La lingua salvata

Materie:Scheda libro
Categoria:Generale
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Data:05.12.2000
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Testo

Recensione del testo “La lingua salvata” di E. Canetti
Con questo romanzo autobiografico, il premio Nobel Elias Canetti ci descrive la sua giovinezza, vissuta negli anni che vanno dal 1905 al 1921, a cavallo del primo conflitto mondiale. L’opera non è altro che un insieme di tutti i ricordi (lo stesso romanzo prende il titolo dal più remoto di essi), più o meno precisi, che l’autore conserva di quegli anni, e quindi mira molto di più ad analizzare la propria situazione che ad inquadrare il periodo storico. Questi ricordi risultano spesso particolarmente slegati tra loro, come numerosi flash-back collegati semplicemente dal periodo in cui i fatti si sono svolti.
Il libro è suddiviso in cinque parti, che individuano i diversi luoghi dove il giovane Canetti ha trascorso l’infanzia e, poi, l’adolescenza: la Bulgaria, terra natale nonché sede dei primi lontanissimi ricordi; l’Inghilterra, dove la famiglia Canetti trascorre gli anni tra il 1911 e il 1913 e dove avviene uno dei fatti più importanti per la crescita del protagonista, ossia la morte del padre; Vienna, e infine due diverse località presso Zurigo.
Elias appartiene ad una famiglia ebrea dell’antica aristocrazia spagnola, e trascorre la gioventù nell’orgogliosa superiorità impostagli dai genitori, in modo particolare dalla madre, e nella passione per la letteratura e per la cultura. Proprio quest’ultima è il tema principale del romanzo: essa si sviluppa fin dalla prima fanciullezza del protagonista, e a poco a poco lo porterà ad un graduale allontanamento dalla realtà e da tutto ciò che lo circonda: a questo è, infatti, dovuta la quasi totale mancanza di notizie storiche anche in un periodo così ricco di avvenimenti.
Tutti i pensieri del Canetti protagonista sono, infatti, incentrati su libri, poeti, esploratori, argomenti quasi completamente estranei ai coetanei. Questa diversità nasce nel bambino nel momento in cui riceve in regalo da suo padre alcuni romanzi. Dopo la morte del genitore, al quale era molto legato, apprende molta letteratura dalla madre, grande appassionata. Sarà proprio lei, come descritto alla fine del libro, nel 1921, a destarlo da quel mondo incantato, o paradiso, come l’autore stesso lo chiama, e a introdurlo alla realtà (“ E’ vero che io, come il primo uomo, nacqui veramente alla vita con la cacciata dal paradiso” Parte V).
Nel romanzo si susseguono un’infinità di personaggi, per la maggior parte poco descritti, ma che hanno attirato l’attenzione del protagonista per i loro modi di fare o per delle loro particolarità (per esempio “l’uomo che ride”): infatti, una delle più evidenti caratteristiche del libro è l’attenzione data al particolare più che al generale.
L’unico personaggio evidenziato a sufficienza per poterne parlare è la madre: fin da subito ho provato nei suoi confronti una forte antipatia, sia per i principi di superiorità con cui cresce il figlio, sia per l’esagerata importanza che dà alla letteratura e all’istruzione letteraria del figlio; senza ombra di dubbio l’unica responsabile della mancata maturazione e dell’estraniazione del bambino è lei, che senza rendersene conto (e non lo farà neanche in seguito) ha gettato le basi per il mondo in cui il figlio ha vissuto per sedici anni.
Uno dei punti più negativi che ho riscontrato leggendo questo libro è l’assoluta mancanza di evoluzione all’interno del personaggio: fino a quando la madre non lo costringe ad aprire gli occhi, il giovane rimane confinato nel suo paradiso, in assoluta contraddizione con il mondo reale, senza rendersi neanche conto di come stia vaneggiando e di come il regno da lui costruito sia fragile e assurdo.
Un libro pesante, difficile da apprezzare per un lettore che, come me, non si identifica con il protagonista, ma anzi prova per lui una lieve antipatia, a causa del mondo astratto e utopico in cui vive, un mondo formato esclusivamente dalle opere di Shakespeare e dalle imprese dei più famosi esploratori.
Questa vita che si svolge in un altro mondo, lontano dai problemi dell’epoca, senza eccessive preoccupazioni né fatiche, costituisce un romanzo vuoto e assolutamente incapace di coinvolgere.
Elias Canetti
“La lingua salvata”
Gli Adelphi pagg.362
£16.000

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