Materie: | Appunti |
Categoria: | Latino |
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Data: | 17.07.2000 |
Numero di pagine: | 5 |
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Testo
Seneca
Si tratta di una figura di spicco della letteratura romana essendo, assieme a Cicerone, l’unico esponente della prosa filosofica romana. E’ poi l’unico poeta tragico del quale siano stati conservati tesi in modo non frammentario. Le sue tragedie ebbero grande diffusione già dal Medioevo.
1. Vita
Nato da una ricca famiglia provinciale di ramo equestre, dopo aver vissuto i primi anni della sua vita nella natale Cordoba, si trasferì a Roma dove studiò con Papirio Fabiano, Attalo (stoico) e Sozione (neopitagorico). Imparò dai suoi precettori costumi sobri ed austeri, che ben si conciliavano con la sua tendenza alla vita contemplativa. Per non dare un dispiacere al padre, dovette però seguire il cursus honorum e ricoprì la carica di questore, carica che, unitamente alle sue grandi qualità oratorio, lo fece entrare alla corte dell’imperatore. Ebbe però sempre rapporti difficili, dapprima con Caligola (che non lo fece uccidere solo grazie all’intervento di una donna), poi con Claudio, che accusatolo di adulterio, lo esiliò in Corsica nel 41 d.C. L’esilio durò otto anni, quando venne richiamato a Roma con l’incarico di precettore del giovane Nerone. Nel 54, Claudio morì, Nerone, neppure diciottenne, fu incoronato imperatore, e di fatto fu Seneca a reggere l’impero. Nel 59 Nerone fece uccidere la madre, ma Seneca restò al suo fianco finché nel 62 la sua posizione era troppo indebolita dalle brame dell’imperatore e il filosofo chiese di potersi ritirare. Seguirono tre anni (fino alla morte) di intenso studio e produzione letteraria. La sua morte avvenne su ordine di Nerone che lo accusò di essere implicato nella congiura dei Pisoni, ed egli la affrontò con coraggio e serenità, ispirandosi ai grandi filosofi del passato.
2. I Dialogi
Sono una raccolta di opere filosofiche, in tutto dieci distribuite in dodici libri (il De ira è in tre). Non sono dialoghi come quelli platonici, con un’ambientazione storica, anche se fittizia, ma l’autore parla in prima persona rivolgendosi al dedicatario dell’opera. Si incanalano quindi nel filone diatribico della filosofia cinico-stoica, anche per l’impostazione dicorsiva e per la frequente presenza di domande e risposte di un interlocutore fittizio (portavoce delle opinioni comuni spesso).
Consolatio ad Marciam
E’ l’opera più antica. Seneca vuole consolare Marcia, alla quale è morto un figlio. L’opera s’inserisce nella tradizione (tipica nella letteratura greca e attestata in quella latina nella Consolatio di Cicerone) della "consolazione filosofica". Si vuole dimostrare che la morte non è un male, perché è o la fine di tutto o il passaggio ad una vita migliore. Il carattere è retorico e lo stile molto sostenuto, e Seneca mostra la sua perfetta capacità di rielaborare il luogo comune oltre alla padronanza dei mezzi espressivi.
Consolatio ad Polybium
Si rivolge ad un potente liberto di Claudio, per la morte di un fratello. Essendo una consolatio mortis, l’argomentazione è simile a quella utilizzata nell’altra opera citata. La differenza è che qui Seneca aveva il preciso scopo di lodare l’imperatore Claudio, parlando al suo liberto, sperando in una grazia dall’esilio. L’elemento encomiastico è preponderante, tanto che secondo alcuni, l’attribuzione dell’opera non è certa. In realtà questa è la semplice prova che Seneca aveva "subito una sconfitta morale" (Traina).
De vita beata
Scritta nel periodo in cui il filosofo era a fianco di Nerone, l’opera è divisa in due parti : una teoretica, dove vengono espressi i dettami della dottrina stoica (vita secondo natura, ovvero secondo ragione), l’altra polemica, con riferimenti personali. Seneca contesta chi taccia i filosofi d’incoerenza perché non mettono in atto in prima persona i loro precetti morali : proporsi degli obbiettivi è già un merito, poi non è detto che il filosofo riesca a metterli in atto. "Che c’è di strano se [i filosofi] non arrivano in cima, avendo intrapreso una salita molto ripida?".
3. I trattati
L’impostazione formale è analoga a quella dei Dialoghi. I titoli sono : De clementia, De beneficiis, Naturales quaestiones.
De clementia
E’ un trattato di filosofia politica dove Seneca esalta la monarchia illuminata, palesando ancora una volta grande modernità di pensiero. Seneca elogia qui Nerone, che possiede la più grande virtù di un sovrano : la clemenza appunto, l’indulgenza cioè che adotta chi ha il potere nell’infliggere le pene.
4. Le Lettere a Lucilio
Sono l’ultima e più importante opera filosofica di Seneca. E’ una raccolta di 124 lettere, divise tra 20 libri, scritte tra il 62 e il 65 e intestate a Lucilio Iuniore. Sono una serie di riflessioni filosofico-morali. L’autore si presenta come un uomo che dopo aver sprecato gran parte della sua vita negli incarichi pubblici, può finalmente dedicarsi al perfezionamento morale. L’atteggiamento è quello di un maestro verso un suo giovane discepolo, ma tale orientamento può ritenersi genericamente rivolto ai posteri, non solo a Lucilio. Questo evidenzia come le Epistolae fossero state scritte già con l’intento di essere pubblicate (epistole letterarie, al contrario di quelle di Cicerone). E’ la prima volta nella letteratura romana che questo filone, tipico invece in quella greca (il modello principale è Epicuro, come viene dichiarato esplicitamente). Uno dei tratti caratteristici è il riferimento ad episodi personali dai quali la riflessione si allarga per divenire generale insegnamento morale. Il tono è quello del sermo, colloquiale, agile ma non volgare. Coerente con questa scelta stilistica è la mancanza di organicità nella trattazione, tanto nelle singole lettere quanto nella loro disposizione all’interno dell’opera. Tuttavia esiste un filo conduttore, rappresentato dai progressi morali di Lucilio, al quale Seneca si rivolge dapprima come ad un discepolo alle prime armi, ricorrendo sovente a massime brevi e concise. E’ un’esortazione alla filosofia morale (carattere parenetico). Poi, dopo l’epistola 30, Seneca nota copiaciuto i progressi dell’amico e passa a metodi d’insegnamento più impegnativi. I progressi sono intellettuali ma soprattutto morali, questi ultimi testimoniati dalla scelta dell’otium che Seneca caldeggia e alla quale Lucilio (che era procuratore in Sicilia) aderisce infine (come attestato nell’epistola 82). Questo dell’otium si ivela come uno dei temi conduttori dell’opera : Seneca reputa di aver fatto quella scelta troppo tardi, e che con troppo ritardo ha capito che la sapientia è la sola possibilità di raggiungere la virtù. Senza mai nominare Nerone, Seneca si mostra tuttavia leale al potere, attraverso la polemica con gli atteggiamenti di protesta. Preferisce all’adulazione dell’imperatore, la rievocazione di ricordi del padre (al quale era molto legato), dei suoi maestri, della sua amata moglie. Ma soprattutto è alla ricerca del vero bene, la virtù che si raggiunge abbandonando le frivolezze, e mostra di essere restio al contatto con la folla. Aderisce alla dottrina stoica, ma non esita a criticarne le cavillose sottigliezze dialettiche, cita Epicuro (per il quale Lucilio simpatizzava) dicendo che la verità è proprietà comune. E proprio ispirandosi agli epicurei, si prepara alla morte, che assieme al tempo è un altro importante tema dell’opera, dicendo che liberarsi della paura di essa è compito di ogni filosofo : chi ha realizzato l’autarkeia (autosufficienza) non ha nulla da temere né da rimpiangere. E’ importante come si vive, non quanto. Per questo, in alcuni casi è lecito o doveroso decidere di morire.
5. Le tragedie
Sono tutte basate sullo scatenarsi di passioni rovinose, che sono il motore delle disgrazie che affliggono i personaggi. Da un lato la ragione, arppresentata da personagi minori ed ignorati, dall’altro il furor, che ha una rilevanza ben superiore alle reali esigenze del genere tragico. Seneca enfatizza i tratti negativi per renderli moniti invalicabili, fortissimi esempi negativi. Indugia anche su elementi cruenti e patetici, come era uso in Grecia e come attestato nella letteratura latina con Lucano.
6. L’Apokolokyntosis
E’ una satira menippea (con mescolanza di versi e prosa) dove Seneca dà sfogo al suo odio per Claudio. L’interpretazione del titolo è discussa : "trasformazione in zucca", "deificazione di una zucca" o forse una struttura idiomatica tipo "infinocchiare". L’autore mostra una volta ancora la sua abilità nel giostrarsi tra diversi registri e livelli linguistici, sempre mantenendo una caustica ironia e una verve mordente.