Alessandro Manzoni

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura

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Testo

ALESSANDRO MANZONI
Con M. in Italia inizia la narrativa moderna, caratterizzata dall’avvicinamento alla realtà nei contenuti o a livello della scrittura. Mentre Foscolo nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” usa una lingua alta (rifacendosi alla tradizione letteraria), M. colma il distacco tra la lingua degli scrittori e quella della gente comune (della borghesia, almeno), facendo un’operazione di tipo “democratico”; la realtà diventa infatti uno dei fondamentali contenuti dei suoi romanzi, i cui personaggi sono umili e popolani (“innovazioni” già presentate da altri autori europei nel corso del ‘700).
M. nasce a Milano nel 1785 e muore nel 1873. Egli nasce in un ambiente che ha ereditato la cultura degli illuministi lombardi, della quale è erede egli stesso, poiché sua madre era la figlia di Cesare Beccaria; quasi certamente, inoltre, M. non è figlio di suo padre, dal quale la madre divorzia presto. Il rapporto con il padre (falso padre) è difficile, poiché egli è un reazionario e lo costringe ad entrare in un collegio di religiosi, ma M., insofferente nei confronti dei credo religiosi, appena può si dedica alle opere degli illuministi e dei giacobini (idee democratiche).
Quando la madre divorzia dal marito e va a Parigi, M. la raggiunge appena possibile; dal 1805 al 1810 egli resta a Parigi, dove conosce gli eredi della cultura filosofica del ‘700. Nel 1810 vi è la conversione di M. al Cattolicesimo, forse influenzato dalla mogli Enrichetta Blondel, che è calvinista.
M. torna poi in Italia, dove, dal 1812 al 1827 scrive la maggior parte delle proprie opere; la prima edizione de “I promessi sposi” è del 1827. Dal 1827 smette di scrivere opere creative, limitando i propri interessi alla filosofia e alla storia. A motivare l’inaridirsi della vena creativa dopo il 1827 è anche una serie di lutti: la morte della madre, poi della moglie e di otto dei dieci figli.
M. diventa anche Senatore per il nuovo Regno d’Italia e Presidente della Commissione che propone una lingua uguale per tutti gli italiani (per esempio, egli propone un dizionario “universale” di italiano e l’insegnamento della lingua ai bambini nelle scuole per opera di insegnanti di lingua toscana); solo con la diffusione dei mass-media, però, si arriverà alla comprensione della lingua italiana da parte di tutti.
TRATTATI
Tra i trattati, i più importanti sono “Osservazioni sulla morale cattolica”, di carattere morale, e “Discussione sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia”, di carattere storico; alla fine di entrambi M. difende la Chiesa cattolica: nel primo trattato egli sostiene che la morale cattolica è immutabile e al di fuori del tempo, nel secondo egli analizza il periodo della venuta dei Longobardi in Italia, ma mentre gli storici accusavano la Chiesa di aver ostacolato, durante tale periodo, l’unificazione dell’Italia, M. li confuta dicendo che la Chiesa aveva il merito di essere stata vicina agli strati più deboli della popolazione nel momento dell’invasione longobarda (funzione evangelica del clero).
M. scrive anche opere di teoria estetica per la poesia, per esempio, una lettera in francese e uno scritto che fa da prefazione alla tragedia “Il Carmagnola”; in esse l’autore affronta problemi tecnici, quali l’unità di tempo, luogo e azione: mentre i tragediografi classici (v. anche Alfieri) si rifacevano all’unità di tempo, luogo e azione sostenuta da Aristotele, scrivendo opere che si svolgevano in un solo giorno, in un solo luogo e con un’unica storia, narrando una sola azione, M. non accetta più il canone dell’unità perché per lui non è credibile che le cose accadano così, egli sostiene invece il criterio della verosimiglianza. Le tragedie di M. sono quindi diluite in più giorni e luoghi, per diminuire l’attenzione e la tensione del lettore. M. affronta poi il rapporto tra verità storica e fantasia, definendo la differenza tra lo storico, che si deve occupare di fatti realmente accaduti, e lo scrittore, che, rispettando i fatti realmente accaduti, deve ricostruire le sensazioni e le emozioni psicologiche dei personaggi. M. si distacca inoltre dalla storiografia moderna, occupandosi anche della gente comune, non solo delle persone più ricche e potenti.
Egli sostiene l’importanza del vero storico, cioè secondo lui l’arte si deve porre sempre fini morali e civili (tradizione illuminista). Tra le opere giovanili vi è “In morte di Carlo Imbonati”, nella quale M. descrive un sogno nel quale gli appare Imbonati a dargli consigli sul comportamento e sull’estetica della scrittura, dicendogli che l’artista non deve inventare, ma essere fedele al vero, né deve mai pronunciare frasi che esaltano il vizio deridendo le virtù.
Nell’altro scritto teorico, che M. dedica a D’Azelio (politico moderato), è una lettera intitolata “Sul Romanticismo”, nella quale l’autore definisce i punti fermi della propria poetica:
. il vero come oggetto (contenuto)
. l’utile come fine (morale e civile)
. l’interessante come mezzo
INNI SACRI
Gli inni sacri rappresentano un nuovo tipo di poesia, non più lirica e di carattere saggistico, in cui il poeta parla dei propri sentimenti (v. poesia da Petrarca a Foscolo), ma una poesia che presenta un carattere collettivo (non c’è più l’io lirico) e il poeta diventa il portavoce dei fedeli cristiani. Inizialmente M. voleva scrivere dodici inni, in realtà ne scrisse solo cinque (“Il Natale”, “Il nome di Maria”, “La Passione”, “La Resurrezione”, “La Pentecoste”), trattando temi religiosi e attualizzando alcuni avvenimenti della vita di Cristo. Ogni inno è diviso in due parti: nella prima vi è la descrizione di un episodio della vita di Gesù, nella seconda le conseguenze morali nella società moderna di tale episodio. La lingua che M. usa non è una lingua nuova, poiché l’autore non sa che lingua utilizzare per la poesia religiosa, quindi pensa di servirsi di versi brevi (più ritmati e vivaci, che creano una “cantabilità” che ricorda le canzonette del ‘700), anche se a volte tale metodo risulta un po’ stridente con il tema alto religioso. Il lessico degli inni è alto e aulico, infatti presenta frequenti latinismi.
ODI
Le odi hanno invece come argomento temi politici. M. le scrive “a caldo”, poco dopo il momenti politica dal quale prendono spunto, per esempio sommosse e avvenimenti rivoluzionari, per incoraggiare i moti e sostenerli; infatti tali testi vengono censurati e saranno pubblicati molto dopo. Accanto al tema politico-patriottico c’è il tema religioso, che serve a sostenere il tema politico, che si trova anch’esso all’interno del disegno divino.
TRAGEDIE
Il genere tragico era già presente in Italia e in Francia prima di M. e seguiva il metodo aristotelico dell’unità di tempo, spazio e azione (Aristotele, in realtà, non voleva imporre delle regole, egli aveva solo constatato la tecnica utilizzata dai tragediografi del suo tempo). Le tragedie dei tedeschi non seguono il modello aristotelico, ma quello di Shakespeare; tra di esse vie è un testo di Schlegel che fu tradotto in francese e letto da M (e che forse lo influenzò).
M. introduce nelle proprie tragedie, oltre all’infrazione delle regole aristoteliche, la novità del coro (abbandonato dalla tradizione neoclassica italiana e francese), considerandolo un “cantuccio” che l’autore si ritaglia per esprimere la propria soggettività.
Le due più importanti tragedie scritte da M. sono il “Conte di Carmagnola” e l’“Adelchi”.
Nel “Conte di Carmagnola” vi è la fusione tra vero storico e vero poetico, poiché l’autore attinge dalla storia vera per narrare la storia, ambientata nel ‘400, di un condottiero che porta i veneziani al trionfo contro i Visconti (milanesi), suoi ex alleati e verso i quali conserva un atteggiamento ambiguo, poiché fa liberare i prigionieri e non ordina al proprio esercito di inseguire i nemici sconfitti, perciò è processato per tradimento. M. non dipinge il conte come un traditore, ma come una vittima; egli è un personaggio ideale ma anche reale, non riesce a difendere i propri ideali nella società corrotta dell’epoca.
Tale contrasto tra ideale e reale è presento soprattutto nell’“Adelchi”. In questa tragedia M. parla della presenza dei Longobardi in Italia, contro i quali il papa chiede l’aiuto del re di Francia, Carlo Magno. Alla fine della guerra, scoppiata dopo il rifiuto del re longobardo, Desiderio, di ridare al papa le terre che gli aveva sottratto, i Franchi saranno i vincitori, Desidero verrà imprigionato e suo figlio Adelchi, ferito e catturato, morirà.
Il contrasto tra l’ideale (i sogni di pace di Adelchi) e la realtà si concludono con la morte del personaggio. Anche la sorella di Adelchi, Ermengarda, che sogna l’amore puro verso il marito Carlo Magno che l’ha ripudiata perché figlia del suo diretto nemico, dopo essersi rifugiata nel convento della sorella, muore di dolore quando viene a sapere che Carlo Magno si è risposato.
Adelchi ed Ermengarda sono eroi-vittime della realtà, eroi che però si riscattano nella concezione religiosa di M., che prevede la “provvido sventura”, cioè i vinti, a livello umano, risultano essere i più vicini, quindi i vincitori. La fede cristiana di M., già presente negli inni sacri, dove l’autore esprime l’entusiasmo di chi scopre la verità della religione, viene ripresa anche nelle tragedie, nelle quali però è legata al pessimismo storico, alla visione negativa della storia, perché nella realtà non si idealizzano gli ideali. Solo ne “I promessi sposi” l’ideale si calerà nel reale (v. Frà Cristoforo).
ROMANZO
Il romanzo è un genere nato alla fine del ‘600, che si sviluppa nel ‘700, ma il cui trionfo avviene nell’‘800; questi sono i secoli dello sviluppo della borghesia, il romanzo è infatti un genere che rappresenta le figure individuali e la borghesia ha il culto per l’individuo.
Il romanzo è un genere sperimentale a livello linguistico, ogni autore ha cioè le proprie regole che lo condizionano, è uno sperimentatore. Inoltre è un genere fondato su un patto sottinteso tra chi scrive e chi legge, il patto della verosimiglianza, poiché il lettore deve credere che ciò che sta leggendo sia vero.
Il pubblico del romanzo è un pubblico mediamente colto, ovvero la borghesia, che vuole acculturarsi con la lettura; per questo motivo il genere in Italia è tardo, perché nell’‘800 in Italia non c’è la borghesia ed è ancora molto forte la tradizione classica, con modelli e regole da seguire.
I personaggi del romanzo sono personaggi comuni e intraprendenti, molto specificati non solo nelle descrizioni fisiche, ma anche con i caratteri anagrafici.
Il genere del romanzo contiene molti sottogeneri: il romanzo psicologico (confessioni dell’autore), il romanzo nero (storie di terrore, con spettri e fantasmi), il romanzo epistolare (v. Foscolo), il romanzo fantastico (v. Poe e Hoffmann), il romanzo sociale (descrizione degli ambienti sociali), il romanzo di formazione (nel quale i protagonisti imparano dalle loro esperienze e disavventure), il romanzo storico (v. Manzoni).
Il ROMANZO STORICO viene fondato da Walter Scott (fine ‘700, inizio ‘800), al quale M. si ispira, anche se già altri romanzi storici erano stati scritti in passato, in essi, però, l’epoca storica fungeva solo da cornice e gli elementi non sono caratteristici dell’epoca, invece con Scott e M. la storia diventa una delle cause più importanti nel determinare i comportamenti e le azioni umane. Dopo M. vengono scritti altri romanzi storici, ma di importanza minore; negli ultimi due decenni, il genere è stato ripreso, tra gli altri, da Eco ne “Il nome della rosa” (1980) e da Vassalli ne “La chimera”; mentre, però, nell’‘800 secondo i romantici l’uomo poteva capire e modificare la storia (combattendo durante il Rinascimenti, per esempio), quindi la storia doveva insegnare qualcosa, oggi essa è misteriosa, folle, assurda a volte, non ha cioè più niente da insegnare.
La storia pone comunque il problema del rapporto con la realtà, problema che ogni autore affronta in modo diverso, per esempio, M. scegli i personaggi importanti (cardinali, signori…) veri e i personaggi comuni inventati (Renzo, Lucia…).
“I promessi sposi”
La prima stesura del romanzo va dal 1820 al 1823 e si intitolava “Fermo e Lucia”, poi rielaborata da M. La prima edizione a stampa è del 1827 (la “ventisettana”) con il titolo “I promessi sposi”, mentre l’edizione definitiva è del 1840 (la “quarantana”).
Le differenze tra il “Fermo e Lucia” e la “ventisettana” sono soprattutto di contenuto e impostazione: per esempio, nel primo le vicende erano narrate in parallelo, prima tutta la storia di Lucia poi tutta quella di Fermo, invece nella seconda le due storie si intrecciano; inoltre in “Fermo e Lucia” vi erano digressioni più ampie e numerose, suddivise tra quelle di carattere saggistico (storiche, economiche e morali) e quelle di carattere narrativo (per esempio, la storia della Monaca di Monza). “Fermo e Lucia” ha una struttura lineare e rigida (due storie parallele), la linearità è spezzata dalle digressioni e dall’appendice sulla storia della “Colonna infame”, nella quale M. narra i processi contro gli untori accusati di aver diffuso la peste, infatti la Colonna fu eretta dai giudici nel luogo in cui si trovava la casa di un untore processato e ucciso: essa doveva essere un simbolo per i posteri, ma per M. essa è il simbolo dell’ingiustizia dei giudici e della mancata imparzialità dei processi. Nella “ventisettana” la storia della “Colonna infame” viene tolta (e diventerà un romanzo a parte), insieme alla storia di Gertrude e dell’Innominato.
“Fermo e Lucia” nasce dopo i moti del ‘20-’21, infatti M. nell’opera esprime la propria delusione e la propria inquietudine; anche in “Fermo e Lucia” c’è la provvidenza divina, ma essa è solo marginale, poiché domina il male, M. ha una visione pessimistica della storia.
La lingua in “Fermo e Lucia” è composita, vi sono numerosi salti di registro, mentre ne “I promessi sposi” vi sono un controllo e un distacco (mediante l’uso dell’ironia) maggiori, più moderazione, più fede nella provvidenza, anche se si intravedono le ingiustizie e il male. Verso la natura dell’uomo e per la storia, M. resta pessimista anche ne “I promessi sposi”, però egli crede anche che con l’aiuto di Dio l’uomo possa riscattarsi. Infatti M. è influenzato dalla filosofia di Pascal e dei giansenisti, che credono che nella vita siano importanti la fede sorretta dalla grazia e la fiducia finale nella grazia, poiché Dio è dentro all’uomo, non dentro alla storia.
Tra la “ventisettana” e la “quarantana” vi sono solo cambiamenti linguistici e lessicali: la “ventisettana” è ricche di parole provenienti dal francese e dal lombardo, nella “quarantana” M. usa invece il linguaggio fiorentino colto (della borghesia), l’unica lingua comprensibile a livello nazionale.
La principale novità de “I promessi sposi” è che i due protagonisti sono personaggi umili; nella scelta di questi due personaggi, M. è stato influenzato dal Cristianesimo che dice che Dio è nato per gli umili, inoltre le persone umili costituiscono il popolo, al quale si rivolgono i romanzi.
Romanzo di formazione
Oltre a essere un romanzo storico “I promessi sposi” è anche un romanzo di formazione, nel quale i protagonisti (Renzo soprattutto), attraverso la trama, evolve imparando cose nuove:
. Renzo all’inizio crede che l’uomo possa agire e cambiare le cose con la propria azione (concetto di eroe romantico), con l’esperienza milanese egli però capisce che ci sono cose superiori all’uomo (per esempio, la peste e la guerra), sulle quali l’uomo non può incidere, perciò occorre affidarsi alla provvidenza ) sviluppo nell’esteriorità (personaggio estroverso), infatti egli fa esperienza in ambienti esterni, particolarmente importante è il viaggio a Milano (viaggio simbolico perché Milano rappresenta l’inferno), attraverso il quale egli acquisisce saggezza: non a caso quando Renzo lascia Milano per tornare a casa, si trova sotto la pioggia, una pioggia liberatoria di acqua purificatrice che libera Renzo dal male di Milano (peste, carestie…). L’evoluzione di Renzo non è solo morale, ma anche socio-economica (da operaio diventa imprenditore), dopo l’esperienza sociale e collettiva, nell’ingiustizia e nella giustizia.
. Lucia non va a cercare i guai (come fa invece Renzo), sono i guai che vanno da lei, va quindi in crisi, nel corso del romanzo, l’idea di Lucia, che crede che se una persona si comporta bene le andrà tutto bene, mentre possono comunque accadere cose terribili, ella si rende perciò conto che non basta comportarsi bene per scampare il male, ma serve anche la fede per sopravvivere al male d sviluppo nell’interiorità (personaggio “domestico”).
Lucia sembra dotata di saggezza fin dall’inizio per grazia divina; è definita “domestica” perché è sempre in luoghi chiusi (casa, convento, casa dell’Innominato…), perciò non ha bisogno di esperienze esterne, tanto che le poche volte che si trova all’esterno si appoggia la braccio della madre o di altri personaggi, quasi come se avesse bisogno di un sostegno al di fuori delle mura domestiche. A Lucia è affidata la morale de “I promessi sposi”, ella è portatrice del messaggio morale, è un personaggio-simbolo della fede nella provvidenza; ciò va a scapito della sua individualità, che infatti, al contrario di quella di Renzo, resta molto generica.
Mentre quello di Ermengarda, nell’“Adelchi” di Manzoni, è un amore passionale che porta alla disperazione, l’amore di Lucia è solo l’amore terreno, l’amore per Renzo è l’amore per il futuro sposo, non vi è quindi alcuna componente passionale.
Sistema dei personaggi
I personaggi de “I promessi sposi” possono essere considerati a coppie:
Coppie per somiglianza
Coppie per diversità
vittime
Renzo – Lucia
Renzo – Don Rodrigo
carnefici
Don Rodrigo – Innominato
Lucia – Innominato
aiutanti delle vittime
Frà Cristoforo – Cardinale Borromeo
Don Abbondio – Frà Cristoforo
aiutanti dei carnefici
Monaca di Monza – Don Abbondio
Don Abbondio – Cardinale Borromeo
Inoltre i personaggi sono suddivisi a gruppi di quattro secondo l’appartenenza ai vari mondi contrapposti:
Mondo laico
Mondo religioso
Mondo nobile
Mondo popolare-borghese
buoni
Renzo
Frà Cristoforo
Don Rodrigo
Renzo
Lucia
Cardinale Borromeo
Innominato
Lucia
cattivi

Don Rodrigo
Monaca di Monza
Cardinale Borromeo
Frà Cristoforo
Innominato
Don Abbondio
Monaca di Monza
Don Abbondio
Il sistema dei personaggi si basa quindi su un gioco calcolato ed equilibrato, la cui struttura è composta da opposizioni binarie, che derivano dalla visione ideologica della natura (della realtà) fondata sull’opposizione tra bene e male, visione legata alla religione di M.
La scelta di M. di riferire i vari personaggi, in modo equilibrato mediante opposizioni binarie, ai diversi ambiti sociali, gli permette, alla fine del romanzo, di allargare il discorso ai vari mondi sociali, fino a giungere alle forze ultime che agiscono sui personaggi:
- la giustizia divina
- la natura umana abbandonata da Dio a favore degli istinti visione negativa della natura umana, se non è arginata dai principi morali
- la storia.
È possibile quindi creare uno schema simmetrico, schema proposto per la prima volta da Calvino nel “Romanzo dei rapporti di forza”:
giustizia divina
Cardinale Borromeo
Frà Cristoforo
Lucia
Renzo

Don Abbondio Don Rodrigo

Monaca di Monza (Gertrude) Innominato
natura umana abbandonata da Dio storia (pessimismo storico)
. Frà Cristoforo F rappresenta la Chiesa buona, al servizio dei bisognosi
. Don Rodrigo D rappresenta il potere sociale e politico, che ne “I promessi sposi” è sempre negativo, poiché è simbolo di oppressione e ingiustizia
. Don Abbondio D rappresenta la Chiesa cattiva, che si lascia corrompere dal potere (politico e sociale)
Personaggi principali
RENZO v. Romanzo di formazione
LUCIA v. Romanzo di formazione
FR( CRISTOFORO per alcuni critici è il personaggio più importante del romanzo, perché da lui parte il tentativo di risolvere i soprusi sociali, infatti Frà Cristoforo incarna le aspirazioni del romanzo, che da quando è nato nel ‘700 si distingue dagli altri generi per il suo realismo, nel romanzo anche i valori e principi sono immersi nel reale: Frà Cristoforo rappresenta il tentativo di incarnare l’ideale nel reale. I suoi tentativi spesso falliscono (per esempio, manda Lucia in convento per proteggerla, ma in realtà la mette in mano ai suoi sequestratori), il trionfo non è infatti del personaggio, ma della morale che egli rappresenta e che ha successo attraverso gli altri personaggi. Questa è la prima contraddizione presente in Frà Cristoforo; la seconda sta tra ciò che dice a Renzo e i suoi gesti, sta cioè nel fatto che egli spesso deve combattere con Renzo, che è impulsivo, ma Frà Cristoforo lo vuole calmare, in lui si nota però sempre uno spirito battagliero (fede nell’azione, tipica dei romantici). Frà Cristoforo è il saggio padre spirituale di Renzo, ma è anche il “fratello” di Renzo, poiché rappresenta il suo alter ego, il suo “doppio”.
CARDINALE BORROMEO rappresenta la Chiesa buona; il Cardinale è però la figura meno riuscita a livello artistico perché M. accenna ad alcuni lati indegni della personalità del cardinale (per esempio egli aveva approvato dei processi per stregoneria e aveva aderito alla credenza popolare che gli untori erano la causa della diffusione della peste, una superstizione tipica delle masse popolari); tuttavia la descrizione del Cardinale ha un tono elogiativo, di propaganda religiosa, il personaggio è cioè stereotipato.
INNOMINATO I personaggio fondamentale per la trama perché la svolta della narrazione verso il lieto fine è determinata dal suo passaggio da “buono” a “cattivo”; nell’Innominato vi è quindi anche un risvolto autobiografico, riguardante la conversione di M. al Cristianesimo. La conversione dell’Innominato non è miracolistica e improvvisa, ma si inserisce nel processo di crisi esistenziale del personaggio, un processo accelerato da Lucia, che quando giunge al castello dell’Innominato incide sul suo animo, cogliendo la crisi e quindi anche il punto debole dell’uomo; è in questa occasione che Lucia mostra la propria forza morale e spirituale, dicendo all’Innominato “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”. Emerge la componente giansenista della religiosità di M., che crede che l’uomo da solo non possa salvarsi, ma gli occorre l’aiuto di Dio: Lucia rappresenta il simbolo della fede, le sue parole scendono nel cuore dell’Innominato e lo salvano. Si crea quindi un parallelismo tra l’Innominato e Napoleone, al quale M. dedica “Il Cinque Maggio”: entrambi sono uomini potenti che ottengono la salvezza dell’anima solo con l’aiuto di Dio e con l’umiltà davanti a Dio.
DON RODRIGO nei suoi confronti M. mantiene sempre un atteggiamento molto distaccato, anche se Don Rodrigo è descritto con realismo, l’autore non gli dà mai giudizi negativi (li lascia solo intravedere attraverso la descrizione negativa). Don Rodrigo è un “Don Giovanni minore”, un libertino; il Don Giovanni della cultura del ‘700 compie il male per il puro piacere di farlo e per vantarsi, Don Rodrigo non è però così spregiudicato, è un mediocre, m alla fine della vicenda, nel sogno che egli fa prima di morire, in una sofferenza fisica e morale poiché egli si trova a dover morire solo, tradito anche da suo complice Griso, M. lascia intravedere la propria compassione verso Don Rodrigo.
MONACA DI MONZA (GERTRUDE) è un personaggio emblematico a causa della sua storia violenta; la violenza è un tema ricorrente nel romanzo, M. distingue però tra la violenza collettiva (quella della guerra) e la violenza sui singoli (quella di Don Rodrigo su Lucia). Anche la Monaca di Monza è vittima di un’ingiustizia, ovvero del pregiudizio del secolo: il padre di Gertrude era nobile e ricco e aveva della propria casata un’opinione così alta da non voler dividere il patrimonio tra i vari figli, destinandolo solo al primogenito, gli altri figli, Gertrude compresa, erano quindi costretti alla monacazione forzata, anche se in realtà il patrimonio della famiglia avrebbe consentito a tutti quanti di vivere in grande ricchezza. La cosa aberrante nell’educazione di Gertrude è che il suo destino era già stato deciso dal padre ancora prima della sua nascita; il nome “Gertrude” le fu dato perché era il nome di una nobile monaca che diventò santa, quindi già nel nome vi era l’aspettativa del suo futuro in convento. La violenza non viene però esercitata in modo esplicito, ma con allusioni e silenzi, poiché la violenza indiretta è potentissima sull’animo dei bambini ed impedisce loro di difendersi. M. è abilissimo nel descrive i passaggi che portano Gertrude in convento (convento-prigione) e nel dipingere la capacità psicologica del padre nei confronti della figli: infatti il padre la colpevolizza per ogni minimo errore (la colpevolizzazione è un’arma che rientra sempre nell’educazione dei bambini), causandole un senso di colpa che crea in lei anche il desiderio di discolparsi, seguendo l’ordine di entrare in convento. Riguardo all’atteggiamento di M., l’autore dà un giudizio negativo, anche se non esplicito, del padre di Gertrude, verso la Monaca di Monza mantiene invece un atteggiamento doppio, misto di compassione, nella prima parte della storia, e di giudizio negativo, nella seconda parte, quando Gertrude accetta le attenzioni del giovane Egidio e quando entra in convento; M. accusa la Monaca di Monza di non aver accolto l’opportunità di opporsi al male (alla violenza del padre) facendo il bene in convento, riscattandosi della propria sofferenza, al contrario in convento ella è tirannica e si comporta con superbia e altezzosità, come aveva fatto in precedenza il padre con lei, fino ad arrivare ad uccidere (o a essere complice nell’omicidio) di una conversa. Questo comportamento della Monaca di Monza è dovuto anche al fatto che le era sempre stato insegnato che in convento avrebbe comandato. La Monaca di Monza non ha quindi la fede di Lucia, perciò si danna.
DON ABBONDIO l’atmosfera che avvolge questo personaggio è quella della commedia (al contrario del dramma della Monaca di Monza). Don Abbondio è portatore dei bisogni bassi e egoistici dell’uomo, egli ha le stesse paure degli uomini, paure che in lui sono particolarmente accentuare, perciò l’atteggiamento di M. nei suoi confronti si basa sulla compassione. Don Abbondio sembra elevarsi, considerando che la vita può essere condotta con ideali non egoistici, solo quando parla con il Cardinale Borromeo, ma solo per un attimo, poi torna alla propria bassezza. Don Abbondio ha un’ottica personale ed egoistica, nonché un’idea di provvidenza molto bassa, basti pensare che egli considera la peste (che gli ha portato via anche la cara Perpetua) una “bella scopa” che ha spazzato via il male.
Temi
AMBIENTAZIONE: l’ambientazione del romanzo e il ‘600, secolo che presenta un parallelismo con l’epoca di M., poiché nel ‘600 la Lombardia era occupata dagli Spagnoli, nel ‘700 dagli Austriaci. Dagli illuministi la storia era sempre stata vista come un accumulo di errori e pregiudizi, quindi la scelta “politica” dell’ambientazione è anche dovuta al fatto che il ‘600 costituisce il massimo allontanamento dalla razionalità, era sempre stato preso come bersaglio ai privilegi, all’assurdo, all’ingiustizia, era quindi stato un secolo criticato da tutti.
La storia per M. è il teatro del male, la visione della storia da parte dell’autore è negativa e pessimistica, essa è però attenuata da alcune azioni positive (per esempio, quelle di Frà Cristoforo), che calano l’ideale nella storia. La storia è male perché è il prodotto dell’uomo, che agisce per mezzo dell’istinto e delle passioni, che sono la fonte del male, secondo la morale cattolica.
Alla visione negativa della natura umana, M. contrappone la morale cattolica, che non è soggetta al relativismo storico, ma è sempre valida.
PERSONAGGI UMILI: per la prima volta, gli umili sono i protagonisti della storia, mentre prima la loro funzione era molto diversa, essi erano frutto delle derisioni o erano i pastorelli delle opere del ‘600 e ‘700, sebbene sotto i finti travestimenti da pastorelli si nascondessero nobili e cortigiani (personaggi non umili). I primi autori a rappresentare gli umili furono Ruzzante (autore veneto del ‘600) e Goldoni, entrambi autori di teatro. Con M. gli umili non vengono derisi, ma sono descritti in tutta la loro umanità (difetti e virtù) e addirittura a volte vengono proposti come modello comportamentali (v. Lucia).
La scelta di M. è influenzata dalla cultura cristiana e romantica (attenzione per il popolo), perciò alcuni definiscono M. un democratico; per alcuni critici, utilizzando gli umili come protagonisti del proprio romanzo, egli ha fatto una rivoluzione in campo letterario e politico, invece secondo altri critici, tra i quali Gramsci, M. tratta gli umili dall’alto, con paternalismo. Quindi la sua “democrazia” è solo a livello religioso, poiché il messaggio cristiano dice che gli uomini sono tutti uguali, ma sul piano politico, M. non sembra sempre democratico, perché per esempio è contrario alle rivolte popolari (degli umili), egli si mostra cioè più moderato, pensando che la classe dirigente debba essere la borghesia e non le classi umili.
GIUSTIZIA: la vera giustizia c’è solo nell’aldilà, quindi le vittime dell’ingiustizia devono solo rassegnarsi e credere nella provvidenza. M. analizza il comportamento dei personaggi chiedendosi quali delle loro azioni siano giuste e quali non lo siano, secondo la dottrina cristiana.
ECONOMIA: M. è favorevole al liberismo, egli è quindi contrario all’intervento dello Stato nell’economia. Smith, il padre del liberismo, diceva che i singoli egoismi, miranti al profitto, consentono il progresso collettivo e il raggiungimento del bene comune, ma secondo M. non sempre è così.
PUNTO DI VISTA DEL NARRATORE: vi sono due narratori:
. il narratore che ha scritto la storia (nel ‘600) e che ha conosciuto personalmente i protagonisti (la sua narrazione ha notevole credibilità)
. il narratore che trascrive la storia (nell’‘800), facendo affidamento sul primo narratore, in più però egli può verificare la veridicità della storia consultando testi e documenti, egli quindi sa più dei suoi personaggi, è un narratore onnisciente; un esempio di tale onniscienza è la descrizione dall’alto del paesaggio, che costituisce l’apertura del romanzo.
La critica, riguardo al secondo narratore, si divide in due: critici quali Spinazzola e Baldi lo considerano unitario, avente idee chiare e coerenti, così che il narratore può indirizzare il lettore, egli è quindi anche autoritario, l’altro gruppo di critici, rappresentato da Raimondi, pensa che solo in apparenza la voce del narratore è unitaria, in realtà non lo è, perché molte volte vuole dire una cosa ma ne dice un’altra, egli riconosce quindi i propri limiti, riconosce di non sapere sempre dire tutto e anche per lui, come per i personaggi, alla fine, la storia risulta essere un enigma, poiché nessuno si sa spiegare l’importanza della provvidenza.
PROVVIDENZA: è grazie alla fede nel disegno divino che la storia si scioglie e si avvia verso il lieto fine. M. ha una visione complessa e enigmatica del reale, secondo lui al male che è prodotto dall’uomo (male storico) si potrebbe rimediare, vi è tuttavia un altro male che non dipende dagli uomini, per esempio la peste e le catastrofi naturali, un male che alcuni spiegano come la punizione ai peccati o come una prova da superare, ma M. non è d’accordo, egli non è quindi d’accordo con la morale egoistica di Don Abbondio, secondo il quale la peste è servita a spazzare via il male (non rendendosi conto che sono morti di peste anche personaggi buoni, quali Perpetua e Frà Cristoforo), né la morale di Renzo, che crede che ogni cosa negativa serva ad imparare qualcosa. Per M. il male “naturale” rimane imperscrutabile, l’autore sospende infatti il proprio giudizio a riguardo, quindi M. non intende la provvidenza negli avvenimenti storici (per esempio, Don Abbondio considerava la peste una sorta di provvidenza, che libera almeno da alcuni mali), ma essa è l’intervento della grazia divina nel cuore degli uomini, quindi Dio non va cercato nei fatti esterni.
FINALE: il romanzo possiede lo schema della commedia, infatti comincia con dei problemi, ma alla fine si conclude positivamente. Secondo il critico Raimondi il finale non è del tutto positivo, ma conserva numerose ombre, che si suddividono in due tipi, come egli sostiene nella sua opera “Il romanzo senza idillio” (idillio = finale felice):
. a livello superficiale accadono piccole cose che alla fine interferiscono con la felicità di Renzo e Lucia: per esempio, prima di ricongiungersi con Lucia per le nozze, Renzo parla con tutti di lei e dei suoi progetti, ma quando la gente la vede, resta delusa poiché Lucia è una donna comune, Renzo non coglie però bene queste critiche; inoltre, quando i due arrivano al castello del nuovo signorotto locale (che ha sostituito Don Rodrigo) per festeggiare dopo la cerimonia nuziale, trovano due tavoli distinti, uno per gli umili e l’altro per i nobili e i potenti
. sul piano più profondo, si ritrova il romanzo senza idillio nella morale finale: anche i più innocenti (come Lucia) possono essere colpiti dal male; il problema del male non è infatti risolto da M., perciò rimane la conclusione inquietante dell’opera, anche perché in M. non c’è mai un totale ottimismo, sebbene ci sia la fede in Dio

“Colonna infame”
La “Colonna infame” appartiene al genere del panflè (= atto di accusa violenta), che ha avuto grande successo nel ‘700. Infatti in quest’opera M. ricostruisce i processi di uomini condannati a morte per aver intriso gli abiti e le persone con unguenti contenenti i germi della peste, perciò essa costituisce un atto di accusa violenta (anche se l’autore fa uso dell’ironia) contro la magistratura del ‘600, colpevole sul piano giuridico e sul piano morale: sul piano giuridico, perché durante i processi veniva praticata la tortura, atto illegittimo attuato dai rappresentanti della legge, inoltre i giudici promettevano all’accusato l’impunità a patto che egli facesse i nomi, anche inventati, di alcuni complici; i giudici avevano inoltre una responsabilità morale, poiché si lasciavano influenzare dal popolo e dalla classe dirigente che voleva dei colpevoli, mandando a morte degli innocenti. M. conclude dicendo che i giudici potevano riconoscere l’innocenza degli accusati, ma non l’hanno fatto.

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