Autonomia scolastica

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Testo

Sperimentazioni

Negli anni che hanno preceduto il decollo dell'autonomia scolastica, il Parlamento si è posto il problema di favorire i processi di innovazione già avviati dalle scuole. L'esigenza di promuovere l'affiorare di un prezioso "sommerso" di esperienze e di ricerca ha portato all'approvazione di una nuova legge (la 440 del 1997) con la quale gli istituti dei diversi ordini e gradi dispongono di un fondo annuale di circa 500 miliardi. Tali risorse sono destinate ad arricchire e ampliare l'offerta formativa, a realizzare interventi perequativi, a introdurre l'insegnamento di una seconda lingua comunitaria e, soprattutto, a consentire un percorso di avvicinamento all'autonomia centrato sull'innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo scolastico.
Attraverso i Pogrammi nazionali di sperimentazione 1998-1999 e 1999-2000 le scuole hanno potuto ricevere i finanziamenti (con i quali vengono retribuite sia le attività aggiuntive dei docenti sia la loro formazione) e rafforzare così le loro capacità di innovazione.
Programma nazionale di sperimentazione 1999-2000

Nell'anno scolastico 1999-2000 il Programma nazionale di sperimentazione (previsto dal D.M. 179/99) consente alle scuole di proseguire il lavoro di innovazione già avviato e di indirizzarlo verso l'elaborazione di un organico Piano dell'offerta formativa (secondo le indicazioni contenute nella Lettera Circolare 194/99).
Nel contempo la Direttiva 180/99 ha definito i criteri per distribuire alle scuole i finanziamenti (quelli stanziati dalla legge n. 440 del 1997) necessari per i progetti sperimentali. Le scuole che aderiscono a tale sperimentazione possono:
• utilizzare tutti gli elementi di flessibilità già previsti dal Programma nazionale di sperimentazione 1998-1999;
• riorganizzare i propri percorsi didattici, nell'ambito degli attuali programmi, secondo modalità fondate su obiettivi formativi e competenze;
• realizzare compensazioni tra le discipline e le attività previste dagli attuali programmi con le risorse di personale e finanziarie di cui ogni istituto dispone. Si può ridurre l'orario di ciascuna disciplina e attività in una misura non superiore al 15 per cento del monte ore annuale previsto.
Ancora per l'anno scolastico 1999-2000 non è obbligatorio per le scuole formulare un Piano dell'offerta formativa. Devono presentarlo ai rispettivi Provveditorati soltanto le scuole che intendono accedere ai finanziamenti messi a disposizione dalla legge 440/97. Le istituzioni scolastiche, tuttavia, hanno già cominciato a lavorare intorno alla definizione della propria identità, alla integrazione dei progetti attivati e alla costruzione del sistema di categorie all'interno delle quali intendono descrivere loro stesse. Non bisogna dimenticare infatti che, quando l'autonomia entrerà a regime, il Piano dell'offerta formativa - definito dal Regolamento come il "documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche" - dovrà essere elaborato in tempo per essere presentato agli alunni e ai loro genitori all'atto dell'iscrizione.
Voce alle scuole

L’autonomia dà voce alle scuole. Il mondo scolastico è stato consultato su due grandi capitoli della riforma in atto:
la stesura del Regolamento attuativo dell’articolo 21 della cosiddetta legge Bassanini (la n. 59 del 1997), cioè la legge che trasferisce poteri dello Stato agli Enti locali e alle scuole;
la riflessione sull’assetto dei saperi nella società contemporanea, vale a dire l’elaborazione delle conoscenze fondamentali per la formazione di base dell’individuo.
Nella fase di realizzazione dell’autonomia, le scuole sono investite non solo di nuovi poteri e responsabilità ma anche di un ruolo attivo nello studio e nello sviluppo dei processi che accompagnano i grandi cambiamenti della scuola.
Progetti in corso

Il cammino di avvicinamento al primo settembre 2000, data di entrata in vigore dell'autonomia scolastica, è segnato da una forte interazione fra centro e periferia. L'obiettivo è definire percorsi di miglioramento sia nell'ambito didattico, sia in quello organizzativo, sia infine in quello della formazione del personale. Mentre, da una parte, gli istituti hanno ricevuto finanziamenti per le loro autonome iniziative, per altro verso, il Ministero della Pubblica Istruzione ha promosso progetti di innovazione secondo alcune fondamentali linee di intervento. Queste riguardano il costante monitoraggio delle iniziative avviate e il coinvolgimento attivo di tutte le componenti scolastiche nel processo di cambiamento.
I Nuclei territoriali di supporto tecnico amministrativo per l'autonomia scolastica sono gruppi di lavoro costituiti da ispettori tecnici, dirigenti scolastici, insegnanti e operatori amministrativi nominati dai provveditori agli studi tra coloro che hanno particolari competenze pedagogiche e organizzative. Hanno il compito di assistere, supportare, informare, promuovere nelle scuole la cultura e la pratica dell'autonomia utilizzando anche gli strumenti messi a disposizione dai programmi nazionali di sperimentazione realizzati negli anni scolastici 1998-1999 e 1999-2000.

I Nuclei operano presso i Provveditorati agli studi secondo programmi di lavoro che rispondono alle diverse esigenze del territorio, anche attraverso reti di "sportelli" che forniscono informazioni e consulenza. Svolgono funzioni di regia su tutte le questioni che riguardano, oltre all'autonomia, la formazione del personale, i progetti speciali, lo sviluppo di reti di scuole e i rapporti con le istituzioni e le agenzie formative del territorio.
I numeri dell'autonomia

Il MONITORAGGIO 1 è stato realizzato dai nuclei di supporto, in collaborazione con la BDP, ed ha avuto come oggetto tutte le scuole che sperimentano l'autonomia.
Un primo obiettivo del monitoraggio è lo studio delle caratteristiche di tutti i progetti di sperimentazione presentati in settembre dagli istituti in attuazione del Decreto ministeriale del 29 maggio 1998. Si tratta quindi dell'universo delle disponibilità e delle potenzialità che le scuole hanno dimostrato di possedere nel momento in cui la sperimentazione dell'autonomia dava il suo "calcio d'inizio" (MONITORAGGIO 1A).
Un secondo obiettivo è lo studio del quadro dei progetti complessi effettivamente messi in cantiere dalle scuole (MONITORAGGIO 1B). Il MONITORAGGIO 2 (i cui risultati saranno presto disponibili) rileva, in un campione nazionale di mille scuole e attraverso l'osservazione diretta, i percorsi concretamente seguiti nella realizzazione delle sperimentazioni.
1. Che ruolo hanno gli Enti locali nell'attuazione dell'autonomia scolastica?
Quattro sono i ruoli fondamentali che il Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 attribuisce agli Enti locali.
• Uno riguarda la gestione della formazione professionale affidata alle Regioni che la legge 196/97 ha profondamente modificato. Apparentemente è un ruolo esterno rispetto all'attuazione dell'autonomia e invece si tratta di un aspetto delicato e importante all'interno di un sistema formativo integrato: di un sistema formativo, cioè, reso più flessibile dall'autonomia e aperto così a una sempre più stretta integrazione tra istruzione scolastica, formazione professionale post-obbligo, formazione professionale post-secondaria e istruzione e formazione tecnico-superiore;
• uno riguarda la programmazione territoriale dell'offerta formativa e investe
* la determinazione del calendario scolastico (Regioni)
* l'istituzione, aggregazione, fusione e soppressione di scuole e la programmazione della rete scolastica (Comuni, per la scuola dell'infanzia, elementare e media; Province per le suole secondarie superiori)
* la programmazione regionale della rete scolastica, il dimensionamento delle scuole (Regioni, sulla base dei piani predisposti dalle Province, sentiti i Comuni, anche per effetto del D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233)
* il finanziamento delle scuole non statali (Regioni);
• uno riguarda gli interventi di edilizia scolastica, la fornitura di materiale d'ufficio e i piani di utilizzazione degli edifici e delle attrezzature (Comuni per la scuola dell'infanzia, elementare e media; Province per le suole secondarie superiori);
• uno infine riguarda competenze di supporto ad attività specificamente formative e/o perequative (dei Comuni per la scuola dell'infanzia, elementare e media; delle Province per le suole secondarie superiori) e, in particolare:
* servizi di supporto organizzativo per gli alunni in situazione di svantaggio o di handicap
* educazione degli adulti
* orientamento scolastico e professionale
* azioni tese a realizzare pari opportunità di istruzione
* azioni tese a realizzare la continuità orizzontale e verticale tra i vari gradi e ordini di scuole
* interventi perequativi
* interventi per l'educazione alla salute e contro la dispersione scolastica.
Come si vede, sono aree di intervento di grande rilievo che investono alcuni degli aspetti fondamentali dell'attuazione dell'autonomia scolastica, ma - più in generale - determinano un nuovo tipo di rapporto tra cittadino e territorio e dunque anche tra scuola e territorio.

1. Siamo un gruppo di studenti. Vorremmo fare attuare anche alla nostra scuola un progetto di autonomia che permetta la riduzione delle unità di lezione da 60 a 50 minuti. Questa soluzione ci aiuterebbe a risolvere i cronici problemi di pendolarismo.
La riduzione dell'unità di lezione da sessanta a cinquanta minuti non è una conseguenza dell'introduzione dell'autonomia scolastica. Essa, entro certi limiti e con precisi vincoli riferiti soprattutto al recupero da parte degli insegnati del tempo perduto, era consentita anche per il passato. Attraverso l'autonomia -- e, per ora, utilizzando il Programma nazionale di sperimentazione 1999-2000 - le scuole hanno a disposizione strumenti più flessibili per rispondere meglio ai bisogni formativi degli alunni e del territorio nel quale la singola istituzione scolastica si trova inserita. Questo vale anche per la flessibilità dell'orario.
Alle molte domande pervenute (soprattutto da parte di studenti) su questo problema si potrebbe rispondere con due affermazioni di principio. 1) Il processo di attuazione dell'autonomia e le fasi sperimentali che lo precedono non possono essere visti come portatori di nuove rigidità. 2) Nel quadro dell'autonomia, la prospettiva attraverso la quale è necessario guardare al curricolo è sempre quella dell'allievo: a lui occorre garantire il successo formativo; è dunque lui ad avere la "titolarità" del monte ore annuale di lezione: una titolarità alla quale neppure i pur gravi problemi di pendolarismo dovrebbero indurre a rinunciare.
Da questi principi derivano alcune conseguenze in relazione alle specifiche domande che su questo tema sono pervenute particolarmente numerose e che abbiamo cercato di riassumere.
Ferme restando le norme vigenti sull'obbligo o meno del recupero da parte dei docenti della differenza di tempo tra l'ora (60 minuti) e unità di lezione inferiori all'ora (frazioni orarie di 55, 50, 45 minuti etc.), nella prospettiva che abbiamo sopra indicato, l'autonomia garantisce all'allievo la fruizione di un determinato monte ore curricolare annuale. Il D.M. 19 luglio 1999, n.179 ha fissato, nella fase transitoria, le modalità calcolo di questo monte ore: "Esso [...] non può essere inferiore al numero di ore settimanali di lezione previsto dal vigente ordinamento per ciascuna disciplina moltiplicato per trentatré". Pertanto, se la somma delle ore settimanali di tutte le discipline è 30, il monte ore curricolare annuale che gli allievi hanno il diritto-dovere di fruire è di 990 ore. Nell'ambito di questo monte ore sarà possibile utilizzare tutti gli strumenti di flessibilità, dalla diversa misura dell'unità di lezione alla compensazione tra discipline e/o attività fino a un massimo del 15%.

2. Sono un genitore, presidente di un Consiglio di Istituto. Quest'organo, così come attualmente regolato (in funzione più di compiti di controllo e ratifica che non di governo) è in grado di far fronte allo spirito e alle nuove funzioni scolastiche ipotizzate nella nuova scuola dell'autonomia?
Non bisogna dimenticare che agli organi collegiali - quelli attuali o i nuovi riformati - il Regolamento dell'autonomia affida un compito particolarmente importante: quello di guardare oltre se stessi e di confrontarsi, più che al proprio interno, con la società di cui sono espressione. Proprio i commi 2 e 3 dell'articolo 3 del Regolamento, che riguardano la formulazione del Piano dell'offerta formativa, rendono chiaro che il principio della rappresentanza non esaurisce la ricchezza dei rappresentati. Il rilievo dato alle "esigenze del contesto culturale, sociale ed economico del territorio", il riconoscimento di "opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari", la notazione dedicata alla possibilità che proposte e pareri per la elaborazione del POF possano essere "formulati dagli organismi e dalle associazioni anche di fatto dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti" sono tutti elementi che aprono agli organi collegiali un orizzonte ben più ampio e più mosso dell'attuale.
Se questi organi saranno investiti in tempi rapidi dalla preannunciata riforma sarà certamente un bene. Ma questa prospettiva non deve far dimenticare l'impegno possibile oggi. Un impegno tanto più produttivo quanto più sarà sostenuto da una riforma meno celebrata, ma non meno importante: quella derivante dalla introduzione del nuovo Regolamento di contabilità ormai in fase di avanzata elaborazione.
3. Come si gestisce il debito formativo? In particolare, quante materie al massimo sono consentite a debito per non perdere l'anno scolastico?
Quello di debito formativo è un concetto proprio dell'organizzazione modulare della didattica applicato a una struttura scolastica non ancora pienamente rinnovata. In futuro il debito formativo consisterà nel mancato conseguimento dell'insieme di competenze attese in uscita da un modulo. Oggi è la registrazione (fatta in genere soltanto alla fine dell'anno scolastico) della insufficienza in una disciplina. Sono i singoli Collegi dei Docenti che stabiliscono sia i criteri generali per la valutazione degli alunni (e, tra questi, quella che qui viene chiamata la "gestione" del debito formativo) sia, in particolare, i criteri per la valutazione negli scrutini finali. Non vi è dunque una regola che valga per tutte le istituzioni scolastiche se non quella della trasparenza di tali criteri, dell'esigenza cioè che essi siano ben conosciuti.
L'art. 8 del Regolamento dell'autonomia attribuisce al Ministro la determinazione degli "indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi". A sua volta il comma 6 dell'art. 4 attribuisce alle scuole la funzione di individuare i "criteri per il riconoscimento dei crediti e per il recupero dei debiti scolastici riferiti ai percorsi dei singoli alunni [...] avuto riguardo agli obiettivi specifici di apprendimento di cui all'articolo 8 e tenuto conto della necessità di facilitare i passaggi tra diversi tipi e indirizzi di studio, di favorire l'integrazione tra sistemi formativi, di agevolare le uscite e i rientri tra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro". Insomma, l'autonomia sottrae la questione dei debiti formativi al terreno circoscritto della insufficienza in una o più discipline e la inserisce nel più grande campo del successo formativo: la gestione dei debiti formativi diventa appunto uno degli strumenti di flessibilità che conducono l'alunno ad affermare le proprie potenzialità e i propri talenti attraverso percorsi di studio a misura del successo che egli può concretamente conseguire.

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