Torquato Tasso: vita e opere

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Testo

TORQUATO TASSO
Di nobile discendenza (padre Bernardo Tasso di illustre famiglia bergamasca, madre Porzia de’ Rossi di aristocratica famiglia pistoiese) nacque a Sorrento nel 1544. In quel tempo Bernardo era in Piemonte, al seguito di Ferrante Sanseverino principe di Salerno. Nel 1545 i Tasso si trasferirono a Salerno, e, nel 1547 scoppiò una sollevazione a Napoli per il tentativo del vicerè don Pedro di Toledo d’introdurre nella città l’Inquisizione. In quell’occasione Sanseverino fu nominato ambasciatore dei rivoltosi e, nominato ribelle nel 1552 dal vicerè e Bernardo lo seguì nella fuga e nell’esilio ed ebbe, di conseguenza confiscati tutti i suoi beni. Intanto Torquato frequentava la scuola dei gesuiti. Nel 1554 Bernardo, dopo varie peregrinazioni, si stabilì a Roma ma inutilmente tentò di farsi raggiungere dalla moglie e dai figli. Ma, alla fine di quell’anno solo Torquato potè ricongiungersi con il padre, lasciando la madre che morì nel 1556. Nello stesso anno andarono ad Urbino dove Bernardo si mise al servizio di Guidobaldo II della Rovere. Così Torquato divenne compagno di studi del principe ereditario Francesco Maria, e perfezionò la sua cultura classica e moderna e apprese le scienze e le arti cavalleresche. Nel 1558 Sorrento fu assaltata dai turchi, la notizia sconvolse Torquato e forse gli suggerì la prima idea di un poema sulla prima Crociata.
Nel 1559 iniziò a scrivere Il primo libro del Gierusalemme, lasciato presto interrotto non appena il progetto di comporre un poema eroico apparve al Tasso troppo ambizioso ed arduo. Si volse allora ad altro genere letterario, meno impegnativo, e precisamente, al poema cavalleresco. Diede così inizio al Rinaldo che vide poi la luce a Venezia nel 1562, con dedica al cardinale Luigi d’Este, nuovo signore del padre e suo futuro protettore. Contemporaneamente studiava legge all’Università di Padova e stringeva rapporti di amicizia con Sperone Speroni, Cesare Pavesi.. Lasciati gli studi giuridici, si iscrisse ai corsi di filosofia, dove studiò profondamente la poetica di Aristotele.
Il padre intanto era passato al servizio del duca Guglielmo Gonzaga.
Nel 1564 Tasso fu accusato di avere composto una satira pungente contro professori e studenti dell’Università di Bologna e fu costretto a fuggire e a ritornare a Padova, dove fu bene accolto dal giovane principe Scipione Gonzaga ed entrò a far parte dell’Accademia degli Eterei con il nome di “Pentito”. Molto probabilmente in quello stesso periodo riprese il progetto di un poema eroico dedicato alla prima Crociata e iniziò la composizione dei Discorsi dell’arte poetica, pubblicati nel 1587. Nel 1565 entrò al servizio del cardinale Luigi d’Este e cominciò a frequentare la corte di Alfonso II e stringeva relazioni d’amicizia con nobili ferraresi e uomini di corte.
Nel 1569 morì il padre.
Nel 1571 preso congedo dal cardinale Luigi fu di lì a poco ammesso tra i cortigiani stipendiati del duca Alfonso.
Anni di maggiore creatività poetica. Nel 1573, infatti, scrisse l’Aminta che venne rappresentata nell’isoletta di Belvedere e pubblicata nel 1580, e iniziò la tragedia Galealto re di Norvegia, rimasta interrotta, ma soprattutto continuò il poema eroico il Goffredo, finito nel 1575.
Era stato intanto nominato lettore di geometria e storiografo di corte.
Nonostante tutto questo il Tasso era scontento di Ferrara ed era tormentato dai primi dubbi sul suo poema. Si recò quindi a Roma per essere presentato al cardinale de’Medici e per ottenere la revisione del poema da parte di alcuni letterati, tra i quali Scipione Gonzaga, Flaminio Nobili, Sperone Speroni.
Questo viaggio a Roma fu poi considerato dal poeta come la prima origine delle sue disgrazie.
Effettivamente l’avvicinamento ai Medici e la ritardata pubblicazione del poema furono l’origine dei sospetti e delle diffidenze del duca Alfonso.
Ebbe così inizio il decennio (1576-86) più travagliato della vita di Tasso, caratterizzato da improvvise fughe da Ferrara e da altrettanti ritorni, da crisi violente, e culminato infine nella lunga e dolorosa reclusione di Sant’Anna.
Fase della revisione del poema, dell’esaurirsi delle energie creative e del subentrare di preoccupazioni estetiche, morali e religiose che lo portano appunto a nominare i revisori e ad autodenunciarsi al Tribunale dell’Inquisizione come eretico. Anni di squilibrio psichico: inquietudini, diffidenze, sospetti, paure, senso di persecuzione, bisogno di gratificazioni, insoddisfazione, ire, invidie, momenti di depressione e di angoscia. I rapporti a corte sono sempre più difficili. Aggredì un servo col coltello credendosi spiato e fu mandato nel convento di San Francesco, dal quale fuggì per Sorrento, Roma, Mantova, Padova, Venezia, Urbino ospite di Francesco Maria della Rovere e a Torino al servizio di Emanuele Filiberto. Nel 1579 fuggì e tornò a Ferrara. Al suo ritorno il Tasso viene o si sente trascurato, non riottiene il posto di privilegio che si aspettava, e, deluso e impaziente inveisce contro Alfonso (intento a preparare le sue nozze). Venne così rinchiuso nell’ospedale di Sant’Anna considerato pazzo.
Ebbe così inizio il lungo e amaro periodo della prigionia (1579-86). Dopo 14 mesi di severa prigionia, gli vennero concesse alcune stanze dove potè cominciare a ricevere amici e a scrivere rime, lettere e dialoghi. Soprattutto lettere, che sono la drammatica testimonianza delle sue condizioni, che sono appelli ad amici, denunce di macchinazioni a suo danno, tentativi di mostrare la sua recuperata lucidità.
Nel 1581 cominciarono ad uscire le prime edizioni della Liberata, e, dal 1584 si svolse la famosa polemica intorno alla Liberata, dove, il campo dei più noti letterati si divise in due parti a favore e a discredito del Tasso, il quale intervenne nella discussione con la sua Apologia. Nello stesso anno ci fu la nuova edizione della Liberata curata a Mantova da Scipione Gonzaga.
Nel 1586 Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova, ottenne finalmente che il poeta fosse affidato alla sua custodia. Così, dopo 7 anni di reclusione il Tasso riprese la propria libertà, ed anche un nuovo fervore creativo, in quanto riprese il Galealto e lo trasformò nel Re Torrismondo. La stesura della tragedia fu rapida, ma dovette stancare il Tasso che ben presto fu ripreso dall’inquietudine e fuggì per Roma, e, nel 1588 si recò a Napoli dove fu accolto nel monastero di Monte Oliveto dove iniziò il poemetto Il Monte Oliveto, in onore dei frati che l’avevano ospitato.
Nel 1590 fu ricevuto a Firenze da Ferdinando de’Medici, granduca di Toscana, e, nel 1591 scrisse la Genealogia della casa Gonzaga e provvedeva anche al riordinamento definitivo delle sue rime e pubblicò la Prima parte a Mantova e la Seconda parte a Brescia nel 1592. In quest’anno fu invitato a Napoli da Matteo di Capua, dove fu accolto con onore e vi conobbe vari uomini di lettere, tra cui il Manso, che scrisse Vita di Torquato Tasso, pubblicata nel 1621.
In casa del Manso iniziò il Mondo creato, pubblicato nel 1605.
Tornò a Roma dove fu ospite di Cinzio Passeri Aldobrandini, nipote del nuovo papa Clemente VIII.
All’Aldobrandini dedicò la Gerusalemme conquistata, pubblicata nel 1593.
Nel 1594 dopo avere scritto e pubblicato le Lagrime di Maria Vergine e le Lagrime di Gesù Cristo tornò a Napoli dove pubblicò i sei Discorsi del poema eroico con i quali volle correggere le posizioni teoriche dei giovanili Discorsi dell’arte poetica e giustificare il rifacimento della sua Gerusalemme.
Nello stesso anno fu richiamato a Roma dall’ Aldobrandini e il papa gli concesse una pensione annua e gli promise l’incoronazione poetica.
Nel 1595 morì nel convento di Sant’Onofrio.
POETICA
Non si può parlare dell’opera del Tasso senza tener conto della cultura ferrarese del secolo XVI, raccolta attorno alla corte estense. Continuità con la precedente tradizione locale grazie all’Ariosto.
La corte estense presenta ancora forti caratteri laici, ma è animata da un gusto tutto particolare per il romanzesco, le forme fantastiche, l’avventura. Immagini di pura evasione, tende a scenografie dove trionfano le armi e gli amori, l’eroismo militare e cavalleresco.
Sotto i duchi Ercole II e Alfonso II Ferrara si propone di confermare e difendere la propria caratteristica di centro produttore di una cultura cortigiana piacevole, per questo offre spazio a intellettuali di corte, creatori di forme di consumo per un pubblico aristocratico.
Questa produzione comporta anche un confronto con la letteratura classica, con le discussioni sui generi letterari. L’ambiente letterario ferrarese partecipa intensamente ai dibattiti e agli esperimenti sul poema eroico (difendendo il modello romanzesco rappresentato dall’Orlando furioso), sulla tragedia e sulla favola pastorale. (I testi dei grandi tragici greci e la lettura che del genere tragico forniva la poetica di Aristotele costituiscono un fondamentale punto di riferimento per tutti coloro che nel secolo XVI tentano di costruire in Italia un moderno teatro tragico (astratti, privi di vera teatralità). Gli autori sono quasi tutti degli studiosi, che tentano la tragedia soprattutto perché, secondo l’insegnamento di Aristotele, essa si configura come il genere letterario più concentrato e perfetto, quello classico per eccellenza. Ma proprio l’eccessivo scrupolo di imitare modelli antichi impedisce a questi autori di raggiungere un’intensa drammaticità. Questi tragediografi mettono comunque a punto una forma drammatica che ebbe grande importanza per la successiva cultura teatrale europea (tra l’altro utilizzando anche per la tragedia quella divisione in 5 atti che si usava per la commedia: divisione ignota ai drammaturghi antichi. I conflitti tragici avevano di solito come sfondo gli spazi del potere, la corte in primo luogo, e coinvolgevano personaggi appartenenti al più alto grado sociale, come re e principi; mentre la commedia doveva rappresentare la vita privata e svolgersi in ambienti borghesi e cittadini. E se nella commedia si impose la scrittura in prosa, nella tragedia si scelsero sempre i versi, con prevalenza dell’endecasillabo sciolto. L’ambientazione della tragedia, anche se si collocava spesso nel mito e nella storia più lontana, permetteva di alludere in qualche modo ai conflitti reali politici del tempo e alla problematica della ragion di stato (centralità assoluta degli organismi statali e preminenza dell’attività politica su ogni altro aspetto sociale) ed in alcuni casi si arrivò a rappresentare il male e l’orrore legato all’esercizio del potere. TASSO: RE TORRISMONDO.)
Rappresentante esemplare della cultura ferrarese fu Giovan Battista Giraldi Cinzio sotto il ducato di Ercole II, molto attento alle discussioni sulla poetica Aristotelica. Cercò di conciliare le proprie convinzioni teoriche con le esigenze del pubblico cortigiano, autore di generi letterari diversi dalla tragedia al poema cavalleresco alla novella. Altro personaggio di spicco Giovan Battista Nicolucci detto il Pigna, di cultura più superficiale.
La vita culturale ferrarese era minacciata da varie difficoltà politiche e dinastiche. Il definitivo imporsi del predominio spagnolo in Italia aveva fatto cadere l’ambizione degli Estensi di porsi alla guida degli Stati laici e indipendenti italiani. Lo stesso territorio del Ducato era insidiato dalla Chiesa, che rivendicava il proprio diritto su Ferrara come feudo ecclesiastico. Una bolla di Pio V del 1567 decretava che l’eredità dei feudi ecclesiastici fosse possibile solo ai discendenti diretti: il provvedimento intendeva colpire Alfonso II che non aveva figli.
Con la morte di Alfonso II, la città e il territorio di Ferrara passarono sotto la giurisdizione dello Stato della Chiesa. Aveva quindi termine anche una brillante vita cittadina, laica e cortigiana e la corte si trasferì a Modena.
Tasso vide nell’attività letteraria un valore assoluto, ne fece il luogo del supremo riconoscimento di sé, come Dante e Petrarca, che però opponevano il valore della loro persona e dei loro scritti alla società e le loro esperienze biografiche non si esaurivano nella letteratura, mentre per Tasso la letteratura è tutto, è un modo di offrirsi interamente al pubblico, dal rapporto col quale egli cerca successo e gloria. Il luogo destinato a questo riconoscimento sociale veniva individuato nella corte. Ariosto invece avvertiva una distanza rispetto alla corte a cui offriva la propria opera, e nello stesso tempo era consapevole dei limiti della propria posizione di scrittore e di intellettuale. Per Tasso invece quel mondo è tutto. Fu per lui anche qualcosa di più: costretto all’esperienza dell’allontanamento dalla madre e dalla patria sin da giovanissimo, vide nella corte un punto di riferimento esistenziale, l’identificò ad un porto dove avrebbe potuto placare le proprie ansie. Le norme, le strutture di potere, i condizionamenti economici della corte fanno sì, però che un intellettuale come Tasso non possa ricevere una contropartita adeguata alle sue aspettative e le energie che investe non trovano risposta nel mondo che gli è intorno. Ecco allora l’insoddisfazione, il non potersi riconoscere in nulla, il senso di sradicamento, il desiderio di fuga, la ricerca delle proprie origini perdute. Questa situazione lo spinge sempre più a tornare sulle sue lacerazioni affettive, sulla mancanza di una vera patria, sulla perdita precoce della madre e sulla vita agitata itinerante del padre.
Produzione lirica:
La lirica si era posta al centro del sistema dei generi letterari, era stata a lungo ed era tuttora il codice di base e d’avvio ad ogni altra esperienza letteraria e quando, specie con la diffusione della poetica aristotelica, si individuarono nella tragedia e nel poema eroico i due generi letterari sommi, fu ancora al linguaggio lirica che si ricorse per ispirazione, in mancanza di modelli volgari insigni o capaci di interpretare le nuove esigenze di gusto e le nuove istanze culturali
Nella lirica di Tasso manca un centro, le Rime infatti non ruotano intorno a un’esperienza modello, ma seguono direzioni molteplici, come rivela la distinzione tra rime d’amore, rime encomiastiche (lodative) e rime religiose.
Novità importante è il recupero del rapporto della poesia con la musica. Si serve di cadenze proprie della poesia popolare, che gli permette di raggiungere effetti fonici attraverso pause ed esitazioni sintattiche o ripetizioni di singole parole. Questa musicalità si realizza nei madrigali (componimento lirico piuttosto breve, strettamente legato alla musica. La forma originaria, molto praticata nel sec. XIV, era costituita da una successione di endecasillabi, di numero variabile da sei a quattordici, con vari incontri di rime e comunque con rima baciata finale. Nel corso del 500 la struttura metrica del madrigale si semplificò, riducendosi a una sola stanza di endecasillabi o settenari, a rima libera o senza rime, ma comunque conclusa da una rima baciata). Da madrigali e sonetti emergono affascinanti immagini femminili, che si identificano con una natura carica di sensualità: delicati e sfumati paesaggi in grado di esprimere lievi emozioni, fugaci attimi di felicità, impalpabili stati d’animo tra la nostalgia, la malinconia e il dolore, paesaggi su cui si proiettano figure ed ombre di personaggi femminili, di cui si colgono attimi di vita, gesti, espressioni, capaci di evocare, in un gioco continuo tra il detto e il taciuto, una ricca e sfumata gamma di emozioni, sensazioni, affetti, protagonisti privilegiati e costanti della più felice poesia.
Questo spettacolo viene ripreso nelle liriche encomiastiche, dove Tasso cerca di tradurre negli schemi e nelle strutture metriche della lirica volgare i modelli della lirica eroica classica, in primo luogo quelli di Pindaro e Orazio, percorre cioè la strada del pindarismo (lirico greco del V sec a.c. pindarica è ogni poesia di tipo corale, destinata celebrare grandi imprese, ricca di elementi mitologici ed eroici. Il pindarismo si affermò all’interno del genere delle canzoni eroiche, per un suo linguaggio assorto e dai toni elevati, per la sua predilezione per i temi oscuri ed enigmatici).Spesso il tono encomiastico lascia insinuare accenti autobiografici: la gloria dei potenti viene vista come un'emanazione assoluta e sovrana che può proteggere e consolare la vita infelice del poeta, offrendogli un porto sicuro nella celebre canzone Al Metauro (o del grand’Apennino), per esaltare il duca Francesco Maria II Della Rovere si affida alla protezione dell’ombra sacra della Quercia, emblema della famiglia ducale. Interessanti sono anche le canzoni alle principesse estensi O figlie di Renata, e al duca Alfonso II O magnanimo figlio.
Ancora più evidente bisogno di conforto domina le rime religiose, composte negli ultimi anni, dove il poeta appare nelle vesti di un devoto che attraverso la preghiera aspira a lenire il proprio dolore.
Produzione teatrale:
Impegnò il poeta in modo meno continuo che non la lirica o l’epica, ma interessò diversi momenti della sua vita e si concretò in un’opera di grande suggestione: l’AMINTA.
Tasso compose due favole pastorali, l’Aminta e il Rogo amoroso; una tragedia, il Re Torrismondoe una commedia, gli Intrichi d’amore.
AMINTA: scritta nel 1573, rappresentata nel palazzo estense nell’isoletta di Belvedere e stampata nel 1580. In 5 brevi atti ha ambientazione e personaggi tipicamente arcadici. L’organismo drammatico si muove in due direzioni opposte: da una parte troviamo una scena naturale pura, una vita semplice e sentimenti spontanei, che rappresentano una felice evasione dalle illusioni del mondo cortigiano; dall’altra sembra voler idealizzare proprio quegli aspetti più frivoli della vita cortigiana. Troviamo personaggi che raffigurano esponenti della corte ferrarese: Tirsi è un’esplicita immagine dell’autore, sazio delle gioie, dei piaceri, degli splendori della vita di corte, è turbato da una sotterranea insoddisfazione, da desideri che non possono realizzarsi; Dafne immagine di matura dama di corte, maestra nelle schermaglie amorose ed Elpino dietro il quale si intravede la figura di Pigna, capofila della cultura cortigiana ferrarese.
Queste figure, che danno luogo a precisi riferimenti alla vita della corte ferrarese, osservano e guidano la semplice vicenda della favola, che presenta l’amore innocente del giovane pastore Aminta per la bella ninfa Silvia. Secondo uno schema tradizionale nella poesia pastorale la ninfa fugge l’amore e preferisce la caccia, vivendo a contatto della natura. Dafne cerca di convincere Silvia ad accettare l’amore di Aminta, mentre a sua volta Tirsi aiuta Aminta a vincere la sua timidezza.
Quasi nessuna delle azioni si svolge sulla scena: quasi tutte vengono narrate in dialoghi tra i vari personaggi.
La vicenda sfiora e respinge la tragedia nel gioco delle morti apparenti degli amanti: un giorno Aminta libera Silvia dall’aggressione di un satiro (1/2 uomo e ½ animale), ma lei fugge nel bosco e più tardi si ritroverà il suo velo imbrattato di sangue. Pensando che sia stata sbranata dai lupi Aminta si getta da una rupe e, quando Silvia, sfuggita alle belve, ritorna illesa ed apprende la notizia del gesto di Aminta, prova per lui improvviso amore e si precipita a cercarne il cadavere, ma Aminta, caduto indenne su un cespuglio è vivo e l’amore finalmente trionfa.
L’aspirazione a comporre una perfetta tragedia, paragonabile a quelle dell’antichità classica, fu propria del 500, soprattutto dopo la diffusione della poetica aristotelica, che pareva assegnare a questa forma letteraria il primato nel sistema dei generi. Il Tasso, che esplicitamente dichiarava la superiorità del genere epico e del poema eroico, concepisce il progetto di una tragedia d’ambientazione nordica:
IL RE TORRISMONDO: scritta fra il ’73 e il ’74 con il titolo Galealto re di Norvegia, rimasta interrotto alla scena IV dell’atto II, fu ripresa dopo la liberazione di Sant’Anna e Tasso ne cambiò i nomi dei personaggi, vi apportò altre variazioni e la concluse dandole il nuovo titolo. Fu stampata a Bergamo nel 1587 con dedica a Vincenzo Gonzaga e rappresentata solo nel 1618 nel teatro Olimpico di Venezia. Si svolge in un tempo imprecisato, in una regione nordica di cui Torrismondo è appunto il re, compresa tra il Regno dei Goti e quelli di Norvegia e di Svezia. L’azione è dominata in gran parte dal conflitto tra amore e amicizia vissuto da Torrismondo, che ama, riamato, la principessa di Norvegia Alvida, ma ha promesso di offrirla in sposa all’amico Germondo, re di Svezia. Nell’atto IV la situazione si complica con l’emergere del tema dell’incesto, attraverso il quale la tragedia pare ricollegarsi, all’ Edipo re di Sofocle (Edipo scopre inorridito di avere inconsapevolmente ucciso il padre e sposato la madre). Torrismondo scopre che l’amata Alvida è sua sorella, e l’azione precipa con il suicidio di entrambi.
Altre opere:
DIALOGHI: Tasso si impegnò nella scrittura dei dialoghi negli anni di Sant’Anna. Il dialogo gli permetteva di mostrare all’esterno la sua volontà di mantenere una conversazione con un mondo colto e aristocratico. Egli se ne servì per costruire una sorta di autobiografia intellettuale, e in molti mise in scena la sua figura di uomo sofferente, il suo inappagato desiderio di pace interiore, la sua malinconia, presentandosi come interlocutore, per lo più col nome di Forestiero Napoletano.
Tra il 1578 e il 1594 furono scritti ben 26 dialoghi. In un breve Discorso dell’arte del dialogo definisce le caratteristiche di questo genere: al dialogo è necessaria l’imitazione e lo scrittore del dialogo deve essere “quasi mezzo fra ‘l poeta e ‘l dialettico”, si tratta di una dimensione intermedia tra poesia e filosofia il cui modello più affascinante è costituito dai dialoghi di Platone. I dialoghi di Tasso partono da alcuni materiali filosofici per sottoporli a una sottile elaborazione retorica e a un fitto gioco di riferimenti e citazioni letterarie; combina punti di vista platonici e punti di vista aristotelici. Il più celebre dei dialoghi, Il Messaggiero, a cui l’autore lavorò con tre redazioni diverse, nell’80, nell’83 e nell’87. Qui Tasso riferisce il colloquio che ha avuto con uno spirito apparsogli nella sua stanza a Sant’Anna: incerto se si tratti di un sogno, di un frutto della sua malinconia o di un essere reale, egli discute con questo interlocutore misterioso sulla natura degli spiriti che fanno da messaggeri tra la divinità e l’uomo, e poi su quella degli ambasciatori terreni.
Altro celebre dialogo è Il padre di famiglia, scritto nell’80, che prende spunto dall’ospitalità ricevuta dall’autore, durante un viaggio a Torino, in una dimora di campagna. Un mondo sereno accoglie il viaggiatore stanco e disilluso; il capofamiglia gli parla dell’amministrazione della casa, suggerendo un’immagine della famiglia come luogo di equilibrio e misura, in cui è possibile vivere una saggia esistenza, lontano dai clamori delle corti e del mondo politico.
Nel loro insieme i dialoghi cercano proprio la strada di un equilibrio, sia pure provvisorio, tra i molteplici punti di vista che la cultura letteraria e filosofica può fornire su temi specifici e sulle situazioni sociali. Ciò è mostrato dagli stessi titoli : Il Gonzaga overo del piacere onesto, De la dignità, Il Gonzaga secondo overo del giuoco, Il Malpiglio overo de la corte, Il Gianluca overo de le maschere, Il Manso overo de l’amicizia.
La produzione poetica dell’ultimo decennio fu legata a personaggi che lo protessero e lo ospitarono o a pratiche di devozione religiosa: il poemetto in endecasillabi sciolti Il rogo amoroso, composto nel 1588 scritto per la morte della donna amata dall’amico Fulvio Orsini; per Vincenzo Gonzaga scrisse, nel 1591, un altro poemetto in 119 ottave, La Genealogia di Casa Gonzaga; poemetto incompiuto, scritto nel 1588, Il Monte Oliveto, come tributo al monastero di Napoli di cui il Tasso era allora ospite e si tratta di un’esaltazione della solitudine monastica, del contatto che essa permette con una natura ordinata e regolare; altri due, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo, scritti e pubblicati nel 1593; il tentativo più ambizioso di poesia religiosa fu il poema Le sette giornate del mondo creato, con la narrazione della creazione ed articolato appunto in sette giornate, scritto tra il ’92 e il ’94, pubblicato postumo nel 1607, cerca di concentrare la complessità dell’universo, la vita generata dal soffio creatore di Dio, il discorso procede in modo faticoso, con lunghissime descrizioni e con richiami a motivi filosofici e scientifici e si presenta come un’enciclopedia della creazione, che l’autore si diletta ad elencare e tradurre in parole.
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