, dovuta alle frequenti precipitazioni; essi, grazie a ciò, costituiscono importanti vie di comunicazione utilizzate in prevalenza per il trasporto delle merci.
Tutta la grande regione interna convoglia le sue acque nel golfo del Messico, in massima parte attraverso il Mississippi. Dalla sinistra esso riceve affluenti importanti come l'Ohio, il Tennessee e l'Illinois, soggetti a piene frequenti nella stagione primaverile, con portate che diminuiscono nelle calde settimane della tarda estate e nei nevosi mesi invernali. La regolazione del flusso e il controllo delle piene di questi fiumi sono stati messi a punto attraverso un complesso sistema di dighe e argini.
Lo scioglimento delle nevi alimenta gli affluenti che scorrono da ovest, tra cui il Missouri, il Platte, l'Arkansas. Al golfo del Messico tributano direttamente altri fiumi, come il Rio Grande. Al Pacifico sono diretti i fiumi che drenano le regioni occidentali come il Colorado, il Sacramento, lo Snake e il Columbia, che scorrono verso ovest. Quasi tutti questi fiumi riducono la loro portata allontanandosi dalle sorgenti montane e alcuni, come il Colorado, sono regolati da dighe e deviati per un utilizzo urbano e agricolo così massiccio che non portano più acqua al mare. In Alaska tutta la rete idrografica è legata allo Yukon.
Dei numerosi laghi presenti sul territorio statunitense i principali sono i Grandi Laghi (Superiore, Michigan, Huron, Erie e Ontario) che, collegati tra loro da una serie di canali e corsi d'acqua, rappresentano il bacino lacustre più esteso del mondo collegato a sua volta, attraverso il San Lorenzo, all'oceano Atlantico. Innumerevoli laghi minori sono disseminati nella zona nordorientale degli Stati Uniti, nel Midwest settentrionale e in gran parte dell'Alaska. Fra i principali vi sono il Champlain, il Winnipesaukee e il Cayuga a nord-est e il Winnebago, il Red e i Mille Lacs nel Midwest. Il Grande Lago Salato dello Utah e molti altri bacini di estensione minore situati nello stato del Montana costituiscono i resti di laghi molto più estesi formatisi in epoca glaciale.
Flora
Al tempo in cui iniziò la colonizzazione europea circa metà del territorio statunitense era ricoperto da foreste, l'estensione delle quali è stata negli anni notevolmente ridotta per lasciare il posto a coltivazioni e insediamenti abitati. Gli Stati Uniti conservano tuttavia una vegetazione molto ricca che varia in corrispondenza delle diverse fasce climatiche del paese.
La vegetazione dell'Alaska settentrionale è dominata da una tundra brulla, battuta dal vento, dove crescono in prevalenza muschi, licheni e bassi arbusti. Nelle regioni interne e meridionali la stagione favorevole alla crescita è più lunga e spiega la presenza di alcune specie di conifere, in particolare abeti. Qui si sviluppa la taiga che si estende fino al New England settentrionale e alla regione dei Grandi Laghi.
A sud della taiga crescono foreste di conifere e latifoglie quali pini, aceri, olmi, betulle, querce, noci americani, faggi e sicomori. Questo tipo di vegetazione caratterizza la regione dei Grandi Laghi e la maggior parte del New England e degli stati del Middle Atlantic. Le specie arboree si fanno più numerose procedendo verso sud: il parco nazionale delle Great Smoky Mountains, che si trova tra il North Carolina e il Tennessee, ospita più specie di alberi dell'intero continente europeo.
Nelle regioni affacciate sul golfo del Messico crescono in prevalenza foreste di pini, oltre a magnolie e alberi della gomma (tupelo); lungo le coste paludose si incontrano cipressi e mangrovie che permettono alla costa di resistere all'erosione del vento e delle mareggiate.
A ovest degli Appalachi le fitte foreste di latifoglie si estendono sino alla valle del Mississippi, ma, procedendo verso il centro delle Grandi Pianure, diventano sempre più rade, lasciando il posto a gruppi isolati di querce e a praterie. Queste, prima che la terra fosse destinata alla coltivazione, occupavano l'attuale Corn Belt, dall'Indiana alle Grandi Pianure dell'est. Più a ovest, in corrispondenza di climi più aridi, la vegetazione delle praterie è dominata a nord da specie arbustive quali l'artemisia e, a sud, dal mesquite e dal ginepro.
La graduale transizione verso la tipica vegetazione delle zone aride è interrotta dalle Montagne Rocciose e da contrafforti montuosi isolati, dove crescono alberi d'alto fusto. Qui pini e ginepri, sui bassi versanti, lasciano il posto, a quote più elevate, a pioppi tremuli, abeti e abeti rossi. In tutti gli stati del Mountain e in quelli affacciati al Pacifico le zone aride, caratterizzate da una povera vegetazione arbustiva, si alternano ad aree montuose ricche di foreste. Nelle aree desertiche crescono l'artemisia, il ginepro, il mesquite, cespugli di creosoto e yucca; le "foreste" di cactus che, nell'immaginazione popolare, sono associate alle aree desertiche si trovano in realtà sui versanti dei rilievi nel deserto del Mojave e in California. Sull'altopiano del Colorado, più alto e ancora piuttosto arido, si trovano pini ponderosa e piñon.
Le estati calde e secche e gli inverni miti e umidi delle coste della California meridionale permettono la crescita di una particolare vegetazione arbustiva xerofila meglio conosciuta come chaparral. Più a nord, sulle pendici occidentali dei rilievi costieri e della Sierra Nevada, la stagione invernale più lunga e particolarmente piovosa favorisce la crescita di sequoie. Nell'Oregon occidentale e nello stato di Washington cresce una ricca foresta, alimentata dalle abbondanti precipitazioni, che ospita innumerevoli specie di abeti, cedri e pini, alcuni dei quali di statura gigante, come il pino Douglas, che costituiscono un'importante risorsa forestale. Lungo le coste dell'Alaska le specie arboree sono meno numerose ma caratterizzate da una rapida crescita.
La vegetazione delle isole Hawaii, dove il clima è influenzato dalla presenza dei rilievi e dagli alisei carichi di umidità, presenta lungo la costa nordorientale foreste di alberi di guava che alle medie altitudini, dove si registra una media delle precipitazioni annuali particolarmente elevata, lasciano il posto a una ricca foresta tropicale (ohia). A quote elevate la vegetazione è di tipo arbustivo e sulle vette più alte, il Mauna Loa e il Mauna Kea, si trovano macchie di tundra. Le zone sottovento (sud-est) sono, di fatto, aride e ospitano cespugli spinosi di koa e kiave che crescono sui pendii leggermente più umidi.
Fauna
Nelle zone artiche e nella tundra montana vivono marmotte, scoiattoli e, occasionalmente, orsi. Numerosi grandi mammiferi, tra i quali il tricheco e la foca, trovano un habitat ideale nelle regioni costiere dell'Alaska. Caribù e alci trascorrono l'estate nella tundra, mentre d'inverno migrano verso sud nelle foreste di conifere. Le foreste di latifoglie delle montagne appalachiane ospitano alci, orsi bruni, volpi, cervi, procioni, moffette, scoiattoli e una grande varietà di piccoli uccelli. Lungo la costa del golfo del Messico vivono uccelli quali il pellicano, il fenicottero e il martin pescatore, mentre le acque delle paludi costiere e della Florida sono abitate da alligatori. I bisonti vengono comunemente associati alle praterie, sebbene un tempo popolassero la maggior parte dell'America orientale, prima di essere quasi completamente sterminati dagli europei; oggi vivono solo in aree protette o in cattività. Tartarughe, conigli e cani della prateria vivono nelle regioni centrali.
Gli stati montuosi occidentali, specialmente l'Alaska, sono gli ultimi rifugi di animali di grossa taglia: alci, antilocapre, cervi, bighorn (pecora delle Montagne Rocciose), capre delle nevi, lupi e, in poche zone isolate, grizzly. In Alaska vive inoltre l'orso kodiak (vedi Orso bruno), il più grande carnivoro del Nord America. Le zone desertiche dell'Ovest sono abitate da pochi animali di piccola taglia e, in alcuni casi, da serpenti velenosi: ratti-canguro, lucertole e rapaci sono animali tipici di queste inospitali regioni. La fauna delle Hawaii comprende molte specie autoctone, ma fra queste molte sono quasi estinte a causa delle modificazioni indotte nell'habitat naturale dall'uomo. L'unico mammifero indigeno presente nelle Hawaii è il pipistrello.
Popolazione
La popolazione degli Stati Uniti è il risultato di un processo immigratorio imponente, il più grandioso della storia dell'uomo, avvenuto nel giro di un paio di secoli. Nella seconda metà del Settecento vi erano negli Stati Uniti soltanto 3,9 milioni di abitanti, divenuti 23,2 alla metà del secolo successivo. A partire da quella data le ondate immigratorie si fecero via via più massicce, sino a raggiungere cifre di 9-10 milioni nel corso di appena un decennio, come è accaduto nei primi del Novecento.
Oggi la popolazione, etnicamente composita come in nessun altro paese al mondo, ma dominata culturalmente dall'elemento anglosassone, è di 260.340.990 abitanti (1994). La sua distribuzione è molto ineguale. La parte più popolosa è la sezione orientale, dove si registrano densità medie superiori ai 150 abitanti per km2 (la densità media dell'intero paese è di appena 28 abitanti per km2), che si elevano alquanto nella regione occupata dalla cosiddetta Megalopoli atlantica, la corona di grandi città che si estendono tra Washington, DC e Boston.
La popolazione degli Stati Uniti è però caratterizzata, oggi come agli inizi del popolamento europeo, da una grande mobilità: negli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta, ad esempio, si sono avuti massicci spostamenti dagli stati del Nord-Est e del Centro-Nord verso gli stati del Sud e dell'Ovest, accompagnati da una sempre crescente diversificazione per quanto concerne la composizione etnica, la lingua e la religione. Durante il decennio 1980-1990 si è verificato un incremento di 22.164.068 unità che, nella misura di circa il 54%, ha interessato gli stati di California, Texas e Florida, dovuto sia a spostamenti interni sia al maggior incremento naturale della popolazione di questi stati, dove sono presenti forti comunità di origine ispanica.
Composizione etnica
La popolazione degli Stati Uniti ha una composizione etnica estremamente diversificata e tutt'altro che stabilizzata. Così, ad esempio, se il totale della popolazione è cresciuto del 9,8% tra il 1980 e il 1990, pari cioè ad un incremento medio di poco inferiore all'1%, la popolazione degli afroamericani è aumentata del 14,2%, dai 26,7 milioni del 1980 ai 30,5 milioni del 1990. Le persone di origine ispanica sono passate da 14,6 milioni a 22,4 milioni fra il 1980 e il 1990, con un incremento pari al 53%. La popolazione dei nativi americani, praticamente decimati nelle terre migliori e più appetite dagli europei, è oggi di appena 2,1 milioni, comprendendo però gli inuit (eschimesi) e gli aleuti, secondo il censimento del 1990. Esso dava pari a 7,5 milioni il numero degli abitanti provenienti dalle isole dell'Asia e del Pacifico.
Sempre secondo il censimento del 1990, il gruppo maggiore (circa 58 milioni di americani) è di discendenza germanica, mentre 38,7 milioni hanno origini irlandesi e 32,7 milioni origini inglesi. Cospicuo è anche il numero degli abitanti di origine italiana e slava. La maggioranza bianca, durante gli anni Settanta e Ottanta, si è ridotta percentualmente sia per l'immigrazione proveniente dall'Asia, dall'America latina e da altre aree, sia per i tassi di crescita più elevati fra la popolazione di colore. In base a un censimento effettuato nel 1990 i bianchi costituiscono circa l'80% della popolazione statunitense, i neri il 12,3%, gli indiani d'America lo 0,8% e gli abitanti provenienti dalle isole dell'Asia e del Pacifico il 3%.
Distribuzione geografica
All'inizio degli anni Novanta, le tendenze nella distribuzione geografica della popolazione statunitense continuavano a essere diversificate: la crescita demografica delle zone a Sud e a Ovest avveniva a spese degli stati delle regioni centrali del Nord e del Nord-Est. Nel 1990 la densità media della popolazione era di circa 28 unità per km2. I non bianchi e gli ispano-americani tendono a rimanere concentrati nelle medesime zone geografiche. Nel 1990, ad esempio, i neri costituivano più di un quinto della popolazione di sette stati, tutti nel Sud: Mississippi, South Carolina, Louisiana, Georgia, Alabama, Maryland e North Carolina. Circa il 46% dei nativi americani vivevano nell'Ovest e quasi tutti gli inuit e gli aleuti risiedevano in Alaska. Quasi la metà dei 7,3 milioni di abitanti provenienti dalle isole dell'Asia e del Pacifico erano in California e alle Hawaii, mentre il 65% dei 22,4 milioni di ispanoamericani vivevano in California, Texas, New York e Florida. I dati del censimento del 1980 mostravano nel precedente decennio un incremento della popolazione urbana di appena lo 0,1% dal 1970 al 1980, l'aumento decennale più esiguo in tutta la storia del paese.
Città
Le città principali sono, per importanza di funzioni e numero di abitanti, New York (che con l'intero aggregato intorno alla foce del fiume Hudson accoglie oltre 18 milioni di abitanti) e Chicago (8 milioni di abitanti); seguono nell'ordine le conurbazioni di Los Angeles (14,5 milioni) e San Francisco (6,2 milioni), che formano insieme la megalopoli della costa occidentale, ormai in competizione con quella atlantica. Molte altre città svolgono importanti funzioni regionali, spesso con precise specializzazioni dal punto di vista economico. Esistono ben diciassette città con più di 2 milioni di abitanti, una trentina con più di un milione, comprendendo i vasti insiemi periferici che si estendono intorno al cuore affaristico dominato dagli ambiziosi grattacieli delle banche e delle corporations. Nel 1993 gli abitanti delle città costituivano il 75% della popolazione, quelli delle campagne il 25%.
Lingua e religione
La lingua ufficiale degli Stati Uniti è l'inglese, parlato dalla grande maggioranza della popolazione. Tuttavia, quasi 32 milioni di residenti parlano in famiglia una lingua diversa: circa il 54% di questi utilizza lo spagnolo, mentre altre lingue diffuse sono il cinese, il giapponese, il coreano, il vietnamita, l'arabo, l'italiano, il francese, il tedesco, il polacco, il greco, il portoghese e quelle parlate dai nativi americani.
Dalla colonizzazione fino al XIX secolo in ogni stato si assistette al fiorire di innumerevoli congregazioni e correnti religiose, tutte di ispirazione cristiana. Dopo l'adozione della Costituzione del 1788 si vennero allentando i legami tra i singoli stati e le loro particolari chiese. Durante la prima metà del XIX secolo la popolazione statunitense era in grande parte di religione protestante, mentre i cattolici e gli ebrei costituivano esigue minoranze. Il numero dei cattolici crebbe significativamente a partire dal 1820 con l'arrivo di molti immigrati dall'Irlanda; tra il 1845 e il 1855 questa emigrazione si fece più massiccia, a causa di una grave carestia che colpì il paese. Dopo il 1848, in seguito ai moti popolari soffocati da una violenta repressione, un gran numero di luterani emigrarono in America dalla Germania, mentre nella seconda metà del secolo la maggior parte degli immigrati proveniva dalle nazioni dell'Europa meridionale e orientale – Italia, Austria, Ungheria e Russia – ed era di religione cattolica o ebraica.
Fra gli sviluppi religiosi del XIX secolo vi fu la fondazione di alcune chiese locali, fra le quali la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell'Ultimo Giorno, alla quale appartengono i mormoni, la Chiesa avventista del Settimo Giorno e i Testimoni di Geova. Il gruppo religioso attualmente più numeroso negli Stati Uniti è quello cattolico romano, rappresentato da circa il 25% della popolazione totale. Fra i maggiori gruppi protestanti (56% della popolazione ) vi sono i battisti (19,4%), i metodisti (8%) e i presbiteriani (2,8%). La religione non cristiana numericamente più rilevante è quella ebraica (2%), seguita da quelle musulmana, buddhista e induista.
Istruzione e cultura
Nella maggior parte degli Stati Uniti l'analfabetismo è pressoché assente. Nel 1993, degli americani di età superiore ai 25 anni circa i quattro quinti avevano completato le scuole superiori: un risultato notevole se paragonato alla percentuale del 15% rilevata nel 1940.
Istruzione
Nel paese ci sono istituzioni scolastiche sia pubbliche sia private che garantiscono l'educazione a partire dall'asilo nido fino all'università. L'istruzione elementare e secondaria richiede dodici anni di scuola, al termine dei quali viene rilasciato un diploma. In teoria, la responsabilità della gestione dell'educazione pubblica è locale. In realtà, il controllo locale è stato in gran parte sostituito dalla legislazione statale che si occupa dei sistemi di finanziamento, delle linee-guida dei programmi e delle politiche scolastiche. Essendo di competenza dei singoli stati, esistono nel paese diversi sistemi di istruzione pubblica. A livello di istruzione elementare e secondaria, essa è finanziata da tre livelli istituzionali: locale, statale e federale. Poiché le tasse locali sono legate ai livelli di reddito delle singole zone, esiste una disparità nella qualità dei servizi educativi offerti: nelle zone più ricche le scuole hanno maggiori finanziamenti, mentre in quelle più povere accade il contrario.
I primi atenei furono fondati tra la metà del XVII e del XVIII secolo. Teologia, giurisprudenza e medicina erano le principali materie insegnate nelle università di Harvard, Yale, Princeton, alla Columbia University e al Dartmouth College. Un'importante svolta all'insegnamento universitario fu impressa nel 1862 dal presidente Abraham Lincoln, che finanziò l'istituzione di università destinate all'insegnamento di discipline di carattere pratico, quali le scienze agrarie e le arti industriali. L'atto promulgato da Lincoln (Morril Act) prevedeva l'accesso all'università indipendentemente dalle possibilità economiche della famiglia d'origine e incoraggiava la frequenza femminile. Fra le istituzioni universitarie create a partire dal Morril Act si ricordano la University of Arizona, la University of California a Berkeley, la Michigan State University e la University of Wisconsin.
Musica e teatro
La prima orchestra sinfonica americana, la Philharmonic Society of New York, fu fondata nel 1842, mentre le prime lezioni in un Conservatorio di musica si tennero all'Oberlin College nel 1865. Fra le maggiori orchestre sinfoniche attive negli Stati Uniti ricordiamo la Boston Symphony Orchestra, la Chicago Symphony Orchestra, la Cleveland Orchestra, la Los Angeles e la New York Philharmonic. Oltre a queste orchestre dal grande organico, esistono numerosi piccoli ensemble che eseguono musica da camera, come il Julliard String Quartet e il Kronos Quartet, nati nelle università e un po' ovunque in tutto il paese.
Gli Stati Uniti possiedono inoltre importantissimi enti lirici, tra i quali il più famoso è certamente la Metropolitan Opera di New York, dislocati in tutte le maggiori città. Il New York City Ballet e l'American Ballet Theater, entrambi fondati negli anni Trenta, esercitano una notevole influenza creativa sulla danza contemporanea americana. Fra le altre importanti compagnie ricordiamo quelle di Merce Cunningham e Paul Taylor, il San Francisco Ballet, il Dance Theater of Harlem e l'Alvin Ailey American Dance Theater. Il teatro negli Stati Uniti ha visto un sempre crescente interesse da parte del pubblico a partire dalla metà degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta. Le maggiori sale sono concentrate nelle grandi città (la via dei teatri più conosciuta al mondo è senza dubbio Broadway, a New York), ma compagnie di professionisti e di dilettanti sono attive in tutto il paese.
Per approfondimenti riguardanti la cultura del paese, vedi: Arte e architettura statunitense; Letteratura statunitense.
Musei
I principali musei statunitensi sono: il Museum of Modern Art di New York, il più vasto e accreditato museo d'arte moderna del mondo; lo Hirshhorn Museum and Sculpture Garden a Washington, DC, che ospita importanti collezioni d'arte moderna, e il San Francisco Museum of Modern Art. Altri importanti musei sono: il Metropolitan Museum of Art, il Guggenheim Museum e il Whitney Museum of American Art di New York, l'Art Institute di Chicago, il Museum of Fine Arts di Boston, il M.H. of Young Fine Arts Museum di San Francisco, il Philadelphia Museum of Art e, infine, il Museum of Fine Arts di Houston.
Gli Stati Uniti possiedono più di 7000 musei; fra i maggiori musei scientifici vi sono l'American Museum of Natural History di New York; la Smithsonian Institution a Washington, DC; il Field Museum of Natural History e il Museum of Science and Industry, entrambi a Chicago; l'Academy of Natural Sciences di Philadelphia; la Maryland Academy of Sciences di Baltimora e il Natural History Museum di Los Angeles.
Biblioteche
Nel 1992 gli Stati Uniti possedevano più di 31.850 biblioteche. Circa il 48% di esse erano pubbliche, mentre 4620 erano di proprietà di college o università. La principale è la Library of Congress a Washington, DC ma molto importanti sono anche le biblioteche municipali di città come New York, Los Angeles, Boston, Philadelphia, Baltimora, Portland (nell'Oregon) e quelle di grandi istituzioni accademiche come le università di Harvard, Stanford e Yale, la University of Michigan, la Columbia University, la University of California a Berkeley, e la University of Texas a Austin. Molte di queste biblioteche contengono collezioni di libri particolari e rari, come quelli raccolti dal centro Schomburg per le ricerche sulla cultura nera presso la New York Public Library; altre famose collezioni sono la Huntington Library a San Marino (California); la Pierpoint Morgan Library di New York e la Folger Shakespeare Library a Washington, DC.
Economia
Gli Stati Uniti sono la prima potenza industriale a livello mondiale dall'inizio del XX secolo. Fino alla seconda metà del XIX secolo l'economia del paese poggiava tradizionalmente sull'agricoltura; dopo la guerra di secessione, che vide lo scontro fra gli stati industriali del Nord e quelli agricoli del Sud, furono compiuti importanti progressi nella produzione di beni industriali di base; in seguito, con la prima guerra mondiale, i manufatti iniziarono a dominare le esportazioni più delle materie prime. Con lo sviluppo dell'industria, l'agricoltura divenne più meccanizzata ed efficiente, utilizzando sempre minor forza lavoro.
Dopo la seconda guerra mondiale si assistette allo sviluppo del settore dei servizi, come la pubblica amministrazione, le libere professioni, le attività commerciali e finanziarie. Oggi il settore dei servizi è il più rilevante dal punto di vista economico e impiega circa tre quarti della forza lavoro; l'industria ne impiega invece il 17% e l'agricoltura solo il 3%.
L'economia degli Stati Uniti sin dalle origini si è basata sulle libertà d'impresa, protetta dalle regole del capitalismo più avventuroso, più affrancato da vincoli d'ogni sorta; questo è stato ed è alla base della ideologia che permea l'intera vita americana, per la cui difesa gli Stati Uniti si sono impegnati in diverse guerre (in Europa, in Asia) che assicurassero al sistema americano, con la difesa dei valori morali, anche il mercato mondiale alle sue imprese. Ma esso ha subito nel corso del tempo alcune correzioni imposte dalla fragilità stessa di un sistema soggetto a ricorrenti crisi. Così, a partire dall'inizio degli anni Trenta, in seguito alla crisi del '29, il governo degli Stati Uniti ha avuto un ruolo protezionistico sempre più importante nell'economia, che il governo regolamenta in molti modi. Alcune disposizioni governative, ad esempio, sono state dettate dall'esigenza di tutelare i consumatori da prodotti non sicuri e i lavoratori da condizioni di lavoro non adeguate, mentre altre normative sono state adottate per la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento.
Produzione nazionale
All'inizio degli anni Novanta, gli Stati Uniti erano la prima nazione al mondo per la produzione economica. Il prodotto nazionale lordo era superiore ai 7000 miliardi di dollari nel 1995. Con un prodotto pro capite, nello stesso anno, pari a 26.980 dollari, gli statunitensi godono di uno standard di vita tra i più elevati, anche se superato da alcuni paesi, come la Svizzera e il Giappone. Le attività del settore primario contribuiscono nella misura del 4% alla formazione del prodotto interno lordo annuale, il settore secondario nella misura del 23% e il terziario, di gran lunga il più redditizio, nella misura del 73%.
Agricoltura
Nonostante il settore agricolo contribuisca solo nella misura del 2% al prodotto interno lordo e impieghi meno del 3% della forza lavoro del paese, gli Stati Uniti sono ancora oggi il paese leader mondiale in molti settori della produzione agricola. Oltre a soddisfare il fabbisogno alimentare interno, i prodotti agricoli rappresentano una voce importantissima nel mercato delle esportazioni. Il valore annuale complessivo della produzione agricola è cresciuto da circa 55 miliardi di dollari nel 1970 a 187 miliardi nel 1992.
Scomparse le piccole aziende a conduzione familiare, l'attività è oggi praticata in grandi imprese meccanizzate che riforniscono sia i mercati urbani sia le aziende di trasformazione alimentare. Le colture praticate sono varie e distribuite in caratteristiche regioni (chiamate belts) specializzatesi in funzione delle condizioni ambientali e dell'organizzazione produttiva. Le maggiori sono quelle del grano, del mais (per l'allevamento suino e di mucche da latte), del tabacco, del cotone ecc. Le maggiori produzioni sono quelle di cereali (mais, frumento, avena e orzo), foraggio, patate e barbabietola da zucchero. Per più di un secolo e mezzo, la coltivazione del cotone è stata alla base dell'economia degli stati del Sud, soprattutto nelle regioni a est del Mississippi. Attualmente questo tipo di coltura viene praticata in modo estensivo ricorrendo a una meccanizzazione su larga scala. Il tabacco è prodotto soprattutto in North Carolina e nel Kentucky. Altri prodotti di rilievo sono arachidi (Georgia) e pomodori (Florida), oltre a pesche, mele (Washington), arance, uva (California), ananas (Hawaii).
Un voce di grande rilievo nell'economia del paese è inoltre rappresentata dall'allevamento, che alimenta una fiorente industria lattiero-casearia, soprattutto nella zona dei Grandi Laghi. Le estese pianure dell'Ovest offrono ideali terreni di pascoli per i bovini da carne, mentre nella sezione nordorientale delle pianure centrali particolarmente diffuso è l'allevamento di suini.
Silvicoltura
Le foreste coprono poco meno di un terzo della superficie degli Stati Uniti, ovvero 296 milioni di ettari. Dalle foreste si ricavano circa 425 milioni di metri cubi di legname ogni anno. Circa tre quarti della produzione sono costituiti da legno dolce, mentre i legni duri ne rappresentano solo un quarto. Circa il 50% del legname è destinato all'industria delle costruzioni (douglas e pino giallo) e ricavato soprattutto dalle foreste degli stati affacciati sul Pacifico; un terzo è utilizzato come pasta di legno nella manifattura della carta. Il rovere è il più diffuso dei legni duri. Le foreste del Sud forniscono circa un terzo del legname da costruzione, circa i tre quinti della pasta di legno e gran parte della trementina, della pece, della resina e del catrame di legno prodotti negli Stati Uniti. Nelle pianure costiere meridionali crescono innumerevoli varietà di pino. Alberi dal legno duro di grande interesse commerciale, come l'albero della gomma, il frassino e la quercia, crescono nelle zone pianeggianti lungo i fiumi del Sud, mentre noce americano, acero e rovere si trovano sugli Appalachi e in parte dell'area dei Grandi Laghi.
Pesca
Gli Stati Uniti sono al sesto posto nella classifica mondiale di pescato dopo la Russia, la Cina, il Giappone, il Perù e il Cile. L'Alaska è il primo stato sia per quantità sia per valore del pescato: fra le specie più redditizie vi sono il salmone e l'halibut. Altri stati che hanno buone risorse ittiche sono, in ordine di importanza economica, Massachusetts, Louisiana, Texas, Maine, California, Washington, Florida e Virginia. Il principale porto peschereccio si trova a New Bedford, in Massachusetts. Le acque costiere del New England sono ricche di aragoste, pettini, vongole, ostriche e merluzzi; nella baia di Chesapeake si pescano soprattutto granchi e, nel golfo del Messico, gamberetti. La maggior parte del pesce d'acqua dolce venduto sul mercato statunitense proviene da vivai. Le principali specie allevate sono il pesce gatto, la trota, il salmone, le ostriche e i gamberi d'acqua dolce.
Risorse minerarie
Gli Stati Uniti sono una fra le prime nazioni al mondo per il valore della produzione annua di minerali, concentrata principalmente in Texas, Louisiana, Alaska, Oklahoma e California. Lo sfruttamento minerario fornisce circa l'1,8% del prodotto interno lordo annuale e impiega circa lo 0,6% della popolazione attiva. I principali prodotti minerari sono i combustibili: in ordine di valore, il petrolio, il gas naturale e il carbone. Alla fine degli anni Ottanta gli Stati Uniti producevano il 24% di tutto il gas naturale del mondo, il 19% del carbone e il 13% del petrolio grezzo. Il petrolio rappresentava la metà del valore della produzione di carburanti e il 38% del valore di tutti i minerali estratti negli Stati Uniti. Il Texas, l'Alaska e la Louisiana, i tre principali stati produttori di petrolio, forniscono annualmente circa i due terzi del grezzo nazionale. I maggiori giacimenti di gas naturale si trovano in Texas e Louisiana, quelli di carbone nella regione degli Appalachi, nel Wyoming e nel Kentucky. L'energia nucleare è prodotta con l'uranio estratto in Texas, New Mexico e Wyoming.
Negli Stati Uniti si estraggono inoltre diversi minerali (metallici e non metallici), tra cui rame, oro, minerale di ferro, argilla, fosfati, calce, zinco, sale, oltre che materiali da costruzione e per la produzione di cemento, sabbia e ghiaia. Alla fine degli anni Ottanta, gli Stati Uniti producevano circa il 55% del molibdeno del mondo, il 51% della mica, il 40% del magnesio, il 30% del fosfato minerale, il 23% dell'alluminio, il 22% del piombo e il 20% dello zolfo elementare. La maggior parte del minerale di ferro proviene dal distretto del lago Superiore, in particolare dal Minnesota nordorientale, mentre il 60% circa del rame nazionale viene estratto in Arizona. Il fosfato minerale viene prodotto in grande quantità in Florida, North Carolina, Idaho e Tennessee. In Colorado, Arizona, Idaho e Montana, invece, si ha la più rilevante estrazione di molibdeno e in Missouri e Alaska di piombo e zinco. Più dei quattro quinti del carbonato di potassio vengono prodotti in New Mexico, mentre il Nevada, l'Idaho, l'Alaska e il Montana sono importanti fonti di argento e ancora il Nevada, con la California, lo Utah e il South Dakota sono i primi fra gli stati produttori d'oro.
Industria
Gli Stati Uniti sono leader mondiali per il valore della loro produzione industriale. Circa il 19% del prodotto interno lordo è ascrivibile a questo settore, nel quale è impegnato più di un sesto della popolazione attiva. Il valore totale delle esportazioni di prodotti industriali nel 1990 ammontava a circa 2870 miliardi di dollari. Sebbene l'industria continui a essere un settore cruciale per l'economia statunitense, la sua importanza è tuttavia diminuita a partire dalla fine degli anni Sessanta.
Il cuore della produzione industriale statunitense è rappresentato dal Nord-Est e in particolare dagli stati di New York, Ohio, Illinois, Michigan e Pennsylvania, a cui si deve il 28% del profitto annuo dell'industria. Gli stati nei quali si è avuto un notevole sviluppo industriale sono, al sud, il Texas e, a ovest, la California che all'inizio degli anni Novanta deteneva il primato della produzione industriale del paese.
Le principali categorie di manufatti industriali, in base al loro valore commerciale, sono rappresentate da prodotti chimici, mezzi di trasporto, prodotti dell'industria alimentare, macchinari e attrezzature elettroniche. Nei primi anni Novanta tutti i macchinari industriali (motori, attrezzature per l'agricoltura, macchine per costruzione, impianti di refrigerazione, attrezzature per l'ufficio e computer) fornivano circa il 10% del profitto annuo creato dall'industria. La California è lo stato leader nella produzione di macchinari industriali, seguita da Illinois, Ohio e Michigan; quest'ultimo è leader dell'industria automobilistica, mentre la California lo è per i veicoli aerospaziali.
L'industria alimentare forniva, all'inizio degli anni Novanta, circa l'11% del fatturato industriale, mentre l'industria chimica (Texas e Louisiana) contribuiva per il 12%. In California sono presenti numerosi stabilimenti per la lavorazione dei prodotti agricoli, mentre l'Illinois e il Wisconsin sono ai primi posti nella produzione di carne e in quella lattiero-casearia. L'industria delle apparecchiature elettroniche comprende i settori della produzione di strumenti elettrici industriali, di elettrodomestici, di apparecchi radio e televisivi, di componenti elettronici e di dispositivi per la comunicazione. La California, l'Illinois, l'Indiana e il Massachusetts sono stati leader nella produzione di materiale elettronico, uno dei settori dell'industria statunitense che si sta sviluppando a ritmi rapidissimi. I minerali di ferro, estratti nel distretto del Lago Superiore, e quelli importati dal Canada e da altri paesi, insieme al carbone proveniente dai giacimenti appalachiani, sono alla base della grande industria del ferro e dell'acciaio, uno dei fondamenti storici del sistema industriale degli Stati Uniti.
Pennsylvania, Ohio, Illinois e Michigan sono gli stati che guidano la produzione di metalli di prima fusione. L'Ohio, che possiede una forte concentrazione di impianti per la lavorazione della gomma e dei pneumatici, è da molto tempo leader in questo settore. Le industrie grafiche ed editoriali sono molto diffuse e in tutto il paese vengono pubblicati numerosissimi giornali. In questo settore lo stato di New York, con la sua industria libraria, è al primo posto, ma anche la California, l'Illinois e la Pennsylvania ricoprono un ruolo importante. L'industria cartaria è importante soprattutto in quegli stati che possiedono considerevoli risorse forestali (in particolare legno di conifere) sfruttate per la produzione di carta: Wisconsin, Alabama, Georgia, gli stati di New York e di Washington, Maine e Pennsylvania. Gli altri principali settori industriali degli Stati Uniti sono quello tessile, dell'abbigliamento, degli strumenti di precisione, del legname, dei mobili, degli oggetti in cuoio e del tabacco.
Risorse energetiche
Il petrolio fornisce il 41% dell'energia consumata negli Stati Uniti e garantisce circa il 97% dell'energia usata nel settore nazionale dei trasporti. Il gas naturale è la risorsa che assicura circa il 24% dell'energia utilizzata a scopo domestico e industriale, mentre il carbone viene principalmente utilizzato per generare energia elettrica e per la produzione dell'acciaio. Le centrali idrolelettriche e nucleari contribuiscono alla produzione energetica nelle percentuali del 4% e dell'8%.
Nel 1947 la produzione di petrolio del paese divenne insufficiente a soddisfare il fabbisogno interno e oggi gli Stati Uniti sono costretti a importare il 12% del greggio necessario al consumo interno. Per quanto riguarda il carbone, gli ingenti giacimenti presenti nel paese consentono di esportare parte della produzione.
Trasporti
Lo sviluppo delle reti di comunicazione ha avuto un ruolo fondamentale nella crescita degli Stati Uniti. Allo sviluppo dei collegamenti via terra, che prima del 1790 era rappresentato essenzialmente da strade non asfaltate, seguì nella prima metà del XIX secolo la creazione di numerosi canali per collegare tra loro i fiumi navigabili e i laghi negli Stati Uniti orientali, in particolare nella regione dei Grandi Laghi.
La prima ferrovia transcontinentale fu costruita tra il 1862 e il 1869 dalle compagnie Union Pacific e Central Pacific, che usufruirono a tale scopo di consistenti finanziamenti del governo federale. Le ferrovie transcontinentali furono i principali mezzi di trasporto usati dai coloni europei che popolarono l'Ovest alla fine del XIX secolo. Il sistema ferroviario fu incrementato fino al 1917, quando l'estensione della rete ferroviaria in funzione raggiunse il valore massimo di circa 407.165 km. Ulteriori sviluppi hanno interessato soprattutto la rete stradale, oggi maggiormente utilizzata per il trasporto sia di merci sia di passeggeri.
Il trasporto aereo iniziò a competere con gli altri mezzi dopo la prima guerra mondiale. Il servizio passeggeri ebbe un certo sviluppo nei tardi anni Venti, mentre il trasporto merci via aerea si affermò soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Oggi il trasporto delle merci avviene principalmente per ferrovia e, in misura minore, per vie d'acqua. Il trasporto aereo è riservato ad articoli di alta priorità e valore. Per quanto riguarda il trasporto di passeggeri, circa l'81% del traffico avviene su automobili private, il 17% per via aerea, l'1,1% su autobus e lo 0,6% per ferrovia.
La rete dei trasporti si estende su tutto il paese, ma è molto più fitta nella parte orientale degli Stati Uniti, dove si trovano le maggiori concentrazioni urbane e industriali. All'inizio degli anni Novanta, gli Stati Uniti avevano circa 6,24 milioni di km di strade e autostrade. Le quattordici maggiori compagnie ferroviarie gestiscono il 76% del totale della rete ferroviaria, con 283.099 km di linee in funzione. Amtrak, un'azienda sovvenzionata a livello federale, gestisce quasi tutti i treni che collegano le maggiori città, trasportando più di 22 milioni di passeggeri l'anno (dati dei primi anni Novanta).
Gli Stati Uniti possiedono una marina mercantile relativamente ridotta. Il principale porto statunitense è quello di New Orleans, in Louisiana. Altri porti di rilievo, alcuni dei quali specializzati in traffici particolari, sono quelli di New York, Houston, Valdez Harbor in Alaska, Baton Rouge in Louisiana, Corpus Christi in Texas, Long Beach in California, Norfolk Harbor in Virginia, Tampa in Florida e Los Angeles. Le vie d'acqua interne sono rappresentate dal fiume Mississippi che, insieme ai suoi tributari, costituisce una rete importantissima per il traffico commerciale; dalla Saint Lawrence Seaway, l'estesa rete di canali di collegamento creata tra il San Lorenzo, i Grandi Laghi e l'oceano Atlantico; e, infine, dai canali costieri su cui si svolge il 17% dei trasporti.
Il sistema fluviale del Mississippi è lungo più di 24.140 km e fa capo al porto di Saint Louis, in Missouri. Il porto più importante dei Grandi Laghi è invece Duluth, in Wisconsin, dove convergono i traffici delle Grandi Pianure. L'Intracoastal Waterway è una trafficata rete di canali navigabili che si snoda per 1740 km lungo la costa atlantica e per 1770 km lungo quella del golfo del Messico.
Le compagnie aeree degli Stati Uniti trasportano ogni anno più di 460 milioni di passeggeri: si tratta in prevalenza di voli interni effettuati da viaggiatori americani. In totale esistono nel paese circa 5100 aeroporti pubblici e 12.400 privati; tra i più frequentati si ricordano l'aeroporto di Chicago-O'Hare, il William B. Hartsfield vicino ad Atlanta, il John F. Kennedy e il La Guardia di New York, l'aeroporto di San Francisco e quello di Los Angeles.
Flussi monetari e commercio
La valuta americana è il dollaro, diviso in 100 cents, il cui principale istituto di emissione è il Federal Reserve System, a cui fanno capo tutte le banche nazionali degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti sono la prima nazione al mondo per quanto riguarda il commercio con l'estero, con un volume di scambi che all'inizio degli anni Novanta era superiore ai 979 miliardi di dollari. Il totale delle esportazioni di merci nel 1992 ammontava a 447 miliardi e le importazioni a 532 miliardi di dollari. A partire dalla metà degli anni Settanta, le gravose importazioni di petrolio dall'estero e di prodotti industriali dal Canada e dall'Asia (specialmente dal Giappone) hanno creato un disavanzo nella bilancia commerciale. Dal 1984 al 1990, il deficit annuo ha sempre superato i 100 miliardi di dollari. I principali prodotti di esportazione sono macchinari e mezzi di trasporto, che coprono il 40% del valore totale delle esportazioni, oltre a prodotti agricoli (10%), tessili, manufatti in ferro e acciaio, cibi trasformati e materie prime come il cotone, i metalli grezzi, i prodotti chimici e i carburanti. Il paese intrattiene rapporti commerciali massimamente con Canada, Giappone, Messico, Germania, Cina, Taiwan, Regno Unito e Corea del Sud.
Turismo
Nel 1991 gli Stati Uniti sono stati meta turistica di oltre 16 milioni di persone. Il settore rappresenta quindi una risorsa importante per l'economia del paese che ha sviluppato valide strutture ricettive in ogni stato. Il turismo negli Stati Uniti, facilitato dall'estesissima rete stradale e dall'efficienza dei trasporti, è attratto in particolare dalle metropoli di New York, Chicago, Los Angeles e San Francisco e dai numerosi luoghi di grande interesse paesaggistico quali i parchi e le riserve naturali.
Ordinamento dello stato
La legge suprema degli Stati Uniti è la Costituzione, redatta nel 1787 ed entrata in vigore nel 1789. I primi dieci emendamenti, che la modificarono parzialmente, furono adottati nel 1791: essi sancivano importanti diritti quali la libertà di opinione, di religione, di stampa, di associazione e di petizione. Altri 17 emendamenti furono apportati tra il 1795 e il 1992: essi prevedono, tra l'altro, l'abolizione della schiavitù, la tassazione sui redditi e il suffragio universale per tutti i cittadini al di sopra dei 18 anni.
La costituzione è in vigore nei 50 stati dell'Unione (dotati anche di una propria costituzione), tutti repubblicani: ogni stato possiede poteri sulle questioni interne, ma fa capo alla federazione per quanto concerne gli affari esteri. Il capo dello stato è il presidente degli Stati Uniti e la sede del governo è a Washington, nel District of Columbia. La costituzione stabilisce tre distinti poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Ognuno dei tre ha facoltà sancite costituzionalmente che possono influire sul funzionamento degli altri due, in modo da ottenere un sistema di controllo reciproco noto come checks and balances: tutto ciò per evitare ogni forma di potere assoluto. Dall'adozione della costituzione il governo nazionale ha, con il passare del tempo, ampliato le proprie funzioni per quanto riguarda le questioni economiche e sociali e condivide con i singoli stati molteplici responsabilità.
Potere esecutivo
L'articolo II della costituzione prevede un presidente e un vicepresidente in carica per un periodo di quattro anni; essi vengono eletti da un collegio elettorale di secondo grado (cioè da persone elette a loro volta dal voto popolare) chiamato Electoral College e formato da un numero di elettori per ogni stato pari a quello dei suoi deputati e senatori. Il presidente riassume in sé la funzione di primo ministro e di capo dello stato e, contrariamente a quanto avviene in molte altre nazioni, è anche capo del suo partito politico. La costituzione stabilisce che il presidente sia anche il comandante in capo dell'esercito; il Congresso attua tuttavia un controllo sui poteri militari del presidente, ed è proprio al Congresso che spetta l'eventuale decisione di entrare in guerra. I poteri diplomatici del presidente comprendono: la negoziazione di trattati e la nomina di ambasciatori all'estero (decisioni da prendere con il consenso dei due terzi del Senato), l'accettazione degli ambasciatori stranieri e le intese per concertare azioni comuni con capi di stato esteri.
Per legge, il presidente deve preparare e presentare al Congresso un rapporto annuale sull'andamento degli affari pubblici. Tale relazione offre una panoramica finanziaria, economica e sociale della situazione a livello nazionale, permettendo al presidente di proporre le misure legislative che ritiene indispensabili, particolarmente a livello economico e militare. Il presidente è affiancato da consiglieri specializzati nei diversi settori, dall'amministrazione pubblica all'economia, dalla difesa alla scienza, e così via.
Alla Casa Bianca, sede degli uffici e residenza del presidente, hanno sede inoltre numerosi enti federali tra i quali il National Security Council (Consiglio per la sicurezza nazionale), la Central Intelligence Agency (Servizi segreti) e il Federal Bureau of Investigation (Servizi investigativi). Tutti i responsabili di questi servizi rispondono direttamente al presidente, non al Congresso. I segretari (paragonabili ai nostri ministri), responsabili dei singoli dipartimenti, sono 14: segretario di Stato, del Tesoro, della Difesa, della Giustizia, degli Interni, dell'Agricoltura, del Commercio, del Lavoro, della Sanità e dei Servizi Sociali, della Pubblica Istruzione, dell'Edilizia e Urbanistica, dei Trasporti, dell'Energia e dei Reduci.
Potere legislativo
Tutti i poteri legislativi sono esercitati dal Congresso degli Stati Uniti. Esso è composto da due camere: il Senato, eletto per un periodo di sei anni, e la Camera dei rappresentanti (House of Representatives), in carica per due anni. Ogni due anni vengono eletti tutti i membri della Camera dei rappresentanti e si rinnova un terzo dei mandati dei senatori. Il Senato consta di 100 membri, due per ogni stato, mentre la camera si compone di 435 rappresentanti, eletti dai diversi stati in base alla loro popolazione. Il Senato e la Camera dei rappresentanti vengono entrambi organizzati dal partito di maggioranza, che sceglie il presidente di ogni camera, il leader di maggioranza e i presidenti di ogni commissione. Quasi sempre, in passato, il partito che controllava la Casa Bianca non ha avuto il controllo delle due camere e questo ha spesso causato situazioni conflittuali fra governo e parlamento.
A differenza di altre democrazie parlamentari, non vi è negli Stati Uniti la possibilità per il presidente di indire nuove elezioni, neppure quando la maggioranza del Congresso respinge i suoi programmi. Il Congresso possiede estesi poteri nell'ambito degli affari interni, tra i quali la facoltà di imporre tasse, di richiedere prestiti, di coniare denaro e regolamentarne il costo, e di promulgare normative per il commercio fra gli stati. Inoltre concorre alla nomina e al controllo dei dipartimenti e degli enti dell'esecutivo; nomina le corti federali basse e ne determina la giurisdizione. Ha il potere di dichiarare guerra, arruola e mantiene le forze armate, stabilisce prezzi e regolamenta il commercio con l'estero.
Ogni camera del Congresso ha specifiche prerogative. Le misure fiscali devono essere varate dalla Camera dei rappresentanti, la quale è anche deputata a dare inizio a un'eventuale procedura di impeachment (messa in stato d'accusa) del presidente. Nel caso di incapacità o decesso del presidente e del vicepresidente, sarà il cosiddetto portavoce (speaker) di questa Camera a prendere il potere. Il Senato dà il proprio parere su trattati firmati dal presidente e li ratifica, come pure ha voce in capitolo nella nomina di alte cariche dell'esecutivo, ambasciatori, magistrati della Corte suprema e giudici federali. Il Senato ratifica ogni impeachment, in quanto sono necessari i due terzi dei suoi voti per condannare un presidente. Nella linea di successione della presidenza, il presidente pro tempore del Senato viene subito dopo lo speaker della Camera dei rappresentanti.
Potere giudiziario
Il sistema giudiziario federale comprende la Corte Suprema, istituita dalla costituzione, 12 corti di appello, 91 tribunali distrettuali e altre corti speciali. Le corti federali hanno due compiti costituzionali: anzitutto interpretano le leggi e le normative amministrative; in secondo luogo stabiliscono se qualsiasi legge approvata dal Congresso, o qualsiasi azione amministrativa dell'esecutivo nazionale o dei singoli stati, vìolino lo spirito della costituzione. I nove magistrati della Corte Suprema e gli altri giudici federali sono nominati dal presidente dietro suggerimento del Senato e con la sua approvazione. Tutti i giudici federali sono incaricati a vita e possono essere destituiti solo con una procedura di impeachment.
Amministrazioni statali e locali
La Costituzione degli Stati Uniti prevede un sistema federale: i singoli stati non possono avere relazioni con l'estero, firmare trattati, stringere alleanze o stabilire tariffe. Non possono neppure coniare valuta, imporre tasse sul commercio fra stati o fissare limiti alla circolazione di persone all'interno degli Stati Uniti. Possono però creare organismi sovrastatali che, una volta approvati dal Congresso, possono occuparsi di questioni quali: le risorse idriche, la navigazione, il controllo dell'inquinamento o lo sviluppo di porti. Il governo nazionale e gli stati sono strettamente legati in un sistema amministrativo di federalismo cooperativo. Gli stati amministrano infatti i fondi che il governo stanzia per singoli programmi (ad esempio per l'istruzione o per attività e opere di pubblico interesse), mantenendo standard operativi fissati dagli organismi federali. Le più importanti funzioni svolte dagli stati comprendono il controllo dei requisiti di idoneità dei votanti, l'organizzazione delle elezioni nazionali e statali, la supervisione delle amministrazioni delle municipalità e delle contee, la promozione e la regolamentazione del commercio, dell'industria e dell'agricoltura, come pure la manutenzione delle autostrade, delle prigioni e degli ospedali. Gli stati si occupano inoltre dell'istruzione superiore, sostenendo le istituzioni universitarie, mentre condividono con il governo nazionale la responsabilità dei servizi sociali, dell'assistenza sanitaria per gli indigenti e degli uffici di collocamento.
Quasi tutti gli stati sono suddivisi in contee, le quali hanno funzioni amministrative più o meno estese a seconda dello stato cui appartengono; nel 1992 complessivamente erano 3043. In zone ad alta densità di popolazione le contee sono a loro volta suddivise in municipalità, che includono città, cittadine e villaggi. Le municipalità generalmente si occupano dei servizi di base, fra i quali l'organizzazione di un corpo di polizia municipale, l'igiene pubblica e la sorveglianza antincendio. Le scuole elementari e secondarie vengono in genere dirette da comitati scolastici, che si affiancano al governo statale nella gestione finanziaria, nella supervisione dei programmi, come pure nell'assunzione e nel controllo degli insegnanti. Vedi anche le voci sui singoli stati americani.
Partiti politici
Negli ultimi anni, i maggiori partiti statunitensi sono stati due: il Partito democratico, fondato nel 1790, e il Partito repubblicano, fondato nel 1860. Gli altri partiti minori non hanno mai avuto un ruolo di rilievo e nessuno dei candidati da essi proposti è mai stato eletto presidente. All'interno del Partito democratico si sono delineati negli ultimi decenni due schieramenti: i democratici del Nord, più favorevoli a un maggior controllo statale sull'economia, a un supporto per le minoranze e a un'attenzione più accentuata alle questioni sociali; e quelli del Sud, più conservatori per quanto riguarda le problematiche legate al fisco, all'economia e agli affari sociali. I repubblicani sono invece più compatti per quanto riguarda l'impostazione della questione economica: sono favorevoli a una riduzione dei servizi sociali per pareggiare il bilancio al fine di contenere l'inflazione e alla diminuzione della pressione fiscale per favorire lo sviluppo industriale; anch'essi sono divisi al loro interno per quanto riguarda questioni sociali come l'aborto e i diritti civili.
Servizi sociali
Con il sostegno della federazione, i governi nazionali e statali provvedono ai servizi sociali per i cittadini. Con il Social Security Act del 1935, si è istituita una protezione per i lavoratori e le loro famiglie in caso di pensionamento, infortunio o morte. I sussidi sono finanziati tramite i contributi versati dal lavoratore stesso e dal datore di lavoro e sono indicizzati per mantenere la medesima capacità di acquisto contro gli effetti dell'inflazione. Il governo nazionale e gli stati concorrono a finanziare sussidi di disoccupazione. Esistono inoltre programmi per tutelare la salute degli anziani e delle persone indigenti (rispettivamente denominati Medicare e Medicaid). Gli Stati Uniti possiedono strutture e servizi sanitari di altissima qualità; il problema è che pochi vi possono accedere, per motivi economici: si stima che più di 30 milioni di cittadini americani non dispongano di un'assicurazione sanitaria privata e non abbiano neppure diritto a Medicare e Medicaid. Sussidi nazionali, statali e locali sono riservati ai non vedenti, ai disabili, ai più anziani e alle famiglie povere con figli a carico.
Difesa
Il presidente degli Stati Uniti è anche il comandante in capo delle forze armate. Gli ordini del presidente vengono diramati tramite l'ufficio del segretario alla Difesa ai vari comandi militari. I capi militari dell'esercito, della marina, dell'aviazione e dei Marines si riuniscono nel Joint Chiefs of Staff, comitato direttivo che consiglia il presidente e il Congresso sulle strategie militari, gli armamenti e sul livello degli stanziamenti economici necessari. Dal 1973, le forze armate statunitensi (con 1.705.000 militari in servizio attivo) sono interamente formate da uomini e donne volontari. Gli Stati Uniti hanno stretto accordi per la sicurezza nazionale e internazionale fra i quali la NATO (Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord) e l'ANZUS, che lega Australia e Stati Uniti.
Organizzazioni internazionali
Gli Stati Uniti sono membri delle Nazioni Unite e hanno un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell'ONU. Appartengono inoltre a numerosi enti delle Nazioni Unite, come l'Organizzazione internazionale del lavoro, la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS) e il Fondo monetario internazionale (FMI). Va ricordato infine come gli Stati Uniti rivestano un ruolo fondamentale in numerose altre organizzazioni internazionali come l'Organizzazione degli stati americani e l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Storia
Le origini
La formazione degli Stati Uniti, costituitisi in nazione indipendente alla fine del XVIII secolo, trae le sue origini dalle esplorazioni geografiche avviate alla fine del XV secolo con i viaggi di Cristoforo Colombo e di Giovanni Caboto. All'inizio del XVI secolo i primi gruppi di coloni europei, provenienti principalmente dalla Spagna, dalla Francia e dall'Inghilterra, si insediarono nei territori nordamericani dove vivevano gruppi di indigeni seminomadi (vedi Indiani d'America). Se si escludono le regioni dell'attuale Messico, divenute possedimento degli spagnoli, la colonizzazione europea rimase episodica fino alla fine del XVI secolo. Le guerre europee tra Spagna e Inghilterra ebbero riflessi internazionali nel momento in cui gli inglesi, spinti a contendere agli spagnoli la supremazia sui mari, per impulso di Walter Raleigh promossero la formazione di colonie stabili in Virginia.
L'insediamento coloniale
All'inizio del XVII secolo la Compagnia della Virginia, nata da un'associazione di mercanti londinesi, dopo avere ottenuto dalla Corona i privilegi per lo sfruttamento della costa atlantica dell'America del Nord, stabilì alla foce del fiume James, nella baia di Chesapeake, il primo insediamento stabile, Jamestown. Pressoché contemporaneamente esploratori francesi procedettero alla ricognizione del territorio che includeva l'intera valle del fiume Mississippi, ponendo le premesse per il controllo della vasta area compresa tra la regione dei Grandi Laghi e il golfo del Messico, mentre coloni olandesi si stanziarono sulla costa, fondando nel 1624 la città di Nuova Amsterdam (l'attuale New York). Nel secondo decennio del XVII secolo la colonizzazione inglese venne favorita dall'emigrazione di persone appartenenti a sette religiose, perlopiù di orientamento puritano, le quali cercavano un luogo in cui potere liberamente esercitare il proprio culto e costruire una società a misura dei loro ideali. Il viaggio che nel 1620 i Padri Pellegrini, membri di una congregazione calvinista, effettuarono a bordo della Mayflower e la fondazione della colonia di Plymouth, nel New England, sarebbero divenuti eventi costitutivi dell'identità storica degli Stati Uniti. La forte impronta religiosa, la libera iniziativa di individui uniti da comuni valori etici, la forma democratica del governo della colonia, una notevole autonomia da Londra, che si concretizzava in forme di autogoverno, furono i tratti di fondo sui quali si costruì il modello coloniale nel territorio del New England.
Nel corso del XVIII secolo si definirono le peculiarità delle tre grandi aree nordamericane in cui erano inseriti gli stati coloniali inglesi, saliti al numero di tredici: quella meridionale (Virginia, Maryland, South e North Carolina, e Georgia), nella quale dominavano i latifondi agricoli riservati alla coltivazione di riso, tabacco e cotone; quella centrale (New York, New Jersey, Delaware e Pennsylvania), in cui cerealicoltura e commercio navale si integravano; quella settentrionale (Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New Hampshire), cuore della prima colonizzazione inglese, anch'essa a economia mista, agricola e manifatturiera, che aveva nel porto di Boston il suo centro propulsore.
Verso l'indipendenza
La supremazia economica dell'Inghilterra nei commerci mondiali fu sanzionata dall'espansione territoriale in America, conseguita con le vittorie militari a danno prima della Spagna, nella guerra di successione spagnola (1701-1714) e poi della Francia, nella guerra dei Sette anni (1756-1763), in seguito alla quale i britannici ottennero il Canada, la Florida, la Louisiana orientale.
Intanto i tredici stati americani acquisivano posizioni di forza nel rapporto con la madrepatria, perché le ragioni dello scambio commerciale volgevano a loro favore: crescevano le esportazioni di legname, grano, tabacco, cotone, e il numero delle navi fabbricate nei cantieri americani, mentre diminuiva l'importazione di merci dall'Inghilterra. La popolazione delle colonie era intanto salita da 250.000 abitanti nel 1700 a oltre due milioni nel 1770. Anche sul piano politico il rapporto tra colonie e madrepatria cambiò e quando il parlamento inglese nel 1764-65 impose il Sugar and Molasses Act (tassa sullo zucchero) e lo Stamp Act (tassa sugli atti d'ufficio) nacquero le prime forme di resistenza delle tredici colonie, che decisero per il boicottaggio delle merci inglesi.
A Boston, nel 1770, un contingente inglese sparò sulla folla che dimostrava contro nuove tasse, provocando alcuni morti (vedi Massacro di Boston): l'episodio suscitò forte emozione e contribuì ad aggravare la frattura tra il governo di Londra e i coloni americani.
La guerra d'indipendenza
Negli anni successivi le posizioni si radicalizzarono da entrambe le parti, mentre continuava la protesta contro la tassa sul tè. Nel dicembre 1773 i coloni, per protesta contro la concessione del monopolio della vendita del tè alla Compagnia delle Indie Orientali, affondarono tre navi cariche di tè all'ancora nel porto di Boston (Boston Tea Party). Seguirono ritorsioni da parte del governo di Londra a cui i rappresentanti dei tredici stati risposero rafforzando la loro alleanza e rivendicando l'autogoverno delle colonie nel primo Congresso continentale del 5 settembre 1774.
Poco tempo dopo, il conflitto politico si trasformò in scontro armato, intrapreso inizialmente dallo stato del Massachusetts e divenuto una scelta generale al secondo Congresso continentale (1775), quando i tredici stati votarono a favore del reclutamento di un esercito, che affidarono al comando di George Washington. Inoltre decisero l'emissione di una moneta americana e assunsero le prerogative di autorità di governo delle colonie. Superando le resistenze dei moderati e dei lealisti, contrari alla separazione dall'Inghilterra, i rappresentanti più radicali si batterono fino a ottenere l'approvazione della Dichiarazione d'indipendenza (4 luglio 1776), che rappresentò l'atto di nascita degli Stati Uniti.
Dalla parte degli insorti americani e dopo la loro vittoria a Saratoga Springs nel 1777, scesero in campo la Francia, l'Olanda e la Spagna: i loro aiuti militari (soprattutto dei francesi) e finanziari spostarono l'equilibrio del conflitto. Dopo cinque anni di operazioni, segnate da rari scontri in campo aperto, perlopiù conclusi a favore degli americani, e a seguito della sconfitta inglese a Yorktown (1781), furono intavolate trattative di pace che, con la mediazione della Francia, sfociarono nella firma del trattato di Parigi (1783) e nell'indipendenza delle colonie americane. Vedi anche Guerra d'indipendenza americana.
La Costituzione
Ottenuta l'indipendenza, occorreva definire quale forma di governo le ex colonie intendessero applicare. Ogni stato presentava proprie specifiche identità, non facilmente integrabili tra loro, e profonde erano le divergenze politiche: per questo motivo prevalse l'idea che ogni stato fosse libero di autodeterminarsi adottando una propria costituzione. Si configurò un ventaglio assai diversificato di opzioni generali, che andavano dal mantenimento di antiche carte redatte in epoca coloniale all'adozione di moderne costituzioni (come nel caso della Virginia) che sancivano i principi dell'eguaglianza, della libertà, della divisione dei poteri e rifiutavano la schiavitù. Fu scelto un sistema federale, che conciliava le tradizioni del particolarismo e della differenziazione religiosa, che caratterizzavano i singoli stati, con le ragioni dell'interesse comune, della difesa militare, dell'impulso allo sviluppo cementate dalla guerra di indipendenza.
Il testo della costituzione, redatto nel Congresso di Philadelphia del 1787, sanciva le idee dei federalisti: stabiliva infatti un rapporto di elezione diretta tra cittadini e governo centrale e di sovranità diretta del secondo sui primi nell'ambito di determinate competenze (finanze, politica estera, guerra), fatta salva la garanzia di ampie autonomie ai singoli stati. Gli organi principali del governo centrale furono fissati nel Congresso (costituito dalla Camera, eletta a suffragio universale maschile e con sistema proporzionale, e dal Senato, composto da due senatori per ogni stato), nel presidente, eletto ogni quattro anni con un sistema indiretto e dotato di forti poteri esecutivi, e nella Corte Suprema, garante dell'unione federale.
Nelle prime elezioni, tenutesi il 4 febbraio 1789, fu eletto presidente George Washington. Lo slancio economico che segnò gli anni di formazione degli Stati Uniti fu favorito dalla colonizzazione di nuove terre a ovest, dove alla fine del Settecento sorsero i nuovi stati del Vermont, del Kentucky, del Tennessee, seguiti all'inizio dell'Ottocento da Ohio, Indiana, Michigan e Wisconsin. Iniziò allora l'avanzamento della frontiera verso il Pacifico, che consegnò agli americani uno spazio divenuto via via di dimensioni continentali, immenso serbatoio di terre e di risorse agricole e minerarie.
La presidenza Jefferson
Il dibattito politico, inasprito dagli echi della Rivoluzione francese e dalle opposizioni alla sovranità del potere federale, vide emergere il partito repubblicano: a quest'ultimo apparteneva Thomas Jefferson, il quale, eletto presidente nel 1800 e riconfermato nell'incarico nel 1804, interpretò la volontà della grande massa dei piccoli proprietari terrieri (i farmers), spostando l'equilibrio federale a favore dell'autogoverno locale. L'atto più importante della sua presidenza fu l'acquisto della Louisiana, la cui annessione raddoppiò la superficie degli Stati Uniti e ne orientò lo sviluppo verso la colonizzazione.
Tra il 1806 e il 1809 Jefferson decretò una serie di misure che vietarono lo scambio commerciale con i paesi europei (Non-Importation Act, Embargo Act, Non-Intercourse Act), allo scopo di protestare contro le violazioni dei diritti commerciali dei paesi neutrali, compiute da Francia e Inghilterra nel corso delle guerre napoleoniche.
La guerra del 1812-1814
Durante la presidenza di James Madison, le tensioni crescenti con la Gran Bretagna nel 1812 portarono allo scoppio del conflitto anglo-americano, che si protrasse fino al 1814 con sorti alterne, ma senza risolutive operazioni militari: agli americani non riuscì il tentativo di sollevare il Canada, rimasto leale alla Corona, mentre gli inglesi riuscirono a conquistare Washington, venendo poi bloccati a Baltimora. Nel trattato di Gand, che pose fine al conflitto, i due paesi si impegnarono a restituirsi i territori conquistati e a definire in successivi colloqui la linea meridionale del confine canadese. Da quell'esperienza uscì rafforzato il sentimento nazionale degli americani, ormai persuasi che il loro futuro dovesse svincolarsi del tutto dalle vicende europee.
Sviluppo economico e territoriale

Nella prima metà del XIX secolo il territorio federale si accrebbe con l'ingresso nell'Unione degli stati della Louisiana (1812), dell'Indiana (1816), dell'Illinois (1818), dell'Alabama (1819) e della Florida (1819). Nel 1936 entrò a far parte dell'Unione il Texas, staccatosi dal Messico; nel 1846 il territorio del Nord-Ovest, che gli Stati Uniti ottennero in seguito a un trattato con la Gran Bretagna, e del vasto Sud-Ovest, ottenuto con la guerra contro il Messico.
A metà Ottocento il confine occidentale era giunto al Pacifico e si contavano più di trenta stati aderenti all'Unione. Un'economia fiorente e in rapido sviluppo agevolò il precoce avvio dell'industrializzazione, che mise radici negli stati atlantici, in particolare in quelli del Nord-Est, dove sorsero fabbriche moderne, all'avanguardia nello sviluppo tecnologico. Gli americani furono tra i primi a produrre, utilizzando la tecnologia del vapore e degli altiforni, i battelli a propulsione meccanica e le locomotive. Si lanciarono quindi nella corsa alla costruzione di strade ferrate in modo così intenso che la rete ferroviaria americana nel 1860 risultava la più estesa al mondo. Il nuovo mezzo di trasporto accompagnò e sostenne lo sviluppo economico, fornendo l'intelaiatura infrastrutturale senza la quale non sarebbe stato possibile organizzare uno spazio di quelle dimensioni. La rapidità di tale sviluppo risultò più accentuata nel settore industriale, nel quale a metà secolo gli Stati Uniti si collocavano al quarto posto nella graduatoria mondiale.
Altrettanto eccezionale fu la crescita demografica: la popolazione balzò dai 9,5 milioni di abitanti del 1820 agli oltre 31 milioni del 1860, con un tasso di incremento che non aveva eguali nella storia. Significativa fu la quota dello sviluppo demografico derivante dall'immigrazione: un flusso migratorio, a crescita quasi esponenziale, mosse dall'Europa, principalmente dall'Irlanda, dalla Germania e dalla Scandinavia. Numerosi giunsero anche gli africani, deportati in schiavitù per essere sfruttati come forza lavoro nelle piantagioni di cotone e di tabacco degli stati meridionali. Gli immigrati bianchi in parte si stabilirono negli originari tredici stati, in parte si diressero verso ovest, là dove un territorio vergine e sconfinato offriva un incessante richiamo allo spirito d'avventura di coloni e di pionieri. La scoperta dell'oro in California nel 1849 spinse migliaia di persone a dirigersi all'Ovest e a popolare le coste del Pacifico. Fu questo il contesto in cui nacque l'epopea del "Far West" (il "lontano Ovest"), un'epopea dapprima di carattere contadino, ma ben presto personificata da allevatori di bestiame, artigiani, commercianti, banchieri, costruttori di ferrovie, giunti in massa al richiamo delle grandi potenzialità affaristiche offerte dall'Ovest. A farne le spese furono le popolazioni indigene, che vennero letteralmente sterminate.
Isolazionismo e democrazia
Dopo la guerra del 1812-1814 contro i britannici, si radicarono nella politica americana le tendenze isolazioniste, favorite proprio dalla Gran Bretagna, convinta che l'America, al riparo da qualsiasi ingerenza europea, si sarebbe adattata a una posizione di dipendenza economica. Alla presidenza di James Monroe si fa risalire la proclamazione ufficiale della linea isolazionista, compendiata nella celebre formula "L'America agli americani" (vedi Dottrina Monroe). Sotto la presidenza di Andrew Jackson (1829-1837), esponente di punta del partito democratico, si posero le basi della democrazia americana, imperniata sulla diffusa partecipazione popolare, sull'allargamento del suffragio (con l'esclusione dei neri) e sul carattere elettivo di molte cariche istituzionali. Si stabilizzò contemporaneamente il bipolarismo partitico: da una parte il partito democratico, con forte insediamento sociale al Sud, espressione dello spirito libertario e individualista degli uomini della frontiera, con venature radicali che lo collocavano a sinistra; dall'altra il partito Whig, apparso nel 1834, espressione degli interessi industriali e finanziari del Nord.
Il problema della schiavitù
Già alla fine del XVIII secolo le differenze economiche e politiche apparivano polarizzate dal contrasto tra gli stati del Nord e quelli del Sud, un contrasto che per diverso tempo si concentrò sulle tariffe doganali: gli stati meridionali erano favorevoli al libero commercio perché le materie prime da loro prodotte, come il cotone e il tabacco, non avevano rivali sul mercato internazionale. La libertà commerciale costituiva la condizione per la prosperità dell'economia agricola delle grandi piantagioni del Sud. Gli stati industriali del Nord, al contrario, propugnavano misure protezionistiche per tutelare le loro merci dalla concorrenza dei manufatti inglesi. Proprio in merito a questioni commerciali fu lanciata la prima minaccia di secessione quando, nel 1828, il South Carolina si dichiarò pronto a staccarsi dall'Unione se fosse stata approvata una tariffa doganale considerata contraria agli interessi dei suoi coltivatori.
La causa fondamentale del contrasto risiedeva tuttavia nella schiavitù. La linea di separazione tra stati schiavisti e stati antischiavisti, definita dal Compromesso del Missouri (1820), correva tra il Missouri, il Delaware, il Maryland e il West Virginia: a settentrione la schiavitù era proibita, a sud legalizzata. La questione riguardava circa 4.000.000 di africani, oltre il 12% della popolazione. Il contrasto si acuì in seguito all'ingresso nell'Unione dei nuovi stati del Texas, dell'Oregon e della California, che metteva in discussione il Compromesso del Missouri, e quindi alla legge sul Kansas e sul Nebraska (vedi Kansas-Nebraska Act), che stabiliva il principio in base al quale ogni stato era libero di decidere sullo schiavismo, indipendentemente dalla propria collocazione geografica. A contrastare le tradizioni e gli interessi del fronte schiavista si formò negli anni Trenta un movimento abolizionista, presto trasformatosi in forza politica a carattere partitico, che prese nome di Free Soil Party, partito del "libero suolo", favorevole al contenimento della schiavitù negli antichi confini. Da questo nucleo si costituì il Partito repubblicano, nel quale emerse una corrente decisamente abolizionista.
Guerra di secessione
La questione della schiavitù divenne dirompente dopo la metà dell'Ottocento, quando il nuovo Partito repubblicano diede rappresentanza politica alle forze antischiaviste, che includevano sia borghesi e operai degli stati del Nord, mossi da ragioni umanitarie e dal convincimento della superiorità del libero mercato del lavoro, sia contadini e coloni di quasi tutti gli stati entrati da poco nell'Unione.
Il contrasto tra il Nord abolizionista e il Sud schiavista sfociò nella guerra civile, dopo l'elezione a presidente degli Stati Uniti (novembre 1860) di Abraham Lincoln, capo del Partito repubblicano, favorevole a una graduale abolizione della schiavitù. Nel dicembre del 1860 undici stati del Sud si staccarono dall'Unione, costituendosi negli Stati Confederati d'America (febbraio 1861), una confederazione indipendente sotto la presidenza di Jefferson Davis e con una propria capitale, Richmond, in Virginia. Il Nord rispose con la mobilitazione di un esercito, a cui si contrapposero le forze sudiste guidate dal generale Robert Lee. Nell'aprile vi fu il primo scontro armato della guerra civile che si sarebbe combattuta per quattro anni con grande dispiegamento di uomini e di armi. La mobilitazione di un grande numero di soldati (quasi cinque milioni tra i due eserciti) e il ricorso alla nuova tecnologia militare – per la prima volta furono utilizzati il fucile a ripetizione, le mine, la mitragliatrice, le corazzate, i siluri, che fecero di questa guerra la prima dell'era industriale – causò un elevatissimo numero di vittime (circa 700.000) e gravissimi danni alle città coinvolte nel conflitto.
La superiorità economica e demografica del Nord pesò sull'esito del conflitto, che si concluse il 9 aprile 1865 con la capitolazione dei sudisti. Il 14 aprile Lincoln venne assassinato durante una rappresentazione teatrale da un fanatico sudista. Il 6 dicembre fu decretata l'abolizione della schiavitù in tutti gli stati dell'Unione con il 13° emendamento della costituzione. Due successivi emendamenti, il 14° (1868) e il 15° (1870), garantirono ai neri pieni diritti civili e politici. Vedi anche Guerra di secessione americana.
La ricostruzione
Con la vittoria dei federali il paese poté essere pienamente unificato. Contrariamente alla linea politica di Lincoln, che avrebbe voluto attuare un piano di riconciliazione nazionale, il Congresso impose al successore, Andrew Johnson, un progetto definito di "ricostruzione" che in realtà instaurò negli stati del Sud un regime di occupazione militare. La piaga della disoccupazione colpì oltre 3 milioni e mezzo di neri liberati, mentre la produzione cotoniera calò vistosamente. In un clima tutt'altro che pacificato i settori oltranzisti si organizzarono in gruppi clandestini, tra cui il Ku Klux Klan, che cominciarono a praticare forme di terrorismo e atti di violenza contro la popolazione nera.
Le forze capitalistiche trassero grande vantaggio dalla ricostruzione postbellica, che favorì il pieno sviluppo dell'economia industriale e l'espansione dei capitali dell'Est a tutto il territorio americano. In mezzo secolo gli Stati Uniti passarono al primo posto nella graduatoria mondiale della produzione industriale. Assunsero una posizione dominante le concentrazioni industriali e finanziarie (corporations), nonché i grandi imperi economici (trusts) collegati alle dinastie di capitalisti, come i Rockefeller, i Carnegie, i Morgan, gli Harriman.
Le ferrovie, organizzando il più grande mercato nazionale del mondo, servirono a commercializzare la produzione agricola dell'Ovest e a portare nelle campagne gli interessi e la mentalità dei capitalisti dell'Est. Decisiva risultò la costruzione, in soli sette anni, della prima linea transcontinentale americana che, partendo da Omaha nel Missouri, raggiungeva San Francisco, sul Pacifico. Grazie al treno le grandi pianure dell'Ovest si trasformarono da terra di allevatori in terra di contadini stabili, perché le potenzialità di crescita dell'agricoltura vennero incrementate dalla possibilità di fare arrivare in tempo breve le derrate alimentari dai luoghi di produzione a quelli di consumo.
I nuovi immigrati
La nuova fase di sviluppo economico fu alimentata da un'ulteriore progressione nella crescita demografica, favorita anche dalla crisi economica in cui versava l'Europa. Oltre dieci milioni di persone si trasferirono dall'Inghilterra, dall'Irlanda e dalla Germania. Una successiva corrente migratoria riversò, tra il 1890 e il 1914, negli Stati Uniti circa 16 milioni di scandinavi, di ebrei, di polacchi, di russi e di italiani, oltre a 4 milioni di asiatici. Fu allora che gli Stati Uniti confermarono la loro peculiarità storica, quella di rappresentare un crogiolo di etnie e di razze (il melting pot), un'autentica nazione di nazioni. Il tasso di incremento demografico toccò il livello record del 171% (dai 32 milioni di abitanti del 1860 ai 92 milioni del 1910), sostenuto certo dall'immigrazione, ma ancora di più dagli elevati indici di natalità.
Lotte sociali e politica estera
I ritmi accelerati dell'industrializzazione e la rapida diffusione del capitalismo finanziario e industriale, furono all'origine di conflitti sociali che videro protagonisti i contadini e gli operai. Nelle campagne dell'Ovest la pressione a cui erano sottoposti i piccoli coltivatori indipendenti (farmers) dall'espansione delle grandi società capitalistiche scatenò una serie di proteste anche violente, dalle quali derivò la formazione del People's Party. Si trattava di un partito che voleva tutelare gli interessi dei farmers, ma che al tempo stesso sapeva accogliere rivendicazioni e speranze della classe operaia, alleandosi all'American Federation of Labour, la grande confederazione sindacale fondata nel 1886. Il momento di massima influenza del Partito populista si registrò alle elezioni del 1896, nelle quali il candidato William Jennings Bryan si alleò ai democratici sulla base di un programma che mirava alla riduzione del monopolio fondiario, a una rigorosa legislazione "antitrust" e a una maggiore equità fiscale.
La sconfitta subita a opera del repubblicano William McKinley segnò la crisi del movimento populista e il trionfo dei valori del capitalismo. Dalla dirompente crescita della produzione e dai processi di concentrazione capitalistica scaturirono spinte imperialistiche analoghe a quelle che giustificavano la contemporanea colonizzazione dell'Africa, operata dalle potenze europee. Tuttavia l'imperialismo americano, a differenza di quello europeo, non si orientò all'occupazione militare di spazi extranazionali né al loro controllo diretto, basandosi piuttosto su forme indirette di condizionamento. Fu la presidenza McKinley a inaugurare una politica estera coerente con queste premesse: nel 1898, dopo l'affondamento di una corazzata americana all'Avana, gli Stati Uniti mossero guerra alla Spagna appoggiando un movimento cubano anticoloniale. La rapida sconfitta della Spagna consentì a Cuba di rendersi indipendente e agli Stati Uniti di rafforzare la loro presenza sull'isola. Avendo contemporaneamente ottenuto Puerto Rico e le Filippine e annesso le isole Hawaii, gli americani si ritagliarono in brevissimo tempo un grande spazio di egemonia, candidandosi a esercitare un ruolo di potenza mondiale.
Theodore Roosevelt
L'assassinio del presidente McKinley portò alla presidenza Theodore Roosevelt, repubblicano, conservatore, favorevole alla libertà politica ed economica. Sotto la sua presidenza vennero approvate leggi per ridurre il potere dei monopoli, fu varata la prima moderna legislazione per la difesa dei consumatori contro le frodi alimentari e medicinali (Pure Food and Drug Act) e per la protezione dell'ambiente. In politica estera Roosevelt attuò una linea fortemente aggressiva (la politica del big stick, grosso bastone), favorendo la separazione del Panamá dalla Colombia (1903), condizione perché gli Stati Uniti potessero finanziare la costruzione del canale. Dopo quasi un secolo di isolamento continentale, gli Stati Uniti presero posizione sulle questioni europee, pronunciandosi a favore della Francia nella contesa coloniale franco-tedesca per il Nord Africa.
Con minore energia e popolarità, il successore William Howard Taft continuò la lotta contro i trusts e favorì due emendamenti costituzionali di ispirazione progressista (il XVI sull'elezione diretta dei senatori e il XVII per l'imposta sul reddito).
La politica di Wilson
Sotto la presidenza di Thomas Woodrow Wilson scoppiò la prima guerra mondiale. Gli Stati Uniti, rimasti in un primo tempo neutrali, svolsero tuttavia una parte importante rifornendo di grano, vestiti, armi, macchine per l'industria bellica i due paesi a cui erano legati da forti vincoli storici, Gran Bretagna e Francia. Solo nel momento in cui i tedeschi lanciarono la guerra sottomarina nell'Atlantico contro i convogli mercantili anche di paesi neutrali, il presidente Wilson dichiarò guerra alla Germania (6 aprile 1917). Sotto il comando del generale Pershing, le truppe americane composte di 1.750.000 soldati diedero un contributo decisivo sul fronte franco-tedesco della Mosa e delle Argonne.
La pace e gli ideali di Wilson
Alla Conferenza di pace, che si riunì a Parigi nel 1919, Wilson propose un piano imperniato sulla riforma delle relazioni internazionali come condizione per evitare in futuro altre guerre. Il piano, articolato in 14 punti, prevedeva libertà di navigazione e di commercio, riduzione degli armamenti, autodeterminazione dei popoli e formazione di un organismo internazionale, la Società delle Nazioni, deputato alla pacifica composizione dei conflitti interstatali.
L'idea utopica della pace perpetua trovava una proposta di attuazione, ma il piano, che pure suscitò reazioni di consenso tra i democratici europei, alle grandi potenze europee apparve inficiato di idealismo. Alla neocostituita Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, mancò un forte avallo internazionale poiché non vi parteciparono la Germania, la Russia e neppure gli Stati Uniti, che l'avevano proposta.
Gli anni della prosperità
Alla fine della prima guerra mondiale gli Stati Uniti vissero un euforico decennio di prosperità nel quale la spinta ai consumi si diffuse a ogni strato sociale. Indicativi i dati dell'industria automobilistica, che nel 1929 segnalava la produzione di oltre 23 milioni di auto e 3 milioni di autocarri. Nelle nuove forme di comunicazione, come la radio e il cinema, nei nuovi sistemi di trasporto, come l'aviazione, nei settori di punta dell'industria, come la chimica e la siderurgia, gli Stati Uniti erano all'avanguardia mondiale perché disponevano non solo dei capitali, ma anche del sapere tecnologico e scientifico.
I tratti delle moderne società erano già presenti nelle fabbriche e nelle città americane degli anni Venti, compresi i fenomeni deteriori, evidenziati dalla piaga del gangsterismo, fiorito in seguito alle misure proibizionistiche. Nonostante i progressi industriali e il diffuso benessere, l'economia americana presentava segni di instabilità, particolarmente visibili nel settore agricolo che subiva le conseguenze del calo di esportazioni in Europa. Lo stesso sistema industriale soffriva per eccesso di produzione, mentre il debito contratto dagli europei in dollari durante la guerra rendeva instabile la finanza statunitense.
La crisi del 1929 e il New Deal
I nodi dell'economia e della finanza si intrecciarono nella grande crisi scoppiata nell'ottobre del 1929, con il crollo della Borsa di New York, a cui né i mezzi della finanza né quelli dello stato poterono porre rimedio, così che migliaia di aziende fallirono e la disoccupazione salì fino al punto di interessare nel 1934 il 25% della popolazione attiva (circa 13 milioni di americani). Vedi Grande depressione.
Nelle elezioni del 1932 fu eletto presidente il candidato del partito democratico, Franklin Delano Roosevelt, a cui andarono i voti dei ceti medi, dei contadini, degli operai, dei disoccupati, ossia di quei settori maggiormente esposti alla crisi. Roosevelt, uomo di grande prestigio personale, incarnò le speranze di rinascita dell'economia americana e di sviluppo della società. La piattaforma elettorale fu all'insegna della parola d'ordine del New Deal ("nuovo corso"). Nella prima fase del New Deal fu posto l'obiettivo di ripristinare il credito, di rilanciare la produzione industriale e agricola, di aggredire la disoccupazione, e tutto questo con una terapia d'urto (i "Cento giorni") rapida e a tutto campo. Nel settore finanziario Roosevelt, appena eletto, mise controlli sulle banche e sul mercato azionario, punto di partenza della crisi; si indirizzò verso la svalutazione del dollaro, abbandonando la parità con le monete europee.
Nella seconda fase, avviata nel 1935, prima che le elezioni riconfermassero Roosevelt alla presidenza con una maggioranza schiacciante, l'attività di riforma assunse come impegno la sicurezza sociale e la qualità della vita (agenzia contro la disoccupazione, assicurazioni contro la disoccupazione e la vecchiaia, riconoscimento dei diritti sindacali, risanamento delle abitazioni e delle città). Uno degli interventi più estesi del potere pubblico in campo economico si realizzò con l'istituzione della Tennessee Valley Authority, un'agenzia federale per lo sfruttamento idroelettrico di quell'area. Il New Deal attuò una politica di deficit di bilancio e di incremento della spesa pubblica come leva per orientare lo sviluppo e ridurre i dislivelli di reddito tra i ceti sociali, che fu considerata da alcuni la pratica applicazione delle teorie dell'economista John Maynard Keynes. In termini economici il New Deal si risolse in un parziale successo (ad esempio, il reddito pro capite nel 1940 fu inferiore, ma di poco, a quello del 1929); in termini politici riuscì a conciliare risanamento economico e ampliamento della democrazia.
La seconda guerra mondiale
In politica estera gli Stati Uniti, pur vigilando sulle proprie aree d'influenza, avevano ripreso posizioni isolazioniste che le leggi di neutralità del 1935-1937 ribadirono. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Roosevelt e il suo segretario di stato Cordell Hunt si impegnarono per convincere Congresso e opinione pubblica della necessità di fornire aiuti agli stati aggrediti da Adolf Hitler. Dopo la terza elezione a presidente, Roosevelt rinsaldò i legami con le democrazie occidentali firmando con Winston Churchill la Carta atlantica (1941), che riaffermava alcuni principi del programma di Wilson (autodeterminazione dei popoli, collaborazione pacifica, ricerca della pace tramite organismi internazionali) e che sarebbe divenuta di lì a poco la piattaforma politica dell'ingresso in guerra degli Stati Uniti.
Questa decisione fu adottata l'8 dicembre 1941, il giorno dopo l'attacco sferrato dai giapponesi alla base americana di Pearl Harbor, nelle Hawaii: la dichiarazione di guerra al Giappone fece scattare il meccanismo delle alleanze internazionali, per cui Germania e Italia dichiararono guerra agli Stati Uniti (11 dicembre). Il grande sforzo bellico permise agli Stati Uniti di superare lo svantaggio che inizialmente avevano con il Giappone e di inserirsi nel fronte europeo e africano con un contributo decisivo di uomini e di mezzi. Alle operazioni di guerra si correlò un'intensa attività diplomatica, condotta da Roosevelt di concerto con Churchill (ma talvolta con dissensi anche profondi da parte del primo ministro inglese), e sfociata nelle Conferenze del Cairo, di Teheran e di Jalta, che ebbero effetti risolutivi sia per le sorti della guerra sia per la sistemazione geopolitica del dopoguerra.
Il piano Marshall
La guerra segnò di fatto l'espansione planetaria degli Stati Uniti, la cui influenza nel dopoguerra si esercitò, in forme e con intensità differenti, in America latina, in Giappone, nelle Filippine, nel Pacifico, in diversi paesi dell'Africa e dell'Asia, in tutte le democrazie occidentali dell'Europa. L'egemonia americana si consolidò con azioni di intervento diretto o, più spesso, indiretto nella vita politica degli stati, nelle relazioni internazionali, nelle scelte economiche. In Europa con il piano Marshall (1946) furono erogati ingenti aiuti finanziari e materiali, necessari a rimettere in sesto l'economia postbellica. Si trattava di una necessità prioritaria per gli stessi Stati Uniti perché un'Europa in ripresa avrebbe potuto divenire un mercato per l'economia americana. Il programma di assistenza presentava anche un risvolto politico, essendo finalizzato a rafforzare i legami di fedeltà con i paesi dell'Europa occidentale, in primo luogo con quelli nei quali i partiti comunisti avevano ottenuto alte percentuali di voti alle prime elezioni del dopoguerra (Italia e Francia).
La Guerra Fredda
Il contrasto che già nell'immediato dopoguerra divise le due potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, assunse un carattere totale: fu cioè conflitto ideologico, strategico, politico ed economico. Il democratico Harry Truman, presidente dal 1945 al 1953, fu artefice di una linea politica tendente all'arretramento del comunismo nel mondo (vedi Dottrina Truman), nella quale si collocarono sia il piano Marshall di aiuti all'Europa, esteso a livello mondiale col programma detto del "Quarto punto", sia il patto atlantico di alleanza militare dei paesi occidentali (NATO). Il clima di contrapposizione quasi religiosa che si respirava negli anni della cosiddetta Guerra Fredda contagiò anche la politica interna americana, con la campagna anticomunista (il maccartismo, dal nome del suo promotore, il senatore Joseph McCarthy), che colpì soprattutto artisti, intellettuali e sindacalisti. In Corea, Truman non esitò a inviare un corpo di spedizione per ricacciare le forze comuniste dal Sud: la guerra che derivò coinvolse anche URSS e Cina e costituì il primo episodio di conflitto regionale combattuto con l'intervento diretto delle superpotenze.
Eisenhower
Il successore di Truman, Dwight David Eisenhower, governò tra il 1952 e il 1960, in un periodo di contraddizioni: da una parte l'economia raggiunse livelli record, dimostrando agli americani come il sistema capitalistico consentisse a milioni di persone di raggiungere il benessere e di incrementare i consumi; dall'altra emersero conflitti razziali che sembravano appartenere al passato. Gravi disordini portarono alla luce la questione dei neri, che denunciarono la discriminazione razziale e la povertà della loro condizione di vita. In politica estera Eisenhower estese la presenza militare americana in Asia, fornendo aiuti militari al Laos e patrocinando la costituzione della SEATO (organizzazione militare di difesa dei paesi non comunisti del Sud-Est asiatico). Nel corso della crisi di Suez (1956) tenne una condotta prudente che di fatto smentiva l'azione militare di forza anglo-francese, pensata in risposta alla nazionalizzazione del canale da parte dell'Egitto, ma sospese gli aiuti finanziari promessi al presidente Nasser.
Kennedy e Johnson

Il programma elettorale battezzato "Nuova frontiera" con cui John F. Kennedy vinse le elezioni del 1960, frutto della collaborazione con gli intellettuali democratici, suscitò speranze in patria e nel mondo perché indicava la necessità di superare il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, e di migliorare le relazioni internazionali. Una volta presidente, Kennedy sostenne la costituzione dei Corpi della Pace (associazioni di volontari impegnati per lo sviluppo nei paesi del Terzo Mondo), varò il piano di "Alleanza per il progresso", per aiutare l'economia latinoamericana, e misure per l'integrazione dei neri, fortemente volute dal fratello Robert, allora ministro della Giustizia. Proprio in America latina, a Cuba, Kennedy appuntò la sua attenzione temendo che la rivoluzione castrista aprisse le porte a un avamposto del comunismo, tanto pericoloso quanto più era prossimo ai confini americani. Quando la minaccia si concretizzò con l'installazione dei missili sovietici, Kennedy decretò il blocco dell'isola, sfidando la reazione sovietica. Il ritiro dei missili da Cuba scongiurò quella che era parsa la minaccia di una terza guerra mondiale (vedi Crisi cubana dei missili).
La morte di Kennedy (1963), in un attentato compiuto a Dallas (Texas) in circostanze mai del tutto chiarite, portò alla presidenza Lyndon B. Johnson, il quale estese la politica d'integrazione razziale, turbata da gravi tumulti che sconvolsero alcune grandi città e dall'assassinio del leader nero Martin Luther King (1968). Sotto la presidenza Johnson, l'impegno americano in Indocina crebbe considerevolmente e iniziarono anche i bombardamenti di città nordvietnamite (vedi Guerra del Vietnam). Ma l'impopolarità della guerra, contro la quale si levò la protesta dei pacifisti con risonanza nell'opinione pubblica occidentale, e la consapevolezza di non poterla risolvere militarmente indussero ad avviare le trattative per una soluzione concordata. Nel frattempo, nel luglio 1969, la NASA lanciò con successo la missione lunare dell'Apollo 11, con a bordo gli astronauti Neil Armstrong, Edwin Eugene Aldrin e Michael Collins.
Nixon, Ford, Carter
I negoziati tra nord e sudvietnamiti, aperti a Parigi nel 1969, furono appoggiati dal successore di Johnson, Richard Nixon, che dopo avere ordinato l'invasione della Cambogia e del Laos e l'intensificazione dei bombardamenti sul Vietnam del Nord, considerata l'impossibilità di vincere la guerra, iniziò il ritiro graduale delle truppe americane dal Vietnam. Nixon rilanciò una strategia di pace sia con gli accordi diplomatici firmati con la Cina di Mao, che rimettevano il gigante asiatico nella sfera delle relazioni internazionali, sia con i trattati per la riduzione delle armi atomiche sottoscritti con l'URSS. Nixon fu costretto a dimettersi, perché coinvolto nello scandalo Watergate, che da inchiesta giornalistica assurse a simbolo della battaglia per la libertà di opinione, valore costitutivo della storia americana, calpestata dalle illegalità scoperte nell'amministrazione presidenziale.
Dopo la presidenza repubblicana di Gerald Ford, i democratici tornarono alla Casa Bianca con Jimmy Carter, il quale cercò di ripristinare il prestigio americano scosso dalla guerra del Vietnam, rilanciando un'azione internazionale di segno nuovo, che ebbe il suo maggiore successo nella mediazione tra egiziani e israeliani, conclusa con gli accordi di pace di Camp David. Alla grave crisi economica oppose un piano di austerità nazionale che prevedeva il controllo dei prezzi e dei salari.
La politica internazionale dovette confrontarsi con la svolta operata dall'URSS di Brenev che rimetteva in crisi la distensione internazionale: infatti all'invasione russa dell'Afghanistan (vedi Guerra dell'Afghanistan) Carter rispose con forti contromisure (sospensione degli accordi sulle armi atomiche, embargo dei cereali, avvio del programma degli euromissili). La sua presidenza si chiuse con lo smacco conseguente al fallimento del tentativo di liberare i diplomatici americani, ostaggio dei seguaci dell'ayatollah Khomeini a Teheran.
Reagan e Bush
Quando nel 1980 salì alla carica presidenziale, Ronald Reagan trovò un'America politicamente debole, incapace di reagire alla politica di riarmo e di espansione della Russia di Brenev e con un'economia in condizioni precarie. La politica da lui attuata nel corso di due presidenze fu battezzata "reaganomics" proprio per rimarcarne il tratto personale. Del reaganismo sono state sottolineate le scelte fiscali e finanziarie, improntate al più radicale liberismo: riduzione delle tasse, contrazione dello stato sociale, massima libertà nei rapporti di lavoro (deregulation). Il boom finanziario che seguì dimostrò la sua fragilità con l'allarmante crollo della Borsa del 19 ottobre 1987.
Con Reagan i bilanci dell'esercito registrarono un forte incremento, dovuto principalmente alla Strategic Defense Initiative, o Star Wars, "guerre stellari" (vedi Scudo di difesa spaziale), e agli euromissili: entrambe le decisioni ebbero comunque l'effetto di indurre i sovietici a riprendere i negoziati per la riduzione delle armi offensive. Il 19 novembre 1985 a Ginevra ci fu il primo dei cinque summit fra i capi delle due superpotenze, Reagan e Gorbaciov.
Nel 1988 gli statunitensi scelsero la continuità, eleggendo come nuovo presidente George Bush, già vicepresidente di Reagan, il quale conseguì numerosi successi in politica estera, condivisi con il segretario di stato James Baker, così riassumibili: cattura del dittatore panamense e narcotrafficante Manuel Antonio Noriega; vittoria contro Saddam Hussein nella guerra del Golfo (1990), momento culminante della popolarità di Bush; firma del trattato per la riduzione degli arsenali strategici (START); avvio della conferenza di pace per il Medio Oriente; sostegno alla trasformazione democratica dell'Est europeo dopo la caduta del Muro di Berlino (1989).
La presidenza Clinton
Dopo il lungo periodo repubblicano, le elezioni presidenziali del 1992 furono vinte dai democratici guidati da Bill Clinton, che cercò di avviare una politica di riforme che affrontasse sia la situazione economica del paese, investito da una forte recessione, sia la critica situazione sociale, che nel 1992 aveva visto la violenta riesplosione della protesta nera a Los Angeles. Clinton cercò anche di attuare una vasta riforma del sistema sanitario e assistenziale, ma il progetto fallì per l'opposizione dei repubblicani e delle grandi compagnie private di assicurazione.
Poco tempo dopo il suo insediamento Clinton fu coinvolto in una serie di episodi scandalistici, che ne provocarono la caduta di popolarità. Alle elezioni di medio termine del 1994 il Partito democratico subì una cocente sconfitta, in seguito alla quale i repubblicani ottennero la maggioranza in entrambe le camere del parlamento statunitense. La situazione del paese, migliorata sensibilmente dal punto di vista economico e occupazionale, rimaneva però critica per una serie di problemi legati alla diffusione della criminalità e della povertà (soprattutto tra le comunità nere e ispano-americane) e dalla comparsa di un preoccupante fenomeno settario bianco, antigovernativo e razzista. Dopo il tragico episodio di Waco del 1993 – in cui avevano trovato la morte un'ottantina di aderenti di una setta estremista asserragliati in una fattoria, in seguito all'assalto delle truppe federali – nel 1995 l'esplosione di un'auto-bomba davanti a un ufficio federale di Oklahoma City provocò 186 morti e centinaia di feriti.
Le elezioni del 1996 riconfermavano sia Clinton alla presidenza sia la maggioranza repubblicana nel parlamento.
In politica estera, Clinton confermò il sostegno al presidente russo Boris Eltsin e aiutò il riavvicinamento di israeliani e palestinesi, culminato nell'incontro di Washington tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat (settembre 1993). Gli Stati Uniti ebbero un ruolo importante nella risoluzione della crisi bosniaca e lo sforzo della loro diplomazia condusse agli accordi di Dayton (1995).
Tra la fine del 1997 e gli inizi del 1998 l'amministrazione americana minacciò l'Iraq di Saddam Hussein di un nuovo intervento militare, fortunatamente scongiurato dal successo della missione diplomatica del segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan.

Esempio