Giacomo leopardi

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Testo

“Il sentimento dell’infinito e la poesia della comicità nei Canti leopardiani”

Da una vita spirituale tanto ricca, da una sensibilità tanto delicata fermissima ed accesa come quella di Leopardi nacquero la trasfigurazione poetica di vicende come l’incomprensione familiare, l’ambiente di provincia, la poca salute, la delusione amorosa, la solitudine.
Soprattutto l’ambiente di Recanati ritenuto dal poeta troppo angusto e l’ansia per la sua salute, sempre più precaria accrescevano morbosamente il suo stato di ribellione e di abbattimento, il suo senso di ribellione e di malinconia.
Egli dopo aver tentato invano la fuga da casa cadde in preda ad una prostrazione assoluta.
Sul deserto di questo stato d’animo fiorì improvviso il conforto della sua lirica “L’Infinito”,
attraverso il quale il poeta poteva immergersi in un oblio romantico dello spirito attraverso la voce della natura.
Da questo momento la poesia e la letteratura divennero il conforto della sua pena.
Il contrasto tra una solitudine interiore e le aspirazioni di felicità portarono il poeta ad una contemplazione dolorosa e stupita della natura e del paesaggio ed alla ricerca di una immaginazione liberatrice al di là dei limiti reali in cui si muovono i sensi e il pensiero di Leopardi.
Il poeta rivolgendo lo sguardo ad un ampio orizzonte crea in questo modo un vago segno di indeterminatezza che gli suggerisce il passaggio dall’attimo fuggente al pensiero indefinito della caducità delle cose, lasciando in questo modo che l’immaginazione provochi illusioni capaci di un piacere senza limiti.
Il sentimento dello spazio infinito, affascinante e meraviglioso al di là del tempo e dell’immediata concretezza del reale (il colle, il vento, la siepe), turba profondamente l’animo del poeta e lo lascia sgomento, atterrito, stupefatto delle nuove possibilità che si aprono all’animo guardando gli “interminati spazi”.
Leopardi, però, non attinge il senso dell’infinito rifiutando completamente le sensazioni reali e riesce a cogliere il rapporto tra l’incessante trascorrere del tempo e ciò che invece oggi esiste e tra
poco non risarà più. Solo in quest’atmosfera tra l’infinito ed il finito, quasi liberandosi coscientemente delle strettoie spirituali e fisiche della propria esperienza e dai confini di Recanati, Leopardi senza disperazione, anzi con dolcezza persuasa, si abbandona nell’immenso e silenzioso “mare” di un’altra realtà.
Al poeta non interessa indicare quali ne siano le caratteristiche: essa è piuttosto il piacere di immaginare liberamente e appare come la negazione di ogni limite.
Questa realtà è diversa dallo spazio chiuso, dalla banalità quotidiana, dal tempo devastatore, dalla delusione che brucia la brevissime tracce di felicità offerte dal paesaggio e dalla vita.
Più tardi Leopardi riuscì ad allontanarsi da Recanati recandosi a Roma.
Il poeta volle abbandonare il suo paese natio, perché lo considerava “angusto” e monotono e desiderava ardentemente visitare Roma, perché essa rappresentava il mito della realtà diversa.
Leopardi, però tornò da Roma deluso,e una volta per sempre, ebbe coscienza di quello che sarebbe stato il suo destino, la sua solitudine di uomo.
Da questa amara esperienza Leopardi capì che la realtà, una volta conosciuta rivela il suo volto grigio.
Dopo aver vagabondato ininterrottamente nell’illusione di trovare nel mondo esterno quella pace che il suo animo gli avrebbe sempre negato ritornò a Recanati e nacquero i “grandi idilli”.
Leopardi passò dal pessimismo storico al pessimismo cosmico.
Il poeta, prima di fronte alle fondamentali domande dell’esistenza constata l’infelicità umana.
Infatti secondo Leopardi l’uomo nasce buono nello stato naturale, ma è a causa della ragione che diventa infelice, perché con essa comprende i suoi limiti.
Capisce che il pessimismo non è una legge naturale, ma nasce dopo che l’uomo ha voluto scoprire il vero.
Leopardi all’inizio pensa che causa di quest’infelicità dell’uomo non è la natura, perché essa da’ la possibilità all’uomo di illudersi e di sognare e quindi di attenuare il dolore che lo può affiggere.
Più tardi il poeta giunge ad un’altra concezione pensa cioè che la natura ha generato il bisogno
di felicità nell’uomo senza dargli la possibilità ed i mezzi idonei per raggiungerla.
Da questa visione il poeta passa al “ pessimismo cosmico” in base al quale tutti gli uomini sono destinati all’infelicità e la felicità non la raggiungeranno mai, per cui l’uomo essendo destinato al fallimento si rassegna ed accetta la vita come gli si presenta.
Il tema della comicità viene trattato in diverse poesie, ma si evidenzia soprattutto nel “Canto notturno di un pastore errante nell’Asia”.
In questo canto si snodano le riflessioni del pastore che tenta un impossibile colloquio con la luna, pallida e contemplativa, ma estranea alle vicende umane.
La vera condizione dell’uomo indagata con pietoso affetto, ma anche con lucida inflessibilità appare drammatica, e per addolcirla, non servono le arti dei genitori per consolare i figli, perché più tragico sarebbe il riconoscimento di quella reale sventura che è l’esistenza.
Leopardi fa un significativo confronto tra gli uomini e gli animali e si chiede il motivo dell’infelicità degli uni e della felicità degli altri.
Gli uomini sono infelici per la loro inquietudine, mentre gli animali, vivendo nell’incoscienza, non hanno dubbi angosciosi e sanno presto dimenticare ogni cosa e quindi sono felici.
Leopardi pensa che quando la natura si fa partecipe cioè viene coinvolta nei problemi umani non è più considerata una forza a sé, ma è solo lo specchio dell’esperienza di dolore dell’uomo.
Dunque all’uomo sembra cancellarsi anche l’illusione di poter trovare altrove la felicità, perché anche il segreto cosmico si rivela nel funesto dolore universale che è presente nell’intera natura.

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