La poesia elegiaca e la lirica corale e monodica

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Testo

La poesia elegiaca
Elegia Nella letteratura greca e latina, componimento poetico in distici, detti appunto elegiaci, costituiti da un esametro e un pentametro dattilico. Originariamente concepita come lamento funebre, trattò in seguito temi amorosi, politici e civili.I primi poeti elegiaci di cui sono pervenuti versi sparsi, tutti risalenti al VII secolo a.C., sono Archiloco, Callino, Tirteo e Mimnermo. Fra il IV e il III secolo a.C., con la poesia alessandrina, in particolare con Callimaco, l'elegia divenne molto ricercata nei contenuti (prevalentemente mitologici) e raffinata nelle forme.
Distico Strofa di due versi. Nella metrica classica, la forma più diffusa di distico (greco dístichos, "a doppia fila") è il distico elegiaco, formato da un esametro e un pentametro, e caratteristico della poesia elegiaca. Ecco lo schema metrico:
–uu, –uu, –uu, –uu, –uu, –u
–uu,–uu, –//–uu,–uu, u
Grecia il distico elegiaco, che fu impiegato in componimenti di vario genere, dai canti funebri alle canzoni d'amore. Tra la metà del VII secolo e l'inizio del VI, l'elegia si sviluppò prima con Callino di Efeso e Tirteo di Sparta.
Mimnermo (Seconda metà del VII secolo a. C.), poeta greco. Nacque a Colofone o a Smirne e visse nel periodo in cui la sua patria era sotto il dominio dei lidi, benché a tale situazione faccia riferimento solo in pochi frammenti. Compose due libri di elegie, introducendo per la prima volta il motivo dell'amore in questa forma poetica. Il libro dedicato a Nannò, suonatrice di flauto amata dal poeta, affronta, tra le altre, tematiche mitologiche e storico-geografiche, mentre il secondo raccoglie componimenti più brevi su argomenti come i piaceri dell'amore, la fugacità della giovinezza, la brevità della vita e i mali che si accompagnano alla vecchiaia, tra i quali in particolare il disprezzo delle donne. Celebre la sua similitudine che accosta gli uomini alle foglie: come queste, anch'essi godono per breve tempo dei fiori della giovinezza.
Solone (638 ca. - 560 ca. a.C.), uomo politico, legislatore e poeta ateniese. Di famiglia nobile, prima di intraprendere l'attività politica fece numerosi viaggi fuori dalla Grecia per scopi commerciali, acquisendo grandi ricchezze. Nel 595 venne eletto arconte e fu incaricato di risollevare l'Attica dalla grave crisi economico-sociale che stava attraversando. Solone emanò leggi che miravano a risolvere il problema della schiavitù per debito, vietando di ridurre i cittadini in schiavitù per debiti non risarciti e cancellando le ipoteche e i debiti contratti in precedenza. Attuò inoltre importanti riforme costituzionali, la più importante delle quali fu la divisione della popolazione in quattro classi: i pentacosiomedimni, ossia coloro che avevano una rendita annuale di 500 medimni di cereali; i triacosiomedimni, o cavalieri, la cui rendita ammontava a 300 medimni; gli zeugiti, la cui rendita era di 200 medimni; e infine i teti, nullatenenti. Solo gli appartenenti alle prime tre classi godevano del diritto elettorale ed erano tenuti a prestare servizio nell'esercito; le cariche pubbliche più elevate (gli amministratori delle finanze della polis) erano riservate ai soli pentacosiomedimni, mentre alla carica di arconte potevano accedere anche i triacosiomedimni. Tutti i cittadini, compresi i teti, potevano infine partecipare alle assemblee pubbliche. Secondo la tradizione Solone istituì anche un nuovo consiglio cittadino, la bulè, composto di 400 membri. L'attività legislativa di Solone toccò tutti gli aspetti della vita sociale: il matrimonio, le adozioni, l'agricoltura e il calendario. Nonostante molti dettagli della sua attività legislativa non siano noti, sicuramente egli favorì l'instaurazione della democrazia ad Atene. Dell'opera poetica di Solone rimangono solo alcuni frammenti, che costituiscono però la prima testimonianza letteraria ateniese. Scrisse giambi ed elegie in cui continuano a campeggiare i temi della morale, della politica e della giustizia che hanno fatto di Solone un emblema del legislatore ideale.
La lirica corale e monodica
I greci chiamavano lirica la poesia cantata "con accompagnamento della lira" (secondo l'etimologia) o di altro strumento a corde (pratica derivata dal mondo orientale). I filologi dell'età alessandrina, che fissarono il canone dei più significativi rappresentanti di tale genere, distinsero tra i componimenti intonati sulla lira da una sola persona (lirica monodica) e i componimenti cantati da un gruppo guidato da un corifeo (lirica corale). Per la prima forma (dedicata all'amore, all'amicizia, alle passioni politiche) essi decretarono il primato di Alceo, Saffo e Anacreonte; per la seconda (riservata alla celebrazione di vittorie sportive, all'esaltazione di divinità o di ideali patriottici) indicarono l'eccellenza di Alcmane, Stesicoro, Ibico, Simonide di Ceo, Bacchilide e Pindaro. Non inclusero gli scrittori di elegie (Tirteo, Mimnermo, Teognide, Solone) e di giambi (Archiloco e Ipponatte) perché tali poesie venivano recitate con l'accompagnamento del flauto. Oggi, con l'espressione "lirici greci" si allude in senso lato ai poeti del VII e VI secolo distinti dagli scrittori di testi epici e di tragedie.

L'organizzazione della lirica corale si deve nel VII secolo all'ambiente spartano e a quella società collettivistica. Venne composta da poeti che, utilizzando il dialetto dorico, scrivevano per i canti e le danze destinati ad accompagnare la celebrazioni religiose pubbliche. In seguito la lirica corale servì a commemorare altri eventi, come la vittoria ai giochi olimpici.
Alcmane (Sardi, seconda metà del VII secolo a.C.), poeta lirico greco. Le sue più celebri composizioni erano i parteni, cioè carmi per cori di fanciulle, e sembra sia stato il primo a scrivere odi, cioè composizioni liriche corali in forma strofica. Della sua opera non restano che frammenti. La sua poesia appare dominata da una forte tensione verso l'immaginario: le occasioni e i riferimenti sono concreti, ma vengono trasfigurati in una dimensione fantastica, grazie anche alla straordinaria musicalità del suo linguaggio, con cui Alcmane inaugurò una tendenza che sarebbe culminata in Pindaro e da qui si sarebbe trasmessa a tutta la letteratura europea.
Stesicoro il siciliano, che introdusse la forma triadica dell'ode corale, consistente in una serie di gruppi di tre strofe.
Ibico (Reggio, Magna Grecia 560 ca. a.C. - 525 ca. a.C.), poeta lirico greco. Della sua opera rimangono scarsi frammenti: in alcuni affiorano richiami alla tematica della mitologia greca (presa di Troia, nascita di Atena, caccia al cinghiale calidonio), ma i più pregevoli e suggestivi sono quelli dei carmi erotici, composti durante la vecchiaia dopo il trasferimento alla corte del tiranno Policrate di Samo, nei quali le attrattive dell'amore sono cantate con dolorosa intensità.
La poesia monodica ebbe origine e si sviluppò nell'isola di Lesbo. E, anche se trascorse gran parte della sua vita a Sparta, a Lesbo nacque il poeta e musico Terpandro (VII secolo), considerato l'iniziatore della lirica greca. La maggior parte dei suoi poemi appartiene al genere del nómos, inno liturgico in onore di un dio (in genere Apollo) e cantato da un'unica voce. A Lesbo l'esempio di Terpandro venne seguito, nella seconda metà del VII secolo, da Alceo e Saffo, la poetessa più importante dell'antica Grecia, autrice di poesie d'amore e di amicizia tra le più appassionate del mondo greco e tra le più vicine alla nostra sensibilità. I poeti di Lesbo composero le loro poesie in dialetto eolico.
Alceo (Mitilene, Lesbo 630 ca. a.C. - ?), poeta greco, tra gli esponenti di maggior rilievo della lirica monodica d’età arcaica. Di famiglia aristocratica, già implicata a Lesbo nel rovesciamento del tiranno Melancro, avversò fieramente anche gli atteggiamenti autoritari dei suoi successori Mirsilo e Pittaco; tutto ciò gli causò una vita amaramente caratterizzata da lotte politiche, periodi di esilio, partecipazione diretta a guerre e battaglie, vissuta cioè secondo i dettami dell’etica delle classi nobiliari d’epoca arcaica. La sua vasta produzione poetica (numerosi gli inni e le odi), divisa in base ai vari argomenti in dieci libri dagli eruditi d’età alessandrina, è caratterizzata da un forte autobiografismo. Vi compaiono infatti la lotta politica – vissuta con veemente passionalità – la guerra, l’amore, la descrizione realistica dei luoghi da lui visitati. Queste tematiche sono sovente associate a quella conviviale, giacché il vino e il simposio – a detta del poeta – sono tra le poche gioie delle vita: si può infatti bere per brindare alla morte del tiranno Mirsilo, per dimenticare le pene della guerra o dell’amore, o semplicemente per stare insieme con i propri amici. Sono però poche le testimonianze rimaste della poesia di Alceo; in esse si colgono comunque la sua lingua eolica, l’imitazione dello stile di Omero, le innovative soluzioni della metrica, tra le quali la cosiddetta “strofe alcaica”.
Saffo (Ereso, Lesbo 650? - 590? a.C.), poetessa greca, forse l’esponente di maggior rilievo della lirica monodica d’età arcaica. Di famiglia aristocratica, sposa del mercante Cercila di Andro, ebbe una figlia – chiamata Cleide – cui accenna affettuosamente nei suoi componimenti. Rilevante fu il ruolo attivo di Saffo all’interno dei tiasi, comunità femminili associate al culto di Afrodite e dedicate alla formazione culturale delle abitanti dell’isola di Lesbo: il coinvolgimento della poetessa in esperienze amorose di tipo omosessuale con le ragazze del tiaso rientrava in una prospettiva del tutto normale per la morale greca del tempo e le sue implicazioni pedagogiche. Delle numerose composizioni poetiche di Saffo, che vennero raggruppate in nove libri dai grammatici alessandrini in base alla loro struttura metrica, resta piuttosto poco: perlopiù citazioni da altri autori antichi o frammenti di papiri. Ciò è sufficiente tuttavia per identificare la sua lingua nella variante eolica e il suo stile nel modello omerico; per capire generi letterari che le furono più congeniali (tra gli altri: ode, epitalamio, inno), e i contenuti più frequentemente espressi nelle sue poesie. A questo proposito, spiccano l’amore in tutta la sua complessa fenomenologia (dall’innamoramento alla gelosia), gli affetti familiari (per il fratello e la figlia), l’amicizia, la bellezza della natura (celebri alcuni suoi “notturni”), le invocazioni alla divinità (prima fra tutte Afrodite, cui dedica il famoso frammento 1). In tutti i casi, però, ciò che caratterizza in senso innovativo Saffo rispetto alle precedenti esperienze della letteratura greca è la fortissima componente di soggettivismo e autobiografismo: la ”cosa più bella“ del mondo, come la stessa Saffo dice (frammento 16), non è infatti ”né una schiera di fanti, né di cavalieri, né di navi” – cioè i valori “oggettivamente” guerrieri esaltati dalle generazioni precedenti – ma semplicemente ”ciò che si ama“.

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