Dalla crisi della Scolastica a Cusano e Montaigne

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Categoria:Filosofia

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Testo

CRISI DELLA SCOLASTICA

La scolastica (cioè la filosofia delle scholae) è in crisi: ora la ragione è considerata completamente diversa dalla fede, esse si configurano come sfere disgiunte… sono ambiti gnoseologici senza affinità. Nelle università però non sparisce, la sua presenza si perpetua nonostante l’affermarsi del nuovo.
Ci sono anche novità istituzionali: le accademie. Non sono vere e proprie scuole alternative con allievi, insegnanti ecc., bensì lì si incontrano gli intellettuali a discutere, parlare. Importante quella platonica a Firenze.
CIVILTÀ UMANISTICO-RINASCIMENTALE: ASPETTI FILOSOFICI E STORICI
È possibile individuare caratteri generali anche se ci sono varie interpretazioni.
Realtà che accompagnano la filosofia:
• affermarsi degli stati nazionali in Europa: monarchie feudali → stati nazionali (‘500) → monarchie assolute (‘600); in Italia è l’urbanistica ad incrinare la struttura feudale: comune → signoria → principato → stato regionale, simile allo stato nazionale ma senza estensione territoriale e non c’era identità stato/nazione: non tutti gli italiani erano nella stesse unità statuaria… c’erano comunque caratteristiche culturali simili.
• ascesa borghesia: la civiltà borghese mercantile preme e fra l’altro nasce l’usura → civiltà urbana → economia aperta (non è una novità in assoluto).
• incrinarsi poteri universali (impero e chiesa).
• esaltazione potenzialità dell’uomo: cambio della mentalità: nel Medio Evo invece l’uomo era fragile, peccatore, di passaggio; tutto derivava da Dio, c’era già una verità, un ordine nella struttura delle cose naturali ed umane che non era da cambiare ma solo da riconoscere → staticità.
Non si può dire che c’è parallelismo fra la civiltà umanistico-rinascimentale e l’ascesa di borghesia e stati nazionali, altrimenti la nascita della suddetta civiltà sarebbe da retrodatarsi alla nascita di quelle istituzioni. La differenza però è che adesso c’è la consapevolezza della novità! Anche un mercante del ‘200 si muoveva fuori dalle coordinate medievali, l’economia non era chiusa; ma, ad esempio, in caso di usura c’era senso di colpa che veniva placato con donazioni alla chiesa. I valori erano quindi medievali, e non si era elaborata un’ideologia.
La cultura ora si organizza in modo diverso, gli intellettuali, cresciuti in numero, sono diversi: spesso borghesi e professionisti della penna (anche se ovviamente ancora non riescono a campare dei guadagni); c’è il mecenatismo, vivono a corte, il pubblico è più vasto anche grazie alla stampa che ha portato ad una maggiore diffusione e minore prezzo dei libri – sebbene rimanga una élite ad accedervi.
UMANESIMO È SINONIMO DI RINASCIMENTO?
Ci sono tre interpretazioni al riguardo.
• la più antica sostiene che sono effettivamente sinonimi: è la stessa realtà culturale ad improntare ‘400 e ‘500.
• una più recente, sostenuta dal noto storico svizzero del Rinascimento Jacob Burckhardt, vissuto nella seconda metà dell’ ‘800, ipotizza una diversità di fondo. Mentre l’Umanesimo è un movimento a sfondo prevalentemente filologico-letterario, il Rinascimento è più filosofico-scientifico. Burckhardt configura l’Umanesimo come causa del Rinascimento: l’uno non è l’altro.
• l’ultima, sostenuta dal noto storico tedesco del Rinascimento Konrad Burdach, vissuto a cavallo fra l’ ‘800 e il ‘900, afferma che Umanesimo e Rinascimento rappresentano la fase 1 e la fase 2 dello stesso fenomeno; non è diverso il momento filologico-letterario rispetto a quello filosofico-scientifico: lo stesso fenomeno prende il primo profilo con valenza filosofica! Perché, giacché cercano i testi, ciò implica che abbiano una visione filosofica della realtà diversa da quella medievale, esplicitata nel Rinascimento.
L’Umanesimo è il periodo dello studio delle humanae litterae – l’uomo in quanto tale si dedica ad esse (le attività letterarie rendono l’uomo tale!) – e delle arti liberali, che nel ‘400 assumono i valori della classicità: umanità e liberalità vengono recuperate.
Ci si dedica alla filologia. La filologia è lo studio e l’interpretazione dei testi: gli umanisti girano per l’Europa cercando manoscritti classici (v’è una riscoperta della classicità) per studiarli, confrontare edizioni critiche ecc.; hanno quindi una sensibilità diversa rispetto a quella medievale. Valutavano i testi diversamente: l’uomo del Medio Evo si interessava ai classici nella misura in cui si adattavano ai suoi convincimenti, erano in assonanza coi suoi valori, identificabili nella verità rivelata… senza interessarsi veramente a cosa aveva veramente voluto dire lo scrittore, valutarne il contesto storico ecc. L’umanista vuole invece stabilire cosa vuole dire lo scrittore, ha una prospettiva storica (mette le cose come appaiono da un punto di vista, non in base all’importanza; c’è un parallelo nello spazio in arte).
È difficile condurre un’analisi filologica: bisogna collocare con certezza i testi nello spazio e nel tempo, intanto; inoltre, poiché non ci sono originali ma sono disponibili solamente copie, o copie delle copie, non si sa con sicurezza quale sia effettivamente ciò che abbia prodotto un determinato autore in quanto la tradizione ha intaccato gli scritti. Ci sono anche gli errori di trascrizione; a causa dei tanti passaggio, ci sono versioni diverse: a chi dare ragione? Molti testi sono scomparsi, bisogna cercarli… ecc. Tutto questo darà alla fine luogo all’edizione critica.
RAPPORTI FRA UMANESIMO E MEDIO EVO
Ci sono tre interpretazioni al riguardo.
• la teoria della frattura, sostenuta da Jason Burckhardt (e da Dittey), afferma che il mondo e la cultura medievali siano profondamente diversi da quelli rinascimentali. Questa concezione è già propria degli uomini del tempo, che si ritenevano profondamente diversi dai loro predecessori. Questa teoria è ripresa sia durante l’Illuminismo (‘700) – periodo di esaltazione della ragione – sia durante il Romanticismo (‘800) – periodo di esaltazione di amore, fede, sentimenti, spirito –, anche se per motivi opposti: se il primo esaltava il razionalismo rinascimentale ed oppugnava l’ascetismo medievale, il secondo esaltava l’autenticità spirituale medievale ed oppugnava l’astratto, freddo razionalismo rinascimentale.
• la teoria della continuità, sostenuta da Konrad Burdach, afferma che i due periodi non sono diametralmente opposti (l’uno teocentrico, l’altro antropocentrico)… ci sono forti filiazioni. Nel Rinascimento c’è comunque la riforma luterana, personaggi come San Francesco, Gioacchino da Fiore… ci sono fermenti religiosi! La religione c’è in entrambe le epoche! La rinascita ha radici nei moti della borghesia mercantile, ma ha inizio con la riforma comunale del ‘200.
• la teoria della originalità nella continuità, una via di mezzo fra quelle descritte poc’anzi, sostenuta dal noto storico italiano Eugenio Garin, afferma che se è vero che si sono linee di sviluppo comuni (evoluzione economica, istituzionale, religiosa), la consapevolezza dei cambiamenti e un’autorappresentazione ideologicamente formata autorizzano a parlare di epoche diverse. L’uomo ha altri valori!
Si può dire qualcosa anche del Rinascimento riguardo ai periodi storici successivi. L’epoca della rivoluzione scientifica, che va dal 1543 (con la pubblicazione del De revolutionibus orbium celestium di Kepler) al 1686 (con la pubblicazione dei Principia di Newton), mostra un atteggiamento diverso verso l’indagine della natura: è ora quantitativa, non più qualitativa. Il Rinascimento è moderno o ne è fuori? Diciamo che si colloca fra Medio Evo e Modernità, ma è più vicino a quest’ultima… non sta in mezzo. Prepara la modernità!
RINASCIMENTO COME RINASCITA
Il Rinascimento deve intendersi anche come ritorno al principio. Anche in precedenza questo termine assumeva un significato religioso: nuova nascita, possibile solo ricongiungendosi col principio, quando si abbandona la vita fisica e si riconosce il suo essere di Dio.
Ora la parola “rinascimento” non è un ritorno dell’uomo a Dio, ma piuttosto ad un principio vivificatore… così l’uomo pensa di rinascere e che questa rinascita investa il rapporto con Dio e il suo mondo. Investa la dimensione completa dell’uomo, non solamente religioso-trascendentale, come nel Medio Evo, il quale non voleva rinnovare la dimensione terrena (l’uomo è piccolo e Dio è il tutto). Questo principio si può esprimere in una pluralità di modi:
• è una determinata epoca storia ritenuta il principio, secondo ad esempio Lutero e Lomond. È l’età del primo Cristianesimo, della purezza evangelica iniziale, della chiesa delle origini.
• è il ritorno ad un punto particolare della civiltà precedente, secondo ad esempio Machiavelli. Per rinascere si deve tornare alle linfe originarie, che per l’Italia sono rappresentate dalla repubblica di Roma, che è la fonte, l’origine, la scaturigine della nostra civiltà. Ogni organismo può prender vita se vi si riallaccia!
• è il ritorno alla natura, intesa come principio vivificatore ma in un modo diverso: in senso vitalistico ed organicistico, cioè come organismo vivente di cui l’uomo fa parte. Questa natura è il mondo, ma non è la pallida immagine del vero essere come pensavano i medievali: questi ultimi la consideravano pericolosa, piena d’insidie e forze malefiche in prospettiva pagana (anche se c’è il Cristianesimo, i contadini senza cognizioni culturali avevano una visione mistica con miti e riti a cui la nuova religione si sovrappone… questo fenomeno non è criticato dalla chiesa perché è naturale che accada. C’è dunque un substrato pagano di ricorrenze pagane giustapposte al Cristianesimo: ad esempio, il Natale non è solo festa cristiana ma festeggia la nascita, il periodo in cui il dì prevale sulla notte, dopo il solstizio d’inverno). Ora viene percepita nella sua pienezza, è una realtà che si deve e si riesce a studiare, diversamente della prospettiva del Medio Evo.
ANTROPOLOGIA RINASCIMENTALE
L’antropologia è la scienza, la concezione, il discorso sull’uomo. L’uomo rinascimentale si vede come artefice di se stesso, come è sostenuto nell’orazione De hominis dignitate da Pico della Mirandola, intellettuale rinascimentale dalla proverbiale e insuperata memoria. Dove sta la dignità? Nel fatto che a differenza degli altri animali che hanno una natura prefissata, data da Dio, manifestata semplicemente durante il corso della vita, l’uomo ha una natura ambivalente: può scegliere se dirigersi verso la vita animale, in basso, o la vita spirituale, in alto. Si plasma, è in suo potere decidere che realtà fare di se stesso. L’uomo per Pico è un miracolo, l’unione di trascendenza ed immanenza, ed è il vincolo di tutte le creature. Il suo potere lo fa grande e gli dà responsabilità e libertà.
Secondo Pico, Dio produsse l’uomo per ultimo per contemplare l’unverso; non restavano archetipi per la nuova creatura, dunque la creò indefinita per aspetto, posto e prerogativa.
Pico scrisse 900 tesi, ebbe una grande capacità di scrivere ma morì a soli 31 anni.
“Grande miracolo è l’uomo, o Asclepio” – Ermete Trismegisto.

L’UOMO E DIO + LE ARTI
La maggior parte degli uomini era cattolica, ma il modo di credere era diverso da quello medievale. Petrarca, lacerato fra le due dimensioni della bellezza della vita e della spiritualità, è il simbolo della fase di transizione fra i due periodi.
Ora Dio è alla periferia di una scena con l’uomo in mezzo, mentre nel Medio Evo Dio era al centro e l’uomo in periferia (si potrebbe dire: ma la Terra era considerata il centro dell’universo! Però la Terra è un ricettacolo di miserie, mali, c’è il diavolo qui in basso, mentre il cielo è in alto. Fra l’altro, vigeva la cosmologia aristotelica che sosteneva che i cieli fossero d’etere, materia non presente qui).
Adesso la dimensione umana non è da trascurare: l’uomo non è più valutato soprattutto per la fisicità e quindi per le debolezze, le vulnerabilità, i peccati (che erano una giustificazione dei mali, una punizione agli uomini per la loro tendenza al male). L’uomo è esaltato per le proprie capacità e potenzialità, può studiare, costruire, indagare, progredire, migliorare la vita, riprodurre la bellezza del mondo… anche nel Medio Evo, ma allora l’accento era posto sul trascendentalismo (il mondo è del peccato, è basso). C’è sempre Dio, ma l’uomo fa parte del mondo.
Fioriscono quindi le arti e le lettere, in cui l’Italia è maestra d’Europa, il fiore all’occhiello, il modello da imitare – non per niente il Re di Francia si accaparra i servigi di Leonardo e Michelangelo. La concezione della bellezza è classica: si riscoprono i valori della classicità non per imitarli ma perché sono sentiti ancora vitali, veri, validi in una sensibilità nuova; possono ancora generare bellezza e cultura. Non era in loro intenzione riprodurre l’Atene del V sec. a.C.! C’è un’esaltazione del corpo umano, vengono scoperte le proporzioni e la prospettiva sia in pittura sia in architettura; quest’ultima è in parallelo con la prospettiva storica: lo scopo di entrambe è mettere le realtà dove loro compete rispetto al soggetto, si vogliono rispettare le posizioni relative verso un soggetto… nell’anima c’è la volontà di rispettare la vera realtà! Nel Medio Evo i personaggi venivano rappresentati più grandi in rapporto alla loro importanza, anche se erano lontani; ora c’è un parametro naturalistico (in natura ciò che è vicino appare più grande).
MICHEL DE MONTAIGNE
Filosofo/scrittore francese, appartenente alla piccola nobiltà. È ambiguo per la modernità dei suoi “essais”, parola dal doppio significato di “tentativo, prova” e “esperienza”. È cattolico con un pizzico di scetticismo (cioè per lui non esisteva una verità oggettiva… però gli scettici, affermando ciò, pretendono che venga presa per veritào oggettiva! Lui si chiede: “Cosa so?”, traducendo il suo sapere in una domanda, mettendolo sempre in dubbio; attua la sospensione del giudizio, l’™poc»).
Viaggia molto e scrive il libro prototipo dei racconti di viaggio, Grand Tour, che sarebbero diventati molto popolari nel ‘700, quando verranno scritti dopo i viaggi, a completamento della propria formazione culturale, a Venezia, Firenze, Roma, Napoli – l’Italia tappa obbligata – per vedere usi e costumi locali.
Montaigne è curioso del modo di vivere, oltre ad essere malato di calcoli. Negli Essais scrive di sé: strano che uno lo faccia se non è un grand’uomo. Il bon ton lo impediva, era considerato una mancanza di stile. Lui invece parla di sé e dice di farlo non per mostrarsi come esempio ma per capire cos’è l’uomo… per questo prende un uomo che conosce bene, cioè lui, non tanto perché ha fatto grandi cose ma perché è un uomo e gli uomini hanno cose in comune. Analizza e racconta senza intingimenti la sua vita; ogni saggio ha un titolo ma poi si perde, divaga e torna al filo; in questo è moderno, i suoi non sono classici scritti filosofici astratti, logici, organizzati, organici.
Lui si relaziona alle esperienze della vita. Vuole mostrare cosa la vita è , non cosa dovrebbe essere. Non ha una prospettiva didattico-didascalica. Gli preme capire cos’è l’uomo, non spiega l’etica o la gnoseologia, cioè cosa dovremmo fare per comportarci bene o giudicare bene. La struttura è atipica, quasi da prospettiva esistenziale del ‘900 (quando si affermano monologhi interiori e flussi di coscienza), l’io trabocca gli argini.
Sostiene la tesi di Raimondo de Sabunda, teologo catalano attaccato da altri perché sostiene che la ragione non è in conflitto con la fede; Montaigne non dice che ha ragione Raimondo, usa un’altra tattica: dice che chi argomenta su queste cose ha comunque argomentazioni fragili, tutte quelle in direzione della dimostrazione dell’esistenza di Dio lo sono. Ha una tesi intuizionistica, fideistica, non razionale. Non dice che la tesi di Raimondo è ottima, ma che nessuna regge e bisogna basarsi sulla fede e basta!
Il suo percorso di crescita filosofica è: stoicismo – scetticismo – socratismo, sempre intrisi di Cattolicesimo. Fra l’altro, secondo lo stoicismo l’uomo è subalterno alla divinità (panteismo), può o andare con le forze della natura o fare resistenza… ma adattarsi è essere liberi, è un atto razionale, è in consonanza con la razionalità del mondo e dell’uomo, è obbedire alla ragione, fare ciò che è bene. Fatalismo?
Montaigne vede tutto sotto la prospettiva di chi fa uso della ragione, che agisce diversamente da chi accetta tutto passivamente ossequiando la tradizione. Una sua caratteristica rinascimentale è il carattere socratico del suo pensiero: sapere come ricerca, si realizza nella conoscenza di se stessi, che è proprio il vero sapere. Talvolta ci sono parvenze edonistiche.
Rifiuta un uomo che deve vincere, superare l’umanità per essere felice, si tratta invece di accettarla. Sminuisce l’uomo, in senso positivo: lo mostra per quello che è, diverso da come dovrebbe essere (come lo volevano i moralisti e gli stoici, più forta di com’è); l’uomo non è tale quando si supera! Rifiuta un modello che si sovrappone al vero essere dell’uomo.
La sua gnoseologia è relativistica. Noi possiamo conoscere coi sensi, che però sono ingannevoli (non tutti sentono allo stesso modo, non c’è una verità assoluta), o con la ragione, che sì ci porta a delle idee, ma non si verifica l’universalità! Non sono lo specchio della verità, oltre le prime idee non si può andare e bisogna ricorrere ai sensi, che come già detto sono relativi. Tutti comunque pensano cose diverse!
Lo scetticismo gnoseologico è in parallelo con la visione dell’uomo, ma non c’è una conclusione negativa: bisogna accettare l’uomo per quello che è. L’uomo ha paura della morte, e non deve non averne! Ma questa non è una visione fosca, cupa: quando si è consapevoli (non la si rimuove… la si accetta) della mortalità, si apprezza di più la vita.
L’uomo ha sue prerogative ma è comunque dipendente dalle forze dell’universo. Non va esaltato per come dovrebbe essere ma per com’è, non bisogna esaltare il dovere come meta a cui tendere per aspirare alla perfezione.
Montagine ama gli antichi, ma non c’è un’adesione retorica, ha una visione della cultura moderna. Anche lui rivede i valori classici sotto una nuova sensibilità.
È più importante il talento (che si ha sempre per ogni campo) che la mera erudizione (tanto non si può sapere tutto). Ha l’atteggiamento di vincere l’ignoranza.
Sminuisce la boria umana, dice che siamo pari agli animali.
Critica le superstizioni. Ha un relativismo morale figlio del relativismo gnoseologico in quanto quando si cambia lo stato si cambia anche la morale. Critica i valori storici ma non esaspera ciò con un individualismo totale. Alla tradizione non si può sostituire la scelta individuale di certi valori: i valori non sono assoluti… lo vede! Ci sono varie morali, ma vanno bene tutte? Chi può determinare cos’è il bene e cos’è il male? L’individuo? Comunque la tradizione storica ha senso, in quanto si è realizzata e funzione, quindi avrà una ragione d’essere.
La peculiarità di Montaigne non è tanto la filosofia in sé (non elabora una nuova dottrina né ne abbraccia vecchia), bensì il modo in cui scrive, tutto nuovo, che rispecchia la sua visione della verità.
RINASCIMENTO E PLATONISMO
C’è una forte ripresa d’interessa per il Platonismo. Nel Medio Evo si conoscono poche opere: il Menone, il Fedone, il Timeo; durante il Rinascimento vengono tutte riscoperte (grazie alla filologia), c’è chi le traduce: il Bruni e Marsilio Ficino traducono tutti i dialoghi. Platone, rispetto ad Aristotele (considerazione per arte), è una figura di intellettuale/artista e quindi più affascinante; ha un filosofare aperto, sotto forma di dialogo, non fa trattazioni sistematiche; la sua filosofia è più una ricerca e si confà alla mentalità rinascimentale della fiducia nelle capacità umane. Platone è più vicino di Aristotele alla sensibilità cristiana: la sua duplicità di piani evoca trascendenza.
CONTESTO STORICO: nel 1453 cade l’Impero Romano d’Oriente; i filosofi greci giungono in Europa, che fa conoscenza con la loro cultura e comincia anche a studiarne la lingua. Nell’XI sec. ci sono i concili di Ferrara e Firenze per riavvicinare la Chiesa ortodossa a quella romana… invano. Marsilio Ficino studia il greco, è un grande traduttore dotato di talento linguistico.
La conoscenza di Platone rinascimentale tendeva a confondersi con quella di Plotino e del Neoplatonismo, non si distinguono bene; la sua filosofia attrae per il concetto di trascendenza e il processo di ritorno all’Uno, inverso dell’emanazione. C’è un parallelismo creazione/emanazione e amore/principio.
Gli intellettuali si dividono in platonici (come ad esempio Gemisto Pletone) e aristotelici (come ad esempio Trapezunzio). Posizione intermedia assume il cardinale Bessarione: nei due filosofi non si trovano contraddizioni ma cose comuni in prospettive diverse… c’è un orizzonte problematico vicino.
NIKOLAUS CHRYPFFS (NICOLA CUSANO)
L’interesse per lui è nato con l’idealismo nell’ ‘800; vi si avvicinarono anche Heidegger nell’analisi del tema del Deus asconditus e alcuni filosofi e storici della scienza. Egli anticipa per certi versi Copernico e la rivoluzione scientifica.
LA DOTTRINA DELLA DOTTA IGNORANZA
La sua gnoseologia si basa sulla dottrina dell’ignoranza. Per lui la conoscenza è possibile nella misura in cui l’ignoto, ciò che si va a conoscere, ha rapporto col noto. Se non c’è rapporto non è conoscibile, la frattura è tale che non c’è analogia, proporzione… Quando conosciamo, allarghiamo il noto, strappiamo l’ignoto che diventa noto. La proporzione noto/ignoto vale per tutte le cose e gli enti tranne che per Dio. Egli è infinito, noi invece siamo finiti: il rapporto tra finito ed infinito è incommensurabile, c’è assoluta sproporzione; se si prende in considerazione una qualsivoglia cosa, tra essa e l’infinito c’è infinita distanza. Se l’ignoto è Dio, non c’è proporzione dunque: la dotta ignoranza significa che questa è l’unica cosa che possiamo sapere al riguardo.
Però si possono fare delle congetture, anche se non si può conoscere! (Wiggenstein disse: “di ciò di cui non si può parlare, meglio stare zitti”) Noi ci possiamo avvicinare a Dio, ma non lo raggiungeremo mai… come si può aumentare il numero dei lati di un poligono inscritto o circoscritto ad una circonferenza e contemporaneamente diminuirne la misura senza che la circonferenza non verrà mai raggiunta.
Come possiamo fare le congetture? Non coi sensi, sono chiaramente fallaci e ingannevoli giacché ognuno sente cose diverse; anche la ragione si limita a cose finite… bensì con l’intelletto, che può elevarsi all’intuizione dell’infinito. Se si prende un cerchio, se è finito resta nell’ambito delle proporzioni, con raggio inferiore del diametro ecc.; ma un cerchio infinito avrà raggio infinito, dunque la circonferenza è uguale al raggio, paradossalmente… l’infinito è quell’ente dove la parte coincide con il tutto! Con l’intuizione capiamo che Dio è quell’ente, quella realtà in cui coincidono gli opposti (concidentia oppositorum). Dio è fuori dalla portata per noi!
Il mondo è la contratio di Dio, che è l’explicatio o la complicatio. Il mondo è contratio perché l’infinito, che è Dio, si contrae nelle realtà individuali; Dio è l’explicatio perché si esplica nelle cose o la complicatio (“piegare insieme”) perché rappresenta tutte le cose unite, è l’unità, dentro ci sono le cose complicate.
L’uomo può pensare Dio? Dio ha infinite facce e ognuno lo vede in un certo modo, nella misura in cui è la sua realtà, l’angolatura con cui l’uomo può rapportarsi a Dio. Non è un peccato il fatto che si vede solo una prospettiva! Dio è infinito, è tutto questo… l’uomo non può guardare Dio se non attraverso la sua soggettività. Non viene sminuito perché lo si guarda con la propria realtà soggettiva.
LA CONCEZIONE DELL’UNIVERSO FISICO
Per Cusano il cielo non è fatto d’etere, ma degli stessi quattro elementi della terra. L’universo non ha un centro o una circonferenza, altrimenti ci sarebbe spazio al di là di essa, sarebbe un limite! Per Aristotele il mondo è tutto lo spazio, è dove ci sono le cose; tutte le cose sono comunque un numero limitato e stanno in un certo spazio. Una volta presi tutti i corpi, non c’è il vuoto, non c’è lo spazio.
Cusano dice che la Terra non è al centro dell’universo e che i corpi celesti non si muovono lungo un’orbita perfettamente circolare. L’universo è senza confini, indefinito… di un’infinitudine diversa rispetto a Dio: il mondo è appunto creatura divina.
Cusano ha la teoria dell’impetus. Secondo Aristotele, c’è movimento finché c’è la forza, la causa… se cessa la causa, cessa il movimento (ad esempio, l’aria trasmetterebbe il movimento alla freccia scoccata)… lui invece riconosce il principio d’inerzia: ogni corpo persevera indefinitamente nel suo movimento finché il peso o altri ostacoli non l’abbiano rallentato o fermato.

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