Giacomo Leopardi.

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Testo

Giacomo Leopardi (1798-1837)
Nasce a Recanati, una cittadina dello Stato Pontificio, geograficamente e ideologicamente lontana dai centri politici e culturali del tempo. A Recanati le idee muove giungevano in ritardo, mutilate e distorte dalla censura pontificia.
Nella famiglia Leopardi, di antica nobiltà ma economicamente decaduta, l’atmosfera era fredda e cerimoniosa. Il padre, conte Monaldo, aveva impiegato molto nella sua biblioteca, comprendente migliaia di libri di ogni genere. La madre, Adelaide Antici, aveva sostituito il marito nella gestione degli affari della casa.
Giacomo viene educato in casa con i fratelli da un precettore ecclesiastico il quale ben presto non ha più nulla da insegnargli. Quindi continua a studiare da solo utilizzando la biblioteca paterna. Sono “sette anni di studio matto e disperatissimo”, come egli stesso li definì, dal 1811 al 1818, che hanno gravi ripercussioni sulla sua salute già malferma. Risalgono a questo periodo le traduzioni dal latino e dal greco, la stesura di imponenti opere di erudizione e i primi componimenti poetici.
Man mano che si allargano gli interesse culturali, cresce anche l’insofferenza per l’ambiente recanatese gretto e meschino. L’amicizia con lo scrittore Pietro Giordani rompe l’isolamento del giovane e gli fa desiderare di uscire da quel mondo ristretto.
Egli va maturando le sue convinzioni politiche, filosofiche e poetiche. Nel 1819 per molti mesi non può leggere e scrivere perché la sua malattia agli occhi si aggrava e questo accentua la sua disperazione e il suo pessimismo.
Constatando l’ignavia e la sua meschinità del mondo, egli guarda con profonda nostalgia al passato, alle età primitive, alla fanciullezza del mondo.
Tra il 1819-21 compone gli idilli: “Alla luna, La sera del dì di festa”, L’infinito, La vita solitaria, Il sogno”. Il piacere della poesia è del resto l’unico antidoto contro la noia e l’insofferenza per il natio borgo selvaggio.
Nel 1822 si allontana da Recanati e giunge a Roma dagli zii materni. Ma è deluso dall’ambiente sociale e dalla vita culturale della città e dopo pochi mesi torna a Recanati.
Se in un primo momento egli aveva visto nella natura una madre benevola che con il velo delle illusioni e con la forza della fantasia aveva tenuto nascosto agli uomini l’”arido vero”, adesso vedeva la natura come un meccanismo freddo e indifferente che delude ogni speranza e condanna gli uomini a una perpetua infelicità che avrà fine solo con la morte.
Nel 1824 il suo pensiero trova chiara e organica sistemazione delle “Operette morali”, dialoghi satirici in prosa nei quali l’autore medita con ironia e partecipazione commossa sulla condizione dell’uomo. Nel 1825 avviene la seconda uscita da Recanati. Si reca a Milano, a Bologna, Firenze, Pisa, dove incontra importanti intellettuali e riceve manifestazioni di stima e di ammirazione. Nel 1828 torna a Recanati e l’atmosfera degli anni giovanili suscita il lui emozioni e ricordi. Compone: “A Silvia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Le ricordanze, Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. Nel 1830, grazie a una sottoscrizione degli amici toscani che lo sovvenzionano economicamente, Leopardi va a Firenze. Qui si innamora di Fanny Targioni Tozzetti, ma non è corrisposto. Questa passione gli ispira cinque componimenti d’amore, il Ciclo di Aspasia. Rivede Antonio Ranieri che aveva conosciuto qualche anno prima e con lui si trasferisce a Roma, poi a Napoli dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Muore durante un’epidemia di colera.

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