L'assolutismo di Luigi XIV

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L'assolutismo di Luigi XIV

Luigi XIV (1643 - 1715), il Re Sole, impostò la sua politica sull'assolutismo del sovrano. Il soprannome con cui è passato alla storia, si addice proprio a ciò che cercò di realizzare: uno stato nel quale il re fosse sciolto dalle leggi (legibus solutus), essendo il suo potere superiore a qualsiasi altro all'interno dello stato, che doveva essere dipendente dal suo. Ma come rese dipendenti tutti gli altri poteri dello stato? Riducendo alla servitù la nobiltà, risultato che non erano riusciti a raggiungere neppure sergenti di ferro come Richelieu o Mazzarino, precettore del re sole fino al 1661, anno della sua morte.
Il sistema adottato da Luigi XIV per ridurre all'obbedienza la nobiltà, che storicamente ostacolava la monarchia per paura di perdere i suoi privilegi, fu semplicemente geniale e diabolico: costruì una sfarzosa reggia a Versailles e obbligò i nobili a trasferirsi là, lasciando i propri possedimenti. Lì i nobili, a pagamento, sostenevano una vita sfarzosa, con ricevimenti, danze, passatempi nobiliari e così via. Essendo già avvezzi al parassitismo, a differenza degli attivissimi lord inglesi, accettarono di buon grado un'esistenza del genere, facendo buon gioco al progetto del sovrano. Infatti, egli in questo modo tolse loro il potere politico, inviando a governare i loro possedimenti dei funzionari di fiducia, costituendo così una borghesia molto forte e moderna. Contemporaneamente ridusse l'autonomia dei parlamenti locali e non convocò più gli Stati Generali.
Sembra quasi un ritorno al regime di tipo teocratico "A deo rex, a rege lex". Infatti, Luigi XIV scrisse nelle sue "Memorie" che l'unica via possibile per il raggiungimento della felicità di uno stato fosse riposta nel concentrare tutto il potere decisionale nelle mani del sovrano. E usa una metafora per questo concetto, ovvero quella del corpo umano, dove alla sola testa spetta di decidere per il bene di tutto il corpo, ma poi ognuna le membra le devono ubbidire. Quindi il re, continua Luigi XIV, è dato da Dio perché sia rispettato dai sudditi. In questo modo egli coincide con lo stato e quindi emana la legge ma allo stesso tempo n’è superiore. Per questo indicava la monarchia inglese come imperfetta, visto che il re non era legibus solutus, ma era vincolato dal parlamento e anzi poteva essere messo sotto processo (impichment). Questa teoria fu poi affermata dal filosofo J.B. Bossuet, che affermò che il potere regio deriva da Dio e non dal popolo.
Nonostante questo ritorno al medioevo, Luigi XIV creò uno stato moderno, che basa il suo funzionamento su una burocrazia capillare ed efficiente al servizio dello stato stesso e non fine a sé stessa. Del sistema politico che il re sole creò, denominato Ancien Régime, rimase, dopo la Rivoluzione Francese, rimase solo la fortissima burocrazia e uno stato accentratore. Ancora oggi la burocrazia francese è efficientissima e ci sono delle scuole universitarie destinate a "sfornare" i burocrati del domani, alle quali si accede dopo un anno di scuola preparatoria e un esame molto difficile, che assicura la partecipazione solo ai migliori, perché la burocrazia deve essere efficientissima. Allo stesso modo anche oggi è radicato in Francia repubblicana il centralismo statale, retaggio proprio dell'Ancien Régime. Ciò invece non esiste in altri stati che hanno cominciato tardi il loro cammino d’unificazione, come la Germania, che prima della riunificazione sotto la Prussia era sempre stata divisa in tanti staterelli, o come l'Italia, che sta ora cercando di uscire dal centralismo per dar potere alle autonomie locali (federalismo amministrativo).

La religione asservita al potere del re e intolleranza religiosa
Luigi XIV ritenne necessario ridurre all'ubbidienza la chiesa francese per continuare il suo disegno politico assolutistico. Essa era già molto indipendente, sia dalla Chiesa di Roma sia dal re. Inoltre essendo l'assolutismo regio a livello teorico diretta emanazione della volontà divina, egli doveva in qualche modo comandare anche la chiesa francese. Riuscito in quest’intento, la sua politica religiosa mirò ad utilizzare la religione cattolica come elemento unificante della popolazione e pertanto s’irrigidì nei confronti di posizioni di dissenso rispetto al cattolicesimo dominante.
Ciò lo condusse a lottare contro il giansenismo, una corrente inserita all'interno del cattolicesimo ma che predicava il ritorno ad una semplicità spirituale, alla povertà dell'uomo, ad un codice comportamentale più rigido aderente alla norme del vangelo, contro una religione troppo permissiva nei confronti della mondanità. I due monasteri che furono fondati in Francia da questo movimento, Port-Royal de Paris e Port-Royal des Champs erano aperti anche ai laici che volevano meditare questa dimensione religiosa più profonda, e tra questi vi fu il filosofo Blaise Pascal, che contribuì alla diffusione del giansenismo in Francia.
Ma la posizione giansenista fu considerata troppo vicina al protestantesimo, e il re, spinto dal fanatismo e dal ricordo delle guerre di religione, decise di eliminare quest’elemento di destabilizzazione, chiudendo e poi distruggendo il monastero di Port-Royal des Champs. Ma nonostante ciò il giansenismo si diffuse e s’identificò con coloro, borghesi e nobili, erano antimonarchici.
Luigi XIV si scagliò anche contro gli ugonotti, convinto dai suoi consiglieri che il numero di seguaci del calvinismo era esiguo, ritirò la libertà di culto concessa con l'editto di Nantes. Ma i calvinisti non erano così pochi, e si lasciò quindi andare a persecuzioni che costrinsero molto ugonotti ad abbandonare il paese, con un grosso danno economico per l'industria, visto che portarono via la loro professionalità, che invece confluì nei paesi confinanti.

Il mercantilismo di Colbert
Luigi XIV ebbe anche il merito di dare origine grazie al suo ministro del tesoro Colbert al mercantilismo, alla base anche della politica degli stati prima assolutisti e poi moderni, fino all'avvento del capitalismo. Infatti, uno stato moderno si basa sulla burocrazia, ma più è efficiente più è costosa, Inoltre lo stato di Luigi XIV doveva sostenere ingenti spese per pagare la sfarzosa vita della corte. Colbert si basò sulla convinzione che la ricchezza della nazione dipendesse dalla quantità di valuta preziosa (oro o argento) circolante. L'unico modo per incrementarla è avere una bilancia commerciale positiva, ovvero con importazioni minori di esportazioni. Pertanto Colbert favorì le importazioni di materie prime e osteggiò invece l'importazione di prodotti finiti per favorirne una produzione all'interno della nazione. I prodotti finiti erano rivenduti o all'interno del paese o all'esterno, con gran guadagno. Inoltre, sempre per favorire la lavorazione delle materie prime in Francia, egli impedì la loro esportazione. Per di più favorì lo sviluppo del commercio interno, unificando per quanto possibile pesi e misure e abolendo i dazi interni.
Con questi accorgimenti ben presto le casse statali si riempirono di oro e argento, ma a differenza della Spagna, invasa dall'oro delle colonie che però non fu investito nel settore produttivo ma sperperato, Colbert fece investire questo denaro per realizzare maggiori guadagni. E comprese che il settore che ne prometteva di più era l'industria e non l'agricoltura. Pertanto favorì investimenti sulle industrie e la nascita di industrie gestite dallo stato stesso con capitali propri. Nacque così l'intervento statale nell'economia del paese, che in Italia venne largamente utilizzato anche in tempi recenti, con lo stato imprenditore che si faceva carico di creare posti di lavoro con le proprie industrie (Alfa Romeo, Alemagna, Enel, Sip, ecc.).
Fra le industrie di stato più famose ricordiamo gli specchi Saint-Gobain, industria che ancora oggi fornisce vetri di pregiata qualità impiegati fino a poco tempo fa sulle autovetture del gruppo Fiat. Ma questo modello dimostrò i suoi limiti perché l'iniziativa non era in mano al privato ma allo stato. Pertanto i guadagni che si potevano realizzare erano maggiori di quelli effettivamente realizzati, visto che è si è meno determinati a investire, a rischiare, a proporre idee nuove quando i capitali non sono propri ma statali. E così si verificò il fallimento delle Compagnie coloniali francesi, gestite dallo stato e non dai privati, come quelle inglesi e olandesi, che indubbiamente realizzarono maggiori guadagni. Lo stesso è accaduto in Italia nell'ultimo mezzo secolo, dove lo stato imprenditore ha sostanzialmente fallito ed è stato costretto a privatizzare via via tutte le sue industrie, che in mano ai privati hanno fruttato molto di più.
Comunque nel complesso la politica di Colbert aiutò riuscì nei suoi scopi iniziali e fu da modello economico per gli stati moderni successivi, bisognosi di sempre maggiori introiti per mantenere l'apparato burocratico in piedi senza dover spremere oltre le proprie possibilità i cittadini con le tasse.

La politica espansionistica di Luigi XIV
Luigi XIV ebbe successo in politica interna, ma non si può dire altrettanto in politica estera, dove, forte delle risorse messegli a disposizione dalla politica economica di Colbert, mise in atto una strategia aggressiva che comportò quasi cinquant'anni di guerre, da quella di devoluzione del 1667 a quella di successione spagnola, 1714, nelle quali, pur avendo ottenuto modesti ampliamenti territoriali, consumò tutto quello che Colbert era riuscito ad accumulare, lasciando alla Francia un esercito ormai logoro e una disastrosa situazione economica e finanziaria, portatrice di quella crisi sociale che darà origine alla rivoluzione francese. Quindi tutto quello che di buono era riuscito a fare verrà poi quasi distrutto da lui stesso, e alla fine il regime assoluto che era riuscito ad instaurare, avrà già i protomi della crisi che sfocerà nella rivoluzione del 1789 a causa della sua politica estera sostanzialmente errata ed ottusa.

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