Orazio

Materie:Altro
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Testo

Orazio
Biografia
Quinto Orazio Flacco nasce l’8 dicembre del 65 a.C. a Venosa,al confine tra la Puglia e Lucania. La famiglia è di umili origini:il padre,un liberto che ha raggiunto grazie al suo lavoro di esattore una condizione discretamente agiata,vuole che il figlio sia educato a Roma presso i migliori maestri. Intorno al 45-44 a.C. Orazio si reca ad Atene allo scopo di perfezionare la sua cultura. Quando viene a sapere che Bruto e Cassio, stanno organizzando un esercito per difendere la res publica,minacciata dalla tirannide,si arruola,giungendo fino al grado di tribuno militare. Nel 42 a Filippi, Orazio fugge abbandonando le armi. Si salvò miracolosamente e riuscì a tornare a Roma durante un armistizio (41), profittando del condono politico di Ottaviano, ma senza protezioni politiche. Intorno al 41-40 in seguito ad un’amnistia può tornare a Roma: la proprietà paterna a Venosa è stata confiscata, il padre è morto e la carriera civile ormai preclusa. Orazio cosi lavora come dipendente per conto dei questori. Furono gli anni in cui le delusioni e le ristrettezze economiche diedero ad Orazio uno stimolo nuovo e ardito, uscire cioè dall’anonimato. Intanto insieme a Vario e Virgilio frequenta la scuola epicurea di Sirone tra Napoli ed Ercolano, Ed è grazie a loro che viene presentato a Mecenate,il colto e raffinato etrusco consigliere politico di Ottaviano,attorno al quale si andava formando un circolo di intellettuali:la letteratura orientava il consenso,mentre il principato sosteneva economicamente gli artisti;e con il quale nasce una profonda amicizia che verrà interrotta solo alla morte. Nel 37 Orazio fece parte con Virgilio e Vario in una delicata missione diplomatica a Brindisi. Negli anni successivi vive tra Roma e la villa sabina, donatagli da Mecenate. Dopo la morte di Virgilio,Orazio è ormai il poeta più rappresentativo della sua età:a lui viene affidata nel 17 a.C. la composizione del solenne Carmina Saeculare, in onore di Apollo e Diana, da cantare appunto durante i "ludi saeculares": occasione, questa, particolarmente solenne, dato che quei ludi in quell'anno sancivano ufficialmente l'inizio della "Pax Augusta". Muore il 27 novembre dell’8 a.C. e fu sepolto sul colle Esquilino,accanto all’amico Mecenate. Dal 41 al 30 a.C. scrisse contemporaneamente i primi due libri delle Satire e gli Epodi; nel 23 a.C. pubblicò tre libri di Odi e un quarto si aggiunse nel 13 a.C.; nel 17 a.C. pubblicò il Carmen saeculare. Nel frattempo scrisse le Epistole, pubblicate nel 20 a.C.. Pochi anni dopo pubblicò la sua opera più ambiziosa, l'Ars poetica.
Opere
Premessa. L'attività poetica di O. si svolge su piani diversi e paralleli, coagulandosi essenzialmente su tre generi: satira esametrica, poesia giambica e poesia lirica. A tal proposito, si usa generalmente distinguere 3 fasi, in prospettiva con l'evoluzione culturale dell'uomo e con la condizione politica di Roma:
1. la I fase (43-30 a.C. ca) appartiene all'età giovanile del poeta: è il tempo degli "Epodi" e delle "Satire" più antiche, in cui emerge lo stato di agitazione e di sconforto del poeta, ed irrompe il suo risentimento verso i nemici politici dopo Filippi.
2. la II fase (30-23 ca) coincide praticamente con la composizione delle "Odi", e più esattamente dei primi 3 libri: è il momento in cui vengono a ridimensionarsi la dialettica e la lotta politica, e quasi di conseguenza il poeta, che aveva già cominciato ad usare nelle satire ultime un tono più moderato e bonario, si dedica decisamente alla lirica. E' così che egli scopre se stesso, e la sua tecnica si fa soggettiva ed introspettiva; lasciati da parte odi personali e contingenze particolari, eleva il tono universale della sua poesia, tripudiando per il successo di Ottaviano ad Azio, che pone fine alle lacerazioni delle guerre civili;
3. la III fase (23-13 ca), infine, è quella della piena maturità del poeta, emulo, come già Virgilio nell’"Eneide", della composizione di versi paradigmatici per i fasti della sospirata Pace augustea. Appartengono a questo periodo i 2 libri delle "Epistole", il "Carme secolare" e il IV libro delle "Odi".
Gli Epodi
La composizione degli Epodi ha inizio intorno al 42-41 e si conclude dopo la battaglia di Azio,quando il poeta è ormai integrato nell’ambiente culturale augusteo. Il libro pubblicato nel 30 a.C. e dedicato a Mecenate, comprende 17 componimenti. Il titolo scelto da Orazio doveva essere quasi certamente Iambi, che indicava sia determinate forme metriche,sia il genere letterario reso illustre in Grecia:una poesia di tono aggressivo e realistico,nella quale predominavano i sentimenti dell’ira e della rabbia. I grammatici antichi chiamarono il libro Epodi, in riferimento all’intero distico costituito da un verso più lungo e un altro più breve modellato sul precedente. Orazio emula i greci Ipponatte e soprattutto Archiloco, anche se il suo "furor" è, in verità, talvolta alquanto letterario. Tuttavia, gli "Epodi" sono fondamentalmente più violenti delle "Satire", e più amari: il poeta vi deplora le disgrazie della patria e afferma la propria indignazione per alcuni scandali derivati dalle guerre civili .Ora, quindi, sono appunto le ansie per il pericolo della guerra civile (epodi VII e XVI); ora invettiva contro un abietto tribuno militare (IV), contro un ringhioso codardo (VI), contro un poetastro (X), contro una vecchia libidinosa (VIII e XII), contro una strega (V e XVII).Tuttavia, in fondo, anche qui affiora la proverbiale "mitezza" di Orazio. Il modello giambico pretendeva un linguaggio eccessivo ed enfaticamente teso, esuberante nell’uso delle immagini e delle figure retoriche. Può sembrare curioso che Orazio esordisca come poeta dell’eccesso e dell’invettiva. Non mancano tuttavia momenti più misurati e Orazio sembra piuttosto orientato a sperimentare diverse forme di linguaggio e di stile, dai termini più ricercati a quelli più crudi.
Le satire o Sermones
Parallelamente alla poesia degli Epodi, Orazio coltiva negli stessi anni un altro genere poetico, la satura, sorta in Roma con Ennio e codificata alla fine del secolo precedente a Lucilio. Nei manoscritti a noi pervenuti le Satire di Orazio vengo designate con il termine di Sermones. Esse sono divise in 2 libri: il I (35-33 a.C.) ne comprende 10, il II (30 a.C.) ne comprende 8.
Entrambi i libri sono dedicati a Mecenate. Tre Satire richiamano esplicitamente il nome di Lucilio, al quale Orazio riconosce il primato nell’invenzione satirica e un indiscutibile magistero. Di Lucilio Orazio apprezza la componente autobiografica,l’osservazione dei costumi e la piacevolezza della narrazione;rifiuta invece lo spirito aggressivo e lo stile. In Orazio prevale l’approfondimento morale; invece di attaccare le persone nei loro vizi, Orazio attacca i vizi,gli eccesso nelle persone.
Le Satire di Orazio possono essere suddivise in due tipologie diverse:
-satire di carattere narrativo e rappresentativo,centrate sul racconto di un episodio
-satire di carattere discorsivo e dialogiche, centrate sul momento riflessivo e argomentativi, spesso sviluppato attraverso dialoghi, discussioni
Nelle satire di primo tipo prevalgono gli aspetti autobiografici e descrittivi; nelle satire di secondo gruppo gli aspetti filosofici.
Nel I libro Il poeta insomma ricerca una morale di autosufficienza e di libertà interiore, valendosi di uno straordinario senso critico e autocritico, oltre che del suo tatto e della sua conoscenza del mondo: il ragionamento si mantiene sempre sul piano psicologico-umano, e la polemica non è tanto contro i vizi in sé, quanto contro la loro vera radice, ovvero l’eccesso: come dire che egli si propone non certo di cambiare la società romana ed il modello etico di riferimento, ma almeno di fornire qualche utile elemento di riflessione per intervenire sulla coscienza dei singoli. L’uomo è felice quando sa appagarsi di ciò che ha senza pretendere altro dal proprio destino;l’infelicità è frutto dell’ignoranza.
Ironia e autoironia sono una componente essenziale di questa poesia:Orazio è disposto a prendersi amenamente in giro e a divertire i suoi lettori.
Nel II libro,il poeta fa prevalere la forma dialogica,mentre si riduce decisamente lo spazio riservato alla voce del poeta e di conseguenza il momento autobiografico. Orazio mostra di aver perso la fiducia nella funzione della satira, nella possibilità cioè di tracciare empiricamente una linea di condotta morale a partire dall’osservazione della multiforme e contraddittoria realtà sociale contemporanea. Adeguandosi ai dettami delle poetiche alessandrine, la satura oraziana acquista una misura e un rigore formale sconosciuti a quella luciliana. Raffinatezza ellenistica, naturalezza colloquiale e tono medio sono i caratteri di questa poesia che si avvicina alla prosa pur conservando le movenze eleganti del verso. La Satira oraziana riesce a conciliare la dimensione satirica dell’apparente informalità e casualità con un rigoroso e raffinato esercizio di stile.
Orazio non ha l’ambizione di rivolgersi a un vasto pubblico;egli destina il frutto della propria ricerca poetica e morale in primo luogo a se stesso e poi a coloro ai quali si sente legato da un’affinità umana e intellettuale.
Spunti autobiografici si riscontrano nelle satire: I4 (sul padre adorato); I6 (sulla presentazione a Mecenate); I5 (sull'avventuroso viaggio a Brindisi al seguito di Ottaviano); II6 (in cui esprime la gioia per la villa donatagli). Satire più propriamente etico-filosofiche sono invece: I2 (sull’adulterio; vigorosa); II3 (sulla pazzia degli uomini, eccetto il filosofo; briosa).
Le odi
Le "Odi" constano in tutto di 4 libri: i primi 3 (88 odi), dedicati a Mecenate, furono pubblicati nel 23 a.C. ; il IV (15 odi: quindi, in tutto 103 odi) nel 14-13 a.C. Orazio per celebrare la vittoria di Druso e Tiberio su Reti e Vindelici. L’ispirazione oraziana qui si modifica e purifica in composizioni raffinatissime, chiuse nel giro di strofe perfette: in questo senso, potremmo dire che le "Odi" si caratterizzano come un riuscito tentativo di trasferire a Roma i ritmi della poesia eolica e rappresentano, per molti versi, l'opera più matura del nostro poeta. Del resto, lo stesso Orazio altrove aveva precisato la distinzione, all'interno della sua produzione, tra poesia giambica e poesia lirica, attribuendo proprio a quest'ultima il merito della sua gloria di poeta. Le liriche sono organizzate in modo da creare un’architettura ricca di simmetrie e di rispondenze: le odi di apertura e di chiusura sono indirizzate a personaggi importanti o dedicati a questioni di poetica. La struttura si fonda sul criterio ellenistico della variatio, seguito sia sul piano metrico-formale che su quello dei contenuti. Ellenistica è l’organizzazione strutturale dell’opera;orientata verso il mondo classico è invece la scelta dei modelli:negli Epodi Archiloco;nelle Odi Alceo e Pindaro,che rappresentano i due poli della lirica oraziana:Alceo per i carmi di materia e di stile tenue;Pindaro per quelli di tono e di contenuto alto. Di Alceo Orazio apprezza la molteplicità dei temi e dell’ispirazione. Restano profonde le differenze tra i due poeti:Alceo era un aristocratico che aveva partecipato attivamente alla vita politica della sua città,mentre Orazio si limita su questo fronte a svolgere motivi di carattere celebrativo,restando ai margini degli eventi pubblici;i versi di Alceo nascevano da precise occasioni sociali ed erano destinati a un’esecuzione orale per un uditorio circoscritto e ben definito,mentre la poesia di Orazio è il frutto di una civiltà cosmopolita fondata sulla scrittura e sulla circolazione del libro. E Pindaro,che Orazio considera inimitabile per la potenza fantastica ed espressiva delle sue liriche.
Orazio afferma di poter essere solo un umile ape che coglie il dolce timo per i boschi lungo le rive di Tivoli con fatica. Orazio si rifà al modello pindarico soprattutto nei momenti più alti e solenni della sua poesia. Egli rappresenta agli occhi di Orazio,un esempio di vates,un poeta sacro ispirato da forze superiori,guida spirituale di una comunità:da lui deriva anche il tema dell’immortalità della poesia,sul quale si concluse la raccolta dei primi tre libri delle Odi.Il rapporto di Orazio con i modelli classici ed ellenistici si sviluppa attraverso i tradizionali procedimenti allusivi diffusi in Roma dall’esperienza della poesia alessandrina e neoterica:l’imitazione si traduce allora in emulazione,in una sfida al modello preesistente che non viene occultato bensì esibito,proprio perchè il lettore sia messo in grado di verificare la novità e l’originalità delle soluzioni adottate.
I temi maggiori delle odi.
Come già risulta evidente, all'estrema varietà metrica e ritmica di quest'opera si associa un altrettanto straordinaria e variegata sequela di motivi filosofici, personali, amorosi, conviviali, storico-politici ed ideologici, tuttavia trattati in un'espressione sempre molto misurata della propria interiorità di poeta. E' possibile, tuttavia, estrapolare alcuni temi che sono rimasti particolarmente e giustamente celebri per la profondità del loro insegnamento e per la partecipazione e la chiarezza con cui sono comunicati. Ad es., una delle intuizioni fondamentali dell’epicureismo era il valore proprio di ogni istante: Orazio se ne impadronisce e ne fa uno dei cardini privilegiati del suo lirismo. Il "carpe diem", nel quale si è pensato di poter riassumere questa sua "saggezza", è innanzitutto il nucleo di una poetica: non è tanto la ricerca, cioè, fine a se stessa, del piacere, ma il tentativo di scoprirlo nel puro e semplice fatto di vivere. Le odi svolgono temi e motivi molto vari. La preminenza che possiamo accordare agli uni piuttosto che agli altri dipende almeno in parte dal nostro gusto di lettori moderni,portati a privilegiare la poesia di ispirazione privata e autobiografica su quella di ispirazione pubblica e civile. Gli interessi filosofici continuano a prevalere nelle poesie delle odi. L’equilibrio interiore,i modi definiscono un ideale di saggezza che il poeta sente tuttavia costantemente insidiato:il dialogo esistenziale,il sentimento del tempo,e il pensiero della morte costituiscono dunque il polo più malinconico e struggente della lirica oraziana. Il senso della fugacità della vita acquista qui massimo rilievo e ispira tra le "odi" più celebrate: I11 (v’è il famoso motivo del "carpe diem"), I24 (in morte del poeta Varo), I28 (sulla tomba del pitagoreo Archita), II14 (a Postumo). Ma proprio la conoscenza del limite e la fuga del tempo determinano l’esigenza di cogliere l’attimo che fugge:carpe diem,espressione che ha goduto anch’essa di grande fama nei secoli. Sottrarsi al sentimento ansioso del tempo significa salvarsi dal domani,scacciare il pensiero del futuro,un monito che il poeta ripete spesso con accenti vigorosamente sentenziosi. Benché numerosi e di alto livello artistico i carmina erotici restano in fondo ai marginali nei quattro libri delle Odi. Orazio non canta però la passione ardente e tormentosa dei poeti elegiaci,ma nei suoi carmini l’amore si configura quasi sempre come esperienza piacevole,razionalmente controllata,un gioco eccitante e leggero sovente risolto in elementi decorativi se non addirittura in forme di elegante parodia. Situazioni ed episodi non vanno a comporre una storia,ma si esauriscono nel breve,nitido giro di versi del singolo componimento. Attinto alle correnti filosofiche dell’epoca (in special modo, l’epicureismo), ma filtrato dalla sensibilità dei lirici greci (ad es., Mimnermo), tale senso di fugacità aleggia come malinconia leggera su questa poesia, che è pure sostanzialmente limpida e serena. Di nuovo, dappertutto traspare la bonaria umanità, che si esprime soprattutto in un trepido senso dell’amicizia, nel gusto della compagnia (le cosiddette "odi conviviali"), nel controllo stesso delle passioni nelle non poche odi dedicate a donne i cui modi celano quasi certamente reali. Educato sui testi della cultura neoterica e alessandrina,Orazio si mantiene sempre fedele al precetto del labor limae:accuratezza formale,gusto delle rispondenze e delle simmetrie interne al teso e al libro,scelta dal vocabolario più appropriato. Ma contemporaneamente si volge a un gusto più sobrio e misurato dell’espressione.
Il vocabolario delle Odi è semplice ed essenziale. L’attenzione maggiore è indirizzata alla collocazione delle parole e cioè a quella tecnica che il poeta stesso chiama callida iunctura:risemantizzare un vocabolo di uso comune creando nuove combinazioni espressive. Il disegno sintattico è generalmente limpido e composto,lontano da ogni complicazione strutturale;e anche quando sperimenta moduli di maggiore complessità,il poeta sa sempre evitare il rischio dell’espressione involuta ed oscura. Concisione ed essenzialità,cura estrema nella disposizione delle parole,perfetta aderenza tra suono,immagine e concetto costituiscono il segreto della lirica oraziana. Se O. nei "Sermones" era apparso, così, poeta e narratore, nelle "Odi" si rivela nelle vesti di un sublime "moralista": non perché vada predicando una morale, ma perché eccelle nel cogliere e nell’esprimere in un ritmo, in un accostamento di parole, nella suggestione di un’immagine, un’ "esperienza" privilegiata che illumina l’anima e la rivela a se stessa. In questa prospettiva, Orazio canta l' "otium", che è anche e soprattutto quiete dell’intelletto e dell’anima, libertà interiore: il "carmen" prolunga la strada imboccata col "sermo", trasfigurando ciò ch’era stato consiglio obiettivo in scoperta dell’anima. Il pensiero stesso della morte, anziché rivelarsi amaro, dà tutto il suo valore alla rinnovata presenza della vita. La fugacità della vita e l'invito a vivere intensamente ogni attimo non come ricerca del proprio egoistico piacere, ma per sconfiggere la precarietà della nostra esistenza e la paura della morte, abbandonandosi alle gioie semplici della vita. L’aspirazione a una vita semplice e serena, vissuta secondo gli ideali del controllo e del dominio di sé, il senso della misura e dell'equilibrio propri del saggio, capace di cogliere ciò che la vita veramente offre, senza desiderare altro. L’amore e l'amicizia, conforto per l'uomo, portatori di ore serene. La celebrazione della poesia come scelta di vita, di isolamento dalla massa, che rende l'uomo partecipe di una dimensione divina. La patria e la poesia civile: le Odi romane esaltano la grandezza di Roma e il programma augusteo, realizzazione degli ideali etico-religiosi tipici del mos maiorum
Il Carmen Saeculare
Come già ricordato, Augusto nel 17 a.C. indice i "ludi Saeculares", nel momento più adatto, scelto con grande abilità, per celebrare i ludi, testimonianza di un'epoca di guerre e di lotte civili che si chiude e di un'era di pace che si apre. Morto Virgilio nel 19, nessun altro poeta poteva ricevere l'incarico di comporre l'inno per i ludi, perché nessuno più di Orazio aveva dimostrato, specialmente con le odi romane, di saper interpretare l'essenza della grandezza di Roma. Orazio accettò l'incarico, che significava per lui riconoscimento del suo ruolo di poeta nazionale e, più ancora, consacrazione della sua attività lirica, che appunto dalla composizione del "Carmen saeculare" trasse nuova linfa e riprese sostanza. Così, il poeta affida al canto di due cori di giovani, l’uno maschile e l’altro femminile, il compito di invocare la protezione degli dèi su Roma. Il "Carmen" presenta, ovviamente, i difetti propri delle composizioni eseguite su commissione, ma, se non è sorretto da altissima ispirazione, è tuttavia opera di altissima dignità artistica e, soprattutto, di profonda sincerità. Inoltre, in tutti quei luoghi in cui il poeta può liberarsi dagli obblighi impostigli dalle circostanze o dalla liturgia e dispiegare liberamente la sua fantasia, egli raggiunge l'intensità poetica delle sue liriche più felici, interpretando con severità e serietà il mito storico di Roma e di Ilio, ma soprattutto esprimendo un ideale quasi ieratico di potenza e di predominio.
Le Epistole
Fra il 30 e il 23 a.C. Orazio si dedica integralmente alla poesia lirica. Solo dopo tale data ritorna all’ispirazione giovanile dei sermones con un libro di epistole,dedicato a Mecenate che viene pubblicato nel 20. Non c è dubbio che le Epistole ripropongano un progetto di una poesia di tono medio e di carattere morale che era stato delle Satire:lo testimoniano l’uso dello stesso metro,l’affinità dei temi affrontati e soprattutto la definizione di sermones che Orazio estende alle nuove composizioni. Esse sono in esametri e si compongono di 2 libri: il I (di 20 componimenti) dedicato a Mecenate, uscì nel 20 A. ; delle 2 epistole del II libro, quella ad Augusto è del 14 o 13, quella a Floro è del 18 a.C. Il poeta cerca un dialogo più intimo e raccolto con sé stesso: c’è un bisogno di calma e di tolleranza, in cui si annida tanta esperienza umana, interiorizzata in una sorta di ascesi laica. Le lettere, così, sono dirette ad una pluralità di personaggi, umili e potenti, giovani ed adulti, che rappresentano tutto il mondo relazionale ed affettivo del poeta; esse forniscono uno spaccato del suo mondo interiore, un punto di sintesi delle sue riflessioni sulla vita, sugli uomini, sulla filosofia; esprimono, insomma, la voce più matura di Orazio, che vive con bonario distacco le vicende dell'esistenza e che attribuisce ai fragori ed alle inquietudini del vivere un valore ormai relativo. I temi delle singole lettere sono molto vari: un bigliettino di raccomandazione, un invito a pranzo, uno sfogo sulla propria condizione esistenziale. La prima epistola dedicata a Mecenate,funge da proemio,spiegando le ragioni che lo hanno spinto a intraprendere la composizione della nuova opera.
L’uso della forma epistolare condiziona indubbiamente la sostanza e i toni del discorso che Orazio svolge. Il tono è più intimo: si infittiscono i momenti di riflessione e morali,mentre spariscono quasi completamente gli aspetti satirici e aggressivi e quelli mimici e drammatici.
La lettera a Mecenate che dà inizio alla raccolta registra il nuovo stato d’animo del poeta che a poco a poco si sente vecchio e ormai inadatto ai piaceri della vita.
Tre epistole in particolare toccano il tema della vita malinconica e inquieta. Nella prima indirizzata a Tibullo, egli offre all’amico i conforti della saggezza epicurea, cercando di distoglierlo da un morboso stato di prostrazione interiore. Nelle altre due Orazio stesso si confessa vittima di un funesto torpore, una sorta d’insoddisfazione che lo costringe a peregrinare da un luogo all’altro.
Nel secondo gruppo di Epistole l’autore prende posizione su alcune questioni che dovettero essere particolarmente dibattute in quegli anni nell’ambiente culturale augusteo.Sul tema del teatro latino e sulla disputa fra antichi e moderni è impostata la prima epistola del II libro,indirizzato proprio ad Augusto. E qui Orazio manifesta tutta la sua indipendenza di giudizio. Si pronuncia a favore dei contemporanei, sottoponendo a durissime critiche gli antichi poeti romani; ma si mostra apertamente scettico riguardo al progetto di dar vita ad una nuova letteratura drammatica di alta qualità artistica.
La seconda epistola dedicata a Floro è di tono sostanzialmente autobiografico ed è una sorta di bilancio, venato di malinconico umorismo, della propria vita.
Ars Poetica o Epistola ai Pisoni
Un vero e proprio trattato sulla poesia è invece l’Ars poetica,in 476 versi esametri,composta presumibilmente dopo il 13. Scritta in forma epistolare e indirizzata all’illustre famiglia romana dei Pisoni, l’opera sono stata aggiunta soltanto in età moderna nel secondo libro delle epistole.La lettera ai Pisoni, nonostante il tono affabile e l’andamento discorsivo, presenta un ordinamento sistematico, ricalcato su uno schema tradizionale. L’Ars poetica oraziana risulta infatti suddivisa in tre parti:la prima riguarda il contenuto o materia dell’opera;la seconda tratta di tutto quanto concerne la forma dell’espressione poetica:gli elementi compositivi e strutturali,lo stile;la terza infine delinea i tratti caratterizzanti del perfetto poeta l' "Ars" è impostata sul problema dell’unità dell’opera d’arte e del rapporto tra contenuto e forma, esaminato prendendo come principale punto di riferimento il dramma. Molto si è discusso, e si continua a discutere, se considerare quest'opera un vero e proprio trattato sull'arte poetica oppure semplicemente un insieme di riflessioni senza un progetto unitario;il tono è quello di una conversazione dotta, ma altresì amabile e confidenziale.Comunque, sostanzialmente, essa è composta di due ben definiti nuclei concettuali, che trattano questioni relative all'arte del poetare ed alla figura del poeta. Riguardo il primo punto, due tesi, in particolare, sono rimaste celebri: la necessità di fondere la spontaneità e l'immediatezza dell’ispirazione con lo studio metodico e il paziente lavoro di lima; e il noto principio dell’ "utile dulci", della fusione cioè, diremmo oggi, fra utile e dilettevole. Riguardo, invece, la seconda questione Orazio insiste molto sulla conquista della "sapientia": per lui, innanzitutto, il poeta, come uomo, deve raggiungere un alto grado di consapevolezza e di conoscenza, erudita e soprattutto interiore; è questo, infatti, essenzialmente, il presupposto l'inizio e la fonte dello scrivere bene. A ben vedere, una sorta di testamento umano e letterario che il nostro poeta ha lasciato ai posteri.Orazio rifiuta la concezione platonica della poesia come una divina follia. Egli sostiene che il poeta deve possedere in pari misura ingenium e ars,dove ingenium denota il talento naturale,ars la maestria nell’elaborazione formale,frutto di studio e di doctrina.E’ indispensabile che fra le due componenti si stabilisca un perfetto equilibrio.Lo stile è regolato dal principio della convenienza;deve cioè corrispondere pienamente all’argomento affrontato.L’originalità non consiste nella novità dell’argomento,ma nel parlare di cose comuni con un’impronta nuova e personale.Infine, il poeta deve saper distribuire ogni particolare in modo appropriato e non deve mai spingersi troppo al di là delle proprie capacità.

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