Appunti su Seneca

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

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Testo

La letteratura della prima età imperiale

In questo periodo si assistette alla crisi, in seguito alla morte di Mecenate, del mecenatismo. Durante il principato di Tiberio non ci si preoccupò di organizzare un programma di egemonia culturale e si sviluppa in questo modo una storiografia contraria al principato. La situazione non migliorò con Claudio, che pure aveva una fama di uomo dotto. Solo Nerone, negli anni iniziali del suo principato, ispirati dalla guida di Seneca, tentò un recupero del consenso del senato e una ripresa del mecenatismo. Nerone stesso fu un poeta e promosse in vario modo le attività artistiche, nel 60 istituì una gara quinquennale di canto, musica, poesia e oratoria. La moda dei pubblici agoni, in occasione di certe feste, si diffuse più ampiamente sotto il principato dei Flavi, ma l'avvento della nuova dinastia imperiale segnò una netta inversione di rotta rispetto agli indirizzi culturali di Nerone. Sul piano letterario spiccavano principalmente due fenomeni: la ripresa della poesia epica, nel segno del primato di Virgilio e, in prosa, l'assurgere di Cicerone a modello di una maniera stilistica ma anche di una educazione fondata sulla retorica.

Un altro importante fenomeno di questo periodo fu lo sviluppo delle declamazioni. La declamatio era un tipo di esercizio in uso nelle scuole di retorica. Possediamo in proposito un'opera di Seneca il Vecchio, frutto dei suoi ricordi di scuola. Egli nacque a Cordova attorno al 50 a.C., di estrazione equestre divise la sua lunga vita tra Roma e la Spagna, probabilmente fino a vedere il regno di Caligola. L'opera più importante del Vecchio ci testimonia il mutamento che l'avvento del principato hanno prodotto sull'attività retorica a Roma: viene meno la funzione civile della retorica la quale si immiserisce in futili esercitazioni che vertono su temi e argomenti fittizi. Seneca il Vecchio illustra i due tipi di esercizi più in voga: la controversia, che rientrava nel genere giudiziale, e la suasoria, consistente nel tentativo da parte dell'oratore di orientare l'azione di un personaggio famoso di fronte a una situazione difficile. Lo scopo non è tanto quello di convincere l'auditorio, quanto quello di stupirlo. Ed egli ricorre perciò agli espedienti più ingegnosi della lingua e dell'immaginazione.
Seneca
Figlio di Seneca il Vecchio, anche Seneca il filosofo nacque a Còrdova, in Spagna, intorno al 4 a.C.. A Roma venne educato alla retorica e alla filosofia sin dalla giovinezza, in vista della carriera politica, che iniziò verso il 31 ottenendo subito cospicuo successo e notevole fama oratoria. Fu per questo che il geloso Caligola arrivò a decretarne la condanna a morte, da cui lo avrebbe salvato un'amante dell'imperatore.
Nel 41 il nuovo imperatore Claudio lo relega in Corsica ,a seguito di un'accusa di adulterio, fino al 49, anno in cui Agrippina riesce ad ottenere da Claudio il suo ritorno per sceglierlo come primo tutore del figlio. Così, Seneca, assieme a Afranio Burro, accompagna al trono il giovane Nerone: si hanno quindi gli anni del buon governo(dal 54 al 59) di Nerone, ispirato a principi di equilibrio e conciliazione tra principe e senato.
Ma il governo è destinato a deteriorarsi, a causa dello squilibrio di Nerone (nonostante i tentativi di educazione del principe e il quinquennio d'oro dei primi anni di reggenza Seneca non riesce a trattenre la follia di Nerone e le sue crudeltà) e dell'intromissione di Poppea, e Seneca si ritira gradualmente a vita privata: l'anno del secessus fu il 62. Il filosofo viene però coinvolto nella congiura di Pisone (anno 65 d.C), e per ordine di Nerone viene costretto a suicidarsi: la sua morta, da vir illustris alla pari di Socrate, ce l'ha raccontata Tacito, negli Annales
Le opere

Le opere filosofiche di Seneca sono state raccolte, dopo la sua morte, in 12 libri di Dialogi su questioni etiche e filosofiche:
1) De providentia,
2) De costantia sapientis,
3) De ira libri III,
4) De consolatione,
5) De vita beata,
6) De otio,
7) De tranquillitate animi,
8) De brevitate vitae.
Sempre di filosofia trattano i sette libri:
9) De beneficiis
10) De clementia (indirizzato a Nerone)
Quindi abbiamo venti libri di
11) 124 epistulae a Lucilio
12) i sette libri delle Naturales quaestiones (di carattere scientifico)
Ci sono poi
13) nove tragedie cothurnatae
14) l'Apokolokýntosis, una satira sull'apoteosi dell'imperatore Claudio.


I dialogi e la saggezza stoica

Ben poche fra le opere senecane rimaste sono databili con sicurezza, sicché è difficile cercare di seguire un eventuale sviluppo del suo pensiero. Il repertorio di temi morali che fondano gran parte della riflessione filosofica di Seneca sono la fugacità del tempo, la precarietà della vita e la morte come destino ineluttabile dell'uomo. Le singole opere dei Dialogi costituiscono trattazioni autonome di aspetti o problemi particolari dell'etica stoica. I tre libri del De Ira sono ad esempio una sorta di fenomenologia delle passioni umane poiché analizzano i meccanismi di origine e i modi per inibirle e controllarle
Tra i Dialogi abbiamo tre consolationes (Ad Marciam, figlia di Cremuzio Cordo, Ad Helviam matrem e Ad Polybium, un liberto di Claudio) genere ripreso dall'antica Grecia, già usato da Cicerone, che indaga su temi morali e sulla precarietà della vita o sulla morte come destino. In particolare la lettera a Polibio si rivelò un tentativo di adulare l'imperatore (Claudio, che nel 41 l'aveva mandato in esilio in Corsica) e per questo Seneca viene accusato anche di opportunismo.

Il De vita beata esamina il problema della ricchezza e dei piaceri (nei quali non si trova l'essenza della felicità), ma se è vero che il saggio sa vivere secondo natura, saggezza e ricchezza non sono necessariamente antitetiche ("nessuno ha condannato la saggezza alla povertà"): l'importante non è non possedere ricchezze, ma non farsi possedere da esse.
Nei dialoghi De constantia sapientis, De otio e De tranquillitate animi Seneca cerca una mediazione tra l'otium contemplativo e l'impegno del civis romano, suggerendo una posizione intermedia tra neoteroi (Catullo) e Cicerone. Il comportamento dell'intellettuale deve essere rapportato alle condizioni politiche, ma la scelta di una vita totalmente appartata può essere resa necessaria da una grave posizione politica, che non lascia al saggio altro che rifugiarsi nella solitudine contemplativa.
I temi del tempo, della sua fugacità e dell'apparente brevità della vita, sono trattati nel De brevitate vitae: la condizione umana ci sembra tale perché noi non sappiamo afferrare l'essenza della vita e la disperdiamo in occupazioni futili.
La tesi di cui scrive nel De providentia è opposta a quella epicurea, e tende a giustificare la constatazione di una sorte che sembra spesso premiare i malvagi e punire gli onesti: ma è solo la volontà divina che vuole mettere alla prova i buoni ed attestarne la virtù. Il sapiens stoico realizza la sua natura razionale nel riconoscere il posto che il logos gli ha assegnato nell'ordine cosmico, accettandolo serenamente.
Le Naturales quaestiones sono trattati scientifici nei quali Seneca analizza i fenomeni atmosferici e celesti, dai temporali ai terremoti alle comete. Nei sette libri De beneficiis si parla della natura e delle varie modalità degli atti di beneficenza, dei legami tra benefattore e beneficiato e dei doveri che ne conseguono (si sospetta, qui, una velata allusione al comportamento di Nerone). L'opera in cui Seneca espone più chiaramente la sua concezione del potere è il De clementia, dedicato al giovane imperatore Nerone come traccia di un ideale programma politico ispirato a equità e moderazione. Seneca non mette in discussione l'importanza del potere centralizzato in una sola figura: il problema è piuttosto quello di avere un buon sovrano: e in un regime di potere assoluto, privo di forme di controllo esterno, l'unico freno sul sovrano sarà la sua stessa coscienza, che lo dovrà trattenere dal governare in modo tirannico. La clemenza è la virtù che dovrà informare i suoi rapporti con i sudditi, solo con essa sarà in grado di ottenere la loro benevolenza e il loro appoggio. E' evidente in una concezione di principato illuminato l'importanza che acquista l'educazione del principe, e più in generale la funzione della filosofia come garante e ispiratrice della direzione politica dello stato. Alla filosofia spetta dunque il ruolo di promuovere la formazione morale del sovrano e dell'élite politica.
Le tragedie

Un posto importante nella produzione letteraria di Seneca spetta alle tragedie: sono nove quelle ritenute autentiche, tutte di soggetto greco. Le tragedie di Seneca sono le uniche tragedie latine a esserci pervenute in forma non frammentaria, inoltre sono molto importanti anche come documento della ripresa del teatro latino tragico. Tuttavia la scarsità di notizie esterne sulle tragedie senecane non ci permette di sapere nulla di certo sulle modalità della loro rappresentazione (non è da escludere l'ipotesi che fosse tragedie destinate soprattutto alla lettura). Le varie vicende tragiche si configurano come conflitti di forze contrastanti, come opposizione fra la ragione e la passione. Un rilievo particolare, fra le forme in cui più espressamente si rivela la presenza del male nel mondo, ha la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere, tormentato dalla paura e dalla angoscia. Il rapporto con i modelli greci è abbastanza conflittuale: se da una parte Seneca sente la necessità di una ferrea autonomia, dall'altra li ha sempre in mente. Le tracce della tragedia latina arcaica si avvertono soprattutto nel gusto del pathos, e spesso l'esasperazione della tensione drammatica è ottenuta mediante l'introduzione di lunghe disgressioni, che alterano i tempi dello sviluppo inserendosi nella tendenza a isolare singole scene come quadri autonomi.
Molto poco si sa sulle tragedie di Seneca: quelle ritenute autentiche sono nove cothurnatae, cioè di soggetto mitologico greco. Sul modello dell'autore greco Euripide abbiamo le Phoenissae, che narra del tragico destino di Edipo e dell'odio che divide i suoi due figli Etèocle e Polinice. Il mito tebano di Èdipo è presente anche nell'Oedipus: causa inconsapevole dell'uccisione del padre, alla scoperta di ciò il protagonista si acceca. Nel Thyestes si narra della vendetta di Átreo, che animato da odio mortale per il fratello Tieste (gli ha sedotto la sposa), lo invita a un finto banchetto di riconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli. Poco si sa anche sul metodo di rappresentazione delle tragedie di Seneca, che si pensa fossero destinate soprattutto alla lettura in pubblico, piuttosto che in forma teatrale.

Le tragedie sono sempre alimentate dalla filosofia e dalla dottrina stoica dell'autore, i cui tratti fondamentali sono illustrati sotto forma di exempla nelle opere: le vicende si configurano infatti come conflitti di forze contrastanti, soprattutto all'interno dell'animo, nell'opposizione tra mens bona e furor, la ragione e la passione. Questo, tuttavia, è da considerarsi più che altro come substratum delle tragedie, sia perché abbiamo ben presenti le esigenze letterarie del tempo, sia perché nella tragedia di Seneca il logos si rivela incapace di frenare le passioni e di arginare, quindi, il male. Nascono perciò toni cupi e atroci, scenarî d'orrori e di forze maligne, in una lotta tra il bene e il male che oltre ad avere dimensione individuale, all'interno della psiche umana, assume un aspetto più universale. Ad esempio, la figura del tiranno sanguinario è quella in cui si manifesta più spesso il male, tormentato com'è dalla paura e dall'angoscia (è un tema che sarà presente, 1700 anni più tardi, nell'Alfieri) nel suo eterno problema del potere.
A parte va considerata l'Octavia, una commedia praetexta (cioè di argomento romano), ove si rappresenta la sorte di Ottavia, la prima moglie di Nerone e da lui ripudiata e fatta uccidere. Il fatto però che venga preannunciata in maniera troppo corrispondente alla realtà la morte di Nerone, lascia trasparire forti dubbi sulla paternità della tragedia .
L'Apokolokýntosis
Il componimento narra la morte di Claudio e la sua ascesa all'Olimpo nella vana pretesa di essere assunto fra gli dei, i quali invece lo condannano agli inferi dove finisce schiavo del nipote Caligola e del liberto Menandro: una sorta di contrappasso dantesco per chi, durante il suo impero, ha riempito di liberti il governo romano. Si tratta, evidentemente, di una satira, che assume spesso toni parodisticamente solenni, aspetti coloriti e situazioni fortemente ironiche a scapito del poco amato imperatore Claudio. Apokolokýntosis è il titolo greco dell'opera - la quale in latino ha nome Ludus de morte Claudii - e significherebbe "deificazione di una zucca", con evidente riferimento alla cattiva fama di Claudio.


La pratica quotidiana della filosofia: le Epistulae morales ad Lucilium
Se è vero che non si possono distinguere i due momenti dell'ozio meditativo e dell'impegno civile, è tuttavia innegabile che nella produzione successiva al suo ritiro dalla scena politica egli si muove soprattutto nell'orizzonte della coscienza individuale. La sua più celebre opera di questo periodo sono le Epistulae morales ad Luvcilium, una raccolta di lettere di maggiore e minore estensione e di vario argomento indirizzate all'amico Lucilio. L'opera ci è giunta incompleta e si può datare al periodo del disimpegno politico (62). Lo spunto per la composizione di queste lettere sarà venuto probabilmente a Seneca da Platone e da Epicuro, in qualsiasi caso egli mostra la consapevolezza di introdurre nella cultura letteraria latina un genere nuovo, distinto dalla tradizione più illustre rappresentata da Cicerone. Il modello cui egli intende uniformarsi è Epicuro, colui che nelle lettere agli amici ha saputo arrivare ad un alto grado di formazione e di educazione spirituale. Seneca è convinto che lo scambio di lettere permetta di ottenere un'unione con l'amico che, fornendo direttamente un esempio di vita, si rivela più efficace di un insegnamento dottrinale.

La lettera è maggiormente vicina alla vita reale e permette di proporre ogni volta un nuovo tema; Seneca utilizza la lettera come strumento ideale soprattutto per la prima fase della direzione spirituale, fondata sull'acquisizione di alcuni principi basilari. Inoltre il genere epistolare si rivela appropriato ad accogliere un tipo di filosofia, come quella di Seneca, priva di sistematicità e incline soprattutto alla trattazione di aspetti parziali o singoli temi etici. Col tono pacato di chi non si atteggia a maestro severo ma ricerca egli stesso la sapienza, Seneca propone l'ideale di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione, ad un perfezionamento interiore mediante un'attenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri e altrui. Il distacco dal mondo e dalle passioni che lo agitano si accentua, nelle Epistole, parallelamente al fascino della vita appartata e all'assurgere dell'ozio a valore supremo: un ozio che non è inerzia, ma alacre ricerca del bene.
INTERIORITA' IN SENECA

L'intus stoico diviene in Seneca l'elemento fondamentale della riflessione quando si parla del taedium vitae, della noia e del disgusto che affliggono chi vive un'esistenz che appare vuota di significato. Nel De tranquillitate animi, citando Lucrezio, Seneca accenna al motivo del se fugere, dell'uomo che attraverso il viaggio crede di poter sfuggire alle frustrazioni. Invece, l'intenzione della filosofia seneciana è proprio quella di divenire mirator anini sui, osservatori di se stessi. Nelle Epistulae domina il richiamo all'interiorità, alla necessità di trovare non all'esterno bensì dentro di sé la soluzione ai problemi esistenziali: Seneca ricorda in continuazione che è attuabile solo una conversione che avviene nell'intimo della coscienza.

Pierre Thevenaz,nel suo saggio L'interiorité chez Senèque, parte dal concetto di interiorità nella morale stoica, che distingue i beni esteriori che la Fortuna elargisce da quelli interiori di cui ogni uomo dispone. È una riflessione che si ritrova anche in Seneca, che oppone gli externa, gli aliena, ai domestica e ai sua: sono questi ultimi i vera bona, i soli contemplati dal saggio stoico. Essi non sono lubrica et incerta come gli altri, ma stanno al sicuro, in solido. Dunque Thevenaz fa un'osservazione interessante, che possiamo ricollegare a ciò che sostiene David sulla psicoanalisi in Italia. I fatto che Seneca situi la nozione di interiorità sul piano del possesso, e che lo faccia con un linguaggio "impregnato di spirito giuridico", rivela lo spirito romano che sottende alla sua filosofia.
In seguito Seneca non usa più questi termini, passa dal bona habere a bonum esse: ciò che il saggio possiede è la sua essenza , che si identifica per Seneca nella ratio.Il sapiens dunque si possiede, il sommo bene è dentro di lui, è lui stesso.


Lo stile drammatico

Se il fine della filosofia è giovare al perfezionamento interiore, il filosofo dovrà badare all'utilità delle parole, e non alla loro elaboratezza. Seneca rifiuta la compatta architettura classica del periodo ciceroniano, che nella sua disposizione organizzava anche la gerarchia interna, e dà vita a uno stile eminentemente paratattico che frantuma l'impianto del pensiero in un susseguirsi di frasi aguzze, il cui collegamento è affidato soprattutto all'antitesi e alla ripetizione. E Seneca fa uso di questo stile come di una sonda per esplorare i segreti dell'animo umano e le contraddizioni che lo lacerano, ma anche per parlare al cuore degli uomini ed esortare al bene.

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