Arancia meccanica - Burgess

Materie:Scheda libro
Categoria:Letteratura

Voto:

2.5 (2)
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Data:12.09.2007
Numero di pagine:6
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Testo

Sara Giovannoni

Scheda di lettura del libro: “Arancia meccanica” di Anthony Burgess

Il tema del libro è la violenza, individuale e politica. Occorre analizzare in cosa si esplichi la violenza di Alex all’inizio del romanzo (cosa fa) e soprattutto quali ne siano le cause (perché lo fa). Quindi riflettere sulla violenza che lo stato esercita su Alex: come si attua e quali fini si propone? Quindi cogliere il messaggio finale: che ne è della cura imposta ad Alex? Alex guarisce? Alla fine cosa decide di fare? Perché? E’ una conclusione positiva o amara? Cosa pensa in definitiva l’autore della società contemporanea?
Sul piano stilistico va illustrato il linguaggio di Alex: portare degli esempi del suo lessico e chiedersi perché egli abbia una lingua tutta sua: originalità? Violenza? Presa in giro di tutti? Diversità? Incapacità di adattarsi?

Il romanzo è ambientato in un mondo futuribile, dove i ragazzi non sono poi così diversi da quelli di oggi, ma la violenza nelle gang giovanili è molto più diffusa.
Il protagonista, il quindicenne Alex, è a capo di una banda di teppisti che di notte organizzano piccoli furti, pestaggi, stupri. La narrazione si focalizza su alcuni episodi che riassumono la loro “seigiorni”, come direbbe Alex. All’inizio della serata si ritrovano in un locale a bere latte con aggiunta di droghe, per darsi la carica; escono, picchiano i passanti ignari, rubano in un negozio, violentano la moglie del proprietario, etc. .
Alex è prepotente anche con i propri genitori, che ne hanno paura: la sua è una mentalità stravolta, l’incarnazione dell’aggressività e dell’egoismo, ma non sembra avere un motivo particolare per comportarsi come fa: è come se, con cinica superiorità, non gli importasse affatto degli altri.
Si prende gioco di tutto e prova gioia nel distruggere; nemmeno la violenza è una cosa seria: trovo significativo che il sangue lo chiami “salsa”, un termine sdrammatizzante e quasi satirico. Dice : “La cattiveria viene dall’io, dal te o dal me e da quello che siamo, e quel che siamo è stato fatto dal vecchio Zio o Dio ed è il suo grande orgoglio e consolazione. Ma i non-io non vogliono avere il male, e cioè quelli del governo e i giudici e le scuole non possono ammettere il male perché non possono ammettere l’io. E la nostra storia moderna, fratelli, non è la storia di piccoli io coraggiosi che combattono queste grandi macchine? Parlo sul serio, fratelli, quando dico questo. Ma quello che faccio lo faccio perché mi piace farlo.”.
A un certo punto, però, Alex e la sua banda decidono di tentare un colpo più grosso di quelli che facevano abitualmente, ma la polizia interviene: anche se i suoi amici riescono a scappare, il protagonista viene arrestato.
In prigione viene scelto per sperimentare un nuovo tipo di trattamento, la “tecnica Ludovico”. Consiste nel sottoporre il soggetto alla visione forzata e ripetitiva di scene di violenza estrema, combinandola all’assunzione di farmaci che, nell’arco di tempo in cui vengono visualizzate le immagini, provochino nausea e dolori fisici molto acuti.
Si basa su una tecnica educativa propria dell’etologia e largamente utilizzata: ad uno stimolo-chiave vengono associate sensazioni fisiche in grado di provocare determinati comportamenti. I farmaci servono quindi a suscitare sensazioni fisiche sgradevoli in modo che, anche una volta cessatane l’assunzione, il cervello associ immediatamente la sensazione di malessere fisico al presentarsi dello stimolo.
Per non soffrire, Alex è quindi costretto a comportarsi in modo diametralmente opposto: ad essere, cioè, gentile, sottomesso e generoso.
Lo Stato spera così di riuscire a risolvere l’intero problema della criminalità attraverso la “rieducazione”, dal momento che le prigioni sono sovraffollate e la situazione è diventata insostenibile.
Ma non dimentichiamo che si tratta di un’imposizione, perché l’individuo cambia sì il proprio modo di comportarsi, ma la sua non è una scelta voluta: come afferma il cappellano del carcere, “Il quesito è se una tecnica del genere possa davvero rendere buoni. La bontà viene da dentro, è qualcosa che si sceglie. Quando un uomo non può scegliere cessa di essere un uomo. […] Essere buoni può non essere affatto bello, piccolo Alex. Essere buoni può essere orribile. E mentre te lo dico mi rendo conto di quanto sembri contraddittorio. So che passerò molte notti insonni per questo. Che cos’è che Dio vuole? Dio vuole il bene o la scelta del bene? Un uomo che sceglie il male è forse in qualche modo migliore di un uomo a cui è stato il bene? Sono questioni profonde e difficili, piccolo Alex.”.
E’, dunque, la stessa violenza contro la quale il governo dice di combattere: se i criminali cessano di essere dei malfattori, cessano anche di essere creature capaci di scelte morali. Alex cerca di protestare: “ E io? E a me non chiedete nulla? Sono forse una specie di bestia o un cane? Devo forse essere soltanto un’arancia meccanica?”.
La “cura” ha dunque effetto, ma la pressione di queste imposizioni sulla una mente umana è troppo schiacciante, debilitante e umiliante per essere tollerata, tanto che Alex tenta il suicidio.
Il governo allora, che proprio su quest’esperimento aveva basato la sua principale opera di propaganda, interviene nuovamente sul cervello di Alex per annullare gli effetti del trattamento. Il ragazzo “guarisce” e ritorna ad essere esattamente quello di prima, riprendendo la sua vita da teppista. Ma dopo un po’ di tempo, avverte che c’è qualcosa di diverso: è come se ora non provasse più nessun tipo di divertimento nel fare tutto quello a cui era abituato prima: si rende conto di essere maturato e di non avere più bisogno di quei divertimenti da ragazzino.
Per quanto paradossale, capisce che cos’è che lo rende insoddisfatto: ha bisogno di creare qualcosa di solido su cui basarsi, di trovare una compagna che lo ami e di costruirsi una famiglia.
“La giovinezza deve andarsene, oh sì. Ma la giovinezza è un po’ come essere un animale. No, non proprio come un animale ma come uno di quei migni giocattoli che vendono per le strade, tipo dei piccoli martini fatti di latta e con una molla dentro e una chiavetta fuori e tu lo carichi e trrr trrr trrr e quello pistona via, tipo camminando. Ma cammina in linea retta e va a sbattere contro le cose e sbam, non può farne a meno. Essere giovani è un po’ come essere una di queste migne macchinette. Avrei spiegato tutto questo a mio figlio quando sarebbe stato abbastanza bigio da capire. Ma d’altra parte sapevo che non avrebbe capito o non avrebbe voluto capire e avrebbe fatto tutte le trucche che avevo fatto io […], e io non sarei stato capace di fermarlo. Né lui sarebbe stato capace di fermare il figlio suo, fratelli. E sarebbe andata così fino alla fine del mondo, gira a rigira, come un tamagno martino gigantesco tipo Zio in persona che girava e rigirava tra le granfie gigantesche una lezzosa arancia saloppa.”.
Credo che questa possa considerarsi una conclusione positiva per Alex, ma amara rispetto a quello che emerge sulla società contemporanea: nel romanzo, lo Stato autoritaristico è peggiore dei criminali, ma gli scienziati sono peggiori dello Stato. La società è corrotta, stanca, la criminalità impersevera; ogni individuo è abbandonato a se stesso mentre lo Stato tenta di annientare tutti gli oppositori preoccupandosi solamente dei propri interessi.
Kubrick definisce il personaggio di Alex come la rappresentazione dell’inconscio umano: Alex all’inizio del libro rappresenta l’uomo allo stato di natura; la “tecnica Ludovico” corrisponde in termini psicologici al processo di civilizzazione; la malattia che ne consegue può essere vista come la nevrosi imposta all’individuo dalla società. La liberazione finale che i lettori avvertono corrisponde alla sua stessa rottura con la civiltà. Ovviamente, tutto ciò accade a livello inconscio. Non è il significato letterale del libro, ma è uno degli elementi che provocano l’identificazione del lettore con Alex: a livello inconscio, questa strana realtà di un personaggio evidentemente malvagio riesce a farci percepire qualcosa della nostra personalità.
Sul piano stilistico, è notevole il tipo di lessico utilizzato: Burgess in tal modo è riuscito a collegare il tipo di linguaggio scelto con i temi trattati, dal momento che è ricco di parole onomatopeiche, e nel complesso da un’idea di sconclusionatezza e di incoerenza; il che si addice perfettamente al tema della violenza. E’ anche riuscito a ricreare un tipo di linguaggio gergale del tutto credibile e a mio parere geniale: infatti, anche se spesso le parole utilizzate sono di sua invenzione, risultano sempre immediatamente comprensibili e talvolta, nel ricreare l’immagine a cui si riferiscono, sono addirittura più efficaci di quelle che usiamo normalmente.
Degli esempi: “planetario”, che sta per testa; “trucca” = cosa; “mommo” = latte; “sviccio” = svelto e veloce; “denghi”, “bella maria”, “truciolo” = soldi; “poldo” = vecchio; “mammola” = ragazza ; “granfia” = mano; “truglio” = bocca; “rovellarsi il cardine” = pensare; “glutare” = bere; “babusca” = vecchia; “malcico” = ragazzo; “locchiare”= guardare; “snicchiare” = capire; “cupa” = notte; “fari” = occhi; “sguana” = robaccia; “patte” = piedi; e via dicendo.
Alex adotta una lingua tutta sua per prendersi gioco degli adulti e delle convenzioni della società: c’è sempre una nota irriverente nel suo modo di parlare, che sottolinea come lui non abbia nessuna intenzione di adattarsi alle regole che gli vengono imposte e di rinunciare ai propri capricci e a divertirsi.

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