Seneca e opere

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Testo

SENECA
Per la biografia di Seneca possiamo avvalerci di diverse fonti, fra le quali gli Annales di Tacito, Le Vitae di Svetonio e la Storia di Roma di Cassio Dione: fonti deliberatamente ostili (Dione) o parzialmente critiche.
Nasce a Cordova intorno al 4 a.C., da una famiglia che da tre generazioni si distingue per gli interessi culturali.
Studi: giunto a Roma studia retorica, in seguito filosofia sotto la guida dello stoico Attalo, di Papirio Fabiano. Questi segnano la formazione di Seneca: impronta ascetica e austera della sua filosofia, l’esigenza di esercizi morali attraverso i quali educare la volontà, la pratica dell’esame di coscienza [T 24], l’interesse per gli studi naturalistici.
Nel 33-34 ottiene la questura; nel 39 scrive la Consolatio ad Marciam e i primi due libri del De Ira.
Nell’autunno del 41 cade vittima di una macchinazione ordita da Messalina, moglie di Claudio: coinvolto nell’accusa di adulterio, fu condannato alla relegatio in Corsica, dove rimane otto anni. Qui compone la Consolatio ad Helviam matrem e la Consolatio ad Polybium: quest’ultimo contiene anche un elogio a Claudio. Torna a Roma solo dopo la morte di Messalina.
Con Afranio Burro (prefetto del pretorio) ebbe l’incarico di educare Nerone: quando questi nel 54 (a soli 17 anni) succedette a Claudio, Seneca assume il ruolo di consigliere del principe.
55-56 scrive il De Clementia (trattato), con il quale si voleva indirizzare la condotta politica del giovane imperatore. Alla morte di Burro, sostituito da Tigellino, rinuncia ogni incarico e si ritira a vita privata.

FILOSOFIA E POTERE
Seneca, a differenza di altri scrittori a lui contemporanei, sente il dovere di partecipare per buona parte della vita all’attività politica: così ha a cuore il rapporto tra vita attiva e vita contemplativa, vita pubblica e vita privata, individuo e società.
Seneca resta in ogni caso saldo ad un principio: compito dell’uomo è di essere utile agli altri uomini. Per essere utile, Seneca afferma che l’uomo virtuoso non deve sottrarsi alle sue responsabilità umane e civili. La morale di Seneca è una morale attiva, fondata sul principio del bene comune.
Il De Clementia rappresenta il tentativo più esplicito di dare una soluzione al rapporto tra principe e sudditi: Seneca dice che i sudditi devono poter contare sulla virtù del principe, sulla sua equità, sulla sua umanità, sulla sua moderazione. Inoltre principe e sudditi sono un unico organismo: l’imperatore è l’anima, i sudditi sono il corpo.

LA SCOPERTA DELL’INTERIORITÀ
L’interiorità è l’unico luogo dove gli uomini possono sottrarsi all’inautenticità degli avvenimenti esterni.
Compito della filosofia è di metterci sulla via della virtù e del bene: per Seneca, il saggio è una figura umana e accessibile nella sua quotidiana ricerca della verità.
Nel De brevitate vitae, Seneca sottolinea il paradosso nel quale incorre la maggior parte degli uomini, che cercano a tutti i costi di ottenere beni materiali, spesso inutili, disperdendo il tempo in occupazioni futili. Quindi sbaglia chi afferma che la vita è breve: questa lo diventa solo se facciamo un cattivo uso del tempo a nostra disposizione.
Sulla morte, Seneca dice che è sempre presente in ogni momento che viviamo, e che è il più autentico strumento di libertà concesso all’uomo.
STILE: assenza di uno schema rigido, il discorso è avvolgente; l’autore vuole persuadere il lettore e coinvolgerlo sul piano emotivo; prevalgono i toni intimi e colloquiali; grande presenza di immagini, similitudini e metafore; stile estremamente elaborato, ricco di artifici retorici, di antitesi e paradossi; utilizzo della Sententia: frase concettosa e pregnante.

FILOSOFIA E SCIENZA: LE NATURALES QUESTIONES
Importanti i sette libri di Naturales questiones composti certamente dopo il 62 per accenno al terremoto che colpì diversi centri campani in quell’anno. Dedicata a Lucilio (lo stesso delle Epistulae morales), ha come oggetto argomenti di carattere meteorologico.
Nella prefazione del secondo libro, l’autore distingue fra astronomia, geografia e meteorologia: la prima si occupa della natura del cielo e degli astri, la seconda di tutto quanto appartiene alla vita terrestre, la terza dei fenomeni che si svolgono tra cielo e terra.
L’intento dell’opera era quello di indagare il mondo fisico per rivelare la natura razionale e provvidenziale del cosmo, ordinato da una mens divina. Nuova visione degli studi scientifici, che assumono valore solo all’interno di una prospettiva morale: ciò che conta non è sapere, ma diventare più saggi.
Il trattato si conclude con un giudizio negativo degli studi contemporanei: la ricerca langue per mancanza di impegno; le scienze regrediscono, i vizi si moltiplicano. È comunque presente la fiducia nel progresso delle scienze: Seneca esalta (al contrario dei suoi contemporanei, che affermavano che ogni ramo degli studi era giunto al suo culmine) il processo inesauribile dell’indagine conoscitiva.
UNA SATIRA MENIPPEA: L’APOKOLOKYNTOSIS
In onore della morte di Claudio, lode che Nerone lesse in senato.
Traduzione: deificazione di uno zuccone.
Trama: Claudio muore per intervento di Mercurio, che implora le parche di tagliare il filo della sua vita, così da lasciare un imperatore migliore nel palazzo (Nerone). Claudio poi, ridicolmente descritto come un mostro, si presenta in cielo dinnanzi a Ercole. Dopo c’è un consiglio degli dei, per decidere se divinizzare o meno il defunto. Dopo che Augusto enuncia i crimini commessi da Claudio, Mercurio lo trascina per il collo fino agli inferi. Durante la discesa, dio e imperatore si imbattono nel funerale di Claudio: tutti sono felici della sua morte. La sua pena, decisa da Eaco, è di giocare eternamente a dadi con un bussolotto bucato. Caligola, vedendolo, lo reclama come suo schivo, ma non sapendo che farsene lo regala ad Eaco, il quale lo consegna a sua volta ad un suo liberto, perché diventi il suo addetto giudiziario.
L’A. è una satira menippea: alternanza di stile aulico e volgare, uso di citazioni erudite di funzione parodica, caricatura satirica e grottesca di noti personaggi della cronaca e della storia. La violenza dei contenuti narrativi e l’aggressività dei toni fanno pensare alle pungenti satire di Lucilio.

LE TRAGEDIE

Sono dieci (nove cothurnatae e una praetexta), e sono gli unici tesi in lingua latina conservati integralmente. Probabilmente composte nei primi anni del principato di Nerone.
Spuria è la pretesta Octavia, ambientata alla corte neroniana nel 62. tra i personaggi vi è anche Seneca, che cerca di trattenere Nerone dai suoi gesti insani: Ottavia verrà ripudiata e fatta uccidere. Durante il corse dell’azione interviene anche il fantasma di Agrippina, che profetizza al princeps una fine del tutto simile a quella realmente toccata a Nerone sei anni dopo. Probabilmente si tratta di una tragedia scritta nel decennio successivo alla morte di Nerone da un poeta che conosceva a fondo lo stile di Seneca.
Gli argomenti delle nove coturnate sono tratte dal repertorio delle tragedie classiche greche. Ma questo non implica una mancanza di originalità: non solo nella ristrutturazione dei materiali scenici, ma soprattutto nell’accentuazione patetica delle vicende e nell’esuberanza dello stile. Seneca si colloca nella scia dei predecessori latini, portando all’estremo il gusto spettacolare, enfatico e declamatorio della tragedia romana arcaica. Rilevante l’influsso di Ovidio, soprattutto nell’indagine psicologica delle figure femminili.
Il coro tende ad avere una funzione più lirica che drammatica. Seneca amplifica i monologhi e le digressioni, rallentando lo sviluppo dell’azione scenica. Indagine psicologica dei personaggi: l’animo umano è il vero protagonista delle tragedie.

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