L'iter della lingua

Materie:Appunti
Categoria:Letteratura Italiana

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L’ITER DELLA LINGUA

Nella prima fase dell’umanesimo viene utilizzata prevalentemente la lingua latina, che non era identica a quella del mondo classico, perché questa era una lingua ormai conclusa da secoli. La prevalenza della lingua latina risponde al culto dei classici e al tentativo di emularli, ma anche ad un motivo ideologico: l’opposizione con il medioevo nel quale i maggiori letterati avevano scritto in volgare. La produzione letteraria degli umanisti fu però arida, sterile, fredda, perché essi si sforzarono di imitare il mondo classico senza che ci fosse vera poesia, la loro è una letteratura conformista. La lingua latina quindi non poteva più esprimere la vitalità dell’età umanistica che poteva essere espressa solo dalla lingua volgare. Tuttavia il volgare utilizzato era un volgare che si giovava del culto della lingua latina sia nella sintassi che nel lessico; gli studiosi avevano trasferito infatti nella lingua volgare le raffinatezze del latino. Il latino fu quindi funzionale all’elaborazione di un volgare illustre. Il volgare diventa quindi lingua letteraria perché i vari letterati avevano operato una selezione, una depurazione dei volgari, elaborandone uno superiore. Tuttavia bisognava elaborare un volgare unitario, per fare ciò si dovevano depurare i vari dialetti dagli idiotismi, espressioni e parole tipiche. Nasce la questione della lingua che verrà risolta da Pietro Bembo, autore delle “Prose della volgar lingua”, in cui analizza il problema. Egli individua per la poesia Petrarca, per la prosa Boccaccio, tutti i letterati del 500 avrebbero dovuto scrivere le loro opere modellandosi su questi autori. In realtà i letterati tentarono di seguire in maniera sterile le indicazioni di Bembo. Egli sosteneva che gli artisti contemporanei avrebbero dovuto comunque creare opere nuove che si differenziassero dai modelli. Altro errore commesso fu quello di creare una barriera tra l’elite colta e il popolo, cosa che durerà fino al 1800 con Manzoni. Ulteriore errore fu quello relativo al culto dell’Estetica di Aristotele, delle regole che aveva elaborato nella sua “Estetica”. Queste regole vennero applicate pedissequamente, per cui un’opera letteraria era perfetta se l’autore si fosse attenuto alle tre unità aristoteliche, l’unità di tempo, di luogo e di azione. L’arte secondo Aristotele doveva avere una funzione catartica, il dramma doveva elevare l’animo dello spettatore e insegnargli il dominio razionale delle passioni.
L’età umanistica fu caratterizzata dal culto per il mondo classico che stimolò la riscoperta della stessa lingua latina, e dal rinvenimento di molte opere di autori classici. Tutto ciò creò le premesse della nascita di una nuova scienza: la filologia. Gli studiosi si apprestavano con fervido entusiasmo all’esame obiettivo dei vari testi, sia se essi erano stati rinvenuti da loro stessi, sia se già si conoscevano, ma il loro messaggio era stato deformato dalla chiesa. Gli umanisti volevano liberare dalle catene i testi classici, le catene rappresentano le storture dell’età medievale. Un esempio è l’egloga 4 di Virgilio, ridefinita egloga messianica. La scienza filologica presupponeva un’estrema obiettività da parte dello studioso, la cui analisi dell’opera doveva essere distaccata e obiettiva, doveva prescindere da qualsiasi condizionamento esterno di tipo religioso, morale, filosofico. Il secondo criterio fondamentale era verificare la storicità del documento: esso doveva calato nel periodo storico in cui l’autore era vissuto. Questo procedimento è quello della stoicizzazione o contestualizzazione, utilizzato per evitare anacronismi e storture nel messaggio dell’autore. La scienza filologica si basa quindi sul metodo sperimentale secondo cui tutto va sottoposto al vaglio critico della ragione dello studioso. Famosa applicazione del metodo filologico fu la cosiddetta “Donazione di Costantino” opuscolo di Lorenzo Valla ora al servizio del re di Napoli Alfonso D’Aragona, il quale era entrato in contraddittorio con il papa in merito a questioni giuridiche: il papa voleva affermare la propria supremazia anche in campo temporale. Con questo opuscolo Lorenzo Valla testimonia, in base ad argomenti strettamente filologici, la falsità del documento di Costantino, appoggiando il re. Nel documento infatti Costantino aveva decretato il potere temporale del papa. Sulla base di questo documento la chiesa aveva sempre giustificato la legittimità del suo potere temporale; dimostrarne la falsità significava andare a favore del sovrano contro la chiesa.

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