Orazio: versioni tradotte

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Testo

CARMINA
CARMINA I, 9
Noti come il Soratte sia candido per l’alta neve ed ormai le selve affaticate non sostengano il peso ed i fiumi si siano fermati per il gelo acuto? Dissolvi il freddo spargendo abbondantemente la legna sul fuoco e versa più benignamente il vino [vecchio] di quattro anni dall’anfora sabina, o Taliarco. Lascia le altre cose agli dèi, che hanno appena prostrato i venti che combattevano sul mare agitato, e né i cipressi né i vecchi olmi sono agitati. Rifuggi dal chiedere che cosa sia il futuro domani, e qualunque giorno la sorte ti darà, poni[lo] a guadagno, e non disprezzare, o fanciullo, i dolci amori, né le danze, finché la noiosa canizie sta lontana da te verdeggiante. Ora si cerchino il campo, le piazze ed i leggeri sussurri durante la notte all’ora stabilita, ora [si cerchi] anche la gradita risata, traditrice della fanciulla che si nasconde dall’angolo oscuro ed il pegno strappato dalle braccia o dal dito che male lo trattiene.
CARMINA I, 11
Tu non chiedere (è inutile saperlo) quale fine gli dei abbiano assegnato a me, quale a te, oh Leuconoe, e non tentare i calcoli dei babilonesi.Quanto meglio sarà sopportare qualsiasi cosa, sia che Giove ci abbia assegnato molti inverni, sia che che ci abbia assegnato l’ultimo, che ora squassa il mar Tirreno sugli opposti scogli: sii saggia, mesci il vino e recidi la lunga speranza poiché lo spazio è breve. Mentre parliamo il tempo invidioso sarà già passato: cogli l’attimo, fidandoti del futuro il meno possibile.
CARMINA I, 37
Ora si deve bere, e con il piede battere la terra in libertà, ora, era già tempo, amici, di ornare il convito sacro degli dei con vivande dei sacerdoti Salii. Era sacrilegio, prima d'ora, trarre dalle cantine avite il Cecubo riposto, mentre al Campidoglio preparava la regina folli rovine e morte all'impero, lei, col suo greggio immondo di uomini turpi, sfrenata nelle sue speranze, ubriacata dalla dolce sua fortuna. Ma fu follia placata da quella sola nave scampata al fuoco, e la sua mente allucinata dal vino di Mareia Cesare ricondusse alla realtà paurosa, incalzando con la forza dei remi lei che veloce fuggiva dall'Italia, come sparviero incalza le tenere colombe, come il cacciatore le lepre che corre nelle pianure della nevosa Emonia, per consegnare alle catene quel segno funesto del destino. Ma nobilmente lei cercò la morte; non ebbe femminile timore della spada né ripegò con la flotta veloce verso coste remote: e osò guardare la sua reggia umiliata con sereno sguardo, coraggiosa a toccare terribili serpenti per assorbire nel suo corpo il nero veleno, resa più fiera dalla morte così deliberata, per sottrarsi ai vascelli nemici, per impedire d'essere condotta, come donna comune, lei, donna regale, al superbo trionfo.
CARMINA III, 13
O fonte di Bandusia, più rilucente del cristallo, degna di dolce vino insieme con i fiori, domani ti sarà donato un capretto, al quale la fronte gonfia per le corna che cominciano a spuntargli prepara sia amore sia battaglia.
Invano: infatti la prole del gregge lascivo, in tuo onore, sporcherà di rosso sangue le tue fresche correnti.Non sa toccarli l’ora cocente dell’infuocata Canicola, tu offri ai tori stanchi dell’aratro e al gregge vagante una dolce frescura. Anche tu diverrai (una) delle fonti celebri, poiché io canto l’elce, posto sopra le rocce incavate, donde, mormorando, precipitano giù le tue acque.
CARMINA IV, 7
Le nevi sono svanite, già tornano le piante alla pianura e le chiome agli alberi; la terra muta aspetto e i fiumi decrescenti scorrono entro la riva; la Grazia con le Ninfe e le due sorelle osa danzare nuda. Non sperare cose immortali, ti ammonisce l’anno e l’ora che rapisce il giorno che da vita: i freddi sono mitigati agli Zefiri, l’estate scaccia la primavera ma è destinata a morire non appena il pomifero autunno avrà riversato i frutti e presto torna l’inverno inerte. Tuttavia le celeri lune riprendono i doni del cielo;( ma ) noi quando siamo caduti dove (sono finiti) i l pio Enea ; il ricco Tullio e Anco siamo polvere e ombra. Chi sa se alla somma dei giorni raggiunta oggi gli dei auguri vogliono aggiungere le ore del domani? Tutte le cose che avrai concesso al tuo animo sfuggiranno alle mani avide dell’erede. Quando sarai morto e Minasse avrà pronunciato su di te una solenne sentenza , non la tua nobile stirpe , o Torquato, non la tua abilità di oratore, non la tua pietà ti restituiranno alla vita.infatti ne Diana libera dalle tenebre infernali il casto Ippolito ne Teseo riesce a spezzare al catene al caro Piirino.
SERMONES
IBAM FORTE VIA SACRA (Sermones I, 9)
Me ne andavo senza meta lungo la via Sacra, così com’è mia abitudine, meditando non so quali sciocchezze, tutto immerso in esse: mi si fa incontro un tale noto a me solo di nome e dopo avermi afferrato la mano “Che cosa fai, o mio dolcissimo?” “Bene, fino ad ora” dico “e ti auguro ogni bene”. Dal momento che continuava a seguirmi, “Forse vuoi qualcosa?” lo prevengo.
Ma quello dice “Dovresti conoscermi, siamo letterati”. A questo punto io rispondo “Per questo sarai stimato maggiormente”. Tentando miseramente di andarmene ora andavo più velocemente, talvolta mi fermavo, dicevo nell’orecchio al servo un non so che mentre il sudore scendeva giù fino in fondo ai calcagni. “Felice te, o Bolano, per la tua testa calda” dicevo silenzioso mentre quello cianciava di qualsiasi cosa lodando le vie, la città. Poiché non gli rispondevo niente “Desideri miseramente andartene” dice “già da lungo tempo lo vedo, ma non ce la farai, ti terrò per sempre, ti seguirò da qui fin dove sei diretto ora”. “Non c’è affatto bisogno che tu vada fuori strada: voglio andare a far visita ad uno che non ti è noto; è a letto lontano al di là del Tevere, vicino ai giardini di Cesare”. “Non ho niente da fare e non sono pigro: ti seguirò continuamente”. Abbasso le orecchie, come un asinello, quando sopporta un carico troppo pesante sul dorso. Egli inizia: “Se mi conosco bene, non stimerai di più l’amico Visco, né l’amico Vario; infatti chi potrebbe scrivere versi in maggior numero o più velocemente di me? Chi potrebbe danzare più elegantemente? Io canto in modo che potrebbe invidiarmi anche Ermogene”. Questo era il momento di interromperlo: “Hai una madre, dei parenti ai quali è necessario che tu sia salvo?” “Non ho nessuno. Ho sepolto tutti”. “Felici! Ora rimango io. Finiscimi: e infatti pesa su di me un amaro destino che a me fanciullo predisse una vecchia Sabina, dopo aver scosso l’urna profetica: costui non lo uccideranno né gli atroci veleni, né la spada nemica, né la pleurite o la tosse, né la gotta che rende lenti; costui una volta o l’altra lo ucciderà un chiacchierone; eviti, se ha giudizio, i loquaci non appena sarà giunta l’età matura”.
[...da vv. 35 a vv. 43]
“Come vanno le cose tra te e Mecenate?” riprende da qui; “E’ una persona di pochi amici e di mente ben assennata”. “Nessuno ha sfruttato la fortuna più abilmente di lui. Avresti un grande collaboratore che potrebbe farti da spalla se tu volessi presentargli questo uomo (= il seccatore), che mi prenda un colpo se tu non avresti già soppiantato tutti i tuoi rivali”. “Non viviamo nel modo che tu immagini là, non c’è alcuna casa più pulita di questa né più aliena da queste meschinità; non m’infastidisce affatto che uno sia più ricco o più dotto, ognuno ha il suo posto”. “Racconti una cosa grande, a stento credibile”. “Eppure è così”. “Mi invogli a desiderare maggiormente di essere vicino a lui”. “Dovresti solo volerlo: data la tua virtù lo conquisterai; ed è tale che può essere vinto e per questo rende difficili i primi approcci”. “Non mi risparmierò: corromperò i servi con le mance, se oggi sarò messo alla porta non mi arrenderò; cercherò i momenti opportuni, gli andrò incontro nei trivi, lo accompagnerò. La vita non ha dato niente ai mortali senza grande fatica”. Mentre sproloquia così ecco che viene incontro Aristio Fusco, a me caro, e che conosceva bene quel tipo. Ci fermiamo. “Da dove vieni?” e “dove vai?” domanda e risponde. Comincio a tirargli la toga e a stringere con la mano le sue braccia totalmente insensibili, ammiccando, storcendo gli occhi perché mi liberasse. Quel burlone maligno ridendo faceva finta di niente; la bile mi bruciava il fegato. “Se non sbaglio dicevi che volevi parlarmi non so di che cosa a quattr’occhi”. “Mi ricordo bene ma te lo dirò in un momento più opportuno; oggi è il trentesimo sabato, è il novilunio ed è sabato: vuoi forse mancare di rispetto agli ebrei circoncisi?”. “Non ho nessuna superstizione”. “Ma io sì: sono un po’ più credulone; uno dei molti. Mi perdonerai: te ne parlerò un’altra volta”. Una giornata così nera doveva capitarmi! Fugge il furfante e mi lascia sotto il coltello. Per fortuna viene incontro a lui (= al seccatore) il suo avversario e “Dove scappi tu, canaglia? “ Grida a gran voce e (a me): “Vuoi farmi da testimone?”. Io in verità gli porgo l’orecchio. Lo trascina in giudizio: clamore da entrambe le parti, un accorrere di gente da ogni parte. Così mi salvò Apollo.

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