Canto XXXIII del Paradiso

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Testo

Canto XXXIII Paradiso
In generale:
Il XXXIII è il canto con cui culmina il viaggio ultraterreno di Dante. Quindi contiene il resoconto della più grande esperienza possibile: l’incontro, la visione di Dio. Qui Dante personaggio e Dante autore si sovrappongono: il primo simboleggia l’intera umanità del Medioevo, epoca alquanto caratterizzata dalla tensione mistica quindi molto distante rispetto al nostro tempo; il secondo è un poeta alle prese con lo scoglio più difficile da superare, quello di narrare la materia più elevata, quello di parlare della cosa più difficile. Quindi ci troviamo dinanzi a due momenti essenziali del percorso per entrambi.
Un insieme di problemi teologici e artistici, quindi descrittivi e narrativi, si presentano all’autore nel momento in cui deve raccontare ciò che il pellegrino Dante ha visto. E il Dante narratore li risolve rispettando l’impianto narrativo che ha costruito fin qui, trovando quindi un giusto equilibrio tra immaterialità e concretezza, tra teologia e poesia: questa è la forza di questo canto.
Quanto fulmineamente si conclude, tanto armoniosamente il canto si apre. Si apre in perfetta continuità con il canto precedente: i primi 39 versi sono occupati dalla preghiera di San Bernardo da Chiaravalle alla Madonna. Una preghiera già annunciata all’ultimo verso del canto XXXII quando con la didascalia Dante disse “e cominciò questa santa orazione”.
San Bernardo è la terza e ultima guida ultraterrena di Dante. Rappresenta la componente mistica, è un fautore della madonna e ha preso in custodia Dante a partire dal canto XXXI. C’è stato quindi un passaggio del testimone simile a quello avvenuto nel Purgatorio tra Virgilio e Beatrice. La sua donna quindi è sparita e Dante accanto si trova quello che lui chiama il “venerabile senex” dal latino “venerabile vecchio”. La scelta di San Bernardo come ultima guida ci permette di capire alcuni aspetti importanti del poema: San Bernardo nato in Borgogna diventa famoso perché è colui che gestisce uno dei più importanti monasteri dell’epoca nel territorio dello Champagne. Era un mistico quindi teorizzava l’ascesi, cioè il distacco dalla vita terrena e l’avvicinamento a Dio, attraverso la naturale tendenza alla beatitudine. Nessuno quindi più adatto di lui per condurre Dante alla visione di Dio. Questo perché la visione di Dio implica il misticismo e il distacco totale da ciò che è terreno.
San Bernardo prega la Madonna affinchè Dante possa entrare nel triplice mistero, affinchè percepisca la trinità, affinchè percepisca l’essenza di Dio. Per vedere Dio la teologia pura non basta, c’è bisogno dell’estasi mistica. La mente umana deve uscire dagli schemi razionali che guidano la teologia. Dopo
In questa parte più forte si fa lo sforzo poetico dell’autore che si dilunga in più di cento versi a spiegare la difficoltà estrema, non solo nel rappresentare, ma anche nel ricordare quelle esperienze: il grande tema dell’ineffabilità che percorre l’intero canto.
Quindi le figure come la reticenza o la preterizione diventano le figure chiave di questo canto insieme alla preghiera iniziale. Non sappiamo quanto sia durata la visione del pellegrino, quello che leggiamo è soltanto l’addentrarsi di dante nella luce divina. Non a caso il canto si chiude con la luce per eccellenza, l’immagine di Dio esplicitata attraverso la metafora del Sole, che da sempre è simbolo di Dio. Il poema si chiude nell’armonia assoluta. La preghiera che la visione di Dio lasci un segno nell’animo di Dante, quindi, è stata esaudita.
Struttura della preghiera:
Questa preghiera segue da vicino quelle che sono le caratteristiche tipiche dell’innografia cristiana. Al centro di questa preghiera vi è la figura di Maria. Che la Madonna sia una figura particolare è risaputo perché in lei confluiscono umano e divino. Lei, umana, produce ciò che è divino, cioè Cristo. Ecco perché la stessa figura di Maria incarna la figura dell’antitesi. L’antitesi è la figura chiave con cui Dante ci presenta Maria, appunto.
Altro stilema importante della preghiera è l’anafora del “tu”. Se si paragona la preghiera dantesca con analoghe lodi della liturgia cristiana si nota che questa anafora è presente in tutta la dossologia che riguarda tutte le divinità.
In particolar modo su questa preghiera si è soffermato lo studioso tedesco Howerback il quale riconosce nel verso dantesco due aspetti consistenti che si armonizzano tra di loro verso la meta finale: da una parte c’è l’invocazione, quindi la chiamata della divinità; dall’altra parte c’è l’elogio. Quest’ultimo risale ad una lunga tradizione che non è solo cristiana ma anche greca. L’anafora del “tu” è quindi un elemento tratto dalla tradizione. Quindi rielabora e supera grandi modelli liturgici come l’Ave Maria, Salve Regina, Gloria al Padre che erano molto famose nel Medioevo. Dopo di che al verso 7 comincia una sequenza di cinque terzine, ciascuna chiusa dal punto fermo che continuano fino al verso 21. Quasi tutte contengono un doppio enjambements. Siamo quindi di fronte ad una struttura che si ripete, simmetrica, nelle cinque terzine. Questa struttura ha uno scopo ben preciso, quello di conciliare le grandi volute della prosa oratoria con la fibrillazione ritmica dei primi inni cristiani.
Troviamo la metafora dell’utero di Maria come giardino fecondo che fa sbocciare splendidi fiori.
L’antitesi come “figlia del tuo figlio”.
Dopo di che viene sviluppata l’immagine di Maria come mediatrice di grazia, il tutto introdotto con un movimento graduale, fino poi ad arrivare a sottolineare la benevolenza della Vergine anticipatrice della preghiera.
Successivamente si arriva al punto dove Maria intercede in favore di Dante, rendendo possibile la visione di Dio. Possiamo notare anche come la preghiera abbiamo uno sguardo epico.
Parte centrale:
Tema centrale quello dell’ineffabilità che viene svolta attraverso una sequenza di similitudini a partire dal verso 58 in funzione analogica. Queste similitudini più che descrivere fanno avvicinare il più possibile il lettore all’emozione. Non è quindi importante descrivere un particolare, è importante che l’emozione sia al centro della similitudine. La similitudine non descrive un fatto concreto ma uno stato d’animo. Ancora una volta quello che predomina è il linguaggio della luce e quello dello sguardo che sono preponderanti su quello verbale.
Domina quindi il cedimento della memoria. Lo strumento perfetto, ciò che è alle basi delle facoltà mentali viene meno. Perciò Dante non può che parlare di emozioni.
Parte finale:
Arriva quindi il momento della luce di Dio. Allora si squaderna (usa la metafora del quaderno che si apre) il libro dell’universo intorno ai versi 85-90. Tutto è fortemente aulico, in prosa oratoria ai più alti livelli. Importante la ripresa storica di Giasone degli Argonauti ma ancora più importante è il momento del “transumanar”: il liberarsi dall’umano e andare verso Dio. Qui l’iperbole è la figura che la fa da padrone, verso 123.

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