Leopardi e il pessimismo

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Categoria:Letteratura

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Testo

GIACOMO LEOPARDI

Nasce a Recanati, primo di 5 figli, nel 1798.
Il padre ne asseconda gli studi e fin dalla giovane età si appassiona alla letteratura e al latino. Questa sua dedizione è però quasi forzata per due principali motivi:
1. Leopardi viveva nelle Marche, territorio allora sotto il dominio del Pontefice, il quale era ostile all’ondata di cambiamenti che stava pervado in quei secoli l’Europa.
2. Figlio di un conte, non gli era permesso giocare o colloquiare con i giovani ed i bambini della sua età non appartenenti al suo ceto sociale: l’unica sua occupazione è quindi lo studio.
Sempre più assuefatto dalla letteratura, trascorre i cosiddetti “sette anni di studio matto e disperatissimo” che compromettono irreparabilmente la sua salute; che questa fosse la causa principale del suo pessimismo è un pregiudizio diffuso all’epoca: non bisogna confondere il vero modo di essere di Leopardi con quello che voleva dimostrare tramite i suoi scritti. Il pessimismo non è altro che un topos letterario, il quale è stato trasformato dai contemporanei nel vero modo d’essere del poeta. Nasce proprio in questi anni il suo amore per la filologia.
Nel 1816 la nuova vocazione comincia a farsi sentire e sarà quel passaggio che egli stesso definirà “dall’erudizione al bello”. Accanto alle opere erudite dell’ultimo periodo, tra cui una trascrizione dell’Odissea e dell’Eneide, un trattato di astronomia e l’Inno a Nettuno, Leopardi comincia a manifestare nuovi interessi, soprattutto per la poesia: scrive “Canti Il primo amore”, ispirato dall’amore per la cugina. Dopo l’incontro con il Giordani il suo legame con la contemporaneità si fa più ricco e profondo, dimostrando finalmente un vasto interesse per la poesia. Il 1818 è l’anno fondamentale per la sua conversione poetica con il primo scritto che riguarda l’argomento poetico: “Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica”. L’anno successivo è colpito da una malattia agli occhi che, oltre che non potergli permettere di leggere, gli impedisce anche di pensare e medita diverse volte il suicidio. In questo clima di depressione matura un’ulteriore conversione, detta “filosofica”: questa consiste nel passaggio dalla poesia alla filosofia, dalla condizione antica di felicità, a quella moderna di noia e tristezza. Questa evoluzione nasconde in realtà una metafora: la condizione originaria della poesia si allontana ai suoi occhi e pare non riproponibile nell’età presente.
Leopardi tenta quindi la fuga da Recanati, diventatagli insopportabile, ma viene scoperto.
Amareggiato con la società e con il mondo, l’autore scrive nel 1820 le “Operette morali” che in una lettera all’amico Giordani, definisce come operette satiriche che prendono di mira i pregiudizi sui quali si fonda il comune senso di vivere. I personaggi principali sono persone note realmente esistite, ma anche personificazioni di enti astratti.

Poetica e pensiero

Poesia immaginativa e poesia sentimentale
In questa prima fase poetica si delinea la nascita di una poesia nuova, per ora in opposizione alle ideologie romantiche e chiusa nei confronti della poesia straniera: secondo Leopardi è inutile prendere in considerazione la poesia d’oltralpe perché, al contrario della scienza, la poesia non può fare progressi.
La prima stagione poetica di Leopardi affonda le sue radici nella poesia antica che non potrà essere più eguagliata dall’uomo moderno; questo perché la poesia classica era fonte di armonia ed equilibrio, caratteristiche non più presenti nella società corrotta e decadente dell’epoca in cui vive. Solo la fanciullezza può riavvicinarci allo stato poetico antico. La poesia antica prenderà per Leopardi il nome di “immaginativa”, nata dal dolore e dall’ignoranza. Quella attuale, moderna, sarà x Leopardi “sentimentale”.
Tematica fondamentale della poetica leopardiana è il concetto di
Natura: è il modo di essere dell’uomo, il contesto esistenziale all’interno del quale vive.
Questo concetto è il protagonista di due fasi principale nella vita di Leopardi.
Pessimismo storico: La Natura è qui vista come madre benigna, misericordiosa. Ha il compito di nascondere all’uomo le illusioni che gli vengono offerte dal mondo e l’unica certezza che questo può offrire: la morte. Nasconde la nullità dell’essere umano e la sua infelicità: la ricerca della felicità è proprio di tutti gli uomini, ma si è più felici attendendo che qualcosa accada rispetto a quando quel qualcosa è già accaduto. Una volta che si raggiunge l’oggetto della felicità, si cerca subito qualcos’altro che possa sostituirsi nella ricerca, ritornando di nuovo infelici. Si pensa sempre al positivo, che tutto cambierà, migliorerà. La Natura sostituisce quindi la mancanza di piacere (che non potrà mai esserci) con delle illusioni, dandogli speranza. Ciò che impedisce all’uomo di essere felice è l’esperienza, cioè la scienza. L’umanità sta decadendo proprio per via di queste illusioni.
Pessimismo cosmico: Leopardi, analizzando le illusioni che la Natura ci offre, arriva ad elaborare questo secondo concetto chiave. La Natura non è più vista come benigna, ma bensì come matrigna. L’uomo raggiunge in questa fase la lucida consapevolezza che l’obiettivo della Natura non è la felicità umana: il suo unico fine sarebbe quello della riproduzione e della distruzione della specie, in un circolo continuo. Si assiste quindi alla contraddizione dell’uomo che ricerca la felicità datagli dalla Natura, che invece si disinteressa di tutti e pensa solo a distruggere e a far riprodurre.
Leopardi sostiene che l’uomo debba giungere alla consapevolezza che la Natura illude e che l’unica certezza è la morte. L’unica via di salvezza per non cadere nell’infelicità è quella della fratellanza tra gli uomini: tramite questi legami si cerca di alleviare l’infelicità, supportandosi a vicenda.

Il 1823 è un anno fondamentale per il poeta, in quanto si assiste ad un’ulteriore conversione. Dopo esser stato privato dell’uso della vista e del pensiero, Leopardi si accorge di doversi sforzare moltissimo per comporre poesie, mentre le opere la prosa gli riesce molto semplice. Dal 1819, dopo esser stato privato della vista, inizia a riflettere sul senso della vita, divenendo un vero e proprio filosofo di professione. La conversione alla poesia classica del 1818 aveva abbandonato Leopardi dalla filosofia; l’anno successivo vi fa ritorno per tentare di spiegare l’infelicità che pervade il mondo.

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