Orazio, satira I,9

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Testo

Commento : Orazio, Sermones, Libro I, Satira 9
La satira del "seccatore"

La nona satira del primo libro dei Sermones di Orazio, composta tra il 37 e il 33 a.C., presenta una situazione comica in cui il poeta viene a trovarsi: mentre, infatti, egli sta facendo una passeggiata immerso nei suoi pensieri, all'improvviso viene infastidito da un uomo, un vero e proprio seccatore, deciso a non lasciarlo più. Orazio, con la sua abilità di descrivere la psicologia umana, traccia un ritratto molto dettagliato di questo scocciatore: è una persona sfacciata, tenace, pronta tutto pur di raggiungere il suo scopo, che è quello di garantirsi un buon "aggancio" per entrare a far parte del circolo di Mecenate e far aumentare, così, la sua considerazione sociale. Contro questo seccatore senza scrupoli, che lo ha colto totalmente alla sprovvista, Orazio non può che usare una sola arma per difendersi: l'ironia, che nasce all'inizio sotto forma di semplici allusioni (l'uso, ad esempio, di formule di congedo, come il "Num quid vis?" del verso 6) e diviene poi, a partire dal verso 8, un palese mezzo attraverso il quale il povero poeta cerca di allontanare il suo "persecutore". Ma l'ironia, benché sempre più forte ed evidente, non può nulla contro l'ostinazione del seccatore, ed è per questo che Orazio, consapevole, decide di chiudersi in una vera e propria autoironia: è così che ascolta lo scocciatore che dichiara la sua "condanna" ("Usque tenebo;/persequar hinc quo nunc iter est tibi", "Ti terrò ben stretto; ti seguirò ovunque andrai", versi 15-16), ma a denti stretti sussurra frasi a sé stesso e al suo servitore Bolano. Un momento particolarmente comico del componimento è compreso tra i versi 60-74, che vedono l'entrata in scena di un nuovo personaggio, Aristio Fusco, amico di Orazio. Questi, pur comprendendo bene la situazione in cui si trova il poeta, finge di non capire e si diverte a lasciare l'amico in balia del suo persecutore. In questi versi la figura del seccatore sembra farsi indietro, quasi scomparire, per lasciare il posto al gioco di simulazioni e allusioni che si instaura tra Fusco e Orazio ma che, comunque, non fa uscire quest'ultimo dal suo "martirio". Sarà, infatti, solo il dio Apollo a mettere fine alle torture" subite dal poeta.
La satira è articolata secondo lo schema tipico della commedia: si possono, infatti, individuare al suo interno un prologo, una parte centrale articolata in quattro scene e un epilogo. Il linguaggio utilizzato dall'autore varia costantemente, a seconda della situazione da descrivere. Nel prologo esso è molto sostenuto, ed ha come scopo principale quello di tracciare il ritratto del seccatore; dal verso 20 al 34 c'è una prevalenza di termini tratti dal linguaggio familiare e colloquiale, che contribuiscono a sottolineare la comicità del dialogo tra "vittima" e "carnefice" e introducono i versi in cui viene citata la profezia della Sabella; nei versi 35-60 è presente un'alternanza tra elementi raffinati ed elementi popolari, volta a creare una forte contrapposizione tra il carattere basso e meschino del seccatore e la cortesia, la sincerità e la modestia tipiche di Orazio e dei frequentatori del circolo di Mecenate. Il linguaggio diviene poi il "campo di battaglia" della lotta tra Orazio e Fusco, e si riempie, perciò, di espressioni scurrili e di imprecazioni; l'epilogo è, invece, dominato da una sintassi rotta, quasi singhiozzante. Infine è interessante notare come all'interno del componimento Orazio riesca a integrare i dialoghi e le sequenze narrative, creando un perfetto equilibrio e dando ancora una volta prova di un'abilità poetica comune a pochi.

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